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martedì 29 settembre 2015

Rischio Vesuvio:quale prevenzione delle catastrofi?...di MalKo


Il Vesuvio : a sinistra l'orlo calderico del Monte Somma

Il rischio è la possibilità che persone o ambiente possano subire danni da un pericolo potenzialmente immanente. Quando il pericolo si manifesta però, non sempre c’è il tempo necessario per mettersi in salvo attraverso la fuga o proteggersi con determinate attrezzature o rifugiarsi in strutture atte allo scopo. Occorre quindi uno studio preliminare che, oltre a tracciare le caratteristiche del pericolo e i limiti geografici della sua propagazione, indichi anche le procedure di salvaguardia che dovranno essere attuate quando gli indicatori di rischio segnalano l’arrivo dell’avvenimento deleterio. Quest’analisi tecnica e scientifica si chiama nel suo insieme piano di emergenza.
Nella nostra società occidentale norme giuridiche e civiche impongono la redazione dei piani di emergenza per gli ambienti confinati e affollati come scuole, ospedali, fabbriche o anche mezzi di trasporto come treni, navi e aerei: su tutto capeggia per importanza il piano di evacuazione...quale annesso al primo.
I piani di emergenza sono una necessità anche in termini areali, per fronteggiare quei pericoli (terremoti; eruzioni; inondazioni ed altro) che le autorità scientifiche o tecniche segnalano alle autorità amministrative rappresentate nel nostro ordinamento in primis dal Sindaco. Non dimentichiamo infatti, che il Comune è l’istituzione più vicina ai bisogni sociali dei cittadini. Per pericoli che possono avere una rilevanza provinciale e regionale, la maglia delle competenze si allarga coinvolgendo altri organi amministrativi come la Regione o il Dipartimento della Protezione Civile. Quindi, a seconda della rilevanza del pericolo, ci sarà parimenti una scala gerarchica di competenze, ma senza mai escludere il primo cittadino che rimane il fulcro del sistema operativo locale.

I piani di emergenza contengono come primo e determinante capitolo un’analisi del pericolo e del suo raggio d’azione. A seguire gli indicatori di rischio, cioè i segnali premonitori del sopraggiungere del pericolo e poi i sistemi da utilizzare per la diffusione dell’allarme; e ancora la strategia difensiva e di soccorso; poi le procedure e le attrezzature e gli strumenti da mettere in campo e i comportamenti da adottare per annullare o minimizzare gli effetti dell’evento dannoso ipotizzato e atteso.
Certamente nella pianificazione delle grandi emergenze sono molte le istituzioni che concorrono sinergicamente alla risoluzione dell’evento calamitoso, e quindi è necessario che la strategia d’intervento di ogni singola struttura vada ad occupare una determinata casella (funzione), in quello che alla fine sarà il mosaico del soccorso.


I pericoli insiti nel nostro mondo roteante (la nostra analisi esula da quelli cosmici) sono veramente tanti e a quelli naturali si aggiungono altri dettati dalle attività antropiche industriali e belliche (difesa civile). Il campionario è veramente ampio... Alcune istituzioni pertinenti professano la filosofia dell’eludere dalle opere di difesa i pericoli estremi e dai lunghi tempi di ritorno.  Un modo di pensare che è anche del fare, tant’è che attualmente sono in auge le politiche anti catastrofe che si fondano sull’analisi   costi – benefici con la statistica alla base del sistema protettivo dei cittadini. Concettualità forse astruse che ritroviamo però già nell’analisi del rischio Vesuvio a proposito della scelta e l'adozione degli scenari eruttivi di riferimento. Invero, tecnicamente parlando, quando si analizza un pericolo bisognerebbe prendere in considerazione quello massimo conosciuto che tra l’altro potrebbe non essere quello massimo possibile. In Giappone ad esempio, l’11 marzo 2011 si registrò una scossa di terremoto del IX grado (Mw): la più forte mai registrata nel paese del Sol levante. Tsunami e incidente alla centrale nucleare di Fukushima hanno consegnato alla storia delle immani catastrofi questa tragica data che, per i motivi anzidetti, è anche un record sismico.

Linea nera Gurioli


Cosa è stato pronosticato per il Vesuvio: per chiarire e semplificare meglio il discorso scenari, approfittiamo ed accenniamo alle varie tipologie eruttive che hanno caratterizzato in un certo arco di tempo la storia geologica del famoso vulcano e con essa gli sconvolgimenti dei territori coinvolti. Lo facciamo adottando 4 date (anno) per altrettante eruzioni tra le più significative, con una chiamata in causa anche della linea nera Gurioli (mappa soprastante). Quest'ultimo è un segmento che circoscrive e chiude asimmetricamente un settore che da limite di deposito dei flussi piroclastici è diventato nella letteratura scientifica e a cura della commissione grandi rischi, un innaturale limite geografico di pericolo.


Ora guardiamo la tabella a colori: mostra le tipologie eruttive con una certa crescenza in termini di indice di esplosività vulcanica. Secondo le regole della prevenzione, bisognava prendere in esame quale scenario eruttivo di riferimento per la stesura dei piani di emergenza, l’evento massimo conosciuto, cioè un'eruzione pliniana. La linea nera Gurioli circoscrive quella parte di territorio soggetto al fenomeno più distruttivo in assoluto: il dilagamento delle colate piroclastiche. La linea nera vale quindi come limite di pericolo ma solo per le eruzioni inferiori o pari a un indice di esplosività vulcanica VEI 4.
Per le eruzioni VEI 5 questa traccia nera dovrebbe essere posta a distanza doppia rispetto alla bocca eruttiva...  Quindi, i piani di emergenza hanno scartato come scenario la possibilità che una futura eruzione possa essere di tipo pliniano. I maghi della statistica hanno consegnato al mondo della politica questo confortante dato (VEI4) tra l'altro come ipotesi peggiore, perché in effetti ritengono più probabile nel medio termine uno scenario eruttivo da VEI 3.

Il Vesuvio ricordiamolo, è un illustre sconosciuto che non consente di esplorare d’appieno le dinamiche e le profondità da cui trae linfa rovente quanto vitale... Quindi la prossima eruzione potrà essere uno sbuffo di cenere o un ombrello pliniano. Non conoscendo a priori lo stile eruttivo del prossimo evento, occorre necessariamente e all'occorrenza promuovere l’evacuazione della popolazione nella misura offertaci dagli esperti e dal loro dato statistico (VEI4) con la linea Gurioli che funge da steccato da superare per mettersi in salvo.
Che abbia un valore deterministco questo segmento lo dimostrano anche le alchimie e le iniziative amministrative messe in campo dallo strategico ex assessore regionale della protezione civile che, nella suddivisione della zona rossa 1 e rossa 2, ha proposto e varato una diversa applicazione della legge regionale 21/2003 sull'edificabilità ad uso residenziale nei vari comuni, con differenziazioni urbanistiche per niente eque da applicare ai territori a rischio vulcanico.

Guardate lo schema sottostante: a parità di distanza dal cratere e di posizione geografica sull’asse probabilistico di dispersione dei prodotti piroclastici eruttabili dal vulcano, esistono delle palesi difformità di trattamento. Al comune di Poggiomarino non si applicano i principi di inedificabilità ad uso residenziale sanciti dalla L. 21/2003 mentre a Boscoreale la legge si applica invece e sull’intero territorio. Il comune di Scafati è interamente fuori dai disposti normativi della L. 21/03 godendo di una speciale immunità: i confini comunali coincidono con la linea nera Gurioli. Al contiguo comune di Pompei intanto si applicano rigidamente i disposti di inedificabilità di questa famosa legge anti cemento. Qual è la logica discriminante?

Perché si è dovuto ricorrere a questo illogico sotterfugio amministrativo che è una vera iniquità giurisprudenziale? Perché se si liberavano per la parte eccedente la black line i territori di Boscoreale dai vincoli di inedificabilità totale, così come era stato chiesto inutilmente al Consiglio di Stato, tra l’altro intervenuto nella diatriba amministrativa richiamando i concetti del periculum in mora, si districavano dai lacciuoli anti edilizia pure altri comuni (Pompei, Somma Vesuviana, Torre Annunziata, ecc.), col risultato finale ed eclatante di una riduzione di fatto della zona rossa Vesuvio: in termini di immagine nazionale e internazionale sarebbe stato inaccettabile perché contrario alla pubblicità governativa che ancora oggi batte la grancassa  dell'allargamento della zona rossa in nome del garantismo…

La zona rossa 2, quella che vedete nel disegno soprastante, è interamente nel raggio di distruzione di un’eruzione pliniana e nel non meno pericoloso fenomeno della pioggia di cenere e lapilli per tutti i tipi di eruzione. Eppure si continua alacremente a costruire case e poi case e ancora case con licenza edilizia... Che dire: solo raccapriccio per una situazione che potrebbe far rimpiangere la mancata applicazione di politiche di prevenzione. 
Escludere un'eruzione pliniane tra i pericoli da affrontare può essere solo un atto politico ma non scientifico, e le argomentazioni inconfessabili che parlano di scelta dettata da un piano di evacuazione improponibile con i grossi numeri, non può essere una motivazione valida se non vengono dichiarati i limiti evacuativi. Un modus operandi che si chiama democrazia... 
L'indicazione di uno scenario da cui discende il piano di emergenza che si basa su fattori statistici accomodanti, offre stampelle e appigli a chi nel frattempo invece di proporre politiche di decentramento della popolazione imponendo vincoli anti catastrofe, non esita ad affollare ulteriormente un territorio (rossa 2) che ipocritamente è stato inserito nella zona da evacuare. Non subito però, ma in corso d'eruzione: una modalità che sa tanto di pudica foglia di fico...  Le pliniane avranno pure tempi lunghi di ritorno, ma ahimè come tutti i tempi anche questi verranno perchè l'inarrestabile clessidra alla fine lascerà cadere e conterà l'ultimo granello... 

In questo contesto scientifico, tecnico, amministrativo e giudiziario, bisogna ricordare un grande assente: il principio di precauzione. Largamente disatteso, altro non è che logica applicata all’esistenza. Cioè, visto che la vita umana è unica, ancorché non sanabile o replicabile quando finisce, bisognerebbe adottare anche nel dubbio ogni garanzia acchè non venga intaccata. Praticamente la filosofia di fondo è che le scuse a posteriori non valgono… 



venerdì 4 settembre 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: bradisismo, magma e ricerca scientifica... di MalKo



Bordo occidentale Vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A leggere i resoconti delle situazione di rischio che caratterizzano nell’odierno i distretti vulcanici napoletani, per una serie di considerazioni i Campi Flegrei sono quelli che destano qualche preoccupazione in più. Lo dice lo stato di attenzione vulcanica a cui è sottoposta l’area calderica e principalmente la zona puteolana dove i valori geochimici e geofisici segnano mutamenti significativi e al rialzo.
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV – Osservatorio Vesuviano, in una interessantissima relazione chiarisce subito che i primi segnali di variazione dello stato di geo quiescenza dei Campi Flegrei si ebbero nel 2000 con una condizione di subsidenza dei suoli. Nel 2005 il fenomeno subisce un’inversione di tendenza e compare un bradisismo negativo che inizia a sollevare i terreni puteolani verso l’alto. L’area ad est della Solfatara comprendente i settori Pisciarelli e Scarfoglio, è sicuramente quella delle evidenze di questi cambiamenti con aumenti di temperatura e soprattutto di importanti emissioni di anidride carbonica dal sottosuolo.
Nel mese di Gennaio 2015 questa zona di degassamento emetteva circa 3000 tonnellate di anidride carbonica al giorno, collocandosi come sorgente naturale tra i primi dieci siti mondiali. Un valore che si registra di solito dai crateri attivi aggiunge Chiodini…
Il ricercatore conclude sottolineando che una eventuale trivellazione in questa zona sarebbe certamente una pratica che cozzerebbe frontalmente con il principio di precauzione, perché una tale portata di anidride carbonica a ridosso dei fabbricati non ha certamente bisogno di essere incrementata da interventi meccanici di fratturazione in un sottosuolo già ribollente e pregno di gas e vapori…

Con questa premessa introduciamo il recente studio a firma dei ricercatori dott. Luca D’Auria (INGV) e dott. Susi Pepe (CNR), che individuano in una sorta di iniezione magmatica il motivo del bradisismo flegreo, cioè l’innalzamento dei suoli, almeno nel periodo compreso da Gennaio 2012 a Giugno 2013. Secondo gli esperti, un filone di magma da una profondità di circa 8 chilometri, quota che localizza l’attuale ed estesa camera magmatica, si è diretto verso la superficie senza raggiungerla. Infatti, il magma in ascesa si è introdotto tra i vari strati crostali raggiungendo la quota di 3 chilometri per poi espandersi in senso orizzontale costituendo una sorta di lago magmatico sotterraneo (vedi disegno).
Schema (bozza) orientativo situazione del sottosuolo flegreo
La caldera vulcanica dei Campi Flegrei viene spesso citata quale sede di un super vulcano, tra l’altro dove dimorano migliaia e migliaia di persone. Una possibile eruzione potrebbe investire anche la città di Napoli, è questo spiega perché il sito è continuamente monitorato e genera apprensioni ad ogni piccolo mutamento.
Il Dott. Luca D’Auria, ricercatore dell’INGV, ha proprio la responsabilità della sala di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano, ed ha condotto insieme a colleghi del CNR questa interessantissima ricerca che sembra fugare i dubbi circa l’origine del fenomeno bradisismico recente. Approfittiamo quindi di questa gentile disponibilità per approfondire l’argomento.

Dott. D’Auria, cosa hanno indicato i satelliti circa le deformazione del suolo ai Campi Flegrei?
Che tra il 2012 ed il 2013 all’interno dei Campi Flegrei c’è stato un aumento di volume di circa 4 milioni di metri cubi. Le nostre analisi hanno rivelato che questo incremento volumetrico è stato causato dall’espansione di una piccola camera magmatica superficiale, con una forma molto appiattita. Tecnicamente questo tipo di strutture geologiche è nota come sill.

E’ stata accertata l’intrusione magmatica all’origine del bradisismo recente? Esiste un punto d’iniezione preciso o la risalita del magma è diffusa seppur localizzata in una determinata zona flegrea?
Possiamo affermare che si tratta di magma anche attraverso il confronto con altre misure: ad esempio la composizione chimica delle fumarole. Dopo la crisi bradisismica del 1982-1984, anch’essa di origine prevalentemente magmatica, il movimento del suolo ai Campi Flegrei è stato causato essenzialmente dai fluidi idrotermali (acqua, gas e vapore) che permeano il sottosuolo calderico. Ogni volta che fluidi idrotermali vengono iniettati nelle rocce del sottosuolo flegreo, causano un piccolo sollevamento del suolo e, con mesi di ritardo, un cambiamento nella composizione chimica delle fumarole. In genere questi piccoli sollevamenti sono temporanei, perché il gas viene gradualmente disperso nell’atmosfera ed il suolo torna ad abbassarsi. Uno di questo episodi è accaduto ad esempio tra il 2006 ed il 2007.  Tra il 2012 ed il 2013, invece, il sollevamento del suolo non è stato seguito da importanti variazioni nella composizione delle fumarole e soprattutto il sollevamento è stato permanente. Tutte queste evidenze indicano abbastanza chiaramente che si è trattato principalmente di un’iniezione di magma.
Il punto da cui risale il magma è grossomodo localizzato al centro della caldera, ovvero al di sotto del Rione Terra a Pozzuoli. Quindi, arrivato a circa 3 chilometri di profondità, il magma ha smesso di salire e si è distribuito orizzontalmente in un raggio di pochi chilometri.

Rione Terra - Pozzuoli - Campi Flegrei
 Potremmo definire questa ascesa di magma una mancata eruzione?
E’ difficile rispondere a questa domanda. Ai Campi Flegrei, cosi come in altri vulcani simili, queste intrusioni superficiali di magma potrebbero essere molto più comuni delle eruzioni. Quindi, probabilmente è più corretto definire le eruzioni come “mancate intrusioni”.

I volumi di magma iniettati verso la superficie senza raggiungerla, sono inferiori a quelli che caratterizzarono l’eruzione del Monte Nuovo?
La quantità di magma iniettato (4 milioni di metri cubi) è piccola ma è dello stesso ordine di grandezza del magma emesso durante le eruzioni minori dei Campi Flegrei, come ad esempio quella di Monte Nuovo. C’è però da considerare che durante un’eruzione solo una piccola percentuale del magma presente nella camera magmatica viene effettivamente eruttata. Prima dell’eruzione di Monte Nuovo, infatti, il sollevamento del suolo ai Campi Flegrei fu molto rilevante, forse anche più di 10 metri.  Questo significa che l’iniezione di queste piccole quantità di magma, che tra l’altro si raffreddano e solidificano molto rapidamente, non dovrebbe essere particolarmente allarmante. Ogni episodio di sollevamento, comunque, viene attentamente seguito dai sistemi di monitoraggio.

Si ha l’impressione, anche valutando una serie di dati, che il processo ascendente del magma in questione, non abbia prodotto particolari dirompenze magari in termini di terremoti: è così?
Il processo fisico dell’intrusione del magma all’interno del sill è abbastanza “silenzioso”. Ciò non toglie che durante crisi violente, come quella bradisismica del 1982-84, la deformazione del suolo sia in grado da causare numerosi terremoti. Durante quella crisi, infatti, furono registrati ai Campi Flegrei circa 16000 terremoti, con magnitudo fino a 4. Nell’ultimo decennio, invece, ai Campi Flegrei ci sono in media solo un centinaio di piccoli terremoti ogni anno, con magnitudo sempre inferiori a 2.
Tuttavia, prima di una eventuale eruzione, il magma dovrà farsi strada attraverso circa 3 chilometri di rocce fragili. Sicuramente sarà un processo che non passerà inosservato e che consentirà di stimare l’avvicinarsi di una eventuale eruzione.

Il dato sismico fino a che punto può essere definito un precursore eruttivo in una zona calderica dove i sollevamenti si contano a metri e gli eventi sismici a migliaia in particolari periodi di crisi ad oggi sempre rientrate?
La previsione delle eruzioni, in particolar modo nelle caldere, si deve basare necessariamente sull’analisi contemporanea di diversi tipi di misure (terremoti, deformazioni, composizione chimica dei gas, etc…). Solo in questo modo è possibile avere una visione ragionevole di quello che accade all’interno del vulcano.
Inoltre, l’uso di tecniche di analisi avanzate, come quella che abbiamo recentemente proposto per i Campi Flegrei, aiuta a comprendere con maggiore chiarezza i processi che avvengono nel vulcano, e quindi a fornire uno strumento che non è solo di interesse scientifico, ma che può avere anche risvolti pratici in situazioni di emergenza.
Il vulcano Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei


Secondo le sue conoscenze e studi effettuati sull’argomento, cosa sta succedendo al di sotto dei Campi Flegrei? Le trivellazioni in area calderica sono pericolose soprattutto alla luce della Sua recente scoperta?
I Campi Flegrei attraversano una fase di irrequietezza che si protrae probabilmente sin dagli anni ’50 del secolo scorso. In questo periodo i Campi Flegrei hanno alternato periodi di tranquillità a fasi di rapido sollevamento del suolo, verosimilmente causati dall’iniezione di magma a profondità più superficiali.
La quantità di magma iniettato ogni volta è stata di piccola entità e si è quindi già solidificato. La mia opinione è che in questo momento non vi siano rilevanti quantità di magma fuso a profondità superficiali (circa 3 chilometri).
Purtroppo non possiamo prevedere quello che succederà nei prossimi anni o decenni. Quello che facciamo è monitorare costantemente il vulcano alla ricerca anche di piccoli segnali che indichino un cambiamento nella sua attività.
Per quanto riguarda le trivellazioni a scopo scientifico, personalmente non ritengo comportino rischi significativi. Diverse trivellazioni profonde effettuate nei decenni scorsi ai Campi Flegrei non hanno prodotto alcun effetto particolare. Una perforazione avente lo scopo di studiare la struttura del vulcano, in particolare nell’area del Golfo di Pozzuoli che è ancora poco conosciuta, sarebbe sicuramente di utilità anche per interpretare meglio eventuali segnali precursori di una possibile futura eruzione.

La previsione degli eventi simici a che punto è?
Sfortunatamente la previsione dei terremoti, nonostante decenni di studi, non ha prodotto ancora risultati che possano essere di utilità. Al contrario sono stati fatti grossi passi avanti nella mitigazione del rischio sismico. Oggi esistono, almeno per l’area italiana, delle mappe del rischio molto accurate anche se, purtroppo, raramente vengono prese in giusta considerazione da chi dovrebbe amministrare il territorio. Inoltre, nell’ultimo decennio, sono stati sviluppati sistemi di Early Warning sismico, che forniscono tempestivamente un allarme appena inizia un forte terremoto.
Diverso è il discorso per la previsione delle eruzioni che, negli ultimi tempi ha fatto enormi passi in avanti. La maggior parte delle eruzioni avvenute negli ultimi decenni sono state previste ed è stato possibile evacuare la popolazione a rischio. Rimane ancora molto da imparare, ma il rapido sviluppo delle tecnologie di monitoraggio (satellitari e terrestri) e l’avanzamento delle conoscenze scientifiche per la sorveglianza dei vulcani, procedono speditamente.

Esprimiamo un particolare ringraziamento al Dott. Luca D’Auria per la importante intervista che ci ha rilasciato, tra l’altro con una chiarezza ideale per la diffusione scientifica di argomenti che riguardano aspetti particolarmente complessi del nostro territorio vulcanico.