“Rischio
Vesuvio: quale eruzione?
Intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo.”
di MalKo
Uno degli assilli che
arrovella o che dovrebbe arrovellare l’intellighenzia tecnica preposta alla
redazione dei piani d’evacuazione dell’area vesuviana, è la impossibilità di
stabilire i tempi che ci separano da una prossima eruzione del Vesuvio. Anche
al comparire dei sintomi precursori infatti, è parimenti azzardato profondersi
in una previsione corta del fenomeno
eruttivo.
La sicurezza delle
istituzioni scientifiche circa la possibilità che si colgano i sintomi del
risveglio del Vesuvio in netto anticipo sugli eventi, in realtà è una speranza
che non rappresenta però la svolta nella previsione dell’eruzione. La
“vitalità” vulcanica infatti, è un insieme di valori fisici e chimici che
possono portare una notevole dose di indeterminatezza nell’interpretare senza
errori un fenomeno che, ricordiamo, si evolve nel sottosuolo e che può quindi
irrompere all’aria o ricomporsi di nuovo nel profondo.
La verità mediata allora,
è che le sentinelle vulcaniche
coglieranno probabilmente e con un certo anticipo tutti gli sbadigli geologici del Vesuvio, ma non
potranno affermare con certezza se questi rappresentano il preludio al
risveglio o semplicemente una riossigenazione da stato soporifero che nulla
toglie al sonno letargico. Pertanto, il problema vero sarà quello di riuscire a
decifrare i segnali in modo da << non
indurre un’evacuazione senza eruzione o essere colti da un’eruzione senza evacuazione…>>.
Nell’ultimo articolo abbiamo accennato alla coraggiosa previsione prospettata dal gruppo di lavoro incaricato di redigere gli scenari eruttivi del Vesuvio e dei Campi Flegrei, con l’avallo della Commissione Grandi Rischi (CGR-RV) che ha comunque condiviso le scelte insieme al Dipartimento della Protezione Civile. Secondo le stime prospettate, per i prossimi 130 anni l’eruzione massima di riferimento attesa al Vesuvio è quella sub pliniana, mentre la più probabile è una stomboliana violenta. La differenza tra i due eventi consiste che nel secondo caso non sono preventivabili flussi piroclastici.
Il
sistema di protezione civile nell’area vesuviana si sta quindi basando ed
evolvendo proprio su queste due tipologie eruttive, con la prima che congloba
la seconda.
La
Commissione Grandi Rischi oltre a condividere gli scenari eruttivi ha
introdotto la linea nera Gurioli
come reale limite della zona rossa
Vesuvio. Il Comune di Boscoreale ha preso molto sul serio la zonazione così
operata dalla scienza, ricorrendo e con successo, addirittura al potere
giuridico (TAR), per vedersi riconosciuto il diritto ad estrapolare quelle parti
di territorio che si trovano oltre la linea nera, in modo da sfuggire al severo
regime di inedificabilità assoluta (Legge regionale 21/2003) per gli usi
residenziali. Alle amministrazioni
comunali infatti, interessa soprattutto il cemento, e intanto non risulta
alcuna impugnazione della sentenza del TAR da parte della Regione Campania o
del Dipartimento della Protezione Civile.
Al
Professor Giuseppe Mastrolorenzo,
esperto vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano - INGV, giriamo subito una
domanda: Professore, è possibile
prevedere in anticipo un’eruzione attraverso i precursori vulcanici che il
mondo scientifico asserisce di poter cogliere mesi prima?
<< Non
c’è una specifica teoria sui precursori, ovvero non abbiamo ancora adeguate
conoscenze sui meccanismi che generano i precursori spesso osservati nelle aree
vulcaniche prima di un’eruzione. Questo è il motivo per cui ancora oggi non è
possibile definire e individuare una rigorosa correlazione deterministica tra
precursori ed evento eruttivo. In particolare, anche durante le crisi pre
eruttive, in cui si manifestano precursori geofisici e geochimici quali
terremoti, deformazioni del suolo e modificazione della portata e della
composizione dei gas fumarolici, non è possibile in alcun modo prevedere se
l’evento si manifesterà, e ancora quando e con quale tipologia e intensità si
presenterà l’eruzione. L’assenza di qualsiasi correlazione di tipo
deterministico tra precursori ed eruzione, mista alla debolezza della
previsione statistica in sistemi molto complessi come quelli vulcanici, rendono
necessarie ai fini della tutela l’adozione di rapidissime procedure per
garantire l’evacuazione di tutta la popolazione esposta all’evento>>.
La
comunità scientifica ha di fatto concordato una previsione di evento massimo atteso al Vesuvio, tarato su una
tipologia eruttiva di tipo sub pliniana. E’ d’accordo?
<<
Qualsiasi previsione sull’evoluzione dei precursori e sulla tipologia e
intensità del possibile evento eruttivo, dato la forte dipendenza del risultato
statistico dai modelli adottati costituisce un azzardo, e pertanto ogni previsione deve essere valutata come opinione e come tale può variare da
ricercatore a ricercatore.
E’
chiaro che la sicurezza di una collettività a rischio non si può basare, come
ho detto in più circostanze, sull’adozione di uno scenario sub pliniano che è del tutto arbitrario, dati i risultati
contrastanti che emergono dalle diverse ricerche scientifiche degli ultimi
anni, relativamente alla dinamica interna del sistema vulcanico, alla storia
eruttiva e al confronto con altri vulcani analoghi.
Paradossalmente,
gli stessi ricercatori che su base prettamente probabilistica hanno fornito un
valore basso ma comunque assolutamente non trascurabile di probabilità di un
evento pliniano, in studi comparativi con altri vulcani analoghi sono giunti
alla conclusione di una assoluta imprevedibilità dell’evoluzione di vulcani a condotto chiuso come il Vesuvio, per i
quali non c’è memoria del passato.
In altre parole, per un vulcano a condotto chiuso non avrebbe alcuna rilevanza
la durata del periodo di quiescenza ai fini della previsione dell’intensità
massima della possibile eruzione futura.
E’
paradossale che nell’esercitazione Mesimex
2006, benché sulla base dei risultati scientifici del gruppo consulenti della
Protezione Civile sia stato dichiarato l’11% come valore medio di probabilità di
un evento pliniano al Vesuvio, si sia poi scelto uno scenario esercitativo sub
pliniano. E’ evidente come l’11% di probabilità che si verifichi un evento
catastrofico pliniano in un’area abitata da
tre milioni di persone, renda l’eruzione pliniana un evento assolutamente
non trascurabile e da assumere certamente come scenario di riferimento nei
piani d’emergenza. D’altra parte, date le ampie differenze e incongruenze tra
le evidenze vulcanologiche, le valutazioni statistiche e le opinioni
scientifiche dei diversi ricercatori impegnati da decenni nello studio
dell’area vulcanica napoletana, con ricerche di pari dignità pubblicate su
autorevoli riviste scientifiche, la scelta da parte degli organi preposti di
una specifica tesi come base operativa per la realizzazione del piano
d’emergenza, dovrebbe essere dichiarata e presentata alla collettività
evidenziando come tale tesi non sia condivisa da tutti i ricercatori. In altre
parole, dovrebbero essere dichiarati i limiti e le potenziali conseguenze
dovute alla scelta di scenari che potrebbero poi rivelarsi inadeguati.
Prof. Giuseppe Mastrolorenzo - Osservatorio Vesuviano - INGV |
A
tale proposito è interessante notare come in alcuni articoli scientifici da
parte di ricercatori impegnati nelle valutazioni di pericolosità vulcanica per
l’area napoletana, pur riconoscendo una probabilità non trascurabile di un
evento di natura pliniana, in base a valutazioni di costi - benefici si
suggerisca di optare per uno scenario di riferimento sub pliniano. È evidente
come un criterio costi - benefici possa essere adottato ma per correttezza verso
le collettività dovrebbe essere esplicitamente dichiarato. Una tale dichiarazione
equivarrebbe ad affermare che benché si sia consapevoli che oltre 3 milioni di
persone siano costantemente esposte a rischio catastrofe, per ragioni
economiche si valuti di porne in salvo solo settecentomila.
In
conclusione, specificando che comunque le mie opinioni derivano analogamente a
quelle di altri colleghi, anche referenti delle autorità preposte, dai
risultati delle mie ricerche scientifiche e dell’esperienza in ambito
vulcanologico e pertanto non costituiscono posizioni di istituzioni ma
esclusivamente scientifiche. Ricordo come i risultati delle mie ricerche
condotte negli ultimi decenni sulle catastrofi del Vesuvio, hanno dimostrato
che nel caso di un evento massimo pliniano, è a rischio tutta la popolazione
della provincia di Napoli e parzialmente quella della provincia di Avellino e Salerno.
Ho spesso ricordato che molti disastri avvenuti sul nostro pianeta negli ultimi
decenni, sono derivati dalla combinazione di eventi naturali estremi e da una
generale sottovalutazione del rischio. In eruzioni quali quella del Mt. St. Helens
avvenuta nel 1980, del Pinatubo nel 1991 e del Merapi nel 2010, fu necessario
estendere rapidamente la zona da evacuare in piena eruzione a causa di una
drammatica sottovalutazione dell’evento atteso. Di fatto non esistono criteri
standard di riferimento per la redazione di piani d’emergenza per le aree
vulcaniche, contrariamente a quanto avviene in altri ambiti, pertanto, tutto il
processo decisionale e le conseguenti responsabilità che possono derivarne, ricadono
sugli organi e le istituzioni e sui soggetti incaricati della mitigazione del
rischio vulcanico. E per tale motivo, le informazioni dettagliate dei criteri
adottati per la messa in sicurezza delle popolazione e dei relativi limiti,
devono essere elementi portati a conoscenza della collettività>>.
Ringraziamo il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo per la
preziosissima e cortese collaborazione che ci ha assicurato su un tema
particolarmente attuale e complesso come il rischio Vesuvio, al centro delle
nostre attenzioni e quelle dei nostri lettori.
Per
concludere e come redazione, al di là delle disquisizioni che da più parti
vengono sollevate in tema di rischio Vesuvio, vorremmo annoverare alcune cose
che riguardano l’argomento appena trattato. Innanzitutto la scelta dello
scenario eruttivo come sapete è propedeutico e come avete intuito nel caso Vesuvio
è stato scelto quello un gradino in più del probabile e non quello massimo
conosciuto. La commissione incaricata di effettuare quest’analisi del probabile si è basata su dati statistici
che indicano differenti elementi appunto di probabilità. Ogni qualvolta un
vulcano esplosivo si zittisce e a condotto chiuso ricomincia la quiescenza, pensiamo che con il
passare dei decenni diventi insondabile, enigmatico, e ogni previsione sul divenire potrebbe essere un
azzardo, soprattutto quando la calca che lo avvolge rifugge dal concetto stesso di rischio. Il vulcano Vesuvio non è quello del 79 d.C. e non è neanche quello del 1631 o del 1944... cosa sia lo scopriremo il giorno dopo che si sarà risvegliato.
Il piano di emergenza, perché solo di quello possiamo parlare visto che non esiste ancora quello di evacuazione, non è frutto del garantismo ma figlio di un adeguamento cerchiobottista alle enormità che ci rimanda il territorio fortemente compromesso e dove ogni decisione e non solo di sicurezza si scontra con numeri inapprocciabili. Incapaci di inseguire la prevenzione allora, inseguiamo come sempre l’emergenza con piani basati appunto sul probabile. Non vorremmo però, che scienziati e organi d’informazione, così come hanno fatto all’Aquila col terremoto anch'esso improbabile, abbiano poi a dire che la colpa è delle case ubicate in zona rossa…
L’assessore regionale Edoardo Cosenza ha giubilato all’affermazione del capo dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli circa gli interventi antisismici e anti lapillo in zona rossa che vanno fatti. Solo quelli aggiunge Cosenza promettendo: <<in zona rossa non si aggiungerà un solo metro cubo di cemento a uso residenziale…>>.
Se
mettiamo insieme i ruderi però, i fabbricati diroccati e gli spiccati di palazzi
a più piani consentendone il ripristino statico e l’ultimazione, che sarebbe
gioco forza a uso abitativo, senza aggiungere un solo metro cubo di nuovo
cemento, si aggiungerebbero migliaia di nuovi abitanti nella zona
rossa: molti di questi poi, sarebbero stranieri, che non sempre risultano nei registri dell'anagrafe.
Il
problema rimane il futuro. Anche i teorici del probabile come la commissione
grandi rischi e quella incaricata degli scenari al Vesuvio e ai Campi Flegrei, dovrebbero
riconoscere come dicono, che con il passare del tempo andremo sempre di più in una
condizione di eruzione a maggiore intensità. Qual’è allora la politica che
stiamo mettendo in campo per garantire la sicurezza ai nostri posteri? Quella dei condoni e del cemento ristoratore? Fateci sapere le architetture del territorio previste
per la metropoli vulcanica…
La
commissione grandi rischi ha tra le
sue funzioni (art.2) anche quella di fornire indicazioni per migliorare la capacità
di valutazione, previsione e prevenzione dei diversi rischi. Allora, l'emanazione di una nota sul
cemento sarebbe auspicabile, anche correndo il rischio,quello sì, di essere invisi a qualche politico. Il futuro ringrazierebbe…
http://www.radioradicale.it/rischio-vesuvio-e-campi-flegrei-overshoot-con-gabrielli-mastrolorenzo-e-loris-rossi
RispondiEliminaGentile Signor Hans-Hermann Uffrecht,
RispondiEliminail suo commento mi è risultato impaginato a colonne e con molto interspazio, pertanto estremamente lungo e,quindi, non ho potuto pubblicarlo direttamente. Ne cito però i contenuti: secondo il suo punto di vista sarebbe opportuno scavare delle gallerie o perforare in più punti la camera magmatica del Vesuvio per evitare che le energie nel sottosuolo diventino estremamente elevate con gravissimo rischio per la popolazione. Le dico solo il mio personalissimo parere. Concettualmente il principio di controllare le energie è valido a qualsiasi latitudine: sarebbe la soluzione. Il problema è che non ci troviamo di fronte a un’area disabitata dove è possibile una sperimentazione in tal senso a prescindere dalla tecnologia e dai soldi necessari per l’operazione. Nei Campi Flegrei era in corso la perforazione di un pozzo che ha suscitato allarmi già per il primo tratto pilota che ha raggiunto i 500 metri di profondità. La perforazione si è detto, modifica gli equilibri nel sottosuolo. Si hanno quindi dubbi sul continuo dell’operazione, anche se il foro preventivato è di poche decine di centimetri di diametro… Il Vesuvio è interamente urbanizzato con palazzi che riempiono per intero la corona circolare di base. A nord c’è l’area industriale, a occidente il mare, a sud Pompei e i suoi scavi archeologici e a est una sorta di doppia parete costituita dal Monte Somma e comunque dovunque palazzi e in alcuni casi discariche.
Il nostro diritto poi, non consente di intervenire artificialmente su processi energetici naturali in modo da influenzarne diciamo la direzione visto che abbiamo 360° di urbanizzato. Questo significa che non dovrebbe essere possibile perforare o scavare anche perché non ci sono stime sui tempi che mancano a una possibile ripresa eruttiva del famosissimo vulcano. In altre parole, nessun sindaco accetterebbe le trivelle sul suo territorio vulcanico. La storia dei babbuini è simpaticissima. Cordialità. MalKo
Riportiamo alcuni link inviatici dal Gentile Signor Hans-Hermann Uffrecht, dove meglio si capisce il suo pensiero interventista sul rischio Vesuvio.
RispondiEliminahttp://www.ilroma.net/content/il-vesuvio-e-il-dolce-far-niente-dei-babbuini
http://psicosi2012.wordpress.com/2013/11/29/vesuvio-pronto-ad-esplodere/