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sabato 29 agosto 2015

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: timori da prima pagina...di MalKo

Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Gli allarmi di questi giorni a proposito del Vesuvio e dell’imminenza di una eruzione, sono partiti presumibilmente e involontariamente da una sbagliata associazione di idee che hanno seguito la notizia concernente la scoperta fatta da alcuni ricercatori, tra cui dott. Luca D’Auria dell’INGV e dott.ssa Susi Pepe del CNR. La novità proposta da questo studio consiste nell’aver individuato attraverso la precisione millimetrica dei satelliti di nuova generazione, alcuni meccanismi all’origine del bradisismo flegreo che dal 2012 al mese di giugno 2013 hanno caratterizzato il sollevamento dell’area puteolana di circa 10 centimetri.

Campi Flegrei: la zona scura indica il picco bradisismico

Secondo i dati dei due esperti infatti, il bradisismo di questo periodo è stato causato non già da condizioni fluidodinamiche ma da una intrusione di magma che da 8 – 10 chilometri di profondità ha raggiunto i 3 chilometri dalla superficie, per poi espandersi in senso orizzontale dando luogo a una sorta di scudo o lamina o lago o spessore per rimanere nella sfera degli esempi adottati dalla stampa, largo alcuni chilometri. 

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, intervistato da più organi di stampa sugli aspetti vulcanologici di questa recentissima scoperta, ha sottolineato come in una precedente pubblicazione scientifica coprodotta insieme alla dott.ssa Lucia Pappalardo, oltre a confermare l’esistenza di un bacino magmatico superficiale e unico per i Campi Flegrei e per il Vesuvio, metteva in risalto la possibilità che i tempi di risalita del magma potevano essere ben più rapidi rispetto ad alcune proiezioni ottimistiche del passato.  
Col fine di portare un contributo scientifico divulgativo alla faccenda, abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo di rilasciarci un’intervista sui punti più salienti che riguardano l’area vulcanica napoletana, anche alla luce dei recenti fatti di attualità legati alle trivellazioni e alle richieste di sfruttamento geotermico nell’area calderica flegrea e quella insulare di Ischia. Poi c’è l’annoso problema dei piani di evacuazione.
Schema del Deep Drilling Project (CFDDP)

Professore, un’unica grande camera magmatica quindi…

La prima evidenza di un’unica camera magmatica comune a Vesuvio e Campi Flegrei è stata presentata da me e dalla Dott.ssa Lucia Pappalardo sulla testata internazionale Scientific Reports del gruppo Nature nell’ottobre del 2012. L’iniziativa ebbe un grosso impatto mediatico perché confermava la presenza di una enorme riserva di magma già differenziato e quindi pronto ad essere eruttato anche in tempi brevi. Sulla base delle nostre ricerche magmatologiche, la sommità della camera magmatica ritenemmo che poteva ben localizzarsi mediamente a 8 chilometri dalla superficie. Fu la prima volta che grazie allo studio della composizione e dei rapporti isotopici delle rocce eruttate dal Vesuvio e dai Campi Flegrei si poté individuare una origine comune ai due vulcani napoletani.


Questa scoperta del Dott. Luca D’Auria (INGV) ed altri, cosa aggiunge in termini di conoscenza circa i processi vulcanici dell’area flegrea?

La recente pubblicazione di D’Auria ed altri ricercatori dell’INGV e del CNR sulla stessa rivista Scientific Reports accennata in precedenza, ha confermato le conclusioni riportate sulle nostre pubblicazioni. In base ai loro studi sulla crisi bradisismica del 2012 – 2013, una massa magmatica sarebbe risalita dalla camera superficiale e “fortunatamente” si sarebbe espansa orizzontalmente alla profondità di 3 chilometri nell’area puteolana formando un esteso sill senza causare eruzione.
I vulcani hanno proprio questo tipo di funzionamento, con il magma che può risalire dalla camera magmatica arrestandosi a varie profondità o raggiungere la superficie producendo un’eruzione. Le nostre conoscenza sui sistemi vulcanici non ci consentono di prevedere l’evoluzione di tali processi che possiamo solo ipotizzarli. Quello che possiamo osservare direttamente invece è l’eruzione: ma questa potrebbe essere una magra consolazione in un contesto urbanizzato come il nostro. E’ grave invece, che pur sapendo della possibile presenza di corpi magmatici attivi nella caldera dei Campi Flegrei, nel 2012 mentre il magma risaliva si trivellava il suolo di Bagnoli.


Questa novità dell’iniezione di magma verso la superficie non sembra sia stata colta in precedenza dalla catena di monitoraggio esistente…

I sistemi di monitoraggio rilevano le variazione di parametri fisici e chimici mentre la determinazione delle cause di tali variazioni è oggetto di speculazione scientifica. In pratica anche con le metodologie più avanzate non è possibile definire con certezza parametri geometrici fisici ed evolutivi di strutture profonde quali i sistemi magmatici. Usiamo una serie di indirizzi e modelli generali per ipotizzare quello che avviene in profondità, e da questo deriva l’intrinseca imprevedibilità delle eruzioni vulcaniche. I sistemi magmatici non sono per niente semplici e annoverano una moltitudine di variabili per lo più sconosciute. Quindi, non ha alcun senso parlare di prevedibilità del fenomeno in sistemi così complessi. I dati del monitoraggio forniscono solo indirizzi da inserire in modelli del sottosuolo scarsamente definiti per formulare ipotesi.
 Vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Il direttore dell’Osservatorio Vesuviano ha emanato precipitosamente un bollettino per tranquillizzare quanti si sono allarmati a causa di alcuni articoli di stampa ad oggetto il Vesuvio e una possibile ripresa eruttiva. Non sfugge niente geologicamente parlando all’Osservatorio?

Una cosa è rilevare eventi sismici anche molto deboli così come minime deformazioni del suolo e modificazione dei flussi e della composizione chimica e della temperatura dei gas fumarolici e un'altra e ben diversa è la previsione delle eruzioni. Il monitoraggio ci consente di definire con accuratezza i cambiamenti che avvengono in superficie o anche a modesta profondità e in alcuni punti, ma il monitoraggio non consente alcuna previsione per il futuro. Il monitoraggio può avere una sua importanza per confermare o rigettare modelli interpretativi ed avrebbe un valore una volta scelte delle soglie di riferimento che sarebbero comunque arbitrarie per l’attivazione di un piano di evacuazione. Tra l’altro piani che al momento mancano esponendo oltre misura i 3 milioni di abitanti che vivono nei distretti vulcanici napoletani.

Rione Terra Pozzuoli -  (Campi Flegrei)
Le perforazioni in genere in un’area appunto come quella flegrea o ischitana potrebbero portare elementi utili alla prevenzione delle catastrofi?

Come dimostrano i vari disastri avvenuti a seguito di trivellazioni anche in zone per niente sismiche e vulcaniche, è quanto mai opportuno impedire qualsiasi attività di trivellazione superficiale o profonda, soprattutto nelle aree urbanizzate a tutela della collettività.
Per la zona dei Campi Flegrei e per quella di Ischia da tempo mi batto negli ambiti scientifici e istituzionali e governativi per impedire l’effettuazione di perforazioni soprattutto con estrazione e reiniezione dei fluidi sia per scopi scientifici che industriali legati all’energia geotermica. Non si può non condannare la trivellazione operata proprio nei suoli di Bagnoli nel 2012 con una crisi bradisismica in atto in una condizione di misura dei parametri controllati che hanno poi richiesto il passaggio alla fase di attenzione vulcanica come dai modelli di allerta vigenti. La perforazione si è fermata a 520 metri, ma se continuava avrebbe potuto attraversare l’esteso corpo magmatico ubicato a 3 chilometri di profondità con conseguenze non prevedibili ma certamente contrarie a qualsiasi principio di precauzione.

In zone vulcaniche ad altissimo rischio come il Vesuvio e i Campi Flegrei, la mancata redazione dei piani di evacuazione è come un pronto soccorso senza medicinali…

Il piano di evacuazione è l’unica difesa a fronte del rischio a cui sono sottoposte le popolazioni che abitano in aree vulcaniche per l’imprevedibilità del fenomeno eruttivo. Piani che da moltissimi anni ne invoco la disponibilità e che puntualmente viene riferito che sono nella imminenza della pubblicazione ma che di fatto ancora non esistono… Procedere con le rassicurazioni soprattutto da parte dei vertici istituzionali può avere una valenza solo nell’immediato, all’atto dell’affermazione, che potrebbe rivelarsi fallace già nei giorni successivi. Con questo si vuole dire che oggi non c’è allarme, ma è bene sottolineare che la previsione degli eventi vulcanici non è ancora alla nostra portata e che l’unica difesa realmente concreta è la prevenzione delle catastrofi: una disciplina poco o per niente applicata.

Ringraziamo per la cortese attenzione e per il tempo che ci ha dedicato il Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore presso il prestigioso Osservatorio Vesuviano (INGV) di Napoli.

Al termine di questa intervista occorre ribadire alcuni importanti concetti: innanzitutto che il Vesuvio permane ad oggi in uno stato di quiescenza e chi ha responsabilità istituzionali  bene ha fatto a puntualizzare l’assenza del rischio eruttivo a breve,  ma avrebbe fatto ancora meglio se approfittando del picco mediatico avesse puntato il dito contro le mancate politiche di prevenzione che hanno reso le zone vulcaniche napoletane tra le più abitate al mondo e per questo le più rischiose del Pianeta.

L’oggetto dell’attenzione giornalistica doveva concentrarsi sui Campi Flegrei, dicevamo, e non solo per le particolarità calderiche da super vulcano. All’interno dell’area puteolana infatti, si è riscontrata un’intrusione magmatica che dovrà essere meglio studiata per capire come si colloca il fenomeno in un contesto di conclamato stato di attenzione vulcanica, che potrebbe essere forse pure rivisto al rialzo qualora i dati geochimici e geofisici dovessero attestare una impennata bradisismica indotta dal materiale magmatico.

I piani d’emergenza comprensivi di quelli di evacuazione tardano a concretizzarsi come documentazione ufficiale da sintetizzare poi sotto forma di memorandum per i cittadini. Per il resto gli argomenti scientifici e tecnici e politici che riguardano direttamente e indirettamente la platea a rischio vulcanico, devono battere strade nuove con sensibilità nuove, e i problemi devono essere affrontati non già con machiavellismo ma con la convinzione che mai più debbano piovere petali rosa su un mondo istituzionale ingiustificatamente ed eccessivamente distratto…

lunedì 24 agosto 2015

I vulcani Marsili, Campi Flegrei e Ischia: terre per il geotermico? Intanto il Vesuvio… ” di MalKo



La zona dei Campi Flegrei: quartieri Bagnoli e Fuorigrotta.
L’uomo ha sempre avuto sete di energia. Per produrla ha iniziato a bruciare legna, poi ha continuato col carbone ed ancora il petrolio che rimane la fonte energetica principale, anche se non pochi e già da tempo sfruttano il nucleare per produrre elettricità, ad eccezione dell’Italia che lo ha bandito e che punta sulle risorse rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico e il geotermico.  

In realtà l’eolico e il fotovoltaico sembrano energie più da propensione ambientale che da straordinario ed effettivo rendimento elettrico, atteso che una lattina di benzina (oggi) ha una capacità energetica di gran lunga superiore a un concentrato eolico o di radiazioni solari: elementi quest’ultimi inesorabilmente legati alle condizioni atmosferiche e alla rotazione terrestre.

Neanche l’energia prodotta dalle biomasse vegetali attraverso processi termochimici, biologici e fisici risultano (oggi) particolarmente convenienti per le non semplici modalità di trasformazione del prodotto e per una serie di implicazione anche morali a proposito dell’agricoltura che dovrebbe avere il principale ruolo di sfamare il Pianeta e non quello di produrre energia. Il metano pare sia allora la risorsa su cui puntare nel medio futuro, perché per quantità stimate nei giacimenti, potrebbe essere un sostituto energeticamente valido rispetto all’aborrito nucleare: un gas su cui molto probabilmente bisognerà puntare… 

Oltre all’idroelettrico, nel nostro Paese sta prendendo vigore lo sfruttamento delle risorse geotermiche di cui l’Italia vanta una primogenitura con gli impianti industriali di Larderello. Attraverso una serie di liberalizzazioni e concetti discutibili a proposito dell’interesse nazionale, sono nate numerose società che hanno avanzato richiesta di sfruttamento geotermico con alcune proposte attualmente al vaglio del Ministero dell’Ambiente che dovrà pronunciarsi sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente quasi tutti i luoghi della Terra possono attingere a questa risorsa energetica da raggiungere con le perforazioni, che sarà tanto più conveniente quanto minori saranno le profondità di captazione dei fluidi caldi, che saranno giudicati ottimali non solo in ragione delle elevate temperature ma anche delle concentrazioni saline che dovranno essere veramente minime. Fluidi ricchi di sostanze corrosive infatti, costituirebbero un serio problema per tubazioni e impianti di produzione.

D’altra parte il geotermico richiede generalmente operazione di trivellazione che anche nelle zone calde necessitano di profondità di diverse centinaia di metri. Le trivellazioni (oggi) sono invise a buona parte dell’opinione pubblica, probabilmente per la proliferazione della pratica che si sta intensificando sia in mare che sulla terra ferma. Le perforazioni a prescindere dall’uso eccessivo e successivo non avvengono di solito in un corpo omogeneo e monolitico, bensì in un sottosuolo fatto a strati in cui coesistono spessori liquidi e intermedi e disomogenei e rocciosi che si interallacciano e si scambiano elementi, chimismi e calore con interazioni raramente conosciute in anticipo.  In altre parole le operazioni di trivellazione contengono quasi sempre alcuni elementi di rischio ambientale difficili da valutare in partenza come i benefici, per cui si ricorre a impianti pilota. Rischi che si accentuano enormemente in aree sismiche e vulcaniche perché il sottosuolo in questo caso potrebbe essere particolarmente stressato e anche un piccolo elemento perturbante dovuto alla perforazione o alla reiniezione dei fluidi captati, potrebbero indurre subsidenze o eventi sismici e altro. Una quantificazione generale del rischio che potrebbe assurgere a valori inaccettabili qualora le trivellazioni dovessero realizzarsi in zone densamente abitate con infrastrutture di rilievo e nel nostro caso metropolitane.

In prima battuta un interessante progetto di sfruttamento geotermico era stato predisposto per il seamount Marsili; vulcano addormentato nelle profondità del mare Tirreno Meridionale. Tra l’altro il progetto non prevedeva neanche una valutazione d’impatto ambientale. Probabilmente perché il Marsili poggia sul fondo del mare a oltre 80 chilometri dalla costa più vicina; forse, in assenza di valore esposto si riteneva erroneamente che il progetto potesse conformarsi come esente da rischi… Ma il mare non è un elemento statico, e in realtà allarmi erano stati già lanciati in precedenza da emeriti studiosi, a proposito del rischio frane insito sui versanti scoscesi e flaccidi del poderoso vulcano sottomarino. Frane che avrebbero potuto innescare terribili onde di maremoto si ripeté… Senza dilungarci oltre, bene ha fatto il Ministero dell’Ambiente a pretendere una valutazione d’impatto ambientale (VIA) anche per il rischio frane e tsunami. Il progetto quindi, se sarà ripresentato dovrà contenere gli elementi valutativi sui pericoli non chiariti in precedenza.

Nella zona dei Campi Flegrei e di Ischia invece, sono in corso valutazioni d’impatto ambientale (VIA) per i progetti di sfruttamento geotermico denominati Scarfoglio e Serrara Fontana. Il primo prevede trivellazioni e captazione e reiniezione dei fluidi nella zona del vulcano Solfatara, e il secondo nei contrafforti del Monte Epomeo. Tra l’altro nella zona di Bagnoli, sempre nei Campi Flegrei, nel corso del 2012 si è dato il via a un altro progetto di perforazione in questo caso profondo finanziato da un consorzio internazionale (ICDP): il famoso Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP).

Schema del Campi Flegrei Deep Drilling Project

Uno scavo quest'ultimo che, come tutti gli scavi di questo mondo, ha sempre una valenza scientifica, ma il progetto mirava e mira soprattutto a braccare i fluidi supercritici (500°-600°) onde valutarne il potenziale geotermico di sfruttamento. L’opera, dichiarata di valenza internazionale, prevede una trivellazione da 4000 metri nel cuore caldo della caldera flegrea. E’ di questi giorni la notizia che è stato scoperto sempre dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) attraverso l'utilizzo di strumenti e tecniche satellitari, la causa del sollevamento dei suoli nell’area di Pozzuoli e zone limitrofe. Un bradisismo dovuto a uno strato intrusivo, una sorta di iniezione compulsiva che ha spinto il magma da circa 8 - 10 chilometri ad appena 3 chilometri dalla superficie.  Praticamente se la trivellazione prevista dal progetto CFDDP oggi ferma a 520 metri di profondità dovesse continuare come annunciato fino a toccare i 4 chilometri, si raggiungerebbe e si perforerebbe e si supererebbe (tecnologia permettendo), lo strato magmatico appena scoperto. 

La notizia che circola sui media in queste ore e che ha avuto una forte presa sul pubblico, ha posto erroneamente il Vesuvio al centro dell’attenzione perché si accennava in una intervista e come premessa alla risalita del magma da un’unica grande camera magmatica comune ai due complessi vulcanici napoletani : il Vesuvio e i Campi Flegrei.

In realtà la vera notizia l'abbiamo accennato in precedenza riguarda una recentissima pubblicazione del ricercatore Luca D’Auria dell’INGV, in cui si mette in luce che le deformazioni bradisismiche del suolo nell’area flegrea, soprattutto dagli inizi del 2012 e fino al mese di giugno del 2013, sono dovute come detto a una iniezione di magma dal profondo. Questo magma si è mosso nel giro di qualche anno e senza particolari dirompenze. Il dato è scientificamente interessante ma non tranquillizzante soprattutto in assenza di piani di evacuazione.

I piani di evacuazione sono oggi una misura fondamentale di salvaguardia perché i vulcani hanno complessivamente ancora elementi di indeterminatezza anche sui tempi di risalita del magma. La previsione è ancora un traguardo da raggiungere  e quindi la prevenzione delle catastrofi deve essere la disciplina su cui bisogna puntare per la sicurezza delle popolazioni esposte. La statistica deve essere utilizzata come riferimento privilegiando alternative più garantiste, così come bisogna evitare alchimie nella classificazione delle zone rosse con linee deterministiche che valgono per un comune e non per l'altro: generano disorientamento...  La ricerca nel campo della vulcanologia va sostenuta, così come la formazione e l'informazione delle popolazioni a rischio. Puntare su uno solo di questi elementi potrebbe essere riduttivo se non un grosso azzardo...



Il litorale vesuviano verso Napoli
Il Dipartimento della Protezione Civile ha ribadito con forza che i piani d’emergenza a fronte del rischio Vesuvio esistono eccome. Senza dubbi esistono... Contengono scenari, livelli di allerta, fasi operative, classificazione delle zone rosse e gialle, atti ufficiali a firma del presidente del Consiglio, coperture economiche per gli sfollati, accordo sui gemellaggi regionali, ecc. C’è tutto! Quelli che mancano sono i piani di evacuazione, per i quali sono stati stanziati fondi soprattutto a favore delle municipalità che ricadono in aree vulcaniche e che hanno l’obbligo di completare i lavori di pianificazione entro la data limite del  31 dicembre 2015, dopodiché gli inadempienti non dovrebbero ricevere alcun rimborso. Allora, corregga il tiro il dipartimento: un piano d'emergenza che prevede una sola ipotesi di rischio - l'eruzione -  con un solo comportamento - l'evacuazione -  può considerarsi sostanzialmente inutile o inesistente se mancano appunto i piani di evacuazione. Quando pronti questi strumenti di protezione attiva, dovranno essere sintetizzati e illustrati e assemblati sotto forma di vademecum che dovranno essere consegnati a ogni famiglia residente nei distretti vulcanici napoletani. Piaccia o non piaccia quindi, l'importante dicastero romano ha la responsabilità di un piano che si fregia unico nel suo genere del titolo di nazionale. Contiamo  purtroppo oltre  20 anni di gestazione ma il documento sembra ancora prematuro e le doglie  lungi dal venire... Ringraziamo quindi il buon Dio per la clemenza geologica accordataci fino ad (oggi), e un pò meno chi avrebbe dovuto garantire ai cittadini a rischio l'imprescindibile diritto alla sicurezza.


domenica 2 agosto 2015

Ischia e progetto geotermico a Serrara Fontana...di MalKo



MalKo

Sorvolare l’isola di Pithecusa (Ischia), ci procurava sempre una sensazione di piacere e di particolare ammirazione per questo grande “scoglio” tufaceo considerato la più vecchia colonia greca in Italia. Dal nostro elicottero apprezzavamo la forma trapezoidale e il rilievo centrale del Monte Epomeo, una sorta di pilastro tettonico che domina con i suoi 789 metri un abitato che segna senza soluzione di continuità gli oltre 30 chilometri della fascia costiera. Una conurbazione che elegge Ischia, dopo la Sicilia e la Sardegna, come isola col maggior numero di abitanti…
La sensazione che provavamo volando sull’isola era di ammirazione ma anche di consapevolezza che il gran complesso tufaceo pur mostrandosi monolitico nell’insieme, in realtà risultava fragile, perché il tufo nonostante si presti molto bene ad essere utilizzato come materia prima nelle costruzioni, rimane pur sempre un litoide diagenizzato particolarmente vulnerabile alle inclemenze meteorologiche e all’erosione meteo marina.  


Ischia - entroterra arenile maronti 
Ischia è esposta non solo ai dinamismi esogeni, ma è anche soggetta a significative e poco quantificate sollecitazioni endogene dovute alla parte crostale e alla camera magmatica forse in tensione o forse in rilassamento, ancorché percorsa dal calore vulcanico non sopito e particolarmente vivo intorno e al di sotto dell’Epomeo e dintorni.
Del calore sotterraneo ce ne accorgemmo nel mese di aprile del 2008 quando la nostra base nel salernitano fu allertata per un improvviso boato avvertito con un certo allarme nel comprensorio ischitano di Forio. Col nostro elicottero ci portammo in zona e scartammo subito il centro abitato quale origine del rimbombo perché in tal caso la sorgente emissiva sarebbe stata immediatamente individuata e segnalata. Stessa logica nel braccio di mare perché un eventuale scoppio avrebbe destato l’attenzione istantanea e sarebbero stati percepiti visivamente spruzzi e schiumeggi dalla piatta distesa marina. D’altra parte le indicazione puntavano tutte verso il monte… il Monte Epomeo, vero perno dell’isola.
Iniziammo quindi circuiti metodici fino a quando non notammo nella parte medio montana una zona fumarolica con una bocca emissiva di tutta evidenza, dove le volate di vapore erano più vistose e potenti rispetto alle altre. Terra fresca e pietre accumulate alla base di questo foro roboante ci convinsero che probabilmente l’origine del boato era da ascriversi a una degassazione repentina di una sacca di vapore in pressione nel sottosuolo.
La cosa che maggiormente ci colpì in questo sopralluogo montano non furono tanto le effusioni acquose, bensì la constatazione che non pochi massi costellavano la parete del montagnone in una condizione di equilibrio piuttosto precario. Con la storia sismica della vicina Casamicciola, pensammo subito che un’eventuale terremoto avrebbe potuto cagionare il rotolamento dei massi dabbasso con possibili danni agli abitati sottostanti.
Per il passato le popolazioni locali probabilmente avevano avuto a che fare non poche volte col fenomeno delle frane. Infatti, riuscivano a mettere immediatamente mano ai massi particolarmente grandi che precipitavano dall'Epomeo, perforando e modellando i malleabili blocchi tufacei letteralmente “piovuti dal cielo”, ricavando dall’ammasso litico con un lavoro di grossolano cesello, scale, stanze ben squadrate, e poi antri e finestre… ovvero case, con tanto di camino sommitale.
 
Casa di pietra - Forio (www.ischia.it)

Il fenomeno dell’accentuato dissesto idrogeologico e quindi delle frane, probabilmente è dovuto alle caratteristiche del tufo, spesso a sfoglie, non sempre omogeneo e facilmente attaccabile dagli elementi erosivi e soprattutto dall’acqua che qui e altrove rappresenta uno degli elementi scatenanti dello sbriciolamento dei versanti montuosi. Nel territorio ischitano si sommano vari aspetti all’origine dei dissesti fra cui l'abusivismo edilizio che modifica la regimentazione delle acque superficiali, e gli incendi boschivi che negli anni e a più riprese hanno divorato la vegetazione che copriva in senso protettivo il giallo elemento.
La foto sottostante mostra un enorme blocco staccatosi dal Monte Epomeo nel 1910, con alcuni abitanti che posano per una foto ricordo. In questo caso l’immagine vale più di mille parole…
 
Blocco precipitato dal Monte Epomeo (www.isclano.com)

La nostra sensazione sulle caratteristiche territoriali di Ischia è quella di un’isola dicevamo particolarmente fragile, che ha bisogno di mettere un freno innanzitutto al dilagare dell’edilizia in tutte le sue forme, e soprattutto di tanta manutenzione ai versanti scoscesi che producono per effetto dell’erosione e delle piogge, materiale litoide pronto a smottare o precipitare a valle come le cronache anche recenti ci riportano.
Il progetto di sfruttamento geotermico di Serrara Fontana, in attesa di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), è un progetto industriale finalizzato alla produzione di energia elettrica attraverso lo sfruttamento di fluidi notevolmente caldi prelevati dal sottosuolo vulcanico dell’isola in un sistema sostanzialmente a ciclo chiuso. L’opera prevede la realizzazione di 3 pozzi che si spingeranno nel sottosuolo tufaceo a una profondità di 1300 metri dal piano campagna.  Due di questi saranno di emungimento e uno di reiniezione dei liquidi condensati. La tecnica di perforazione dovrebbe essere del tipo a raggiera, cioè i pozzi saranno iniziati a pochi metri di distanza l’un dall’altro: praticamente partiranno dallo stesso piazzale, per inoltrarsi poi nel sottosuolo in senso obliquo e in direzioni diverse, allontanandosi dal punto iniziale di perforazione di circa 600 metri.

Un pozzo di emungimento punterà a nord ovest, un altro a sud ovest e quello di reiniezione si diramerà invece verso est, assumendo quindi una posizione equidistante dalle bocche emungitrici che si troveranno a una distanza di 1200 metri. La tecnica è indubbiamente ingegnosa e consente di sfruttare l’obliquità dei pozzi per testare la maggiore superficie possibile.
Le nostre considerazioni sul progetto geotermico Serrara Fontana sono simili a quelle già segnalate per l’analogo progetto Scarfoglio ai Campi Flegrei. La differenza è nella vulnerabilità del territorio che ci sembra maggiore per l’isola verde, sia per i profili geologici del sottosuolo non particolarmente noti e sondati, sia per la possibilità che le trivellazioni e le reiniezioni dei fluidi possano innescare una serie di fenomeni di ordine sismico capaci di scuotere un profilo montuoso non scevro da pericoli statici dettati come detto da una particolare fragilità del tufo all’azione degli agenti erosivi che producono pietre e massi.
D’altra parte il progetto Serrara Fontana è un progetto pilota, cioè esplorativo; infatti, non conoscendo esattamente le caratteristiche dell’ambiente sotterraneo in cui si opererà, è possibile che in corso d’opera si rendano necessari dei cambiamenti a seconda delle risposte che le perforazioni e gli emungimenti e le reiniezioni lasceranno registrare in superficie. Ne consegue che è insito un rischio di fondo seppur minimo, e quindi bisognerebbe evitare affermazioni a proposito di un rischio zero delle trivellazioni tra l'altro in un contesto dove mancano scenari di pericolo e piani d'emergenza.
Trattandosi di un comprensorio isolano non particolarmente esteso ma densamente abitato, è opinione dello scrivente che una decisione politica sulla fattibilità dell’opera spetti al consesso dei sindaci ischitani, anche perché la più estesa concessione Ischia Forio li ingloba praticamente tutti. Una comunità che vive di mare e terme e bellezze naturali, dovrà interrogarsi seriamente sull’insediamento geotermico perché se l’obiettivo dell’indipendenza elettrica sarebbe un grande traguardo energetico, bisognerà comunque intuire che fatta eccezione per l’area portuale di Ischia Porto, tutta l’isola è terra di concessione geotermica.  Se si insedia uno stabilimento industriale che preleva e reimmette fluidi dal sottosuolo, non si capirebbe perché non se ne possa installare un altro…e poi un altro ancora.

Articolo del 02 agosto 2015.






domenica 19 luglio 2015

Rischio Vesuvio: nel 1999 panico da terremoto... di MalKo


Il Cono centrale del Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma

Il 9 ottobre 1999 una scossa di terremoto con una magnitudo 3,6 (Md) localizzata nell’area craterica del Vesuvio a 3,8 chilometri di profondità dal livello medio mare, fu nettamente avvertita dalla popolazione vesuviana che rimase sgomenta, non solo per la sua evidente percettibilità, ma soprattutto perché l’energia proveniva dal ventre del temuto monte vulcanico. L'11 ottobre alle 4.35 una replica sismica da M 2.9 della scala Richter...
Il Comune di Portici, con cui eravamo in collegamento in ragione di una stretta collaborazione in tema di rischio vulcanico, ci riferì che la situazione era di ansia crescente tra i cittadini che chiamavano preoccupati al numero verde (H24) dell’ufficio comunale di protezione civile. Un servizio permanente che avevamo instaurato qualche anno prima perché le emergenze in genere, ma anche quelle sismiche e vulcaniche, hanno la caratteristica di potersi presentare con una certa rapidità, in qualsiasi giorno e a qualsiasi ora…
Le richieste telefoniche dell’utenza allarmata riguardavano prevalentemente un'unica e angosciosa e fondamentale domanda: dobbiamo scappare? La risposta sulle prime non era semplice e scontata, perché si trattava del terremoto più energetico dal 1944…ovvero dall'ultima eruzione del Vesuvio. Rispondemmo ai tanti appelli telefonici che al momento non c’erano presupposti di allarme e che bisognava attendere un po’ di giorni per capire se quella scossa aveva un significato importante. Ci rendemmo conto ben presto che anche all’Osservatorio Vesuviano erano dubbiosi e preoccupati e solo col passare delle ore e dei giorni o forse dei mesi si sarebbe potuto dare un significato alla spallata sismica che diede l’inaspettata sveglia ai vesuviani.

Nel frattempo conoscendo la localizzazione di qualche pozzo profondo in località Boscotrecase, cercammo di renderci utili partecipando a sondaggi sulle temperature dell’acqua insieme a personale dell’Osservatorio Vesuviano. Il comune di Portici aveva tra le attrezzature una sonda immergibile idonea a questo scopo. Nei due pozzi monitorati la temperatura dell’acqua a 125 metri di profondità superava di poco i 30° C. Trattandosi di siti non censiti in precedenza, il valore non risultò particolarmente indicativo per la mancanza di riferimenti passati. Passammo allora ad analizzare la temperatura nel pozzo campione di Torre del Greco. In questo caso scendemmo da una botola ubicata sul livello stradale e per alcuni metri nel sottosuolo. Da qui c’era l’accesso alla canna di pozzo. La temperatura che rilevammo dabbasso non si discostava dai valori base di riferimento. Il dato che ci allarmò molto invece, ci fu dato dal sensore elettrochimico collegato a un apparecchio portatile che avevamo per sicurezza aggrappato alla cintura: dopo pochi secondi incominciò ad emettere un cicalio assordante, intermittente e non tacitabile, perché l'apparecchio aveva rilevato il superamento della soglia limite di sopravvivenza all’anidride carbonica (CO2). Il locale era letteralmente invaso dal gas asfissiante proveniente dal pozzo saturo, fatta eccezione per la parte alta del locale areato appena dalla botola aperta…
A distanza di qualche giorno l’ex direttore dell'Osservatorio Vesuviano, Prof. Giuseppe Luongo, iniziò una querelle contro la Dott. Lucia Civetta, allora direttrice in carica, perché a suo dire con quel terremoto bisognava passare a un livello di attenzione vulcanica. Lo stesso livello di allerta che caratterizza oggi i Campi Flegrei

Gli attuali livelli di allerta vulcanica
Dall’Osservatorio invitarono alla calma e soprattutto evidenziarono che il dato anomalo riguardava un solo parametro e non gli altri. Risposta un po’ vera e un po’ governativa… Per affrontare questa diatriba che aggiunse ansia ai cittadini, pubblicammo in tutta fretta un numero speciale dell’informa comune, un giornale locale edito dal comune porticese e distribuito nelle piazze, in cui cercammo di spiegare come stavano i fatti aggiungendo elementi di tranquillità vertenti tutti sulla gran mole di lavoro e sugli importanti risultati raggiunti nel campo della prevenzione e dell’operatività a livello comunale. In quel periodo al governo della città c’era il sindaco Leopoldo Spedaliere, personaggio forse anche controverso, ma dal punto di vista della protezione dei cittadini dal pericolo vulcanico, si distinse per ruolo e competenza.  

L'edizione straordinaria dell'informa comune - Portici - .

Della diatriba scientifica possiamo aggiungere che in realtà Luongo aveva ragione, perché il livello di attenzione implica semplicemente una maggiore attività di sorveglianza geochimica e geofisica dei parametri del vulcano: non altro, ed era esattamente quello che occorreva fare in quel momento. Con una spallata sismica di quel tipo non bisognava aspettare il cambiamento di altri parametri per drizzare le orecchie, soprattutto se questi valori non venivano acquisiti in tempo reale grazie a stazioni automatiche. D’altra parte però, possiamo garantire che in quel contesto fatto di ignoranza generalizzata anche da parte dei comuni a proposito dei livelli di allerta vulcanica e delle fasi operative corrispondenti, dichiarare lo stato di attenzione equivaleva ad accendere forse la miccia del panico, ma più ancora del ridicolo perché si sarebbe messo in risalto la colpevole assenza dei piani di evacuazione.
Più di qualcuno nel bailamme delle notizie cambiò aria… La verità sull'intera faccenda fu che si passò nei fatti a uno stato di attenzione vulcanica senza per questo dichiararlo. Una soluzione veramente salomonica...

Oggi seguiamo con interesse le dissertazioni e gli argomenti che propone l’avvocato Giuseppe D’Aniello da un apposito sito web, a proposito di un sistema di monitoraggio vulcanico (Vesuvio) che presenta falle su molti lati, soprattutto sull’acquisizione in tempo reale dei dati riguardanti la chimica delle fumarole e i segnali sismici particolarmente disturbati dal passaggio dei bus turistici all’interno della Riserva naturale statale Tirone Alto Vesuvio.  Un andrivieni meccanico tra l'altro in contrasto con le necessità dichiarate di equilibrio ambientale dell'oasi...
Dagli scritti dell’avvocato ci sembra di capire che il presidente dell’INGV, Stefano Gresta, sia seccato da questo puntiglioso interesse scientifico di D’Aniello che segnala discrasie nel sistema di sorveglianza. Interesse centrato soprattutto sugli aspetti che riguardano il monitoraggio dei parametri fisici e chimici del Vesuvio. Riteniamo che la semplice appartenenza alla zona rossa Vesuvio, quale area geografica dove non è garantito l’imprescindibile diritto alla sicurezza, dia titolo per pretendere di sapere cosa accade all'interno delle strutture statali di monitoraggio, visto che la previsione dell’evento eruttivo rimane non già l’arma, ma l’unica speranza per non essere investiti improvvisamente da una colata piroclastica incandescente. Ne consegue che l’INGV deve rispondere nel concreto agli interrogativi e alle segnalazioni  dei cittadini a prescindere, perché solo dall'efficienza e dall'efficacia della pratica di monitoraggio in tempi reali dei parametri vulcanici, si possono cogliere sul nascere i salvifici prodromi pre eruttivi.
La parte istituzionale amministrativa (Dipartimento Protezione Civile e Comuni) hanno dalla loro il secondo elemento della sicurezza. Infatti, se anche l’Osservatorio Vesuviano riuscirà a cogliere sul nascere i sintomi di un possibile risveglio del Vesuvio, sarà necessario rendere operativo un piano di evacuazione che oggi non c'è! C’è l’obbligo si stilarli però, a cura dei Comuni vesuviani e flegrei entro il 31 dicembre del 2015, pena la perdita dei finanziamenti europei stanziati ad hoc. Staremo a vedere…

Se il vulcano avrà la bontà di mantenere la sua pace geologica almeno fino a questa data e l’Osservatorio Vesuviano metterà in secondo piano il geotermico e le trivellazioni concentrandosi sulla sorveglianza vulcanica con tutta l'efficacia possibile, probabilmente incominceremo a mettere insieme i tasselli giusti della sicurezza areale dei tre distretti vulcanici napoletani, a tutto vantaggio del giuridico e superiore interesse pubblico.  
Il presidente dell'INGV  si rimbocchi le maniche e aguzzi l'ingegno organizzativo e operativo della struttura che dirige, in modo che si tenga alto il concetto che uno dei ruoli fondamentali della scienza consiste nell'evitare che un evento naturale come un'eruzione, possa trasformarsi in una immane catastrofe...




giovedì 2 luglio 2015

Rischio Vesuvio: Noè e l'ultima spiaggia...di MalKo



Il Vesuvio da Torre del Greco

Il principale compito della commissione incaricata di provvedere all’aggiornamento dei piani d’emergenza dell’area vesuviana per il rischio Vesuvio, è stato quello di individuare il tipo di eruzione da cui dobbiamo difenderci, perché non è stata assunta quella massima conosciuta per delineare gli scenari eruttivi di riferimento. Interpretare i segnali che ci giungono in superficie da quel mondo sotterraneo dove i magmi si costipano, si muovono e si rinnovano, non è facile per le innumerevoli variabili e interazioni che caratterizzano la chimica e la fisica delle rocce allo stato plastico. Quindi, non solo è difficile prevedere un’eruzione, ma è da vero azzardo stimarne l’intensità eruttiva e con essa il territorio su cui si potrebbero abbattere le fenomenologie vulcaniche più deleterie. 

Alcuni ricercatori dell’INGV con l'avallo della commissione grandi rischi, hanno indicato l’evento eruttivo ultra stromboliano come quello più probabile nel medio termine, mentre il sub pliniano come evento massimo di riferimento.  La possibilità che possa verificarsi un’eruzione pliniana simile a quella che distrusse Pompei nel 79 d.C. o a quella di Avellino che 3800 anni fa sconvolse la plaga vesuviana, è stata letteralmente scartata: il grosso problema è che non ci sono basi deterministiche per farlo… Questa decisione scientifica è stata accettata e condivisa dagli organismi tecnici regionali e dipartimentali.

Il direttore dell'Osservatorio Vesuviano, Dott. Giuseppe De Natale, esclude invece che oggi sia possibile definire i tempi di ritorno di un'eruzione di qualsivoglia tipologia eruttiva; regola che vale per tutti i vulcani in generale ma in particolare per le eruzioni pliniane del Vesuvio. Quelle a noi note infatti, sono in numero talmente esiguo che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa.

Allora, cosa c’è dietro alle politiche di protezione civile applicate agli ambiti territoriali del vesuviano e del flegreo per quanto ci riguarda e abbastanza chiaro, e lo si poteva intuire partecipando al convegno tenutosi nella prestigiosa sede del castello Angioino di Napoli il 29 giugno 2015. Per tutti coloro che si sono persi l’importante dibattito, c’è la possibilità di riascoltare gli esperti attraverso i programmi di radio radicale, a cui va il merito di garantire una puntuale informazione sull’argomento.

Ebbene, secondo le filosofie del Prof. Edoardo Cosenza, figura preminente dell’ultimo quinquennio della protezione civile regionale e nazionale, non si tutelano le persone allargando la zona rossa, ma al contrario bisogna restringerla secondo logiche ottimali; così i falsi allarmi che sono una concreta possibilità in questo campo minato della previsione vulcanica, diventerebbero gestibili riducendo al minimo i rischi intrinsechi allo spostamento delle masse. Il professore chiarisce poi, che bisogna tenere presente gli intervalli legati alla frequenza delle catastrofi, cioè i tempi di ritorno, e su quelli concentrare le politiche di protezione civile e non già sull’evento peggiore che si conosce. Se per esempio volessimo prendere in esame il massimo evento di riferimento nel campo della geologia, aggiunge, dovremmo partire dal super continente iniziale e dalla deriva dei continenti; come eventi massimi poi, apocalisse, estinzione dei dinosauri e diluvio universale, soprattutto per coloro che non si chiamano Noè

Il richiamo a Noè ci torna utile quale esempio di azzeccatissima previsione delle catastrofi… Tra l’altro la previsione proprio perché prevede un fenomeno che ancora non c’è, invisibile e impercettibile, richiede da parte dei destinatari del messaggio premonitore un’assunzione di fede per non vanificare l'efficacia dell'anteprima informativa. La fede laica invece, riguarda la fiducia nelle istituzioni…
L’esempio di Noè si presta bene anche per far capire l’importanza dell’informazione. L’altissimo proprio per bonificare l’ambiente terrestre dai peccatori, rese noto al solo patriarca la previsione del diluvio: non diffondendo quindi la notizia dell’approssimarsi della catastrofe, gli impuri e i corrotti vennero travolti dalle acque.

Le teorie del Prof. Cosenza diciamola tutta non sono il massimo della garanzia ma trovano applicazione nelle situazioni estreme, altrimenti dette da ultima spiaggia… Quindi, diamo per scontato che c'è una condizione critica nel vesuviano, dettata da una miscela comprendente un vulcano esplosivo, previsione incerta del fenomeno, prevenzione zero e 700.000 abitanti arroccati sulla bomba.  Le condizioni estreme oggettivamente sussistono e ci sono tutte… Ma tutti sono inermi al capezzale della prevenzione che nessuno tenta di rianimare.

Il Prof. Cosenza espone poi un altro dato che si collega alla faccenda rischio: le chances che ha la popolazione vesuviana sono racchiuse in una matrice due per due. Cioè, possiamo avere un’evacuazione senza eruzione. Un’evacuazione con eruzione. Un’eruzione con evacuazione. Un’eruzione senza evacuazione. A nostro avviso manca una quinta possibilità dettata proprio dall’incognita VEI (Indice di Esplosività Vulcanica): infatti, un’eruzione al rialzo fuori dalla scala statistica delle probabilità, cioè una pliniana, diverrebbe anche con l’evacuazione preventiva una catastrofe, perché i territori investiti dai flussi piroclastici, sarebbero in questo caso ben più estesi di quelli evacuati. Diciamo allora che l'assunto adottato dal dipartimento della protezione civile e dalla Regione Campania, comporta, nel caso dovesse verificarsi un’eruzione pliniana, il totale fallimento del piano d'emergenza, a prescindere se il fenomeno eruttivo viene previsto o non previsto all'insorgere. Su tutto poi, manca l'informazione corretta e puntuale come strumento attivo di prevenzione del rischio vulcanico... 

In tutte queste disquisizioni il grande assente come accennavamo in precedenza è la prevenzione delle catastrofi. La prevenzione è sinteticamente parlando una sorta di surrogato della previsione. Cioè, se non si riesce a prevedere il fenomeno distruttivo, è possibile almeno mitigarne gli effetti attraverso misure adeguate che nel nostro caso possono avere un’incidenza utile abbassando drasticamente il numero degli abitanti esposti al pericolo e contemporaneamente conformando un piano d'emergenza e d'evacuazione particolarmente efficace. Ritornando a uno dei principi descritti dall’Ing. Cosenza, cioè che le zone rosse devono essere ristrette quando la misura abitativa è grande e sussiste il problema dei falsi allarmi, potremmo intanto sottolineare che la formula inversa apre spiragli, cioè restringendo il fattore (numero) abitanti, si potrebbe allargare la zona rossa Vesuvio.

Per avere un quadro della realtà si guardino le figure sottostanti : la A evidenzia Il cerchio che  rappresenta la linea nera Gurioli, che è quella che delimita in senso deterministico i limiti d’invasione dei flussi piroclastici unicamente per eruzioni di tipo sub pliniano o inferiore. All’interno della linea nera Gurioli ricade poi la vera zona rossa che non consente nuovo edificato a uso abitativo. Appena oltre però si può costruire, come sanno perfettamente molti comuni ai confini della black line che nicchiano: in primis Poggiomarino, Scafati e Napoli...
La figura B invece, rappresenta il limite diciamo pliniano di scorrimento dei flussi piroclastici. Ora, se sovrapponiamo la situazione attuale (A) all’interno del cerchio pliniano (B), avremo la condizione di figura C che mostra tematicamente la prospettiva futura. Una situazione per niente rassicurante, perché si continua ad ammassare palazzi e persone all’interno di quel settore che verrebbe letteralmente travolto da un’eruzione pliniana, che nessun scienziato al mondo già oggi può escludere.
 

La mancata prevenzione delle catastrofi come vedete, allora ha parecchi attori tutti protagonisti, provenienti sia dal mondo amministrativo che tecnico e politico e anche scientifico. Tutti recitano una parte, la stessa parte. Offrendo scenari eruttivi statistici con pochi numeri in colonna, si da corso a una pratica che serve solo agli ingiustificabili per non dare conto ai cittadini, tra l'altro distratti, circa le responsabilità del caos urbanistico che regna sovrano in un'area segnata da agglomerati urbani che gravano sul vulcano dal carattere esplosivo.  

Nelle conferenze a venire chiedete pure ai protagonisti della protezione civile cosa si è fatto nel campo della prevenzione delle catastrofi vulcaniche; e al mondo scientifico chiedete tra quanti anni riterrà che un’eruzione pliniana possa ritornare nelle possibilità eruttive di cui tenerne conto... e agli esperti di politica e di politiche del territorio, chiedete quale condizione urbanistica erediteranno i posteri vesuviani, visto che la futura zona rossa dovrà essere necessariamente allargata, da questa generazione o comunque dall'altra.  Il business sta divorando tutto, compreso la sicurezza dei cittadini che in qualche caso aggirano le regole che sono anche di salvaguardia attraverso l'abusivismo edilizio che non può essere di necessità perchè non è a costo zero. Nessun Tribunale potrà condonare gli abusi in zona rossa senza garanzie di sicurezza e piani d'emergenza adeguati: solo il cinismo della politica potrà farlo.
Al Prof. Cosenza bisogna poi annotare chiudendo, che non si vuole scendere ai primordi della nascita del Pianeta per indicare l’evento massimo da cui difendersi:  i riferimento ce li danno i resti umani  di Ercolano e Pompei che sono ancora lì riversi al suolo sotto forma di scheletri e volumi, quali prede inermi della nube ardente che duemila anni fa precipitò dalle pendici del Vesuvio avvolgendoli… Ecco: sono i poveri resti che ancora impietosiscono i visitatori a fissare i limiti temporali di riferimento delle catastrofi che ancora oggi dovremmo tenere in debito conto...


giovedì 25 giugno 2015

Rischio Vesuvio: l'ospedale del mare in zona rossa... di MalKo




L'ospedale del mare - Ponticelli (Napoli) -

L’Ospedale del mare, il grande nosocomio dell’Italia meridionale ubicato a Napoli nella zona rossa Vesuvio, è stato al centro di notevoli polemiche perché ovviamente lo si poteva costruire in un’area non soggetta all’invasione dei flussi piroclastici in caso di eruzione vulcanica.
Alcune maestranze hanno affermato che pur se ne avessero avuto la possibilità lo avrebbe comunque ricollocato in quella precisa posizione, perché i cittadini del vesuviano hanno diritto ad essere curati così come ad avere altri tipi di servizi quali scuole e tribunali. Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda i vertici del dipartimento della protezione civile…
Questa valutazione potrebbe avere una logica politica ma non tecnica, perché chi opera nel campo della sicurezza sa bene che ci sono strutture che hanno un ruolo particolarmente attivo nelle emergenze e quindi rappresentano una risorsa rispetto ad altre che lo sono meno o per niente.
In molti dicono che l’ospedale del mare doveva essere costruito in via argine, nei pressi degli uffici della motorizzazione civile. Non conosciamo le situazioni amministrative e di edilizia che hanno spinto il comune di Napoli e la Regione Campania a valutare una diversa collocazione del nosocomio costruito poi a Ponticelli in piena zona rossa. Non escludiamo però, che una siffatta decisione sia scaturita anche sulla base di tardive considerazioni circa la eccessiva contiguità che avrebbe avuto il mega ospedale nella destinazione iniziale, con la parte industriale orientale di Napoli, che in quei luoghi probabilmente prevedeva e prevede ancora strutture di stoccaggio di carburanti e gas. D’altra parte però, se queste sono le motivazioni per giustificare la posizione attuale dell’ospedale del mare, dobbiamo annotare che indubbiamente in termini di strategia preventiva non è stato fatto il possibile. Non saranno mancati gli strutturisti e i collaudatori al progetto, ma è mancata una elementare valutazione complessiva di ingegneria o architettura ambientale dando così seguito allo scellerato concetto che si dà peso a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce. Il complesso, vero bunker tutto cemento e ferro, purtroppo ricade in un contesto territoriale poco sicuro perché le colate piroclastiche hanno una capacità insinuativa e distruttiva di prim’ordine…
E’ opportuno precisare che scuole e tribunali, e ancora supermercati e parchi e palestre e piscine e teatri e università e biblioteche e cinema e parcheggi, possono anche costruirsi in zona rossa Vesuvio, ma non si possono seguire tesi indifendibili a proposito di oculata scelta di localizzazione del nosocomio, perché la sua ubicazione in zona ad altissimo rischio non solo priva i soccorritori in caso di pericolo vulcanico di una risorsa primaria, ma addirittura il complesso sanitario si rivelerebbe una pesante zavorra operativa, senza contare le mille incertezze in una situazione di pre allarme. Qualche alternativa del resto c’era…Ancora di più se si analizzano gli spazi da rivalutare e riurbanizzare proprio nel settore orientale di Napoli, dove esistono progettualità residenziali e di servizi molto ampie che si spingono fino ai limiti della linea nera in un settore che è stato completamente avulso dal rischio colate che conta zero fino allo steccato Gurioli.
Il segmento obliquo è la linea nera Gurioli. A destra
il Vesuvio e a sinistra la città di Napoli
Fino a quando non veniva perimetrato il settore vulcanico a maggiore pericolosità attraverso l’adozione della linea nera Gurioli, segmento curviforme e geo referenziato, si giocava spesso sull’equivoco della reale e precisa ubicazione del presidio sanitario del mare: è fuori; è ai limiti; metà e metà; ecc… Il dubbio è stato fugato e sulla cartografia ufficiale è possibile constatare che la struttura ricade interamente nella zona rossa a maggior pericolo vulcanico (figura a lato).
Le politiche di sicurezza richiedono conoscenza e strategie e anche un minimo di fantasia creativa. Per quello che stiamo appurando in termini di pericolosità vulcanica, con la tardiva scoperta che Napoli è una metropoli stretta tra Vesuvio e Campi Flegrei, bisognerà mettere insieme e al più presto, un’equipe di architetti nazionali e magari internazionali, ed esperti di altri rami, per dare vita a un consesso multidisciplinare (magari della comunità europea) capace di tracciare le future linee guida necessarie alla rielaborazione dello sviluppo urbanistico e del riordino territoriale della metropoli partenopea che dovrà attuarsi nei prossimi cento anni: pace geologica permettendo. Non è un auspicio, ma una necessità improcrastinabile che dobbiamo per onestà e umanità assicurare come lascito alle generazioni a venire.

Il mega ospedale dovrebbe essere ricostruito a nord, lontano dai distretti vulcanici, e quello attuale potrebbe essere magari adibito a polo universitario così da strappare alcune facoltà da una eccessiva promiscuità con zone ad altissimo indice di malessere sociale…Contemporaneamente e tra le tante altre cose, bisognerebbe dare impulso alla creazione delle aree atterraggio elicotteri nel vesuviano, per garantire interventi aerei di soccorso sanitario (eliambulanza) che andrebbero ad arricchire i servizi dei presidi stabili. Questo delle elisuperfici è un input sempre disatteso, perché quasi tutti sono convinti che un campetto di calcio sterrato è per sua natura una ideale area di atterraggio elicotteri. In realtà non è così, perché le turbine aspirano e ingurgitano ciò che sollevano, e il rotore nel momento di massima spinta cappotta baracche, panchine a volte veicoli leggeri e in altri casi ancora divella il prato artificiale e lamiere dalle recinzioni.  Tra l’altro molti non sanno che un elicottero dovrebbe decollare e atterrare come gli aerei, perché se tali operazioni le effettua in volo verticale, si pone in una condizione di fuori sicurezza.
Il sentiero di discesa per elicotteri dovrebbe avere questa incidenza per operare in sicurezza.

Quindi, i campetti di calcio con alte recinzioni e con il lato maggiore non in linea con i venti principali, non sono l’ideale per le operazioni aeree, soprattutto se i velivoli operano a pieno carico. D’altra parte non si può pianificare il soccorso indicando genericamente aree non idonee che potrebbero essere usate solo come ultima chances dagli equipaggi chiamati a intervenire in gravi situazioni…Distinguiamo allora aree occasionali da aree pianificate magari con segnale di località a lettura verticale, utile in un contesto di edificato senza soluzione di continuità come quello vesuviano. L’elicottero, in sintesi, può anche atterrare su una cabina telefonica, purché non abbia ostacoli rilevanti sulla direttrice di atterraggio e decollo.

Un piano regionale di elisuperfici multifunzioni dovrebbe essere varato. I comuni che riteniamo debbano dotarsi di strutture d'atterraggio permanente dovrebbero essere innanzitutto quelli che, per conurbazione e posizione e densità abitativa, presentano più di qualche criticità. Rimanendo sulle tematiche di rischio Vesuvio, citiamo sicuramente San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco. Ovviamente la problematica dovrebbe riguardare un po’ tutti i comuni che vogliono operare nel senso della pianificazione e che possono intanto individuare e vincolare nei loro piani urbanistici quelle aree che si presterebbero bene per i servizi aerei ad ala rotante. Nel vesuviano si è in linea con i venti dominanti con l’asse cardinale più o meno orientato 06° - 240°…

Portici partì molto bene negli anni ’90 con l’individuazione di due elisuperfici: una sul mare e un’altra a ridosso dell’autostrada in pieno centro. La prima ( ENEA) forse è rimasta agibile e la seconda è stata fagocitata dalla costruzione del maxi casello autostradale Portici - Ercolano. Se non è stato lasciato un serio varco d’emergenza per l’ingresso in autostrada verso Napoli, i porticesi possono ben ascriversi una pianificazione da danno e beffa…