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giovedì 25 giugno 2015

Rischio Vesuvio: l'ospedale del mare in zona rossa... di MalKo




L'ospedale del mare - Ponticelli (Napoli) -

L’Ospedale del mare, il grande nosocomio dell’Italia meridionale ubicato a Napoli nella zona rossa Vesuvio, è stato al centro di notevoli polemiche perché ovviamente lo si poteva costruire in un’area non soggetta all’invasione dei flussi piroclastici in caso di eruzione vulcanica.
Alcune maestranze hanno affermato che pur se ne avessero avuto la possibilità lo avrebbe comunque ricollocato in quella precisa posizione, perché i cittadini del vesuviano hanno diritto ad essere curati così come ad avere altri tipi di servizi quali scuole e tribunali. Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda i vertici del dipartimento della protezione civile…
Questa valutazione potrebbe avere una logica politica ma non tecnica, perché chi opera nel campo della sicurezza sa bene che ci sono strutture che hanno un ruolo particolarmente attivo nelle emergenze e quindi rappresentano una risorsa rispetto ad altre che lo sono meno o per niente.
In molti dicono che l’ospedale del mare doveva essere costruito in via argine, nei pressi degli uffici della motorizzazione civile. Non conosciamo le situazioni amministrative e di edilizia che hanno spinto il comune di Napoli e la Regione Campania a valutare una diversa collocazione del nosocomio costruito poi a Ponticelli in piena zona rossa. Non escludiamo però, che una siffatta decisione sia scaturita anche sulla base di tardive considerazioni circa la eccessiva contiguità che avrebbe avuto il mega ospedale nella destinazione iniziale, con la parte industriale orientale di Napoli, che in quei luoghi probabilmente prevedeva e prevede ancora strutture di stoccaggio di carburanti e gas. D’altra parte però, se queste sono le motivazioni per giustificare la posizione attuale dell’ospedale del mare, dobbiamo annotare che indubbiamente in termini di strategia preventiva non è stato fatto il possibile. Non saranno mancati gli strutturisti e i collaudatori al progetto, ma è mancata una elementare valutazione complessiva di ingegneria o architettura ambientale dando così seguito allo scellerato concetto che si dà peso a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce. Il complesso, vero bunker tutto cemento e ferro, purtroppo ricade in un contesto territoriale poco sicuro perché le colate piroclastiche hanno una capacità insinuativa e distruttiva di prim’ordine…
E’ opportuno precisare che scuole e tribunali, e ancora supermercati e parchi e palestre e piscine e teatri e università e biblioteche e cinema e parcheggi, possono anche costruirsi in zona rossa Vesuvio, ma non si possono seguire tesi indifendibili a proposito di oculata scelta di localizzazione del nosocomio, perché la sua ubicazione in zona ad altissimo rischio non solo priva i soccorritori in caso di pericolo vulcanico di una risorsa primaria, ma addirittura il complesso sanitario si rivelerebbe una pesante zavorra operativa, senza contare le mille incertezze in una situazione di pre allarme. Qualche alternativa del resto c’era…Ancora di più se si analizzano gli spazi da rivalutare e riurbanizzare proprio nel settore orientale di Napoli, dove esistono progettualità residenziali e di servizi molto ampie che si spingono fino ai limiti della linea nera in un settore che è stato completamente avulso dal rischio colate che conta zero fino allo steccato Gurioli.
Il segmento obliquo è la linea nera Gurioli. A destra
il Vesuvio e a sinistra la città di Napoli
Fino a quando non veniva perimetrato il settore vulcanico a maggiore pericolosità attraverso l’adozione della linea nera Gurioli, segmento curviforme e geo referenziato, si giocava spesso sull’equivoco della reale e precisa ubicazione del presidio sanitario del mare: è fuori; è ai limiti; metà e metà; ecc… Il dubbio è stato fugato e sulla cartografia ufficiale è possibile constatare che la struttura ricade interamente nella zona rossa a maggior pericolo vulcanico (figura a lato).
Le politiche di sicurezza richiedono conoscenza e strategie e anche un minimo di fantasia creativa. Per quello che stiamo appurando in termini di pericolosità vulcanica, con la tardiva scoperta che Napoli è una metropoli stretta tra Vesuvio e Campi Flegrei, bisognerà mettere insieme e al più presto, un’equipe di architetti nazionali e magari internazionali, ed esperti di altri rami, per dare vita a un consesso multidisciplinare (magari della comunità europea) capace di tracciare le future linee guida necessarie alla rielaborazione dello sviluppo urbanistico e del riordino territoriale della metropoli partenopea che dovrà attuarsi nei prossimi cento anni: pace geologica permettendo. Non è un auspicio, ma una necessità improcrastinabile che dobbiamo per onestà e umanità assicurare come lascito alle generazioni a venire.

Il mega ospedale dovrebbe essere ricostruito a nord, lontano dai distretti vulcanici, e quello attuale potrebbe essere magari adibito a polo universitario così da strappare alcune facoltà da una eccessiva promiscuità con zone ad altissimo indice di malessere sociale…Contemporaneamente e tra le tante altre cose, bisognerebbe dare impulso alla creazione delle aree atterraggio elicotteri nel vesuviano, per garantire interventi aerei di soccorso sanitario (eliambulanza) che andrebbero ad arricchire i servizi dei presidi stabili. Questo delle elisuperfici è un input sempre disatteso, perché quasi tutti sono convinti che un campetto di calcio sterrato è per sua natura una ideale area di atterraggio elicotteri. In realtà non è così, perché le turbine aspirano e ingurgitano ciò che sollevano, e il rotore nel momento di massima spinta cappotta baracche, panchine a volte veicoli leggeri e in altri casi ancora divella il prato artificiale e lamiere dalle recinzioni.  Tra l’altro molti non sanno che un elicottero dovrebbe decollare e atterrare come gli aerei, perché se tali operazioni le effettua in volo verticale, si pone in una condizione di fuori sicurezza.
Il sentiero di discesa per elicotteri dovrebbe avere questa incidenza per operare in sicurezza.

Quindi, i campetti di calcio con alte recinzioni e con il lato maggiore non in linea con i venti principali, non sono l’ideale per le operazioni aeree, soprattutto se i velivoli operano a pieno carico. D’altra parte non si può pianificare il soccorso indicando genericamente aree non idonee che potrebbero essere usate solo come ultima chances dagli equipaggi chiamati a intervenire in gravi situazioni…Distinguiamo allora aree occasionali da aree pianificate magari con segnale di località a lettura verticale, utile in un contesto di edificato senza soluzione di continuità come quello vesuviano. L’elicottero, in sintesi, può anche atterrare su una cabina telefonica, purché non abbia ostacoli rilevanti sulla direttrice di atterraggio e decollo.

Un piano regionale di elisuperfici multifunzioni dovrebbe essere varato. I comuni che riteniamo debbano dotarsi di strutture d'atterraggio permanente dovrebbero essere innanzitutto quelli che, per conurbazione e posizione e densità abitativa, presentano più di qualche criticità. Rimanendo sulle tematiche di rischio Vesuvio, citiamo sicuramente San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco. Ovviamente la problematica dovrebbe riguardare un po’ tutti i comuni che vogliono operare nel senso della pianificazione e che possono intanto individuare e vincolare nei loro piani urbanistici quelle aree che si presterebbero bene per i servizi aerei ad ala rotante. Nel vesuviano si è in linea con i venti dominanti con l’asse cardinale più o meno orientato 06° - 240°…

Portici partì molto bene negli anni ’90 con l’individuazione di due elisuperfici: una sul mare e un’altra a ridosso dell’autostrada in pieno centro. La prima ( ENEA) forse è rimasta agibile e la seconda è stata fagocitata dalla costruzione del maxi casello autostradale Portici - Ercolano. Se non è stato lasciato un serio varco d’emergenza per l’ingresso in autostrada verso Napoli, i porticesi possono ben ascriversi una pianificazione da danno e beffa…



mercoledì 17 giugno 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei : deep drilling project e geotermia Scarfoglio...di MalKo


Tempio di Serapide - Pozzuoli

Le operazioni di trivellazione del suolo e del sottosuolo, in mare e in terra, pare siano diventate il business della nuova economia mondiale, con torri perforanti che s’innalzano e s’innalzeranno dai deserti alle coltre polari, dalle tundre ai mari e finanche nelle spianate vulcaniche. Tra un paio di secoli trivelleremo pure i pianeti…Si cerca spasmodicamente petrolio o gas o fluidi caldi o chissà cosa da convertire in calore ed energia sonante… Una necessità è vero, ma non siamo ancora al punto da dover mollare tutte le garanzie di sicurezza.
Il sottosuolo è un ambiente sconosciuto, e in alcune località del mondo le perforazioni in qualche caso hanno causato danni catastrofici, come quelle che nel 2010 caratterizzarono l’inquinamento nel Golfo del Messico, con l’asfaltatura dei fondali marini, o le inarrestabili fuoriuscite di fango bollente a Giava (Lusi 2006). Problemi  si sono avuti pure alle Canarie e in Svizzera e in California e in Emilia Romagna e in altri siti che contano gli effetti diretti e indiretti delle sequenze sismiche provocate dalle trivellazioni e dalla pratiche di reiniezione dei liquidi in profondità.
Anche nel napoletano si è rimesso mano alle trivelle qualche anno fa con un progetto di perforazione profonda della caldera flegrea, che in prima battuta si associava al geotermico, anche se rapidamente e in corso d’opera si trasformò in pura ricerca scientifica. Forse si trattò di un lapsus giornalistico della prima ora…
Stiamo parlando del famoso deep drilling project (CFDDP), che suscitò non poche perplessità in alcuni ricercatori e proteste da parte di diversi movimenti di cittadini che ritennero assurda un’operazione di scavo profondo all’interno di un’area vulcanica e metropolitana come quella di Napoli. Così, il pozzo che doveva avvicinarsi ai 4000 metri di profondità, raggiunta la quota pilota di 502 metri nel ventre tufaceo di Bagnoli, si è fermato per consentire l’analisi del primo carotaggio, ma non si esclude una pausa più lunga del necessario dovuta a un impasse di tipo giudiziario.
Il tentativo corrente offerto anche da una conferenza stampa a tema, sembra quello di riavviare in qualche modo la trivella, o comunque di magnificarne virtù e assenza di controindicazioni, forse per dare forza a un nuovo progetto geotermico da attuarsi nella zona fumarolica di Pisciarelli a ridosso del vulcano Solfatara a Pozzuoli. Praticamente nel punto più stressato del super vulcano flegreo… L’operazione che si profila all’orizzonte si chiama progetto Scarfoglio,  e la consulenza scientifica è offerta dall’amra, un consorzio con nomi molto noti alla scienza e alle istituzioni statali.
I risultati scientifici conseguiti con il pozzo pilota del deep drilling project di Bagnoli (502 mt.), sono stati presentati a palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, nel corso di una conferenza stampa dell’INGV napoletano. Non sono pochi quelli che sperano che dallo scavo scientifico emergano alibi sufficienti per spalmare sui suoli contaminati dell’ex italsider palazzi di lusso con vista sul Golfo  calderico… Paradosso? Non scherzava affatto l’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, quando disse in un recente convegno che le proibizioni edilizie a uso residenziale  valevoli per la zona rossa Vesuvio non valgono automaticamente  per la zona rossa del super vulcano dei Campi Flegrei: occorre una legge ad hoc…
Tra i dati offerti al pubblico, è stato posto in rilievo la scoperta di materiale tufaceo ascrivibile a un’eruzione di 45000 anni fa. Se, come viene scritto altrove, l’attività vulcanica nell’area flegrea è iniziata 60000 anni fa, riteniamo che il minimo che possa accadere carotando in giro per i Campi Flegrei, è di trovare tracce di eruzioni antecedenti o successive a quella famosa dell’ignimbrite campana…Tra l’altro, una buona parte della caldera flegrea è sommersa è non è da escludere che sorprese verranno prima o poi anche dall’ambiente sottomarino.
Un altro elemento che lascia dubbiosi ma probabilmente per difetto interpretativo della stampa, riguarda la scoperta che il bradisismo flegreo dipende un po’ dai fluidi e un po’ dal magma, al 50% dicono…
Emeriti scienziati anche del passato accennavano già a questa caratteristica dei campi ardenti, anche se da una interessante disquisizione del Prof. Giuseppe Luongo, ci è sembrato di capire che non si possa esclude che le forze in gioco all’origine del bradisismo ascendente lascino propendere per un intervento del magma piuttosto che dei fluidi, ovvero con una prevalenza del primo sul secondo. Che il contestatissimo Campi Flegrei deep drilling project con il suo pozzo esplorativo a 502 metri di profondità abbia rivoluzionato, come tuona in questi giorni la stampa, le conoscenze sulla caldera flegrea e sulle dinamiche del bradisismo, ci sembra un’affermazione forse un po’ eccessiva. Leggiamo infatti, da una pubblicazione del 2009 del Prof. Benedetto De Vivo, che il bradisismo è un fenomeno ampiamente studiato… Su un’autorevole rivista scientifica poi (amraGiovanni OrsiAldo Zollo), si cita che la caldera flegrea è stata indagata in dettaglio negli ultimi 30 anni attraverso perforazioni profonde (1 - 3 Km.), studi tomografici basati su dati di terremoti locali e telesismi, indagini gravimetriche e magnetiche, misure di temperatura in profondità e di flussi di calore in superficie. Immagini ad alta risoluzione della struttura calderica, sono state ottenute dall’analisi di dati di sismica a riflessione acquisiti durante l’esperimento SERAPIS nel 2001, supportate dalla nave oceanografica Nadir dell’ifremer e dall’installazione di più di 60 sismometri da fondali marini nelle baie di Napoli e Pozzuoli >>. Potremmo continuare con l’analisi delle perforazioni profonde e meno profonde dell’AGIP e di ENEL che si contano a diecine per poi passare ai satelliti e a tutte le altre tecnologie applicate in loco…
Certamente le trivellazioni sono un elemento pragmatico dello studio del sottosuolo della caldera flegrea con la sua struttura particolarmente complessa e dinamica. Il carotaggio però, consente di conoscere ciò che prospetticamente si vede dal buco della serratura ma non nelle stanze accanto come dimostra appunto il ritrovamento di tufi mai prima censiti… La caldera flegrea racchiude diverse decine di bocche eruttive e come dicevamo è in parte sommersa. La complessità del sottosuolo in siffatta area richiede sicuramente uno studio continuo e approfondito e quindi meritevole di finanziamenti mirati. Trattandosi di un territorio densamente abitato e metropolitano però, sede anche di importanti strutture viarie e ferroviarie, bisognerebbe privilegiare sistemi di esplorazione necessariamente indiretti, non solo per tenere alto il famoso principio di precauzione, ma anche perché lì dove ci sono agglomerati urbani  non è consentito dalla legge apportare modifiche artificiali a un sistema naturale che racchiude pericoli imprecisabili dettati da un sottosuolo sotto stress, con presenza di fluidi allo stato critico e supercritico.
Per quanto riguarda la stazione avanzata di monitoraggio installata nel pozzo pilota ubicato lì nel sottosuolo tufaceo di Bagnoli, questa coglie e coglierà anche i sommovimenti micrometrici, probabilmente consentendo di avere elementi meno perturbati su cui elaborare teorie endodinamiche. Difficilmente però, questi dati sui microsismi potranno essere definiti concreti elementi di previsione delle eruzioni flegree, perché nella zona i movimenti del suolo in realtà si contano a metri, e le scosse sismiche a migliaia durante le fasi acute di sollevamento. Segnali anche vistosi che potrebbero non approdare a un’eruzione, ma fenomeni certamente capaci di minare nel concreto la statica dei fabbricati.
Il deep drilling project, ovvero il progetto di perforazione profonda in zona calderica (Bagnoli), non ebbe il nulla osta dal sindaco d’allora, Rosa Russo Iervolino, e solo con l’avvento del successore è stato possibile perforare almeno il pozzo pilota (502 metri).
Oggi in Campania il problema delle perforazioni si pone in modo piuttosto serio, perché sono stati dati permessi (iter in corso) per lo sfruttamento geotermico dei fluidi caldi sia per l’isola d’Ischia, che per il settore occidentale e orientale dei Campi Flegrei con i progetti Forio, Cuma e Scarfoglio.
Certamente l’idea di collocare una centrale geotermica a ridosso della Solfatara di Pozzuoli è interessante in termini di strategia commerciale e rispetto del paesaggio. In questa zona ci sono i fluidi più caldi, e ciò che potrebbe fuoriuscire dalla centrale geotermica sarebbe sostanzialmente ciò che fuoriesce dalla Solfatara, il che non farebbe temere impatti ambientali dalla direzione dei venti, così come la eventuale sismicità indotta dalle trivelle e dalle rieiniezioni dei fluidi sul fondo del cratere sarebbe difficilmente discriminabile dai normali microsismi che interessano quella zona in particolare.

La Solfatara - Pozzuoli

Il problema principale è rappresentato dalle incertezze circa i possibili squilibri che si causerebbero a un sistema complesso e stressato come quello che caratterizza il sottosuolo flegreo, tra l’altro parliamo di un territorio che vive una condizione di bradisismo ascendente e un livello di allerta vulcanica in una fase di attenzione.

Con questo non si vuole dire che si ha la certezza che le perforazioni creino problemi di sicurezza diversi da quelli di cantiere; si vuole semplicemente affermare che se sussistesse questa possibilità anche minima, non è possibile accrescere artificialmente il rischio a un’area che di rischio sismico e vulcanico ne somma a sufficienza, tra l’altro in una condizione oggettiva di urbanizzazione spiccata e senza piani territoriali di protezione civile.
Nella valutazione del rischio poi, visto che una centrale geotermica richiede come nel caso in esame reiniezione dei fluidi con pratica non occasionale, il rischio di squilibrio nel sottosuolo si manterrebbe nel tempo con una certa indeterminatezza dovuta alle interazioni date da un sottosuolo in evoluzione. Soprattutto nella zona di trivellazione dei pozzi che ricadono nella zona Solfatara – Pisciarelli, dove dal 2006 si sono segnalati aumenti di temperatura e dei flussi delle emissioni fumaroliche.
Nell’analisi del rischio bisogna contemplare le caratteristiche territoriali per una misura in senso estensivo almeno pari alla distanza ricopribile dagli effetti delle energie che potrebbero rilasciarsi dalla sorgente emettitrice artificiale. In tutte le disquisizioni sul rischio poi, un ruolo fondamentale lo giocano le alternative che molte volte non vengono prese in considerazione perché più costose.
E’ chiaro che le uniche zone dove i fluidi presenti nel sottosuolo hanno temperature significative al punto da rendere interessante uno sfruttamento geotermico, sono quelle in Toscana, Tirreno Meridionale, Ischia e Campi Flegrei e il Canale di Sicilia. E’ altrettanto chiaro che gli impianti di sfruttamento terrestre hanno meno costi di esercizio rispetto a quelli ubicati in mare, così che l’Amiata, Ischia e i Campi Flegrei, sono probabilmente le zone più appetitose per il geotermico italiano.
L’area di Larderello è molto sfruttata e gli abitanti sono in subbuglio e tutt’altro che convinti dell’impatto zero del geotermico soprattutto con tecnologia non a circuito chiuso: rimane allora quella ischitana e flegrea da esplorare. Purtroppo o per fortuna, nel nostro caso quelle meridionali sono anche tra le zone più belle d’Italia e tra le più urbanizzate e con un flusso turistico di tutto rispetto. Al momento alternative alla produzione di energia elettrica ce ne sono e quindi dovrebbe essere preferibile non correre alcun rischio tra l’altro in una zona (Campi Flegrei) che registra parametri di alterazione geochimica e geofisica con punte localizzate soprattutto nella località Scarfoglio dove s’intende procedere con le trivellazioni per la realizzazione di tre pozzi emungitori, e due di reiniezione dei liquidi.
Il comune di Pozzuoli ovviamente dovrebbe avere un ruolo di vigilanza in questa faccenda visto che il progetto Scarfoglio dovrebbe attuarsi sui territori puteolani, e ci si augura che oltre all’accordo collaborativo con l’INGV, sia garantito innanzitutto il diritto all’informazione, pubblicizzando l’impegno geotermico in loco.
Nella relazione d’impatto ambientale prodotta dall’amra a firma del Prof. Paolo Gasparini, si legge che:<< l’attività sismica associata alle applicazioni geotermiche che è tipicamente di bassa energia (M< 3), è la risultante di differenti effetti, come l’iniezione e l’estrazione di fluidi che producono variazioni dello stress statico, sia per l’effetto della pressione di poro che per l’effetto dello stress termico…>>. Per quanto riguarda l’interferenza con il sistema vulcanico, Gasparini afferma che << non ci sono osservazioni o modelli collaudati in proposito e che, in linea teorica, poiché l’attività geotermica sottrae energia al sistema vulcanico, potrebbe semmai essere considerata stabilizzante allontanandola dal punto critico (eruzione)>>.
Gli aspetti delle trivellazioni napoletane è possibile dividerli in due filoni. Uno riguarda la zona (Bagnoli) dei Campi Flegrei, dove permane la possibilità  che il progetto scientifico (deep drilling project) di perforazione profonda riprenda vigore. Questo progetto non è stato soggetto a valutazione d’impatto ambientale (VIA), che d’altra parte dovrebbe essere un processo di garanzia e di sicurezza a prescindere dalle finalità della trivellazione. E’ particolarmente interessante rilevare che proprio il direttore del deep drilling project chiarisce che non c’è bisogno di valutazione d’impatto ambientale perché il progetto è di semplice carotaggio, e non comporta alcun prelievo o immissione di fluidi, quindi non può assolutamente turbare gli equilibri idrologici e di sforzo nel sottosuolo. L’annotazione è di rilievo…  Nei documenti d’impatto ambientale che riguardano il progetto Scarfoglio invece, ci sembra di cogliere elementi di garanzia per considerazioni opposte, cioè le operazioni si attuerebbero solo negli strati superficiali (1000 metri) sostanzialmente asismici e non nel profondo...

Le centrali geotermiche che sfruttano i fluidi caldi operando nell’ambito dei mille metri di profondità con un ciclo binario, cioè chiuso, pare che siano quelle più affidabili da un punto di vista dell’impatto ambientale di superficie. Il problema rimane nelle profondità e nelle eventuali alterazioni che si porterebbero agli equilibri presenti nel sottosuolo sotto forma di tensioni e circolazione dei fluidi caldi. Se in una terra “normale” questo tipo di attività richiede una certa attenzione, riteniamo che su terra bradisismica intracalderica caratterizzata da suoli  ballerini e super vulcano latente, i benefici economici che mai ritroveremo in bolletta, non valgono la candela di un rischio che difficilmente potrà essere a livello zero.

Per quanto riguarda la perforazione a uso non commerciale (CFDDP), questa riteniamo fortemente che debba essere parimenti e alla stregua di altre soggetta a Valutazione d’Impatto Ambientale, soprattutto per mantenere alto il concetto che non esistono attività che possano autoescludersi dalle necessità di verifica, onde non aprire il campo a scorciatoie scientifiche per analisi tutte commerciali.
Bagnoli ( Campi Flegrei) Quasi sul lungomare l'area del deep drilling project