“Rischio
Vesuvio: segreto di Stato?” di MalKo
L’ing. Fabrizio Curcio è il
nuovo capo dipartimento della Protezione Civile. Una scelta fortemente voluta
dal prefetto Franco Gabrielli che ha garantito al dipartimento l’ascesa di un
interno ai massimi livelli scartando così la carta dell’intruso probabilmente
poco gradita al personale e alle esigenze del Giubileo.
Della gestione Gabrielli se
ne sentiva comunque il bisogno per riportare sobrietà in una struttura forse
troppo contigua al potere e troppo sbilanciata su opere tutt’altro che riguardanti
il rischio e le emergenze con le cricche in perenne agguato. Gabrielli da
questo punto di vista ha riportato rigore in una struttura che a volerne
parlare male si giocava facile…Al comando della Prefettura di Roma, in ambiente
più affine come humus al suo curriculum vitae, probabilmente l’ex capo
dipartimento potrà dimostrare il suo valore investigativo e organizzativo sull'emergenza scandali che attanaglia mafia capitale. Il nostro augurio è di fare bene…
L’ing. Curcio invece, è
chiamato a dare risposte sui grandi temi della sicurezza e a offrire soluzioni anche
sul problema più grande e più in vista che affligge il nostro Paese: il rischio
Vesuvio. I media internazionali si chiedono come si coniuga un vulcano
esplosivo all’interno di una metropoli. In realtà la domanda dovrebbe essere
inversa: come si è arrivati a costruire una metropoli intorno a un vulcano
esplosivo…
Il Vesuvio e i Campi Flegrei
con le loro rispettive zone rosse e poi gialle e poi blu, contornano e lasciano
emergere il quadro d’insieme di una città (Napoli) completamente segnata e
serrata a est e a ovest dal Vesuvio e dal distretto calderico flegreo. Vulcani
snobbati come monito e addirittura assaliti da un’urbanizzazione selvaggia,
cresciuta decennio dopo decennio grazie a una viscerale ricerca del consenso
elettorale da parte di non pochi amministratori che hanno trovato non di rado
sponda in quella parte del mondo della cultura e della scienza che non rifugge per
motivi diversi dal “cemento ristoratore”.
La clemenza geologica in
troppi la interpretano erroneamente come vecchiezza di uno strato vulcano
(Vesuvio) oramai disarmato e che di
recente divide la scena mediatica con la non meno pericolosa caldera flegrea,
che si fregia tra l’altro del titolo di supervulcano. Per chi non conosce i luoghi, sappia che I due distretti vulcanici
sono in vista l’uno dell’altro…
A fronte di cotanto pericolo
le strategie difensive del nostro Paese puntano tutte sulla mitigazione del
rischio vulcanico attraverso la
previsione del fenomeno eruttivo piuttosto che la prevenzione. Quest’ultima disciplina ha tempi lunghi, e necessita
quale premessa d’attuazione di una staffetta tra un’amministrazione e l’altra,
con atti politici illuminati e soprattutto protesi al futuro con l’obiettivo di
offrire ai posteri una situazione territoriale meno scellerata. Mettere ordine in un territorio gravemente
compromesso come quello vesuviano, orfano di strateghi dello sviluppo
sostenibile, e tra l’altro con un’opinione pubblica che nicchia su un argomento
che implica certamente rinunce che nessuno vuole fare, è impresa veramente difficile.
Alle generazioni che verranno, con quest’andazzo lasceremo nella migliore delle
ipotesi un’eredità letteralmente parlando minata…
Per
abbattere il rischio vulcanico nel nostro caso dovrebbe essere necessario
rimuovere il pericolo
(Vesuvio) o il valore esposto
(popolazione). L’inamovibilità del Vesuvio non lascia dubbi sulla necessità di
operare in termini di difesa esclusivamente sulla movibilità della popolazione
che dovrà essere evacuata all’occorrenza in un’unica soluzione e poco prima che
il pericolo si materializzi con tutta la sua virulenza distruttiva.
I
nostri esperti prevedono di prevedere almeno 72 ore prima l’insorgere di un’eruzione... Il problema è che se la
previsione contiene un errore (n…) la
previsione della previsione conterrà un errore (n+n). Quindi bisognerà tendere all’errore zero per avere una
previsione utile se non infallibile.
Ragionando cinicamente, con
cotali strategie difensive il ruolo della scienza, soprattutto di quella
deputata al monitoraggio delle aree vulcaniche, assurge a importanza non solo
fondamentale, ma addirittura vitale per molte centinaia di migliaia di persone:
un vero azzardo quella della sola previsione come tecnica di mitigazione del
rischio vulcanico, perchè ha un indice di indeterminatezza alto, e su cui si
sta comunque scommettendo e investendo nel vesuviano e nel flegreo, non
sappiamo con quanta consapevolezza dei cittadini.
Con
questa “filosofia” di fondo, le notizie che riguardano i dati geofisici e
geochimici dei vulcani campani sono diventati dati oltremodo sensibili che non sono
diffusi in tempo reale, grazie ad accordi che impongono in primis al collaborativo Osservatorio Vesuviano, la
trasmissione di notizie di primissima mano al solo Dipartimento della Protezione
Civile, secondo accordi che si potrebbero configurare addirittura come segreto di Stato (?).
Ritornando
all’ing. Curcio e al suo ruolo apicale dipartimentale, dobbiamo annotare che
nell’articolo pubblicato su Le Scienze nell’agosto del 2014,
numero dedicato al rischio Vesuvio, argomentò la tesi dipartimentale e
regionale sostenuta da Gabrielli e dall’assessore Edoardo Cosenza, a proposito dell’ospedale
del mare, il più grande nosocomio dell'Italia meridionale, circa la discutibile
dislocazione in zona rossa Vesuvio. Queste le parole: <<la zona rossa non è una
zona in cui si smette di vivere e quindi di erogare servizi. Settecentomila
persone hanno diritto ad avere un piano di emergenza esattamente come ad avere
un ospedale, insomma. E non c’è nessun motivo per pensare che, siccome ad oggi
abbiamo una nuova e più ampia zona rossa (sic ? n.d.r.), dobbiamo comportarci come se il
Vesuvio dovesse eruttare domani senza che ci sia alcuna ragione scientifica per
dirlo>>.
Napoli (Barra e Ponticelli): limiti zona rossa 1 e ubicazione Ospedale del Mare |
Pensare
che l’ing. Curcio potesse avere idee difformi dal capo dipartimento e dal Prof.
Cosenza era francamente difficile. Il nostro auspicio però, è che il nuovo capo
dipartimento, proprio perché proveniene dalle file dipartimentali e
dall’ufficio emergenze, non avendo bisogno di un rodaggio iniziale, affronti immediatamente i problemi della
prevenzione che sulla rivista mensile non sembrano emergere.
La
nostra Penisola è mangiata dal cemento secondo logiche assurde che danno importanza a quello che si costruisce piuttosto che al dove si costruisce.
In una realtà come quella vesuviana o flegrea, le esigenze dei piani di
evacuazione avrebbero dovuto condizionare la metamorfosi del territorio e non
viceversa, cioè piani che devono adattarsi a quello che rimane di una politica
di sviluppo mangia spazio.
La gestione delle emergenze
non dovrebbe preoccupare o distrarre il neo capo dipartimento, atteso che c’è
il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
che di mestiere fa proprio quello, con ispettorati e caserme e nuclei
specializzati sparsi in tutto il Paese. Qualcosina in Italia in tema di
organizzazione della sicurezza e della difesa civile bisognerebbe proprio
rivederla, soprattutto in termini di ruoli e competenze per evitare doppioni
che tra l’altro non hanno un costo zero. Chi fa chi e che cosa (?)… Attendiamo
risposte.
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