Nel mese di ottobre del 2013,
alcuni cittadini del vesuviano guidati da Rodolfo
Viviani, area partito radicale, presentarono per tramite dell’ avvocato Nicolò Paoletti, un ricorso alla Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo. L’appello era contro l’inadeguatezza
delle misure che lo Stato italiano aveva fin qui adottato per mettere al sicuro
gli abitanti della zona rossa da un’eventuale ripresa eruttiva del Vesuvio.
Sostanzialmente si reclamava l’assenza di un piano di emergenza e di un’informazione
puntuale e in linea con i diritti dei cittadini esposti al noto pericolo.
Successivamente l’argomento
trovò buona sponda oltralpe, con l’immediata apertura di una corsia
preferenziale, perché in gioco si disse, c’è il diritto alla sicurezza di
un congruo numero di cittadini permanentemente esposti a un pericolo di tutto rispetto.
Al governo italiano fu quindi
intimato entro il 12 maggio 2014 di presentare alla Corte europea dei
diritti dell’uomo (Strasburgo), la necessaria documentazione in grado di
dimostrare che lo Stato aveva garantito la sicurezza della popolazione
residente nella prima fascia a rischio vulcanico. Zona tra l’altro delimitata e
sancita dagli organismi tecnici e scientifici della protezione Civile italiana.
E’
notizia di questi giorni che la Corte europea di Strasburgo ha respinto il
ricorso avanzato dai cittadini vesuviani, in pratica per un errore
procedurale dei ricorrenti consistente nel non aver perseguito in prima battuta
ogni utile strada giuridica e istituzionale innanzitutto nel paese di residenza
(Italia): conditio sine qua non
indispensabile per potersi appellare successivamente all’organo
giurisdizionale internazionale d’oltralpe.
Non
è da escludere che il 12 maggio 2014 le autorità italiane invece di presentare la
documentazione richiesta dalla corte, abbiano presentato una opposizione per i
motivi appena specificati. Il richiamo al diritto potrebbe essere la causa del
dietro front dei giudici di Strasburgo dalla spinosa faccenda… Ovviamente rimangono in piedi molte
perplessità, perché non ci si può accorgere dopo quasi due anni che a quella
pratica manca il presupposto giuridico per procedere.
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