Translate

domenica 27 marzo 2016

Rischio Vesuvio: Vesuvio vulcano gettonatissimo... di MalKo


L'impareggiabile Golfo di Napoli


Generalmente abbiamo la tendenza a ritenere che tutte le cose subiscano un invecchiamento.  Non sono pochi quelli che inquadrano il Vesuvio come un soggetto che abbia perso molte delle sue energie diciamo giovanili dopo tanti anni d’infuocata esistenza. In realtà i tempi geologici sono molto differenti da quelli umani… I rimescolamenti che avvengono nella parte superiore del mantello, tra l’altro in tempi insondabili e con meccanismi irregolari e variabili e forse compulsivi, provvedono a rinvigorire con nuovi fluidi a diversa composizione le sacche magmatiche da cui prendono linfa vitale i vulcani, che così si rigenerano, come le nostre cellule…

Un vulcano viene classificato estinto quando non si verifica un’eruzione da migliaia di anni… non è il caso del Vesuvio che sul panorama mondiale detiene ancora il primato mondiale del rischio vulcanico a causa della sua tempra esplosiva e della selvaggia conurbazione che lo avvolge e che ne fa una sorta di parco cittadino svettante tra i palazzi metropolitani.

Alcuni turisti non considerano saggio pernottare e soggiornare nella zona rossa Vesuvio neanche per qualche notte. Tant’è che il viaggiatore più timoroso preferisce allocarsi in quel di Sorrento, godendosi le forme del gigante che dorme dalle terrazze protese sul mare, omaggiato da odorose brezze dove primeggia il profumo dei fiori d’arancio.

La nostra caratteristica è quella di dare molta importanza alle cose materiali che possediamo e che non vogliamo perdere; diamo un senso all’attualità e al tangibile, al punto da ritardare qualsiasi valutazione in merito alle ipotesi di rischio che ci riguardano. Purtuttavia quando il pericolo si manifesta, generalmente ci sorprende sempre, e vorremmo privarci, ma solo nel momento della resa dei conti, di ogni cosa pur di salvare la pelle.

L’informazione allora non è sufficiente da sola a produrre scelte sensate senza l’aiuto di uno dei cinque sensi. La percezione del pericolo da parte dei sensi è la molla necessaria a farci produrre massicce dosi di adrenalina. Più sensi vengono stimolati tanto maggiore risulterà l’allerta.  Ad esempio, un sistema valido per ridurre il fenomeno dell’abusivismo edilizio potrebbe consistere nel mettere un apparecchio che produca volute di fumo all’interno della bocca eruttiva del Vesuvio. Nonostante l’artificiosità del meccanismo fumoso, il risultato in termini di deterrenza verrebbe comunque colto. Un altro esempio ci proviene dai consumatori di tabacco. Occorre la bronchite o l’affanno o peggio ancora una radiografia sospetta per farci gettare via il pacchetto di sigarette. In assenza di percezione diretta scrivere sulla confezione che il fumo uccide è quasi inutile…

Il secondo elemento che rema contro i principi di delocalizzazione della popolazione per sottrarsi dalla condizione di rischio vulcanico, sono gli opinionisti di verso contrario agli allarmisti. Sono quelli che decantano il Vesuvio alla stregua della beltà della natura che ci ha donato questo monte ricco di frutti e di storia e di suoli fertili da cui trarre pregiate albicocche e vino e pomodorini col pizzetto. La montagna non è solo rischio dicono, è anche opportunità, cultura, panorama, usanze, folklore: lasciate perdere i profeti di sventura che per qualche click in più sparano titoloni da sciagura imminente sul web, che vanno dalle trivellazioni spauracchio ai vulcani prossimi a divampare. Occorre più rispetto per il Vesuvio, affermano con sicumera… Tutto condivisibile, ma chiudere i discorsi secondo le regole del taralluccio e vino non porta un solo grammo di utilità alla prevenzione delle catastrofi.

Il Vesuvio allora viene tirato per la giacca dai catastrofisti e dai minimisti, dagli allarmisti e dagli imbonitori… e quando ci sono due fronti contrapposti, generalmente al centro rimane l’inerzia e l’indifferenza di un popolo che sonnecchia, un popolo di cicale.

Il nostro modus operandi di cittadino medio ci porta a prendere in considerazione tutte le cose che non vanno solo quando le tocchiamo con mano. Della sanità e delle sue disfunzioni ne prendiamo atto solo quando giungiamo nel nosocomio inefficiente per essere curati. I trasporti li scopriamo orribili solo quando prendiamo il treno di una linea ferroviaria che scopriamo avvezza alle soppressione delle corse (non solo la circumvesuviana…). Le ingiustizie istituzionali le riteniamo intollerabili solo quando ci riguardano. La burocrazia avvilente solo se chiediamo una licenza.  La commissione grandi rischi e i fatti dell’Aquila con lo strascico giudiziario che ancora persiste ci cala poco perché pensiamo erroneamente che sia un problema tutto locale… Praticamente il nostro agire verte sulla scorta dello stimolo che ci riguarda direttamente da vicino e in una misura dipendente dalla impellente necessità: diversamente, la nostra azione è tutta un pour parler

Prendete il caso dei Campi Flegrei. Il suolo si solleva; nella zona della Solfatara fuoriescono 3000 tonnellate al giorno di anidride carbonica; la temperatura dell’acqua ribollente è aumentata; in alcuni punti il magma si è intrufolato fino a 3 chilometri dalla superficie. Su tutta l’area vulcanica flegrea grava lo stato di attenzione in termini di allerta vulcanica. Elementi che possono essere indizi di pericolo o semplice ordinarietà per una terra vulcanica.  Non siamo in grado di dare un significato a questi fattori di vitalità di un sottosuolo ribollente, ovvero dei processi fisici e chimici che si intrecciano, si esaltano e poi com’è successo finora si acchetano nelle profondità, secondo logiche che nulla apportano alla previsione delle eruzioni.

Nel frattempo sappiamo che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica grande camera magmatica. Ci dicono poi che alcuni chilometri al largo del porto di Napoli il fondo marino si è ingobbito a causa della pressione dell’anidride carbonica (anche qui!) che preme e sfugge dai fondali portandosi in superficie sotto forma di bollicine. I ricercatori ora dovranno scoprire cosa c’è al di sotto della sabbia inseguendo a ritroso proprio quelle bollicine di CO2 indubbiamente appartenenti a un magma insito a un’ignota profondità… Tutto questo cambia qualcosa?

La realtà che può piacere o non piacere è che viviamo su un lago di magma sotterraneo dai contorni indefiniti. Sappiamo pochissimo dei processi che regolano i moti ascendenti e discendenti del magma e delle sue chimiche e delle sue densità che evidentemente cambiano con l’apporto di lingotti litosferici da fondere e nuova crosta che emerge espandendosi dalle dorsali. Non sappiamo l’incidenza delle spinte delle zolle che sgomitano così come non sappiamo in concreto la rotazione terrestre in che modo partecipa nel complesso degli equilibri che plasmano il nostro Pianeta con sollecitazioni anche esterne ad esso come l’attrazione lunisolare e magari le tempeste spaziali. La nostra personale convinzione è che indubbiamente i distretti vulcanici campani hanno una loro storia geologica che rappresenta nel complesso un semplice e breve canovaccio su cui si formulano ipotesi sull’andamento futuro del sistema. Bisogna considerare una certa percentuale di indeterminatezza da assegnare a questi processi. Questo significa che dobbiamo approcciare il problema della sicurezza vulcanica tenendo presente il fatto che così come la Terra non passa mai per lo stesso punto, anche le eruzioni non saranno mai una pedissequa ripetizione di quelle passate, e non solo perché cambiano gli scenari ambientali di superficie…

Senza aggravare i concetti di pericolo esistenti e senza voler introdurre nuove logiche, teniamo presente che l’eruzione pliniana è la massima conosciuta (VEI5), cosa ben diversa dalla massima attesa (VEI4) che gli scienziati pronosticano nel breve e medio termine; bisognerebbe anche dire che le due eruzioni non inquadrano la massima possibile (VEI?), in quanto in ragione delle incognite esistenti, il valore massimo di un’eruzione è ancora oggi un’incognita matematica.


Queste congetture sulla tipologia eruttiva servono solo a far capire che l’argomento è ancora un campo apertissimo dove non esistono determinismi. Così come bisogna leggere bene le nostre considerazioni finali che sono semplicemente di imponderabilità tant’è che non scartiamo affatto la possibilità che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere simile a quella del 1906 se non inferiore, e non necessariamente una pliniana o una sub pliniana.
I ragionamenti fatti finora portano allora a una sola ed unica conclusione. L’accettazione di un rischio deve essere un fattore di miglioramento della nostra società. Poniamoci pure nelle logiche non dichiarate dei costi benefici, purché si riordini il territorio e si impostino condizioni migliori di vita per le generazioni future. Non sfidiamo oltremodo la natura… Accettare il rischio bovinamente come stiamo facendo è un insulto all’intelligenza, e un crimine contro noi stessi prima ancora che contro la nostra stessa società, tra l'altro oggi più che mai caratterizzata da piccoli e grandi egoismi...

3 commenti:

  1. Caro signor Malko!
    Ho sentito la lettura di questo articolo grande gioia. Semplicemente bello!
    Se fosse solo un po 'meglio ...
    Ci sono spesso piccoli passi che trasformano una situazione in meglio.
    Quindi è probabilmente anche nella ricerca intorno
    al complesso Epomeo-Campi-Flegrei-Vesuvio.
    Cordiali Saluti!
    "Hans-Hermann Uffrecht" o "Vesuvio dove andiamo" o "Vesumboli"

    RispondiElimina
  2. Solo io mi sono accorto di questa cabala?
    1908 maremoto di Messina
    1944 ultima eruzione Vesuvio
    1980 terremoto Irpinia e Basilicata
    2016 ...
    Cosa collega questi eventi catastrofici? 36 anni periodici.

    RispondiElimina
  3. Un ritmo di eventuali catastrofi sono contati,
    ma con il Vesuvio che non ha nulla a che fare,
    se per caso il Vesuvio dovrebbe scoppiare,
    poi che non è una regola.
    "Hans-Hermann Uffrecht" o "Vesuvio dove andiamo" o "Vesumboli"

    RispondiElimina

malkohydepark@gmail.com