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martedì 13 maggio 2014

Rischio Vesuvio e la teoria del cigno nero: ...di Malko

Vesuvio visto da sud al tramonto.
 “Rischio Vesuvio e la teoria del cigno nero” di MalKo

Come avevamo ipotizzato nell’articolo del 28 maggio 2013, il comune di Boscoreale ha fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR), a proposito della difformità di trattamento scaturita dalla nuova rivisitazione della zona rossa Vesuvio, dettata dall’introduzione della linea nera Gurioli. La sentenza dell’8 maggio 2014 non poteva avere esito diverso, visto l’incredibile pastrocchio combinato dalla Regione Campania con la delibera che varava i nuovi scenari che avrebbero a loro dire addirittura allargato la zona rossa in favore di una maggiore tutela delle popolazioni esposte al rischio Vesuvio. Il TAR, per farla breve, ha dovuto dare ragione al comune vesuviano ricorrente…

Spaccato che evidenzia l'incongruenza
dei settori a rischio
Il territorio di pertinenza di Boscoreale, infatti, insieme con altri 17 comuni, era storicamente inserito e per  l’intero limite amministrativo nel perimetro a maggior rischio vulcanico (zona rossa R). Ora, con la nuova classificazione (R1 e R2) adottata dal Dipartimento della Protezione Civile, il territorio di Boscoreale è stato sostanzialmente spaccato in due dalla Linea nera Gurioli, che segna un limite di massimo pericolo introdotto dalla commissione grandi rischi.  Quindi, mentre da un lato la Regione Campania e il Dipartimento della Protezione Civile hanno offerto ai nuovi comuni entrati a far parte della nuova zona rossa, escamotage utili per  suddividere i loro territori in R1 e R2, ai vecchi 18 comuni questa possibilità è stata negata, e i loro tenimenti dovevano considerarsi per intero in  R1, anche se in parte gravavano, come nel caso di Boscoreale, a valle della linea Gurioli. A essere chiari, una vera assurdità giuridica…
 Questo modo di operare che non si capisce se è frutto di dabbenaggine o malizia, ha creato un grosso pateracchio burocratico, perché era logico aspettarsi un ricorso da parte dei comuni diversamente inquadrati rispetto alla nuova zona rossa. Boscoreale ha aperto la strada: siamo sicuri però, che anche altri comuni percorsi in senso secante dalla linea Gurioli ne seguiranno le orme. La figura sottostante ci aiuta  a individuarli…

I motivi del ricorso al TAR, instradato dal Comune di Boscoreale, convergono e vertono tutti sul fatto che la zona rossa 1 (R1) è soggetta ai limiti di inedificabilità totale per scopi residenziali, sanciti dalla invisa legge regionale Campania n° 21 del 2003, che individua nella zona a maggior rischio vulcanico il divieto di costruire per scopi abitativi: tentativo ultimo per sperare di contenere il valore esposto (vita umana) al pericolo eruttivo.

Veduta d'insieme della nuova classificazione della zona rossa Vesuvio


La zona rossa 2 (R2) invece, è esclusa da questa legge, e anzi consentirà pure ai proprietari degli immobili già esistenti di realizzare ampliamenti e mansarde a spiovente, quale strumento di difesa passiva degli edifici, a fronte del pericolo rappresentato dalla ricaduta di cenere e lapillo. Da qui la corsa dei comuni di fresca nomina a cavalcare la provvida possibilità offertagli dalla Regione Campania, per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia edilizia dettata dalle rigide norme vigenti nei settori R1. In questa folle corsa il primo classificato risulta essere il Comune di Poggiomarino
Molto probabilmente la stessa cittadina di Boscoreale e altre municipalità che ne percorreranno le orme, utilizzeranno l’esito favorevole del ricorso al TAR, per raggiungere pure il mai sottaciuto e ambitissimo obiettivo di un condono edilizio largheggiante da estendere nei settori R2. Un doppio risultato insomma… Come sempre però, il business creerà malumori politici e bagarre in questi consigli comunali che, probabilmente, sono già in una fase di fibrillazione.

Con siffatte e risibili strategie, stiamo facendo grossi passi in avanti nella direzione di un disastro futuribile assimilabile per portata alle famigerate teorie del cigno nero. Un concetto evocato sulla base delle sottovalutazioni che si fanno su eventi rari, anche vulcanici ad altissima energia, che potrebbero flagellare nel nostro caso tutta l’area metropolitana di Napoli e anche oltre, lasciando esterrefatti e impotenti gli abitanti e quanti ne hanno sancito, senza dati incontrovertibili, l’invulnerabilità statistica del territorio. Gli scavi di Pompei prima di essere uno spaccato di storia, dovrebbero essere innanzitutto un monito...

Secondo alcuni esperti che hanno tirato in ballo addirittura asteroidi e realpolitik, la possibilità che avvenga un’eruzione pliniana è talmente bassa da non richiedere sacrifici per stilare un piano d'emergenza di vasta portata e per questo irrealizzabile. La gravità di certe affermazioni risiede nella incapacità di chi le pronuncia, nel capire che le parole vengono esaltate o ignorate da terzi, a seconda della convenienza, per giustificare politiche di sopraffazione del territorio anche nelle aree cosiddette a rischio estremo.
Il latore della realpolitik, avrebbe dovuto aggiungere:<<...utilizziamo tutti gli anni di clemenza geologica che abbiamo ancora a disposizione, per operare soprattutto nel campo della prevenzione, in un’area dove per rimettere ordine urbanistico, occorrono appunto i secoli >>. 

Nell’immagine in basso si notano casette in rosso e in verde. Quelle rosse indicano i comuni (vecchia zona rossa o in R1) dove il giro di vite all'edilizia prevede l'inedificabilità residenziale assoluta. Quelle verdi invece, indicano i territori dove è ancora possibile edificare e adeguare e ampliare i fabbricati esistenti con tecniche di difesa passiva consistenti  soprattutto nella realizzazione di   mansarde con tetti spioventi.
Il Vesuvio accerchiato dalla conurbazione. La zona d'inedificabilità assoluta potrebbe rimanere, in assenza
d'interventi legislativi, la sola zona R1

Con la sentenza del TAR, le casette rosse a iniziare da Boscoreale, potrebbero diventare tutte verdi. Tale decisione comporterebbe che il Vesuvio sarà sempre più accerchiato da un edificato asfissiante, che si svilupperà anche a distanza dal cratere secondo uno scalare che sarà dato dall’occupazione metodica degli spazi liberi a iniziare dalla linea nera Gurioli. Ci si allontanerà anche dalla bocca eruttiva, ma non tanto da potersi ritenere al sicuro dagli effetti di un’eruzione pliniana, le cui colate piroclastiche possono espandersi in una misura ben più dilagante di quelle rappresentata dalla linea Gurioli che, lo ricordiamo, indica un limite campale dei depositi derivanti dai flussi di eruzioni di portata inferiore.
Secondo le statistiche, fra 130 anni passeremo all’11% di possibilità che avvenga un’eruzione pliniana. Questi anni dovremmo utilizzarli per pianificare uno sviluppo sostenibile in area vulcanica, magari lanciando un concorso mondiale fra gli architetti per il miglior progetto possibile di riordino territoriale in linea con le esigenze di tutela di un’ignara popolazione, che non sa di andare incontro magari in danno alle generazioni future, ai grandi disastri dettati dalle logiche alla base delle teorie del cigno nero.
Bisognerebbe puntare il dito contro quelli che sono inchiodati immeritatamente sulle poltrone di comando o di gestione, mettendo a rischio con la loro miope mediocrità le generazioni future... personaggi che minano il futuro, in danno di alcuni milioni di persone che sono e saranno lasciate in balia di assurdi giochi di potere, favoriti dalle istituzioni troppo spesso girate dall'altra parte…     



giovedì 8 maggio 2014

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei e al Vesuvio: intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko


Il Golfo di Napoli visto dal Vesuvio

Campi Flegrei, Napoli e il Vesuvio: il trait d’union è una grande camera magmatica? Intervista alla
Dott. Lucia Pappalardo”  di MalKo

Secondo l’ipotesi dello scienziato Alfred Rittman, dove oggi si slarga la caldera flegrea sorgeva un vulcano simile al Vesuvio ma più grande: il noto geologo svizzero lo chiamava Archiflegreo… La collina dei Camaldoli potrebbe essere il brandello più alto di ciò che rimane del possente vulcano, che circa 39.000 anni fa produsse l’eruzione forse più potente in assoluto nell’ambito del bacino mediterraneo: quella dell’ignimbrite campana.

L'Archiflegreo 
L’edificio vulcanico si smembrò per effetto delle dirompenze e lasciò il posto a una caldera poi invasa dal mare e poi rimodellata da tante altre eruzioni e dai fenomeni bradisismici che consentirono al mare di dilagare o di arretrare, secondo i movimenti verticali dei suoli o dei depositi di piroclastiti che accumulandosi scacciavano le acque.
I centri eruttivi che hanno flagellato la zona calderica flegrea sono tanti: disseminati su un’area molto vasta, queste bocche vulcaniche nel corso dei millenni hanno dato corpo a eruzioni prevalentemente esplosive come quelle che 15.000 anni fa produssero nubi ardenti con depositi poi diagenizzati, che hanno formato con il tempo quell’eccezionale e vasto basamento di tufo giallo caotico, meglio noto come tufo giallo napoletano, che ha fornito materia prima alle popolazioni che si sono avvicendate nel corso dei secoli nell’area partenopea.

Di certo sono stati proprio i banchi di tufo (grigio, stratificato e caotico), a invogliare i primi colonizzatori greci che sbarcarono sull’isolotto di Megaride (Castel dell’Ovo), a stanziarsi in zona, non solo perché abbondava il prezioso litoide, ma anche per la malleabilità del tufo, che consentiva con scavi a mano e
Grotta di Seiano - Posillipo (Napoli)
senza opere di contenimento, la realizzazione di tombe, cisterne, acquedotti e vie di comunicazioni, come quella romana di Seiano ricavata nel cuore tufaceo della collina di Posillipo.  (Foto a lato).
Che Napoli sia una città vulcanica a tutti gli effetti è assodato: basti pensare che dal litorale è possibile scorgere il sorgere del Sole alle spalle del Vesuvio, per poi vederlo tramontare a ovest nel ribollire dei fanghi fumarolici del campo vulcanico flegreo. Una città stretta fra due vulcani insomma, il cui trait d’union è appunto una sorta di  parallelo del fuoco che si snoda su una grande camera magmatica…

Alla Dott. Lucia Pappalardo, esperta ricercatrice dell’Osservatorio Vesuviano, formuliamo subito alcune domande:

Cosa si sa di questo vulcano Archiflegreo, che secondo alcune teorie, migliaia di anni fa dominava la scena dei territori flegrei, oggi calderici?

<< L’esistenza dell’Archiflegreo è un’ipotesi formulata, negli anni 50, da Alfred Rittman che, sulla base dell’attuale topografia, riteneva che all’inizio della sua storia eruttiva il vulcano flegreo sarebbe stato costituito da un unico grande stratovulcano dell’ordine di grandezza del Somma-Vesuvio, la cui parte centrale sprofondò in seguito ad un’eruzione di eccezionale potenza che egli identificò con quella del Tufo Grigio Campano (in seguito rinominata Ignimbrite Campana). La parte sommersa comprendeva, secondo il Rittmann, oltre al Golfo di Pozzuoli anche parte del Golfo di Napoli. L’orlo ancora visibile della parte emersa dell’Archiflegreo passava da Miliscola, a Torregaveta, Cuma, Monte S. Severino, e poi per l’orlo settentrionale e orientale del Piano di Quarto e per gli sprofondamenti di Pianura e Soccavo, fino al pendio settentrionale di Posillipo.
La teoria dell’Archiflegreo non è mai stata dimostrata, ed altri studi ipotizzano al contrario che l’eruzione dell’Ignimbrite Campana non avvenne da un unico centro eruttivo ma in corrispondenza di estese fratture >>.

E’ vero che l’eruzione dell’ignimbrite campana è stata la più violenta mai registrata nel bacino mediterraneo, finanche superiore a quella minoica ad opera del vulcano Santorini?

<< L’Ignimbrite Campana è stata la più catastrofica tra le eruzioni di tutta l’area mediterranea: del resto la caldera dei Campi Flegrei è l’unico supervulcano attivo in Europa. L’eruzione del tufo grigio si verificò circa 40 mila anni fa, distrusse l’intera area campana e determinò un abbassamento della temperatura terrestre di alcuni gradi centigradi. L’eruzione Minoica del vulcano Santorini in Grecia, ha una magnitudo di circa 10 volte inferiore a quella dell’Ignimbrite Campana, mentre è molto simile all’eruzione flegrea di 15 mila anni fa denominata del Tufo Giallo Napoletano >>.

Nell’ultima intervista che ci ha rilasciato, ha accennato alla possibilità che la super eruzione dell’archiflegreo o dell’ignimbrite campana abbia potuto contribuire notevolmente alla  scomparsa dell’uomo di neanderthal. Una piccola età glaciale? Ma una supereruzione in che termini può influire sul clima globale e per quanto tempo?

<< Durante le supereruzioni sono disperse nell’atmosfera enormi quantità di cenere e gas vulcanici in grado di determinare sull’intero globo una riduzione della temperatura di diversi gradi centigradi e anche per alcuni decenni: un vero e proprio “inverno vulcanico”. Questo fenomeno è principalmente causato dall’emissione durante l’eruzione di molecole di biossido di zolfo, che combinandosi con ossigeno e l’acqua già presenti nell’atmosfera si trasformano in minuscole goccioline di acido solforico in grado di schermare la radiazione solare. Alcune teorie stimano che dopo la supereruzione del vulcano Toba in Indonesia avvenuta circa 75 mila anni fa, gli esseri umani da decine di migliaia si ridussero, a causa dei drastici cambiamenti climatici, a poche migliaia, per cui l’uomo moderno sarebbe un discendente dei sopravvissuti di Toba.
Inoltre, l’immediata conseguenza di una supereruzione sarebbe la perdita di tutti i raccolti su aree vastissime: bastano, infatti, pochi millimetri di cenere per distruggere gran parte delle colture ed inquinare le acque potabili, e causare quindi una drastica riduzione di risorse alimentari per tutti gli esseri viventi. Ovviamente altrettanto grave sarebbe l’impatto di una supereruzione sulla nostra società supertecnologica, con blocco dei trasporti aerei, delle comunicazioni via satellite, della diffusione dell’energia elettrica etc... >>.

Dall’omonimo vulcano ubicato nella centralissima zona di Chiaia (Napoli), si deve una discreta produzione di tufo giallo napoletano, ma anche un allarme attuale  rilanciato dai media a proposito  di territori a rischio che riguardano anche la parte storica della città …  Che ne pensa?

<< Nell’area di Chiaia, nel cuore di Napoli, sono stati riconosciuti relitti di antichi vulcani, che testimoniano che l’attività eruttiva si estendeva anche nel territorio oggi occupato dalla città. I resti di questi vulcani sono testimoni dell’esistenza di un serbatoio magmatico profondo, comune all’intera area vulcanica campana >>.

In alcuni trattati di geologia si ribadisce che le eruzioni esplosive sono generalmente frutto di camere magmatiche superficiali. Quella  ubicata a 8 Km. di profondità e che vediamo in questo interessante spaccato, come dobbiamo inquadrarla? Potrebbe illustrarci  ancora una volta questo figura ? 

Spaccato struttura profonda area vulcanica napoletana
Questa immagine è solo uno schema di quella che potrebbe essere la struttura profonda dell’area vulcanica napoletana. In rosso sono indicate le possibili zone di accumulo del magma. In particolare, gli studi petrologici sulle rocce delle eruzioni passate dei vulcani napoletani, indicano due possibili zone di accumulo di magma. La prima compresa tra i 6-8 km fino a 10 km di profondità al confine tra le rocce carbonatiche e quelle metamorfiche, in cui staziona il magma più “leggero” (più ricco in silice e gas) e quindi più “esplosivo”; è proprio da questa profondità che proveniva il magma che alimentò le eruzioni catastrofiche di 2000 (l’eruzione di Pompei) e di 4000 anni fa (l’eruzione di Avellino) del Vesuvio. Una seconda più profonda, al di sotto dei 15 km, in cui staziona il magma più denso (meno ricco in silice e gas) e quindi meno esplosivo, che ha alimentato le eruzioni minori come l’ultima del Vesuvio nel 1944. Il flusso di calore misurato in superficie, indicato in giallo nella figura, mostra il suo massimo valore al di sotto del supervulcano flegreo dove probabilmente è localizzato il maggior volume di magma.

Negli scenari previsti per il Vesuvio, la possibilità che il vulcano possa produrre  un’eruzione pliniana è affrancata all’1% di possibilità in un periodo compreso tra i 60 e i 200 anni. Dell’11% se si considera una fascia temporale semplicemente superiore ai 60 anni.Statisticamente è corretto?

<<Si. Si tratta di stime probabilistiche ottenute considerando l’insieme delle eruzioni del Vesuvio precedute da un periodo di riposo compreso rispettivamente tra 60 e 200 anni (1%) o maggiore di 60 anni (11%). La probabilità che si verifichi un‘eruzione pliniana, in caso di ripresa dell’attività vulcanica al Vesuvio, sale al 20% se nel calcolo vengono considerate anche le eruzioni di vulcani simili al Vesuvio sparsi nel  mondo.
Del resto le eruzioni pliniane sono eventi straordinari ma che si ripetono in natura con una certa frequenza. Nel ventesimo secolo almeno una decina di strato vulcani hanno generato eruzioni pliniane, le più recenti sono quella del vulcano Pinatubo nelle Filippine e del Cerro Hudson in Chile del 1991, del vulcano El Chichòn in Messico del 1982 e l’eruzione del St Helens nello stato di Washington del 1980. Nel secolo precedente si verificarono altrettante eruzioni catastrofiche, tra le quali quelle più note del Krakatoa in Indonesia del 1883 in cui persero la vita circa 36000 persone anche a causa dello tsunami che seguì la tremenda esplosione e quella del Tambora del 1815 che disperse nell’atmosfera grandi quantità di gas e cenere, provocando un forte raffreddamento di tutto il pianeta, tanto che il successivo anno 1816 venne definito come “l’anno senza estate” o “l’anno della povertà”. Il periodo di riposo che ha preceduto questi eventi è molto variabile, da alcuni secoli nel caso già citato del Pinatubo fino a pochi anni nel caso dell’eruzione pliniana del 1913 del Colima in Messico>>.  


In altri testi ancora viene affermato che la camera magmatica del Vesuvio non ha ancora magma a sufficienza per produrre una pliniana… La valutazione attuale in quanta metri cubi stima il prodotto astenosferico esistente?

<<In effetti, gli studi di tomografia hanno individuato all’incirca a 8 km di profondità uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S che è stato interpretato come una zona di fusione parziale della crosta superiore che si estende su una superficie di circa 400 km2. Assumendo uno spessore tra 0.5 e 2.0 km, il volume di questa riserva magmatica sarebbe compreso tra 200 e 800 km3>>.

Non ci sono noti scenari di rischio eruttivo per l’isola d’Ischia. Forse che statisticamente una ripresa eruttiva è da considerarsi estremamente remota?

<< L’isola d’Ischia è un vulcano in attività da almeno 150 mila anni, la sua ultima eruzione risale al 1302 D.C. e produsse la colata lavica dell’Arso. L’isola è un vulcano esplosivo ad alto rischio, specialmente nel periodo estivo quando la popolazione residente aumenta notevolmente per l’arrivo dei turisti. Purtroppo non è possibile stabilire tra quanto tempo ci sarà una nuova eruzione, ma il vulcano è ben monitorato dall’INGV, come del resto tutti gli altri vulcani attivi, e questo consentirà con alta probabilità di rilevare i segnali premonitori di una ripresa dell’attività vulcanica, in tempo utile per allertare la popolazione >>.

Il vulcano di Roccamonfina è spento?

<< Sì: il vulcano Roccamonfina è spento. L’ultima eruzione risale a circa 50 mila anni fa con la nascita di due duomi lavici, il Monte Santa Croce ed il Monte Lattani accresciuti all’interno dell’antico stratovulcano. La sua attività iniziò circa 630 mila anni fa, ed il vulcano è noto soprattutto per le cosiddette “Ciampate del Diavolo”, una serie di orme umane impresse nel tufo vulcanico di un'eruzione esplosiva di 385 mila anni fa. Si tratta di 56 impronte distribuite in tre tracce lasciate da tre diversi individui, appartenenti all'uomo di Heidelberg, vissuto nel Pleistocene medio e progenitore dell'uomo di Neanderthal, che scesero lungo il pendio formato dalle ceneri ancora poco consolidate dell’eruzione. La successiva litificazione della cenere in tufo ha permesso alle impronte di giungere intatte fino a noi >>.

La redazione ringrazia la Dott.ssa Lucia Pappalardo, primo ricercatore presso L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano (Napoli), per la preziosa  e gentile collaborazione giornalistica. 


sabato 19 aprile 2014

Rischio Vesuvio eCampi Flegrei: finanziamento dei piani d'emergenza...di Malko




All'orizzonte il Vesuvio visto da Capri
“Rischio Vesuvio e Campi flegrei: soldi per i piani d’emergenza...“ di MalKo

Un po’ di denari dalla comunità europea passeranno alle casse dei comuni della Campania tramite la Regione, in base al progetto di finanziamento per le amministrazioni locali e provinciali che vogliono redigere o aggiornare i piani d’emergenza a fronte di calamità naturali o antropiche.
Da una serie di quesiti inoltrati al competente ufficio regionale, sembra di capire che diverse amministrazioni comunali  sarebbero ben liete di appaltare l’impegno intellettuale di redazione del piano d’emergenza a istituzioni, esperti o professionisti esterni. La Regione ha risposto che ciò è possibile attraverso convenzioni stilate secondo le regole previste dalla pubblica amministrazione in tema di contratti e incarichi. Insomma, si può demandare la funzione …
Riteniamo poco utile una siffatta possibilità, perché in caso di necessità le responsabilità anche giuridiche di tutela della popolazione ricadono sempre e comunque in capo al sindaco (autorità locale di protezione civile) e agli uffici comunali pertinenti. L’esperto a cui si affida l’incarico, istituzionale  o non istituzionale che sia, non ha alcune responsabilità sull’efficacia  dell'elaborazione prodotta, e sovente si smarca dall'investitura, e non potrebbe essere diversamente, il giorno successivo alla risoluzione contrattuale. 

Se il piano d’emergenza e d’evacuazione non si partorisce in loco e con le forze a disposizione, seppur tra gli affanni, generalmente al primo intoppo si sbraca … 

D’altra parte la Regione ha molti esperti che possono rispondere a tutti i dubbi che dovessero presentarsi a livello locale nell'applicazione e interpretazione delle strategie  di pianificazione delle emergenze. I piani non possono essere elaborati liberamente ma devono rispettare almeno nelle linee principali i canoni previsti dalle direttive regionali e dipartimentali (Protezione Civile). Questo significa che l’aiuto preponderante e diretto non può che pervenire dagli uffici regionali di piano, che già hanno attivato una (FAQ) che abbiamo apprezzato per l'indubbia e immediata utilità consultiva.

Siamo sicuri che la richiesta di essere supportati da esperti esterni all’amministrazione, sarà comunque pervenuta esclusivamente da quei Comuni che non hanno partecipato alle campagne di formazione varate dalla Regione Campania in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile e l'Osservatorio VesuvianoTali sessioni formativeinfatti, avevano appunto il precipuo compito di assicurare una valida preparazione professionale ad un certo numero di tecnici degli enti locali e provinciali e prefettizi, in tema di protezione civile e gestione delle emergenze, acchè si dedicassero poi e nelle rispettive sedi di appartenenza, alla redazione appunto dei piani d’emergenza e di evacuazione che, ricordiamo, non sono la stessa cosa. 

Il Decreto dirigenziale (Regione Campania) n° 60 del 29 gennaio 2014, nella tipologia degli investimenti ammissibili contempla e prevede elargizione di denari anche europei per le seguenti finalità:
o       Redazione di piani d’emergenza comunali o comprensoriali.
o    Aggiornamento di piani d’emergenza comunali o comprensoriali già redatti o da conformare alle direttive regionali e dipartimentali (Protezione Civile).
o  Diffusione informativa dei piani d’emergenza già redatti o da redigersi alla popolazione.
o   Potenziamento dei sistemi atti a gestire le emergenze da parte dei comuni e delle province.

Per molte municipalità tale redazione sarà sostanzialmente facile, ma non per quelle ricadenti in settori sottoposti al rischio vulcanico, dove il  piano d’emergenza dovrà contenere ineluttabilmente anche quello di evacuazione, altrimenti abbiamo perso tempo e dato input ai cittadini per altri ricorsi alla corte europea di Strasburgo sui diritti dell’uomo (CEDU).  I comuni che rientrano in aree vulcaniche sono:

Zona rossa Vesuvio
Zona rossa Flegrea
Zona rossa Ischia
BOSCOREALE
BACOLI
?
BOSCOTRECASE
MARANO
?
CERCOLA
MONTE DI PROCIDA
?
ERCOLANO
NAPOLI (quartieri )
?
MASSA DI SOMMA
POZZUOLI
?
NAPOLI  (3 quartieri)
QUARTO
?
NOLA       (parziale)

?
OTTAVIANO


PALMA CAMPANIA


POGGIOMARINO


POMIGLIANO D’ARCO (enclave)


POMPEI


PORTICI


SAN GENNARO VESUVIANO


SAN GIORGIO A CREMANO


SAN GIUSEPPE VESUVIANO


SAN SEBASTIANO AL VESUVIO


SANT’ANASTASIA


SCAFATI


SOMMA VESUVIANA


TERZIGNO


TORRE ANNUNZIATA


TORRE DEL GRECO


TRECASE






Nelle FAQ se non c’è già una tale domanda la anticipiamo noi: per Ischia quali sono i comuni da ritenere a rischio vulcanico? In altre parole è tutta l’isola che è sottoposta a un siffatto rischio? Urge velocemente una risposta…

Nuova Zona rossa Vesuvio
Lo stimolo regionale tratta soprattutto d’interventi immateriali da finanziare. Quindi, se le richieste vertono solo sull’acquisto di attrezzature e mezzi dovrebbero essere prontamente rigettate. Lo stesso dicasi per le attività di formazione che sono sancite da altre iniziative di tipo regionale come accennato in precedenza. Bisogna allora che si spremano le meningi e si elaborino piani d‘emergenza e di evacuazione ben concepiti e chiari, anche perché dovranno poi essere  pubblicati in rete sui portali comunali e provinciali, onde rispettare il patto dell’informazione corretta e puntuale da assicurare ai cittadini a cura del sindaco. 

Ricordiamo ai Comuni che ospitano industrie a rischio (nella figura sottostante i siti maggiormente rilevanti ubicati nella provincia di Napoli), che anche in questo caso bisogna acquisire se non lo si è già fatto, il piano d’emergenza redatto dalla direzione dello stabilimento, onde carpire tutte le informazioni utili e necessarie per affrontare eventualmente le emergenze ipotizzate nel documento di analisi del rischio, onde procedere a una pianificazione che contempli strategie comuni che limitino danni diretti e indiretti alla salute dei cittadini. 
Non sappiamo con esattezza quanti Comuni hanno aderito al bando per essere finanziati in tema di sicurezza. Semmai ci fosse qualche Comune che non ha inteso partecipare, la sicurezza di quei cittadini dovrà essere comunque assicurata attraverso provvedimenti in surroga utili per garantire in ogni caso l'imprescindibile diritto alla sicurezza.


martedì 15 aprile 2014

Rischio Vesuvio e piani di emergenza: la corte europea di Strasburgo indaga.,, di Malko




“Rischio Vesuvio e piani di emergenza: la corte europea
 di Strasburgo indaga...” di MalKo

La corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, ha preso in seria considerazione la denuncia presentata da dodici cittadini della zona rossa Vesuvio, contro lo Stato italiano che non garantirebbe adeguatamente la sicurezza dei vesuviani. La corte ha reso agibile una corsia preferenziale per trattare l’argomento con urgenza, e inoltre ha deliberato che entro il 12 maggio 2014 l’Italia dovrà presentare prove che dimostrino con certezza che i cittadini sono realmente protetti da seri strumenti organizzativi, come il piano di evacuazione. Aspettiamo… Sarà d’oltralpe un pronunciamento o forse un anelito di giustizia su una questione delicata, che in Italia purtroppo non trova sponde.

Il piano di evacuazione a oggi non esiste.  In seguito all’ultimatum imposto da Strasburgo, molto probabilmente gli enti competenti, primi fra tutti il Dipartimento della Protezione Civile, recupereranno dai famosi cassetti un po’ di carte, probabilmente con una netta prevalenza  di fogli dattiloscritti contenenti disquisizioni scientifiche che si accavallano da oltre venti anni, e le mappe della nuova perimetrazione della zona rossa. Per i vertici dipartimentali, infatti, il piano d’emergenza è soprattutto quello…
I giornali non hanno dato grande enfasi alle notizie provenienti da Strasburgo: d’altra parte e in alcuni casi, sono gli stessi giornali che in assenza di un giornalismo investigativo, per decenni ci hanno propinato efficienza e pietre miliari a proposito della sicurezza in area vesuviana. Gli amici sono amici… D’altra parte bastava riflettere sulla incredibile campagna stampa che fu orchestrata contro il Tribunale dell’Aquila all’indomani del tragico terremoto del 6 aprile 2009. Se ne scrissero di tutti i colori a proposito dell’inquisizione e di martiri e di processi alle streghe e di una brutta pagina da medioevo per una condanna che era pronunciata contro gli scienziati rei di non aver previsto il terremoto. I giudici di quella sentenza storica dimostrarono e dimostrano con il prosieguo delle indagini, spalle forti, competenza e soprattutto tanto coraggio.

In rete invece, fino a qualche giorno fa le notizie giornalistiche hanno profuso articoli che trattavano l’argomento piani d’emergenza, sulla scorta di un piccolo gruzzoletto che la Regione Campania si appresta a versare nelle asfittiche casse dei comuni campani, affinché questi siano invogliati a stilare i piani di emergenza comunali. Ovviamente nell’area vesuviana e flegrea è previsto qualche soldo in più per l’oggettiva complessità dei rischi da prendere in esame.

Questa pioggerellina di denari che conta soprattutto contributi della comunità europea, purtroppo servirà poco. Il problema principale delle politiche di sicurezza, infatti, è che per loro stessa natura dovrebbero avere una connotazione multidisciplinare. La protezione civile invece e in genere, è relegata a ultimo ufficio comunale che deve starsene buono e non deve impicciarsi delle cose che transitano e stazionano negli uffici che contano, soprattutto in quello tecnico.
In molti casi allora, l’addetto alla protezione è costretto ad arrovellarsi il cervello per trovare stimoli a un’attività di fatto dormiente, che si estrinseca nella noiosa e inutile compilazione di questionari inviati da altri uffici amministrativi sovra comunali, che hanno gli stessi problemi di irrilevanza funzionale. Nella migliore delle ipotesi allora, si gestisce con alterne fortune il volontariato…

In una zona a rischio colate piroclastiche, torrenti di fango e pioggia di cenere  e lapilli e ancora bombe vulcaniche e sommovimenti sismici, senza certezze previsionali, lo sviluppo sostenibile che tutti inquadrano sempre e solo nel cemento, doveva adeguarsi alle necessità dei piani di evacuazione, e non viceversa. Invece, si è sempre pensato a quello che si costruiva piuttosto che al dove si costruiva. Il piano di emergenza ha tentato appena di correre dietro al cemento, ma ha subito desistito com’è successo nel più affollato dei comuni vesuviani.
Gli amministratori comunali e provinciali e regionali dall’orecchio prevenzione non ci sentono proprio. Velina, vetrina e propaganda, hanno caratterizzato fin qui il loro operato  di mitigatori del rischio Vesuvio ed elaboratori di piani d’emergenza e di evacuazione.  Che ci siano migliaia e migliaia di domande di condono da vagliare in area vulcanica poi, francamente è inconcepibile e opacizza l’operato di chi per ruolo avrebbe dovuto controllare il territorio per evitare una crescita esponenziale del valore esposto...
Alla Regione Campania c’è stata battaglia sul finire di marzo di quest’anno, dettata dall’approvazione del nuovo regolamento paesaggistico e in particolar modo dal contestatissimo articolo 15. Un disposto che potrebbe aprire le porte a un po’ di cemento anche nella zona rossa Vesuvio, attraverso la possibilità di ampliare le cubature delle residenze da ristrutturare in nome della sicurezza.
Chissà se l’assessore Edoardo Cosenza era presente su quelle barricate e da quale parte gravava il suo peso di responsabile della protezione civile. Il professore inoltre, ci fa sapere che per il rischio eruttivo dei Campi Flegrei bisognerà valutare anche una possibile evacuazione totale o parziale, della zona di Chiaia e Posillipo.

Per quanto riguarda i chiarimenti richiesti da Strasburgo, Edoardo Cosenza esprime soddisfazione perché finalmente alcuni cittadini hanno chiesto il piano d’evacuazione (nessuno lo chiedeva prima), dimostrando un sano interesse civile. Poco importa che la richiesta è pervenuta per la strada più lunga e in lingua francese col suggello di una corte di giustizia per i diritti dell’uomo… 

domenica 30 marzo 2014

Il vulcano Marsili illuminerà l'Italia?...di Malko


Le isole Eolie

“Il Vulcano Marsili e il deepwater project” di MalKo

Il vulcano Marsili è stato uno dei seamount tirrenici, insieme al Palinuro, che ha destato molto la nostra attenzione. Il vulcano solo da alcuni anni è balzato alle cronache e la sua scoperta pare sia stata casuale e a cura degli americani che, rovistando sui fondali tirrenici, s’imbatterono in alcune indicative fumarole.
Il mastodontico apparato, il più grande d’Europa, dicono che abbia le potenzialità per generare un cataclisma, non tanto derivante dai magmi insiti nelle sue profondità, bensì dagli stessi e scoscesi contrafforti del monte, il cui profilo è disegnato da ammassi rocciosi instabili e poco consistenti, al punto da rendere concreto il rischio franamento per erosione o scuotimento sismico dell’edificio vulcanico.

Il possente monte sommerso è assurto alle cronache come possibile fonte di guai, dopo che un ex direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) dichiarò che il vulcano aveva appunto i fianchi flaccidi e un’eventuale e rovinosa e massiccia caduta di materiale roccioso dai pendii poteva innescare un’onda di maremoto che avrebbe potuto spazzare i litorali tirrenici esposti. Ipotizziamo in prima battuta quelli calabresi, campani e della Sicilia settentrionale isole comprese. L’unica difesa da siffatto rischio, profferì Enzo Boschi, consiste nella realizzazione di una costosissima rete di monitoraggio sottomarina. In realtà si nutrono dubbi anche su questa soluzione, perché la velocità di avanzamento di un’onda di maremoto è rapida al punto da raggiungere la costa tirrenica più vicina nel giro di una quindicina di minuti o poco più. I litorali più lontani potrebbero forse trarre qualche beneficio dal sistema di allarme costiero… 

Fu veramente grande la nostra meraviglia quando sapemmo del progetto della Eurobuilding spa di perforare a mezzo trivella proprio i fianchi del vulcano Marsili per carpire i fluidi bollenti o il vapore in quota e ad alta pressione che lì abbonda, col fine di produrre energia geotermica direttamente sulla superficie del mare, con piattaforme opportunamente attrezzate e dislocate sulla verticale del vulcano sommerso. Un progetto futuristico e affascinante e indubbiamente unico nel suo genere, che induce solo qualche perplessità per niente pretestuosa riguardante i rischi insiti nelle trivellazioni e nell’impatto ambientale che bisogna tenere in debito conto quando si accede alle acque termali profonde che, contrariamente a quanto si pensi, possono essere acque tutt’altro che innocue.

Le trivellazioni sono diventate oggetto di studio un po’ in tutto il mondo perché si ha il sospetto che inducano terremoti. Ci è quindi sorto il dubbio sul come possa coniugarsi la trapanazione del vulcano con le necessità di sicurezza delle popolazioni rivierasche in rapporto ai precedenti allarmi lanciati dagli stessi esperti.
Il comitato scientifico del “Marsili Project” annovera numerosi scienziati tra cui il Prof. Enzo Boschi: garanzia in più o contraddizione?
Secondo le logiche verrebbe da pensare che se sussiste il rischio frane, al punto da rendersi auspicabile l’installazione di una strumentazione di monitoraggio, forse non sarebbe tanto assurdo concordare di posizionare questa strumentazione ben prima di procedere con la trivellazione.

Nell’avamposto dei Campi Flegrei (Bagnoli), pure si è proceduto a una prima perforazione, probabilmente con fini molto simili al Marsili Project, con la sola differenza che nel caso del Marsili si opererebbe nelle profondità del tirreno, mentre nei Campi Flegrei l’operazione si è già avviata nell'area metropolitana di Napoli all’interno della caldera flegrea.
Lo scalpello rotante del Deep Drilling Project (CFDDP), nonostante le polemiche, i ritardi e i rinvii, nel mese di dicembre 2012 raggiunse i cinquecento metri di profondità. Il pozzo pilota così realizzato dovrebbe poi ospitare sul fondo strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia per la previsione del rischio vulcanico. Il progetto prevedeva a distanza di un anno il prosieguo delle attività di perforazione per raggiungere con una certa inclinazione i quattro chilometri di profondità in direzione della gobba bradisismica di Pozzuoli.
Sull’operazione deep drilling da un po’ è calato il silenzio... Non si capisce se bisogna considerarlo come silente iperattività di studio legata al prossimo riavvio della trivella, o un abbandono del progetto perché in qualche consesso o ufficio è stato  giudicato pericoloso o quantomeno inopportuno.
Certamente il seguito delle operazioni, se ci saranno, richiederanno il nulla osta della commissione grandi rischi quale parte terza nel discorso sicurezza. Se l’operazione di perforazione dovesse invece essere abbandonata, anche in questo caso sarebbe assolutamente necessario conoscerne le motivazioni.
La nostra volontà di chiarire certi aspetti che riguardano seppur remotamente la sicurezza dei cittadini, ci ha indotto mesi fa a inoltrare qualche interrogativo all'INGV senza ottenere risposta. Per gli aspetti ambientali abbiamo invece chiesto delucidazioni al competente Ministero dell'Ambiente e siamo in attesa di riscontri.
Il nostro interesse ai progetti che riguardano il Marsili e i Campi Flegrei e l'affaire rischio Vesuvio e piani di evacuazioneattinge energia dai concetti tutti Costituzionali che auspicano il passaggio da un rapporto cittadini – istituzioni fondato sulla separazione e sulla reciproca diffidenza, ad uno invece centrato sulla comunicazione e la leale collaborazione. Non più un rapporto verticale allora, ma uno orizzontale e di condivisione e coinvolgimento nelle scelte. I cittadini infatti, è bene ricordarlo, non sono semplici utenti o clienti o sudditi, come dir si voglia...