Translate

martedì 17 giugno 2025

Rischio Vesuvio: da qui a 119 anni... di Malko

 

Napoli e il Vesuvio

Per mettere a punto un piano di emergenza a fronte del rischio eruttivo dettato dal famosissimo Vesuvio, è necessario un’attenta analisi che riguardi innanzitutto la determinazione energetica del pericolo insito nelle viscere della montagna, indagando necessariamente nel passato secolare e millenario del vulcano, senza lesinare ogni sforzo scientifico mirato a comprendere le dinamiche magmatiche operanti nel sottosuolo.

La tipologia eruttiva che ha caratterizzato la storia geologica dell’area vesuviana, annovera stili eruttivi molto differenti tra loro, con eruzioni talvolta da richiamo turistico, mentre altre volte potenti al punto da sconvolgere l’intera plaga vesuviana: ne sono un esempio l’eruzione pliniana del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano e quella sub pliniana del 1631. L’ultima dirompenza invece, è avvenuta nel 1944 a distanza di 38 anni da quella più dannosa del 1906, e fu prevalentemente effusiva con lava e caduta di cenere e lapilli. Ad oggi, sono quindi 81 anni che il Vesuvio è in uno stato di quiescenza…

Il gruppo di lavoro incaricato anni fa di stabilire quale tipologia eruttiva potrebbe caratterizzare la futura eruzione del Vesuvio, sintetizzò nelle conclusioni due percorsi che riconducono a una tabella A e a una tabella B. La differenza tra le due alternative è racchiusa in due intervalli di tempo diversi nel tetto ma non alla base, in quanto partono entrambe dai 60 anni di quiescenza dall’ultima eruzione. Ovviamente lo studio è di taglio statistico  probabilistico senza alcun risvolto deterministico.

Il prospetto A, come si vede nello schema sottostante, chiama in causa per lo stile eruttivo un intervallo di tempo a partire dai famosi 60 anni di quiete geologica ma senza un limite temporale superiore. Nella tabella B invece, la statistica riguarda un arco di tempo preciso che va sempre dai 60 anni di quiescenza ma fino ai 200 anni. In altre parole il percorso B indica le percentuali statistiche che caratterizzeranno nei prossimi 119 anni la possibilità che si manifesti un certo tipo di eruzione. 

Vesuvio: probabilità circa lo stile eruttivo della futura eruzione.

Il dipartimento della protezione civile, visto le conclusioni del gruppo di lavoro e, sentito la commissione grandi rischi,  decise di adottare il percorso B e con esso tutto ciò che ne consegue col successivo apporto della regione Campania per rifinire i contorni della zona rossa secondo logiche che dovevano essere probabilmente più garantiste. Gruppo e commissione avevano operato la scelta dell’eruzione di scenario optando per una VEI4,  obliando l’eruzione pliniana (VEI5) dal novero delle possibilità eruttive: non lo diciamo noi, ma lo dice il piano d’emergenza nazionale che perimetra di fatto l’estensione della zona rossa partendo dall'assunto eruttivo sub pliniano prestabilito dalle autorità.

Con questi numeri, in entrambi i casi, A o B, un evento di tipo stromboliano (VEI3) risulta essere l’eruzione più probabile, anche se, come sottolinea lo stesso lavoro degli esperti, le eruzioni stromboliane violente caratterizzano di solito un vulcano a condotto aperto. Questo dovrebbe indurre a ritenere che la prossima eruzione del Vesuvio possa presentarsi con una tipologia eruttiva di tipo esplosivo. Gli esperti concordarono che l’adozione di uno scenario di piano tarato su un evento massimo sub pliniano VEI4, avrebbe assicurato tutela ovviamente pure a fronte di un evento eruttivo VEI3, e sarebbe stato quindi statisticamente garantista per la popolazione vesuviana, coprendo il 99% delle dinamiche eruttive prospettate dagli indici probabilistici riportati nel percorso B.

Se il dipartimento della protezione civile avesse invece adottato la tabella A, i piani d’emergenza per forza di cose avrebbero dovuto contemplare l’eruzione pliniana (VEI5) come evento massimo di scenario, visto i valori probabilistici in questo caso non proprio minimi (11%). La grande novità di quest’ultima scelta, sarebbe stata l’inclusione di buona parte della città di Napoli nella zona rossa vulcanica: una possibilità che nessuno voleva e vuole, anche se la problematica non è risolvibile col diniego generale. 

La buona politica del governo del territorio, con implicazioni politiche locali, regionali e nazionali, avrebbe dovuto riflettere attentamente sul tempo offerto dal percorso B che, pur preso per oro colato, se da un lato ha ridimensionato in evento medio l'eruzione di riferimento massima attesa al Vesuvio per il prossimo secolo, ha stabilito in ogni caso un arco di tempo, un giro di boa oltre il quale occorrerà annoverare pure la possibilità che si materializzi un evento pliniano.

Un principio che dovrebbe essere faro del fare, e che dovrebbe guidare con molta convinzione gli strateghi della prevenzione, è quello che stabilisce il concetto che i piani di emergenza e di evacuazione non devono adeguarsi al territorio che evolve, soprattutto se in forma scoordinata, ma è il territorio che deve evolversi adeguandosi alle necessità di sicurezza, attraverso rinunce e ingegno, innanzitutto perchè il pericolo eruttivo non è delocalizzabile. Purtroppo assistiamo a politiche urbanistiche miopi, che badano più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce... Tra l'altro parliamo di un pericolo, quello vulcanico, non garantito deterministicamente dalle pratiche previsionali, né sul quando si presenterà, e neanche sul quanto sarà energetico il futuro evento, se non con azzardo statistico. 

Un armonico e coordinato sviluppo antropico, pratica assolutamente necessaria nell’area napoletana, dovrebbe essere regolamentato intorno al Vesuvio, seguendo le scie lasciate dai depositi piroclastici di tutte le eruzioni e i punti del fin dove si sono spinte. La pianificazione urbanistica dovrebbe guardare al futuro, per evitare le condizioni di una conurbazione disordinata, asfissiante, e senza politica degli spazi, tanto necessaria per fronteggiare un pericolo raro ma incontenibile. Purtroppo parlare di quello che succederà tra un secolo, una distanza temporale che non vedrà attori e decisori che operano nell'attualità, è quasi impossibile per chi non ha l'abito mentale di pensare pure al futuro e alla vivibilità provinciale che si tramanda. 

Le politiche di prevenzione della catastrofe vulcanica, avrebbero dovuto trarre spunto dalle parole del ministro Musumeci, che ha affermato a proposito dei Campi Flegrei, che sono decenni che non si è fatto niente per garantire sicurezza a questi territori. Una affermazione che dovrebbe essere all’origine di profonde riflessioni in capo all'inerzia di non pochi protagonisti istituzionali e amministrativi, che vivono dell’oggi e senza estendere i loro orizzonti garantisti a favore dei posteri, che saranno sempre più fragili per condizioni antropiche e per estrema dipendenza tecnologica. 

Si fa notare che l’inedificabilità sancita per la zona rossa VEI 4 (R1), di fatto ha incentivato la fame di case nel perimetro immediatamente contiguo alla zona ad alta pericolosità vulcanica, cioè quella attuale che chiamiamo VEI4. Per quanto esposto e in ossequio alle politiche di prevenzione, nel 2019 suggerimmo di delimitare anche una zona rossa pliniana (VEI5) intorno alla attuale zona rossa VEI4, dove non è necessario vietare in toto la realizzazione di manufatti ad uso residenziale come è stato fatto solo per la zona rossa 1 (R1), ma almeno di classificare tale corona circolare come zona regolamentata, in modo che sia possibile preventivamente procedere con la pianificazione delle misure di difesa passiva e attiva che richiedono impegno di urbanisti e ingegneri dell'ambiente e del territorio.

Disegno non in scala.


Per entrare nelle logiche discorsive a proposito della zona regolamentata, occorre un preambolo: le matrici di rischio che governano la coesistenza con un pericolo naturale come le eruzioni vulcaniche, prevedono nell’odierno e in genere tre possibilità:

  • 1.    Mancato allarme eruttivo;
  • 2.    Allarme eruttivo diramato in tempi utili;
  • 3.    Falso allarme eruttivo.

A voler forzare le statistiche da un punto di vista discorsivo, c’è il 33,33% di possibilità che si verifichi un mancato allarme eruttivo con conseguente disastro vulcanico. Nel 66,66% dei casi invece, la popolazione vesuviana sarebbe salva o perché non si verifica l’evento annunciato, o perché è stato previsto in tempo utile. Il problema grosso però, e che adottando una eruzione di taglia media (VEI4) nei piani di emergenza e non quella massima conosciuta (VEI5), si determinerebbe, per quanto misurata, un’ulteriore matrice di rischio dovuta alla possibilità che si possa presentare, magari pure prevista e annunciata dall’ente di sorveglianza, un evento eruttivo di taglia superiore a quello adottato dagli attuali piani di emergenza. Non va sottaciuto infatti, che non è possibile stabilire in anticipo che tipo di eruzione il Vesuvio ha in serbo per il futuro prossimo o lontano o lontanissimo; tra l’altro bisogna tenere in debito conto che l’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C., attinse materiale rovente direttamente dalla camera magmatica miriametrica, senza bisogno di accumulare nei primi chilometri il materiale da eruttare…

L’ulteriore matrice di rischio comporterebbe:

      4.   Allarme eruttivo diramato in tempo utile con eruzione    energicamente   Superiore a VEI 4.    

In quest’ultimo caso e premesso che le popolazioni ricadenti nella zona gialla devono attendere istruzioni con eruzione in corso, si creerebbe la condizione che non pochi vesuviani ancorchè non menzionati e non coinvolti dal piano d’emergenza, sentendosi garantiti proprio dall’esclusione evacuativa, rimarrebbero immoti e verrebbero quindi travolti dalle dirompenze vulcaniche di un’eruzione pliniana o simil pliniana, perché l’indice di esplosività vulcanica (VEI), potrebbe essere superiore alla cifra tonda, ma non fino a quella successiva, come nel caso dell’eruzione del 472 d.C. che nella letteratura scientifica viene classificata dai ricercatori come una sub pliniana vigorosa, e da altri come una pliniana appena minore...

La zona rossa vulcanica attualmente vigente nella plaga vesuviana, è una zona determinata in parte scientificamente, in parte amministrativamente e in parte politicamente. Molti amministratori e tecnici, hanno grattato risorse interpretative dal barile dei limiti, in modo da ridurre all'osso le distanze di sicurezza, magari in un contesto di controllori nel migliore dei casi distratti. Utilizzando multi criteri allora, è stata circoscritta la nuova zona rossa Vesuvio, adottando una eruzione media come eruzione di scenario su cui pianificare, e ancora è stato assunto il principio discutibile che l'orlo calderico del Monte Somma è un baluardo protettivo a fronte dei flussi piroclastici prodotti da un evento con indice di esplosività vulcanica VEI4. Questa convinzione ha fatto sì che il confine della zona rossa a ridosso delle municipalità napoletane (San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli) e fino a Volla compresa, è talmente esiguo da contravvenire a qualsiasi principio di precauzione, visto l'assenza di distanze di rispetto dalla linea di deposito dei flussi piroclastici. 

Il comune di Napoli che ha salvaguardato le aree ancora edificabili dalla mannaia della legge anti cemento 21/2003, non ha inteso estendere questi limiti in via precauzionale all'interezza territoriale delle tre municipalità orientali, rendendo inalterato e all'occorrenza, il pericolo rappresentato dalla parte meno densa e aerea delle correnti piroclastiche.

Lucia Gurioli: Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius
based on the geological record

Nel disegno soprastante estrapolato dal lavoro scientifico della ricercatrice Lucia Gurioli si vedono nel campo giallo limitato da una linea verde, i limiti d'invasione dei flussi piroclastici nel corso di due eruzioni pliniane. L'area gialla orientata a sud est riguarda l'evento eruttivo di Pompei del 79 d.C. Quella a nord ovest con testa rotondeggiante, è afferente alla terribile eruzione delle pomici di Avellino verificatasi 3800 anni fa. La linea nera invece, così come già accennato in precedenza,  delimita, col metodo delle indagini campali, il limite di massimo scorrimento dei flussi piroclastici in seno ad eruzioni VEI4. In altre parole, la linea nera Gurioli dovrebbe essere la linea scientifica dell’attuale zona rossa ma non di quella futura, quando e nella migliore delle ipotesi,  si resetteranno da qui a un secolo gli orologi statistici. 

D’altra parte ed è utile ricordarlo, nella stessa relazione scientifica del 2012, si annota che la decisione di assumere una eruzione VEI 4 come evento di riferimento sui cui pianificare le misure protettive per la popolazione, è frutto pure di valutazioni da rischio accettabile: una formula che dovrebbe competere alle autorità politiche piuttosto che a quelle scientifiche...

Vesuvio: zona rossa 1, rossa 2, gialla e blu.





lunedì 2 giugno 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il pericolo vulcanico non è percepito... Malko

 

Rione Terra - Pozzuoli

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza un luogo del Pianeta ancorchè dell’area occidentale metropolitana di Napoli, dove è possibile che si verifichino eruzioni di tutto rispetto in quello che di fatto è un super vulcano. L’ultimo evento eruttivo risale al 1538 e fu di modeste dimensioni. In tutti i casi sono 487 anni che la crosta pur con sussulti, ingobbimenti e degassazioni, riesce a contenere le masse magmatiche stipate a circa 8 – 10 chilometri nel sottosuolo calderico senza dare spazio a dirompenze. Trattandosi di una copertura crostale abbastanza fratturata, c’è chi ipotizza che si sia infiltrata qualche intrusione magmatica fino a circa 3 chilometri dalla superficie. Questa condizione porterebbe un ulteriore apporto al riscaldamento delle acque idrotermali già surriscaldate dai fluidi magmatici, favorendo ulteriormente  il fenomeno del bradisismo e della sismicità associata. L’ente ufficiale preposto al monitoraggio vulcanico (INGV) invece, esclude questa possibilità intrusiva.

Dalle stesse spaccature della crosta superficiale, in alcuni punti si sprigionano una gran quantità di gas prevalentemente di origine magmatica, come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato: sostanze gassose che vengono spinte in superficie si diffondono nell’aria soprattutto in concomitanza con eventi sismici che fessurano ulteriormente la crosta e shakerano le acque gasate. Le pressioni interne alla crosta superficiale deformano gli strati litoidi fino a spaccarli inducendo i terremoti che, anche se non sono di elevata magnitudo, in ogni caso sono temibili per la superficialità degli ipocentri. I danni in genere sono riconducibili alla qualità dell’edificato e alle caratteristiche dei suoli di fondazione.

Entrando nelle tematiche naturali che caratterizzano questo territorio, diciamo subito che l’area calderica flegrea è una zona multirischio, con fenomeni a diversa estensione e intensità e pericolo, che si distinguono per la grande differenza esistente fra ogni singola manifestazione naturale, e per quelli che sono gli  intervalli di ritorno dei fenomeni che non sono quantificabili. Ovviamente finché perdura il bradisismo, perdura tutta la fenomenologia associabile al bradisismo che è legato alla radice magmatica flegrea. Quindi dovrebbe essere piuttosto chiaro che una eruzione è un evento non obliabile:  rimane infatti un avvenimento  fenomenale, potente, e naturalmente e purtroppo immanente in questi luoghi.

FENOMENO:

Eruzione vulcanica

Terremoti

Bradisismo

Emanazioni gassose

ULTIMA MANIFESTAZIONE:

1538

Mm > 2

23/05/2025

In corso

In corso

TEMPI DI RITORNO:

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ognuno di questi fenomeni legati al vulcanesimo flegreo che non è statico ma dinamico con implicazioni superficiali e profonde, sono di fatto imponderabili nel loro incedere, e quindi non è possibile lanciarsi in previsioni sul divenire delle cose che sono tutte figlie del famoso concetto del Panta rei. La constatazione poco rassicurante è che tutte le tipologie di pericolo segnalate, con sintomi a diversa intensità, sono in una certa misura da ritenersi ineluttabili, almeno finché il sottosuolo dei Campi Flegrei avrà una consistente base magmatica a profondità miriametrica. Tra l’altro le rocce fuse si estendono fino al sottosuolo vesuviano, in quella che sembra sia una unica e vasta camera magmatica: "un gran lago di magma" recitavano i media circa una decina di anni fa, anche se non ci sono evidenze di reciproche ingerenze tra i due distretti vulcanici.

Secondo un  emerito accademico salernitano invece, le eruzioni degli ultimi millenni nei Campi Flegrei vanno scemando in potenza, e dalle deformazioni della camera magmatica si capisce che i volumi di magma in gioco non sono eccessivi e sono stimabili in cento milioni di metri cubi: come una piccola collinetta. L'esperto continua affermando che in caso di eruzione ci si aspetta un evento simile a quello del 1538. In realtà i volumi di magma che interessarono quest'ultima eruzione, sono stati decisamente inferiori a quelli richiamati dall'esperto... Se l'eruzione tipo 1538 avvenisse sotto una città, secondo l'associato ed è lapalissiano, i problemi in ogni caso non mancherebbero. L'attesa di una eruzione simile a quella che diede vita al Monte Nuovo (H 133 metri), è condivisa senza conferme ufficiali da più scienziati. I piani di emergenza però, e lo ricordiamo, sono tarati su un evento massimo di tipo sub pliniano (VEI4).

Il fenomeno che preoccupa le popolazioni flegree, spiccatamente puteolane, sono le puntate bradisismiche che caratterizzano da secoli questi luoghi. Nel recente passato si segnalano le crisi  bradisismiche del 1969/1972, e poi quella del 1982/1984. La terza puntata bradisismica, cioè quella attuale, è iniziata in sordina il 2005, ma con una intensità via via crescente e resasi preoccupante ad iniziare dal 2018. Il massimo sollevamento del suolo di 145 centimetri, misura provvisoria, si registra sul fondo del mare a circa 500 metri a sud del Rione Terra (Pozzuoli). Una eventuale controtendenza del bradisismo che potrebbe divenire discendente, mitigherebbe di molto la componente sismica. Anche in questo caso però, il pericolo vulcanico rimarrebbe intatto.

Affrontando l’argomento rischio pure da un punto di vista tecnico, occorre sottolineare che nel flegreo sono percepibili dai sensi solo i terremoti e le emanazioni gassose di idrogeno solforato per il loro caratteristico odore di uova marce. I sismi quindi sono il fenomeno che coglie la maggiore attenzione della popolazione, a causa della diretta percepibilità dell’energia rilasciata nell’area dai sussulti crostali, non influenzabili in alcun modo dalle condizioni ambientali.

L’altro fenomeno, quello delle emanazioni gassose dal sottosuolo che si diffondono nell’aria, come detto sono percepibili dall’olfatto solo per la componente idrogeno solforato: per quanto riguarda l’anidride carbonica invece, è il caso di ricordare che è un gas  inodore e incolore; più pesante dell'aria e rilevabile in genere solo con apposite strumentazioni. Il sollevamento del suolo poi, è un fenomeno lentissimo, pari a circa mm. 0,05 al giorno, che è una misura che può anche variare nel tempo, ma in tutti i casi non è fisicamente percepibile direttamente dalla popolazione. Se lo fosse il pericolo sarebbe massimo e da gambe in spalla.

La percezione di un fenomeno allarmante è sicuramente un processo complesso proprio degli esseri viventi e quindi degli umani, ancorché fondamentale per poter comprendere e interpretare attraverso l'elaborazione delle informazioni fornite dai sensi, i pericoli derivanti dall'ambiente circostante. La risposta al pericolo spesso è la fuga che non sempre è ragionata e a volte è inconsulta: sovente dettata da una pressione psicologica che mina la lucidità mentale quando si è sotto minaccia. Nello schema sottostante si evidenzia la differenza tra un piano di evacuazione e un piano di allontanamento: la chiave comportamentale è proporzionale alla intensità con cui i sensi percepiscono il fenomeno nocivo o letale, con la variante dettata dalle informazioni che si hanno sulle caratteristiche del pericolo.



La componente amministrativa ai vari livelli ma anche quella scientifica, sembrano orientate a scollegare dalla comprensione collettiva i fenomeni naturali prima accennati dal rischio eruttivo. Una necessità considerata strategica per favorire probabilmente politiche di resilienza a fronte dei terremoti ritenuti il vero problema di cui occuparsi nella zona d'intervento bradisismica. Apparentemente tali politiche sembrano convincenti, ma sarà proprio questa scaltra selezione dei pericoli che ha consentito al ministro Musumeci di poter dire che ci sono decine di lustri di ritardo nella prevenzione del rischio vulcanico. Cavalcare quindi la sola teoria sismica, è un modus operandi che assicura consensi popolari, ma che può essere sconfessato in qualsiasi momento; in tutti i casi non sono manovre da grande politica, perchè possono minare le future necessità di sicurezza della popolazione intra calderica.

Alla base della minore sensibilità verso il rischio eruttivo dettato forse pure da un bisogno psicologico di obliarlo, c'è la mancata percezione da parte dei sensi della pericolosità vulcanica. Un pericolo che ha rendicontazione analitica e non direttamente  percepita in assenza della colonna eruttiva, con processi informativi che coinvolgono varie istituzioni e amministrazioni spesso con linguaggi da pensiero unico sbilanciati su tutti i pericoli areali tranne quello vulcanico. 

Nel flegreo ci sono segnali geofisici e geochimici che possono essere inquadrati come prodromi preeruttivi. Ebbene, questi segnali tra l'altro non corroborati da statistiche valutative pregresse che potrebbero indicare la tendenza dei fenomeni, sono tutti presenti nel flegreo, e ultimamente si nota un incremento della fenomenologia  anche in ambito sub marino. Occorre chiarire però, che anche se siamo in presenza di squilibri geofisici e geochimici ben acclarati nel sottosuolo flegreo, questi segnali possono continuare per anni e senza che si manifesti una eruzione, così come in poco tempo potrebbero indicare una condizione pre eruttiva. In tutti i casi non ci sono garanzie deterministiche su quello che geologicamente può succedere...

A fronte di tante indecisioni sulla previsione del fenomeno eruttivo, nonostante rassicurazioni di prassi non vincolanti come testimoniano i bollettini emessi dall'osservatorio vesuviano, le uniche iniziative verso la sicurezza areale e che avrebbero un senso, riguardano la prevenzione strutturale come strategia passiva per ridurre il valore esposto (VE), e una concreta pianificazione di evacuazione come strumento attivo di protezione per separare in poche ore la popolazione dal pericolo eruttivo. 



Partendo dal presupposto che la caldera è fisicamente inamovibile, allora, per separare  gli uomini e le donne dal pericolo eruttivo, all'occorrenza prima che le dirompenze si manifestino con crudezza, occorre dare corso a un piano di evacuazione. Per forza di cose bisogna quindi agire sul valore esposto, cioè sulla popolazione (550.000 ab.),  che dovrà essere spostata all’occorrenza ad una distanza (d) di circa 10/15 chilometri dai confini della zona rossa vulcanica. La direzione comando e controllo (DICOMAC) del dipartimento della protezione civile ad esempio, organo direttivo che si attiverà modularmente per gestire il pre allarme, e integralmente in caso di allarme, è ubicata a circa 30 chilometri a nord est di Pozzuoli. Un luogo che, per posizione geografica e distanza, dovrebbe risultare immune dalle fenomenologie eruttive: non si può dire lo stesso per la sede dell'osservatorio vesuviano... In tutti i casi, anche a piedi, in circa 3 ore, c’è la possibilità di mettersi fuori portata dagli effetti più deleteri di un’eruzione vulcanica. Questo significa che la segnalazione di percorsi pedonali per uscire fuori dalla zona rossa, potrebbe essere una tattica estrema per non farsi cogliere impreparati qualora l'eruzione dovesse iniziare a manifestarsi in un contesto di circolazione automobilistica totalmente compromessa dal caos. D'altro canto la lapide di Portici del 1632 diretta ai posteri parla chiaro sui comportamenti da adottare quando si dimora nel raggio d'azione di un vulcano...




mercoledì 21 maggio 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il sottosuolo ribollente ... di Malko

 

i Campi Flegrei


Fare il punto sulla pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei con tutte le sue fenomenologie annesse e connesse è veramente cosa ardua, soprattutto analizzando le varie teorie scientifiche che sull’argomento spaziano su congetture a volte contrastanti tra loro.

Circa i processi di sollevamento del suolo, fenomeno meglio noto come bradisismo, gli scienziati sembrano concordare che sia imputabile alla massiccia presenza di acqua nel sottosuolo, di origine piovana, marina ma anche endogena che, investita dai fluidi roventi che si liberano dal magma, aumenta di volume per poi trasformarsi in vapore surriscaldato in una condizione super critica, che riesce a premere e deformare gli strati litoidi verso la parte maggiormente cedevole. Saranno proprio questi spessori rocciosi che si deformano fino a raggiungere il punto limite di rottura a produrre onde sismiche con ipocentri spesso localizzati geograficamente nell'area bradisismica. Questa zona è il settore maggiormente colpito dai terremoti che, per duttilità delle rocce calde e fratturazione della crosta, dovrebbero essere di magnitudo contenuta. Purtuttavia stante la superficialità degli ipocentri, i sismi si presentano con scuotimenti crostali vigorosi. Ovviamente la differenza in termini di danni la fa poi la qualità degli immobili.

Pozzuoli: zona bradisismica (celeste) e zona bradisismica ristretta (lilla)

Il punto di massima deformazione e forse di cedevolezza degli strati rocciosi che caratterizzano i primi chilometri del sottosuolo, sembra  corrispondere più o meno al Rione Terra (Pozzuoli), che tra l’altro lascia registrare l'apice del sollevamento con circa 145 centimetri apprezzabili anche visivamente all’interno della darsena pescatori, che presenta chiazze di fondale marino oramai all'asciutto.


Pozzuoli: darsena pescatori.

La platea di accademici che si interessa all'area flegrea, pare che concordi sul fatto che il crogiolo di interazioni termo dinamiche sia localizzato a circa 3 – 4 chilometri dalla superficie. Per pressioni e temperature, l'acqua che circola nel sottosuolo si troverebbe in una condizione supercritica, anche per il calore intenso che non si può escludere possa provenire pure da filaccioli di magma spintisi a questa quota, che riscaldano direttamente o indirettamente i fluidi in circolazione, mantenendo alto pure il rischio di eruzioni freatiche. 

I punti scientifici di maggiore incertezza riguardano proprio la posizione del magma, cioè la sua quota e la sua influenza diretta sul bradisismo. In molti lo pongono naturalmente nella camera magmatica a circa 8 - 9 chilometri di profondità. Altri ritengono che si sia espanso in forma intrusiva pure a circa 3 chilometri nel sottosuolo. Altri ancora non escludono e non confermano questa possibilità, mentre Il dipartimento vulcani dell’INGV, ha escluso categoricamente che ci sia magma a basse profondità nel flegreo, volendo così sottolineare che nel breve non c'è pericolo eruttivo e fino a prova contraria. 

Questa certezza gradita agli amministratori della zona rossa, non è affatto tranquillizzante, perché nell’eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C. il magma assurse in superficie direttamente dalla camera magmatica ubicata a quote miriametriche e in pochissimo tempo. Il dipartimento vulcani dell'INGV potrebbe allora chiarire meglio se nei Campi Flegrei è possibile che possano verificarsi meccanismi eruttivi simili a quelli citati per il Vesuvio, e se rimarcano e confermano l’idea che, per giungere a un evento eruttivo, occorre che il magma nei Campi Flegrei in prima battuta si accumuli ad alcuni chilometri dalla superficie per poi dirompere in seguito ad ulteriori sollecitazioni.

Tutt’acqua! dicono alcuni scienziati, mentre gli amministratori locali e regionali aggiungono che l’edificato nella zona bradisismica generale e ristretta ha retto bene ai recenti sommovimenti simici del 13 maggio 2025: ed è una buona novella. Una dichiarazione rassicurante rilasciata a favore di telecamera, forse per depotenziare l’intenzione del ministro Musumeci di dichiarare lo stato di emergenza, che prevede anche disposizioni vincolanti per amministratori e popolazione.

La volontà di dichiarare lo stato di emergenza a cura del ministro, è stata nell'odierno superata, perché Musumeci ha dovuto desistere, pare a seguito di forti pressioni provenienti dal territorio, affinché non si procedesse con lo stato di emergenza in nome della stagione turistica da salvaguardare... Occorre prendere atto allora, che anche nel campo dei rischi vige la filosofia che la sicurezza non è il bene assoluto, ma va miscelata secondo criteri costi benefici, spesso reclamati dagli stessi amministratori che battono però cassa innalzando quella stessa bandiera inibita a Musumeci. Da un punto di vista tecnico, la logica dei costi benefici potrebbe essere accettabile, nel nostro caso solo se si è fatto tutto il possibile per evitare di aggiungere anche una sola persona in più nella calderopoli ad alto rischio vulcanico: diversamente è puro cinismo… Da questo punto di vista, temiamo sortite cementizie sulla spianata di Bagnoli, in nome della gara velica più importante del mondo che si terrà a Napoli tra un paio d'anni.

Campi Flegrei: la spianata di Bagnoli.


In assenza di pareri scientifici circa i meccanismi e i tempi di risalita del magma da quote profonde, ogni disquisizioni che possa rassicurare concretamente i cittadini circa l’efficacia della iper strumentazione altamente tecnologica dislocata nei Campi Flegrei, rimane puro esercizio retorico. Gli strumenti, dicono, possono fornire dati molto precisi ancorché utili per consentire agli organi di vigilanza di interpretarli cogliendo così sul nascere eventuali movimenti  ascensionali del magma.

Vien da pensare, poi, che, se il  bradisismo nasce dall'associazione dei due fattori: acqua e calore, l'attuale recrudescenza in termini di intensità sismica e riduzione degli intervalli di quiete, potrebbe trovare causa o concausa nei dinamismi che riguardano alla fine il gradiente calorico. Il dato in tal senso lo fornisce la sorveglianza satellitare, che ha riscontrato nei Campi Flegrei un aumento di temperatura al suolo nei giorni che precedono terremoti più intensi del solito.  

La dissertazione circa la presenza o meno del magma in forma intrusiva nei primi chilometri, non ha un particolare seguito, perché la questione viene ricondotta a un dibattito scientifico orientato più sulla genesi del bradisismo che sul pericolo eruttivo. Un'attenta riflessione però, dovrebbe portare a comprendere che siamo in presenza di un grosso errore di metodo, perché la fenomenologia bradisismica potrebbe essere il cavallo di Troia che introduce il rischio eruttivo su oltre mezzo milione di persone, senza che queste nel concreto se ne avvedano, perché diversamente dai terremoti, la popolazione non percepisce fisicamente il pericolo eruttivo, e quindi si concentra maggiormente su quello che avverte (sismi) direttamente, soprattutto se è orientata a farlo dagli organi d'informazione.

Generalizzando, le autorità scientifiche e amministrative e istituzionali ad eccezione del ministro Musumeci che ci sembra abbastanza attento al pericolo eruttivo, pare che guidino l’informazione  prevalentemente verso l'indirizzo sismico bradisismico, perché è un fenomeno che offre sponda alle logiche delle riqualificazioni edilizie da sovvenzionare con denaro pubblico. Nel flegreo si sono formate non poche associazioni di cittadini che plaudono e invocano la resilienza territoriale attraverso l'impegno economico governativo. Stranamente il comitato partenoflegreo ma anche i comitati cittadini, giudicano plausibile investire nella caldera del super vulcano, perché gira la convinzione che una volta abbattuto il rischio sismico con manufatti antisismici, i Campi Flegrei possono considerarsi un luogo dove poter vivere e crescere i propri figli con maggiore sicurezza. Una sicurezza in verità che, per quanto auspicabile, nessuno può garantirla in questi luoghi caratterizzati da incertezze geologiche di taglio severo. Una serie di segnali  porta a ritenere che nel sottosuolo calderico ci siano dei dinamismi che si evolvono di continuo, e che sono ancora tutti da decifrare e definire su quella che potrebbe essere una possibile aumentata pericolosità o viceversa... 

D'altra parte la popolazione flegrea poggia la cosiddetta resilienza su un punto fondamentale che è anche la foglia di fico per alcuni personaggi pubblici, che non vogliono prendere coscienza di certe verità scomode. Il primo elemento in assoluto è la moral suasion scientifica, che riferisce di essere in grado di rilevare l'eventuale e minacciosa risalita del magma dal profondo, attraverso la migliore tecnologia strumentale caratterizzata da stazioni multi parametriche oggi rifinanziate. Certamente non si può escludere l'auspicato successo previsionale, anzi: ma rimane pur sempre l'incognita della bocca o delle bocche eruttive, così come il rischio freatico e del sollevamento dei suoli e delle emanazioni gassose e della sismicità locale. I fenomeni nel flegreo termineranno quando la fornace magmatica si spegnerà: purtroppo, si teme che questo non avverrà nei prossimi anni.

Un altro caposaldo che si sta facendo strada, riguarda invece l'evacuazione che rimane all'occorrenza l'unica misura di tutela dal rischio eruttivo. Dall'intergruppo sviluppo sud, aree fragili e isole minori, si sta diffondendo con un  discreto battage la proposta di modificare i piani di evacuazione attuali per rendere fattibile in caso di necessità, l'allontanamento delle popolazioni napoletane soggette a rischio vulcanico, verso le aree interne spopolate della Campania, con trasferimenti autonomi a mezzo autovetture. Una modalità obbligata diremmo, perché le vie e i mezzi di comunicazioni con l'entroterra campano sono veramente minimi...

L’intergruppo attraverso la fondazione convivenza Vesuvio, pare abbia già favorito la stipula di protocolli d’intesa con diversi comuni dell’area vesuviana proponendo fin d’ora al dipartimento della protezione civile, esercitazioni con la partecipazione nella prima tornata dimostrativa di almeno 10.000 cittadini. È nella logica delle cose che ciò che si propone per l’area vesuviana verrà prestissimo riproposto anche per i Campi Flegrei. 

Quella di instradare le popolazioni in fuga dall'emergenza vulcanica verso una serie di comuni del casertano e del beneventano e dell'avellinese e del salernitano, può essere sicuramente una misura che potrebbe andare incontro alle esigenze della popolazione che non vuole essere dirottata a tempo indeterminato verso altre e lontane regioni.  In realtà la ricollocazione dei cittadini allontanabili per motivi di sicurezza, dovrebbe essere un passo successivo all'emergenza e fuori dalle logiche e dai momenti emergenziali... 

Probabilmente e con questa premessa, una tale iniziativa dovrebbe essere gestita da organizzazioni diverse dalla protezione civile, e maggiormente attinenti al governo del territorio. Il dipartimento della protezione civile ha già la necessità di perfezionare il piano di evacuazione esistente che presenta bug operativi, ma non si può stravolgere il minimo esistente in nome di una collocazione regionale al momento più che approssimata ancorché di dubbia efficacia. Occorre ricordare che gli abitanti rimasti nei comuni dell'entroterra campano sono i custodi di tradizioni ultra secolari che non possono e non devono essere sconvolte da chi in quel territorio magari deve viverci ma non per scelta. La nostra impressione è che l'iniziativa ancora da definire di allocare le popolazioni in fuga nei comuni dell'entroterra campano, non ha presupposti di fattibilità pratici ma solo teorici. In seno a un'emergenza vulcanica, la filosofia dell'accoglienza prevede ospitalità in luoghi sicuri che, pur tra mille difficoltà, hanno capacità di erogare servizi essenziali che fanno parte della nostra vita ordinaria: scuola, lavoro, sanità e mobilità.  Se ci fossero stati questi elementi, queste zone appenniniche probabilmente non si sarebbero spopolate...

Il sindaco di Portici è un esempio di simpatica scaltrezza operativa. Rispetto agli altri colleghi vesuviani, pare che si stia muovendo in proprio per trovare in caso di emergenza vulcanica, intese di perdurante ospitalità nei comuni  costieri cilentani...





domenica 23 marzo 2025

Il super vulcano dei Campi Flegrei: le nuove fasi operative e i nuovi livelli di allerta vulcanica... di MalKo

 

Il vulcano Solfatara - Le stufe - Pozzuoli


La problematica delle emanazioni gassose dal sottosuolo è ben presente nei territori vulcanici dei Campi Flegrei, e si registra soprattutto nell’area puteolana e nei territori viciniori. Il lago d’Averno (Avernus) per esempio,  era noto fin dall’antichità storica per il fatto che gli uccelli evitavano quel luogo per le notevoli e nocive esalazioni pestilenziali che si liberavano dal lago insieme all’anidride carbonica che però è inodore. 

I pesci, hai loro, non potendo evitare la permanenza in questo luogo mitico oramai chiuso al mare, purtroppo e non raramente capita, oggi come ieri, che muoiano in una certa quantità, per effetto delle esalazioni di idrogeno solforato: prodotto quest'ultimo altamente tossico per gli organismi acquatici, che si libera dal profondo del lago, soprattutto dopo  sussulti sismici. Le emanazioni gassose in terra flegrea erano un fenomeno conosciuto da tempo immemore, e sono tuttora una caratteristica della zona. 

Nel comprensorio dei Campi Flegrei, e soprattutto nel puteolano e nel napoletano occidentale, succede che l’anidride carbonica rilasciata dalla massa magmatica si fissa alle rocce porose e si mescola all’acqua circolante nel sottosuolo per effetto delle pressioni. Con lo shakeraggio crostale assicurato dagli sciami sismici poi, si verifica un aumento della quantità di prodotto gassoso che riesce a liberarsi dai fluidi e dalle sacche di accumulo, che alcuni lavori scientifici posizionano prevalentemente a circa 4 km. Da qui i gas confluiscono fino in atmosfera, attraverso le macro e micro fratturazioni crostali, sospinti dalla notevole pressione di giacimento. Una volta all’aperto, in assenza di ulteriore spinta motrice, l'anidride carbonica residua ristagna al suolo, visto che il peso specifico di questo gas è superiore a quello dell’aria soprattutto se è freddo.

Il rilascio di anidride carbonica è una costante in questi territori flegrei, che registrano emanazioni gassose nell'aria molto accentuate, addirittura in aumento negli ultimi decenni, secondo parametri che sarebbero più affini a un vulcano attivo piuttosto che quiescente. La preoccupazione sussiste non solo per le intrusioni dei gas che si liberano dal terreno e trapelano nell'aria, ma soprattutto quando riescono a infiltrarsi in ambienti confinati, come possono esserlo cantine, e sottoscala, garage e seminterrati, soprattutto in quelli che presentano pavimenti in terra battuta, oppure con spessori minimi di copertura del suolo realizzato con cemento ancorché segnato da lesioni o dotato di fughe perimetrali evidentemente dilatate. Anche i vespai a pietre possono diventare vie di propagazione per questo gas, che è pericoloso anche in ambienti confinati per il solo perimetro laterale pur in assenza di una copertura. I pozzi scavati in zona poi, possono essere il luogo ideale per la concentrazione di questo gas.

Per motivi di sicurezza il pericolo rappresentato dall’anidride carbonica stagnante non può essere sottovalutato ma neanche drammatizzato, soprattutto se si conosce la problematica e si dimora lontano dalle sorgenti di emissione più importanti, come può essere la zona di Pisciarelli e della Solfatara e in alcuni punti della conca di Agnano. Ci sembra poi che sussista una certa corrispondenza tra il perdurare degli sciami sismici che scuotono la crosta chilometrica, cosa che reca seco nuove fratture, e la dispersione del prodotto gassoso in superficie. Quindi l'attenzione deve essere massima in questi frangenti, anche perché il problema può presentarsi pure dove prima non c'era, atteso che la crosta della caldera è lesionata, sfibrata e ammollita. 

L’anidride carbonica trattandosi come detto, di un gas più pesante dell’aria, tende a stagnare sul fondo del "contenitore", depositandosi con altezze crescenti, soprattutto quando sul punto di immissione c'è ancora pressione residua e il gas non riesce a trovare vie di fuga dall'ambiente in cui è penetrato. Se le emanazioni gassose defluiscono all’interno di un avvallamento del terreno, o comunque in una palese depressione del piano campagna, il rischio asfissia potrebbe estendersi a tutta la superficie concava in assenza di ventilazione. 

Presumibilmente il maggior deflusso dell’anidride carbonica dal terreno o dalle polle o dalle fessurazioni, si dovrebbe riscontrare e per i motivi addotti in precedenza, in concomitanza con i fenomeni sismici maggiormente energetici. Ricordiamo alla stregua la bottiglia di acqua frizzante sbatacchiata: il gas contenuto nel liquido tenderebbe a dissociarsi generando pressione tra lo strato d’acqua e il tappo. In questo caso la resistenza della bottiglia conterrebbe la pressione del gas: se aprissimo il tappo o lesionassimo l’involucro però, ci sarebbe una repentina fuoriuscita dell’anidride carbonica al punto da generare un effetto dirompente e adescante che richiamerebbe anche liquido verso l’esterno…

Intanto occorre precisare che l’anidride carbonica non è un gas infiammabile e neanche tossico, tant’è che lo gradiamo nelle bibite e lo si usa pure nell’antincendio. La sua azione deleteria è rapportata al fatto che, occupando uno spazio confinato anche, come detto, solo perimetralmente, il gas si sostituisce progressivamente e per accumulo all’aria scacciandola da quell’ambiente. In questo caso tutti gli esseri viventi che generalmente utilizzano l’ossigeno presente nell’aria per respirare, avrebbero difficoltà crescenti a sopravvivere, se lo spazio entro cui si sono introdotti è appunto pieno di gas asfissiante, che in tutti i casi in condizioni di  abundantiam  potrebbe legarsi al sangue per difetto di circolo respiratorio.

Non molti anni fa perì una famiglia di turisti in visita alla Solfatara, perché si calarono in un misurato anfratto del terreno per porre in salvo il figlio che era accidentalmente caduto nel fosso. Morirono tutti e tre  velocemente secondo alcune disastrose logiche (like a stroke of lightining), che vedono i soccorritori soccombere a catena se non intuiscono subito la natura del pericolo gassoso: in quel buco l’anidride carbonica era a un livello di totale saturazione, e quindi non ci fu scampo. Sembrerà strano, ma il 50% delle morti per accesso in ambienti invasi da gas riguarda proprio i soccorritori improvvisati che agiscono d'istinto per nobile altruismo, mentre il rimanente 50% dei decessi è in capo alle vittime.

In caso di forti concentrazioni di questo gas poi, neanche con le maschere a filtri specifici ci si può garantire la sopravvivenza, perché la carenza di ossigeno sotto il 16% darebbe origine in ogni caso a problemi respiratori crescenti. Probabilmente utilizzando un estrattore assiale con tubo aspirante posizionato a pochi centimetri dal suolo, capace di convogliare all'esterno dei locali sottoposti alla strada gli inquinanti contenuti nel vano, potrebbe essere una soluzione per mitigare il problema. Ancora meglio se l'accensione del dispositivo sia automatica e quindi azionato da un rilevatore di gas con allarme sonoro.

L’anidride carbonica oltre ad essere un gas asfissiante, ha anche prerogative di attacco alle strutture in calcestruzzo, attraverso fenomeni di degradazione di malte e ferri dovuti anche al fenomeno della  carbonatazione e pure della solfatazione che accelera processi di espansione dirompenti e fessurazioni che deteriorano malte e tondini acciaiosi che attraversano travi e pilastri. Un processo di degradazione che può avere una certa importanza, soprattutto se i manufatti sono ubicati nelle zone prossime alle sorgenti vulcaniche che rilasciano appunto anidride carbonica e idrogeno solforato. Sul litorale poi, concorre anche l’opera di degradazione dettata dalla salsedine, soprattutto se sono carenti le manutenzioni protettive delle superfici ferrose e in cemento armato. Questo vuol dire che nei Campi Flegrei l’attenzione a queste problematiche dovrebbe essere puntuale e doverosa attraverso la realizzazione di opere di buona qualità.

La commissione grandi rischi d’intesa col dipartimento della protezione civile, ha in corso di elaborazione i nuovi livelli di allerta vulcanica, che contemplano in primis tra i pericoli naturali presenti nei Campi Flegrei, quello vulcanico, ma anche il fenomeno delle emanazioni gassose dal sottosuolo, il sollevamento del suolo e gli eventi simici. La novità di questa tabella dei quattro colori che si diversificano nel giallo e nell'arancione per due caselle aggiunte, riporta pure lo stato del vulcano. Un metodo per definire pur rimanendo nell'ambito delle incertezze, una pericolosità a scalare, utilizzando degli intermedi riferibili alla intensità dei fenomeni registrati, le cui tendenze non sono preventivabili.


I nuovi livelli di allerta vulcanica

Questi nuovi livelli di allerta hanno un pregio: dimostrano intanto una cosa determinante e che fino a ieri era considerata impronunciabile soprattutto dal comitato partenoflegreo. La sismicità, il sollevamento del suolo e quindi il rilascio più o meno massivo di gas di origine magmatica come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato, vengono interpretati di fatto come possibili precursori di un’eruzione vulcanica, e non di fenomeni a sé stanti che esulano dal rischio eruttivo. D'altro canto il piano elaborato per fronteggiare il bradisismo coi suoi 3 livelli d'intervento, è un piano post evento, che si rifà ai danni strutturali e infrastrutturali inflitti all'edificato dalle inclemenze geologiche, leggasi sismicità indotta dal bradisismo, senza per questo chiamare in causa alcun rapporto o nesso col rischio vulcanico, in quanto i bradosostenitori non contemplano alcuna implicazione del magma, che lo collocano più o meno staticamente localizzato a oltre 8 chilometri di profondità. L'ultimo lavoro scientifico invece (Tracking the 2007–2023 magma-driven unrest at Campi Flegrei caldera (Italy)), chiarisce tra le ipotesi, che non è possibile escludere la presenza di magma a circa 4 chilometri di profondità.  Il confronto scientifico sulla profondità del magma e sulle cause del bradisismo è tutt'ora aperto.

Tra i colori è stata aggiunta pure la colonna:<< Tempo di persistenza previsto nel livello (grado di incertezza)>>, che nelle vecchie tabelle dei primi anni novanta veniva chiamato tempo attesa eruzione. Non si riportano soglie ben definite oltre la quale far scattare il gradino successivo di allerta, anche perché il Prof. Coccia, presidente della commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, ha chiarito che ci sono ancora molte incertezze da dissipare. 

Questa nuova tabella potrebbe rispondere meglio alle esigenze informative da garantire alla popolazione, perchè ricorda a molti che l'area flegrea è multi rischi. Diciamo subito che nonostante l’ampliamento della legenda all’interno dei colori, in realtà da una prima lettura ci sembra di capire che la condizione di disequilibrio medio (giallo II), e quella di disequilibrio forte (Arancione I), in una qualche misura  quasi si equivalgano, e quindi sono comprensibili i timori dei cittadini.

La sensazione che si riceve è quella che l’autorità scientifica nella sua massima conformazione che è appunto quella della commissione grandi rischi, voglia sottolineare tutte le problematiche esistenti nei Campi Flegrei senza nascondere una certa incertezza sulla valutazione dei fenomeni potenziali o in atto, dovuta alla mancanza di soglie strumentali da comparare agli episodi eruttivi precedenti che vanno molto indietro nel tempo. Nella riunione di presentazione dei nuovi livelli, non sono state palesate certezze e  rassicurazioni, perché in esame c'è un'area che si caratterizza per un sottosuolo sub calderico dinamico e complesso. In tutti i casi le autorità confermano la vigilanza scientifica diuturna dell'area, effettuata con strumenti all'avanguardia. Sembrerà strano, ma questa è la prima volta che si inizia a scrivere la prima pagina del registro delle dinamiche dei disequilibri geologici che caratterizzano il sottosuolo dei Campi Flegrei, utilizzando precisi dati strumentali..  

Il dipartimento della protezione civile invece, vuole soprattutto condividere con le amministrazioni locali e con le popolazioni insediate nella caldera, tutti gli aspetti che accompagnano la stesura di questi nuovi livelli e con essi le indicazioni contenute nelle fasi operative: certamente come atto dovuto, ma anche per evitare critiche a posteriori raccogliendo magari e nel contempo pure qualche  suggerimento utile.    

Nell'insieme il quadro istituzionale potrebbe essere riassunto come segue: le autorità scientifiche e dipartimentali sono consapevoli di tutta la fenomenologia che caratterizza la caldera flegrea. In assenza di soglie strumentali però, una certa e importante discrezionalità valutativa per stabilire il passaggio tra i vari livelli di allerta vulcanica, come sempre rimane necessariamente manuale e a cura degli esperti della commissione grandi rischi… Sulla scorta di questi nuovi livelli, è stata pure abbozzato il prospetto delle fasi operative strettamente legate all’evoluzione dei livelli di allerta vulcanica.

Nuove Fasi operative

Un dato che emerge è quello che la direzione comando e controllo (DICOMAC), si riunirebbe in misura ridotta nella fase di primo preallarme arancione, che andrebbe a caratterizzarsi per un forte disequilibrio geochimico e geofisico del vulcano. In questo caso l'operatività della DICOMAC, sarebbe finalizzata a gestire le attività di messa in sicurezza dei beni culturali, e lo sfollamento di ospedali e carceri, ma anche della popolazione che decide di allontanarsi per utilizzare il CAS, cioè il contributo di autonoma sistemazione, che si attiverebbe appunto nel primo livello arancione.
Nel secondo livello arancione invece, cioè di disequilibrio molto forte del vulcano, la DICOMAC sarebbe al completo, e in questa fase si allontanerebbero le popolazioni gravanti nelle zone a maggior rischio a fronte di tutti i fenomeni menzionati nei nuovi livelli. Con l'allontanamento spontaneo della popolazione al raggiungimento del primo livello arancione, e a seguire col secondo livello arancione, di tutti i residenti dimoranti nelle zone a maggior pericolo previsto nella fase successiva, si ridurrebbe di molto il numero complessivo degli abitanti da evacuare allo scattare di una possibile fase di allarme geberale.

Secondo il dipartimento della protezione e la commissione grandi rischi, lo stato attuale del super vulcano Campi Flegrei, caratterizzato da una serie di fenomeni accentuati, naturali perduranti, è più correttamente classificabile come una condizione di disequilibrio medio; in altre parole, il livello di allerta vulcanica attuale, ha raggiunto pur permanendo nel giallo, il massimo livello di attenzione.

Interessante pure il dato riferito dal capo dipartimento della protezione civile, circa una interlocuzione congiunta del dipartimento, con la commissione e con i sindaci flegrei, in modo da condividere il work in progress scientifico e tecnico con gli amministratori deputati alla gestione del territorio, che purtroppo ancora non prendono provvedimenti per limitare l’urbanizzazione anche fuori dall’area bradisismica… 

Nel paesi vesuviani, quando fu varata la legge (21/2003) che proibiva la realizzazione di nuove opere ad uso residenziale nella istituita zona rossa, subentrò il boom cementizio nei paesi immediatamente confinanti con essa. Comuni come Scafati, Poggiomarino e Volla ad esempio, hanno scoperto l'oro grigio grazie ai vesuviani che cercavano casa in luoghi prossimi ai nuclei familiari storici, oramai ricadenti nella zona a massima pericolosità vulcanica. Questi cittadini si accontentarono e si accontentano di acquistare residenze in zone soggette, in caso di eruzione, a massiccia pioggia di cenere e lapilli, senza contare la beffa, semmai e come si presume, che si debba allargare la zona rossa per una rivalutazione del rischio pliniano: in tal caso non pochi si ritroverebbero di nuovo al punto di partenza. 

Nel flegreo, in assenza di un decreto regionale simile a quello vesuviano che dovrebbe riguardare l'intera zona rossa vulcanica, si tenterà di acquistare o costruire o ricostruire abitazioni appena fuori dalla zona rossa bradisismica, perché negli ultimi anni è passato il concetto che tutti i problemi geologici nei Campi Flegrei ruotano per intero  intorno al Rione Terra di Pozzuoli e zone limitrofe. 

La logica vorrebbe che se le autorità scientifiche e amministrative abbiano certezze in tal senso, così come sulla portata dell'eruzione futura, indicata da alcuni autorevoli personaggi come simile a quella del 1538, sarebbe il caso di procedere al ridimensionamento della zona rossa vulcanica flegrea, per evitare palesi contrasti tra la vigente classificazione della zona come ad alta pericolosità, senza provvedimenti amministrativi e conseguenziali capaci di mitigare attraverso la prevenzione il rischio eruttivo. 

In realtà non è possibile aspettare che prima si abbattano e si costruiscano in zone contigue i palazzi inabitabili della zona bradisismica, o che si accendano tutte le betoniere in quel di Bagnoli prima di imporre divieti al cemento residenziale per dare spazio al progetto di riqualificazione dell'ex area industriale, che rimane e fino a prova contraria, ad alta pericolosità vulcanica. D'altro canto e spiace dirlo, servono a poco pure i sit-in di protesta o le occupazioni delle sedi comunali, perché il problema è scientificamente irrisolvibile, in quanto i fattori naturali non possono essere piegati alle necessità della collettività stanziale. Quindi non è possibile dare certezze assolute in quest'area che appartiene al super vulcano: non ci sono garanzie, e quindi neanche l'apertura del portafoglio governativo con un sisma bonus rinforzato  può assicurare quella auspicata resilienza al riparo dai molteplici rischi insiti in questi territori ballerini...

Da un punto di vista della prevenzione strutturale del bradisismo, e solo del bradisismo, alcuni ricercatori suggeriscono la realizzazioni di pozzi e similari, da realizzare nel sottosuolo flegreo, più o meno a una quota d’interfaccia tra magma e spazio occupato dai gas ( 3 - 4 Km.), in modo da degassare il sistema, riducendo così la spinta crostale verso l'alto. In altri casi si propone il prosciugamento in alcuni siti delle acque che caratterizzano la circolazione sotterranea, in modo da togliere, più o meno e concettualmente, acqua alla caldaia magmatica che la trasforma in vapore surriscaldato. 

Nel primo caso riteniamo, e solo come opinione, che sarebbe un po' rischioso realizzare strutture degassificanti, classificabili come una sorta di sfiatatoi, magari perché i luoghi in questione sono fortemente urbanizzati e disequilibrati e già sottoposti a rischio alto di eruzioni freatiche. D’altro canto poi, il prelievo delle acque calde e fredde circolanti nel primo sottosuolo chilometrico, proposta questa fortemente innovativa, forse potrebbe presentare delle criticità ambientali, perché le acque emunte potrebbero modificare equilibri, e in tutti i casi potrebbero non essere idonee all'aspersione sui terreni o nel mare in quanto inquinate.