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giovedì 28 maggio 2015

Rischio Vesuvio:le eruzioni passano come le guerre...di MalKo

Vesuvio 

Il pericolo Vesuvio è un problema che può cagionare danni collaterali di tutto rispetto a una quantità di persone maggiore di quelle normalmente indicate nelle valutazioni ufficiali del rischio. Viceversa una possibile eruzione potrebbe produrre un gran botto senza nessuna conseguenza per gli abitanti allontanati per tempo grazie a una serie di congiunture favorevoli, come ad esempio un regolare crescendo dei prodromi eruttivi e un’infallibile previsione dell’evento contato a giorni sulle dita di almeno una mano. In attesa che le istituzioni competenti stilino e pubblichino i piani di evacuazione, bisogna notare che l’argomento tutele continua a essere al nervo della questione nei dibattiti di pochi. La popolazione vesuviana generalizzando ha un interesse superficiale su questi temi tra l’altro approcciati senza convinzione da una platea che gironzola su internet esclusivamente per vedere se la loro indifferenza è minacciata da qualche novità dell’ultima ora. In caso di percezione fisica del pericolo (terremoti), l’attenzione ovviamente diventerebbe immediatamente viscerale e profonda…

Non sono pochi i cittadini vesuviani che nei commenti alle pagine web rilasciano pillole di mistico fatalismo sul Vesuvio: <<A’ muntagna è buona e noi la rispettiamo e lei non ci farà  male...>>. Intanto non è vero che la rispettiamo perché in molti  angoli del grigio monte pezze e televisori sfondati coronano non poche superfici tra le macchie di robinie e ginestre odorose dove capeggia pure qualche orchidea. Senza contare le discariche non ufficiali che marciscono nei lapilli e quelle ufficiali che donano innaturali gobbe artificiali a un profilo vulcanico che racchiude alla base ricchezze archeologiche in parte ancora da svelare. Indubbiamente il Vesuvio è tra i vulcani il vulcano per antonomasia, quello più bello, ricco di storia e superbo protagonista dell’immagine iconografica del Golfo di Napoli. Come si fa a temere la bellezza…

Le eruzioni quando avvengono sono come le guerre: passano… Si contano i danni umani e materiali; disagi e ristrettezze e poi ricostruzione e rinascita secondo cicli che impongono la vita su tutto. Le eruzioni come sapete sono un prodotto naturale dei dinamismi astenosferici, con i loro movimenti lineari e ascendenti e discendenti all’interno del guscio litosferico, con zolle che trascinano continenti che emergono e altri ancora che affondano, perturbando un sistema che oltre certi limiti di tolleranza si riaggiusta rilasciando onde elastiche (terremoti) o spruzzi di magma (eruzione), col fine di ridurre le tensioni endogene, recuperando quindi una condizione di equilibrio isostatico e dinamico che in verità non dura molto.

I fenomeni naturali violenti muovono gli uomini come formiche all’interno di formicai stuzzicati da bastoni. Si generano nelle catastrofi frenesie che favoriscono in ogni uomo il rilascio di sentimenti che possono essere il meglio o il peggio dell’animo umano. Benefattori e sciacalli si muovono sullo stesso terreno, in una condizione che vede nella povertà un aggravante della tragedia e nella ricchezza un lenitivo alla sofferenza.

Noi siamo il prodotto di un attecchimento che si è avuto grazie ai tre elementi fondamentali che ci circondano e che ci hanno animato: aria, acqua e suolo. Elementi che dovremmo curare e che invece consumiamo e modifichiamo a un ritmo troppo sostenuto, in nome del progresso e del business operato dalla longa manus degli speculatori che  metteranno molto presto in azione le trivelle addirittura nelle coltri di ghiaccio polare…

Se ben riflettiamo, noi viviamo nel punto esatto dove aria, acqua e suolo, elementi a diversa densità, si muovono interagendo a volte violentemente grazie alle energie che provengono dal calore terrestre e solare.  Elementi capaci di rilasciare grandi forze quando se ne alterano gli equilibri, capaci di produrre come conseguenza modificazioni del clima e del paesaggio. Processi che non sono altro che una risposta operativa della stessa natura, che dobbiamo intenderla come un sistema autosufficiente che punta a un solo obiettivo: garantire la vita ovunque e comunque e senza alcun riconoscimento e sconto per il genere umano.

Noi stessi siamo animati da energia e quindi campiamo tra elementi energetici. Le catastrofi non hanno niente di punitivo e svolgono un ruolo esclusivamente riequilibrante con tempi talora brevissimi e altre volte millenari. Quelle che noi chiamiamo catastrofi sono la normalità per un sistema in evoluzione… Come ideogramma potremmo dire che ogni catastrofe altro non è che il piombo preformato che il gommista pone sui lati della ruota da riequilibrare che gira incessantemente  …

Anche se non ce ne rendiamo conto, il nostro vivere è un rischio e quindi si accettano compromessi di buon senso con la natura in nome della radicazione sociale sul territorio. La politica dovrebbe essere l’arte di comprendere i bisogni sociali e tutti i fenomeni che regolano la vita sul Pianeta, con una particolare propensione e interesse al futuro, che dovrebbe essere l’argomento più importante dell’umanità. La politica dovrebbe tenere in evidenza la necessità di custodire i tre elementi fondamentali prima citati e di cui abbiamo necessariamente bisogno: d'altra parte lo scenario ambientale sarà il nostro lascito alle generazioni future. L’agire di un politico si misura quindi su quanta parte del suo sapere e della sua azione preventiva e programmatrice e strategica riserverà al futuro, che non può essere solo money e banche e business. Senza futuro noi non siamo niente…

Le ipocrisie che si nascondono dietro agli inviti a non allarmare le popolazioni a rischio, in realtà ledono il diritto all’informazione e al consenso informato sulle caratteristiche del territorio dove si vive, quale atto di civiltà verso ogni cittadino che risiede nella nostra Penisola quale titolare dell’imprescindibile diritto alla sicurezza.

Una recente interrogazione parlamentare, prima firmataria senatrice Paola De Pin, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, pone in evidenza interrogativi di non poco conto circa gli accordi con clausole di esclusività a proposito di alcuni servizi offerti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) al Dipartimento della Protezione Civile. Ed ancora, si chiede nell’atto parlamentare cofirmato anche dall’esponente del Pd Senatrice Laura Puppato, i motivi alla base di provvedimenti disciplinari giunti fino alla decurtazione dello stipendio in danno del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV). Vorremmo escludere tra le motivazioni della multa quelle inerenti la pubblicazione su autorevoli riviste scientifiche, tradotte in più lingue, di teorie non in linea con quelle dell’istituto di appartenenza (INGV) a proposito del rischio Vesuvio. In tal caso la libertà di ricerca sarebbe gravemente compromessa.

Vogliamo far rilevare ancora una volta, che nella determinazione degli scenari eruttivi il Dipartimento della Protezione Civile ha completamente obliato la possibilità che possa verificarsi un’eruzione del Vesuvio di tipo VEI 5 simile a quella famosa di Pompei del 79 d.C.; ed ancora è stata assunto innaturalmente un limite di deposito da flussi piroclastici (Linea Gurioli) come limite di pericolo; ed ancora non è stata tranciata quella spirale contorta che vede l'edilizia continuamente in fiore in barba a qualsiasi regola di buon senso con lo Stato che addirittura è esso stesso produttore di rischio per non aver esercitato politiche di precauzione in questa plaga a rischio. Non si capisce poi, perché in tanti anni (ventennio), nonostante le discrete risorse impegnate non si sia prodotta alcuna pianificazione d’evacuazione, mentre è stata data enfasi all’ipocrisia degli aggiornamenti e  delle rimodulazioni degli scenari. Dulcis in fundo, il segreto di Stato sui dati geofisici e geochimici del Vesuvio...

Il politico non ha il dono del sapere in assoluto e deve quindi avere a disposizione anche le istituzioni scientifiche che hanno il dovere di illustrare i problemi del vivere fisico su di un mondo dinamico, con una particolare attenzione alla prevenzione delle catastrofi e agli indici di rischio accettabile in assenza di alternative. Le istituzioni però, devono essere luoghi aperti alla politica e ai popoli in pari misura, senza omissioni e senza raccordi eccessivi con i poteri forti che amano l’attualità e il breve periodo piuttosto che gli investimenti sul futuro. Se la scienza diventa ipovedente e smette di essere imparziale, parteciperebbe anche col solo non aprir bocca, alle possibili arroganze di un sistema di comando sociale, che potrebbe decidere in nome di interessi vari, chi deve vivere e chi no. 


lunedì 11 maggio 2015

Rischio Vesuvio: con il Prof. G. Mastrolorenzo, eruzioni e archeologia... di MalKo

Scavi archeologici Ercolano

Un interessante filmato che ci rimanda il web, mostra una concentrazione di resti fossili di dinosauri rinvenuti ammassati l’uno sull’altro in una sorta di fossa ubicata nel deserto del Gobi in Cina. Qualcuno di questi predatori presentava il collo spezzato probabilmente in seguito a un combattimento. Il mistero protrattosi per oltre cento milioni di anni è stato spiegato analizzando i sedimenti che ricoprivano le carcasse di questi carnivori. Tutti preda di una sorta di fango oltremodo vischioso che li ha bloccati e poi inglobati. Oggi, grazie ai processi erosivi naturali, sono ritornati alla luce del giorno sotto forma di fossili ben conservati …
I formidabili dominatori del Pianeta si ritrovarono a caccia di cibo in una rigogliosa palude, quando incominciò a piovere copiosamente cenere sottilissima frutto di una eruzione vulcanica. I finissimi prodotti piroclastici precipitati nell’acquitrino innescarono la trappola del fango. Il primo predatore in difficoltà divenne vittima per gli altri che a loro volta divennero prigionieri di una fatale poltiglia incollante…  Gli autori del documentario o forse gli stessi paleontologi hanno intitolato il filmato: la Pompei dei dinosauri…Intendendo un’istantanea tridimensionale di esseri viventi bloccata per migliaia e migliaia di anni sulla “lastra fotografica” offerta dai prodotti di un vulcano in eruzione…

Professore Mastrolorenzo, l’eruzione del Vesuvio di circa 3800 anni fa, meglio nota come delle pomici di Avellino, ha conservato e restituito nel nolano un villaggio preistorico dell’età del bronzo a distanza di migliaia di anni dal furioso evento che sconvolse la plaga vesuviana. Una caratteristica dei prodotti vulcanici questa propensione alla conservazione?

La deposizione di ceneri vulcaniche a seguito di eventi esplosivi, in molti casi ha consentito la perfetta conservazione di siti di interesse paleontologico, archeologico e storico, grazie al rapido e progressivo accumulo di strati  in grado di preservare ogni dettaglio della superficie terrestre interessata; dal suolo, alle impronte, ai resti di fauna, flora e insediamenti umani. 
Pompei è l'esempio più noto al mondo di come un'eruzione possa restituire alla stregua di un fermo immagine scene di vita quotidiana datate centinaia di anni. Altri esempi analoghi riguardano l'intera storia del Pianeta con casi anche recenti come l'eruzione del monte Merapi, nel 2010, che ha drammaticamente riproposto scene di morte e distruzione molto verosimilmente analoghe a quelle di Pompei…
Oltre al tasso di accumulo dei depositi piroclastici, che può essere decine di migliaia di volte più elevato dei normali processi di sedimentazione e di formazione dei suoli, altri fattori che influenzano le modalità di conservazione dei siti sono i processi di modificazione chimico fisica e di fossilizzazione, quali le temperature di deposizione, a volte elevate e l'eventuale rilascio di fluidi  dai materiali vulcanici  durante e dopo la deposizione.  In ogni caso, il rapido seppellimento, sia da ceneri fredde che calde, di fatto isola il sito per un lungo periodo consentendone spesso una migliore conservazione.  In realtà, anche negli eventi più devastanti, caratterizzati da flussi piroclastici ad alta temperatura e velocità, spesso restano perfettamente conservati gli effetti della catastrofe anche per millenni.

Sempre nel villaggio preistorico sono state rinvenute negli strati di cenere le orme dei fuggitivi che tentarono di sfuggire all’ira del Vesuvio. Riuscirono a mettersi in salvo?

I miei studi sulle due eruzioni pliniane delle Pomici di Avellino e di Pompei, hanno rivelato per la prima volta gli effetti catastrofici che ha subito il territorio e gli insediamenti umani da nord a sud,  in seguito alle devastanti manifestazioni esplosive del Vesuvio.
G. Mastrolorenzo - Pnas 2006
Resti del villaggio preistorico (Bronzo Antico) - Nola
Nel caso dell'eruzione dell'età del Bronzo Antico, in uno scavo effettuato nel 1995 nelle campagne di S. Paolo Belsito, ritrovammo alla base di uno spesso strato di Pomici i primi e unici due scheletri di vittime di quell’eruzione. Tra il 2001 ed il 2004  poi, ci fu la sensazionale scoperta di un villaggio preistorico perfettamente conservato dal deposito piroclastico, ed ancora  migliaia di impronte umane, segno che la  comunità insediata in quei luoghi si diede alla fuga nel corso dell'eruzione. Dallo studio di tali evidenze con la collaborazione di archeologi e antropologi, ho potuto ricostruire le varie fasi delle eruzioni e i suoi effetti. Mentre le uniche vittime rinvenute nelle pomici indicano una morte riconducibile alla prima fase dell'evento a causa dell'intensa pioggia di lapilli, tutti gli indizi e le evidenze riscontrate nel  villaggio, testimoniano un  esodo di massa dall’inizio dell'eruzione. D’altra parte le orme nei primi strati della cenere non lasciano dubbi. E' probabile che molti individui riuscirono a mettersi in salvo, per poi tentare successivamente ma senza successo,  la ricostruzione dei villaggi in quello che oramai era diventato un deserto vulcanico, esteso migliaia di chilometri quadrati tutto intorno al vulcano.  

Studiando i resti umani restituitici dal Vesuvio nell’eruzione di Avellino e in quella famosa di Pompei del 79 d. C. ci sono analogie tra le cause di morte?

L'assenza di vittime nell'area interessata dai flussi piroclastici, impediva una valutazione diretta degli effetti dell'eruzione sulle persone.  D'altra parte le mie ricerche sulle vittime dell'eruzione di Pompei, sconfessando definitivamente una vecchia ipotesi di morte per asfissia, hanno dimostrato che la maggior parte dei pompeiani che si erano  attardati nella fuga morirono all'istante per esposizione alle nubi piroclastiche con temperature anche superiori ai 300 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo  et al Plos One 2010
Calco di donna con bambino e bambino dormiente, così come ce li ha restituiti la cenere vulcanica (Pompei).
La postura è quella  immediatamente precedente al passaggio di un micidiale flusso  piroclastico.

Solo una parte degli abitanti dell’epoca  morì nella prima fase dell'eruzione  a seguito del crollo dei tetti.  Le evidenze di esposizione ad altissima temperatura riscontrabili nelle ossa delle vittime e documentate dalle loro posture (classificate come da cadaveric spasm), testimoniano inconfutabilmente la morte istantanea e senza  agonia, analoga a quella causata dalle esplosioni nucleari o da altri eventi estremi. Non è da escludere che gli stessi fenomeni interessarono le probabili vittime dell'eruzione di Avellino che ancora non sono state rinvenute. Dopo l'eruzione del Bronzo Antico si è avuto un arresto totale della facies culturale di almeno due secoli, per poi avere una ripresa lenta ascrivibile al periodo del Bronzo Medio.

La qualità e la quantità dei prodotti eruttati dalle due eruzioni citate avevano notevole differenze?
In  termini vulcanologici, le due eruzioni pliniane  citate non sono molto differenti tra loro, sia dal punto di vista dei volumi che dei meccanismi eruttivi; cambia solo la direzione di propagazione dei flussi piroclastici, che nell'eruzione del Bronzo Antico  si diffusero anche nell'area successivamente occupata dalla città di Napoli, evidenziando l'estrema pericolosità di un possibile e analogo evento futuro.

Diversi fuggitivi lì ad Ercolano nel 79 d.C., si ripararono sotto dei fornici in prossimità del mare: morirono tutti…
Una mia prima ricerca sugli effetti dell'eruzione del 79 A.D. sugli ercolanesi, pubblicata nel 2001 sulla rivista scientifica Nature e poi ripresa dai mass media, ha dimostrato come i circa 300 rifugiati nei 12 fornici lungo l'antica spiaggia di Ercolano, morirono all'istante in seguito al passaggio del primo flusso piroclastico, il surge S1, ad una temperatura superiore ai 500 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo - Nel 79 d. C. alcune centinaia di ercolanesi si rifugiarono all'interno di fornici
ubicati sul litorale. Furono vaporizzati da un flusso piroclastico e i loro resti sono stati custoditi per circa
duemila anni dalla finissima cenere vulcanica...

Posture naturali, connessioni anatomiche, modificazioni nella microstruttura delle ossa, estese fratturazioni da contrazione termica ed esplosioni dei crani, indicano come le vittime raggiunte dalla nube ardente, persero la vita in una frazione di secondo. Pur senza soffrire, subirono la vaporizzazione delle parti molli sostituite dalla cenere vulcanica che è valsa a preservarli per due millenni. La posizione posturale di centinaia di donne, uomini e bambini, che erano sopravvissuti alla prima fase della catastrofe vulcanica, è quella dell'ultimo istante di vita ed è giunta fino a noi.
Le vaste conoscenze delle quali disponiamo sui fenomeni vulcanici e sui loro micidiali effetti, dovrebbero imporre senza indugi la necessità di tutela della popolazione esposta al pericolo vulcanico. La mancanza di un piano di evacuazione nell’area a maggior rischio del mondo, è veramente un fatto di assoluta gravità...


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per averci dedicato del tempo illustrandoci con chiarezza gli importanti fenomeni che hanno riguardato la storia umana e geologica dei nostri territori. Il protagonista centrale è il Vesuvio, che nonostante i millenni mantiene inalterato una buona dose di fascino e tante altre di pericolo.

sabato 9 maggio 2015

Rischio Vesuvio: Torre del Greco comune mediano... di MalKo

Porto di Torre del Greco

Ultimamente parlando del Vesuvio e del rischio vulcanico associato, gli argomenti di discussione vertono spesso sulla nuova zona rossa e su tutto ciò che ne concerne. Il tono discorsivo in prevalenza è ottimistico e la stampa da ampio spazio ai protagonisti di una pianificazione di emergenza che si arricchisce giorno dopo giorno di nuovi capitoli. La Regione Campania si è distinta per una decisa partecipazione alle operazioni di classificazione del territorio, in qualche caso sovraesponendosi addirittura al Dipartimento della Protezione Civile, che rimane comunque il soggetto principale e istituzionale di riferimento.
Nell’euforia generale i comuni della vecchia zona rossa che ricadono territorialmente nella fascia costiera sono passati nella sordina mediatica, anche perché non sono interessati dalla linea nera Gurioli e dalle complicazioni amministrative che questo tracciato sembra portare con se sul fronte orientale. Nel frattempo avendo intascato qualche soldo dai fondi europei, dovrebbero essere tutti presi dalla stesura dei piani comunali di protezione civile che devono comprendere anche quello per un’eventuale emergenza vulcanica dettata dal Vesuvio.
Nelle mappe tematiche ufficiali, la linea nera Gurioli è stata destinata a rappresentare una sorta di limite di pericolo dalle colate piroclastiche, che sono in assoluto il fenomeno più temuto in caso di eruzione. Non è stata allungata e riportata sul mare la black line, forse perché la campagna di indagini campali effettuata da Gurioli e altri non prevedeva la costosa pratica di prelievo e analisi dei campioni di sedimenti marini, tra l’altro sicuramenti rimaneggiati o definitivamente dispersi dalle onde.
Abbiamo quindi tracciato analiticamente il prolungamento del limite Gurioli, col solo scopo di rendere chiaro anche visivamente alle popolazioni costiere che si è ben dentro all’area ad alto rischio vulcanico, che addirittura, come noterete (fig.a), prosegue oltre la linea di costa. Questo significa una situazione di pericolo che per tutto il perimetro segnalato non comprende aree franche.
Come già abbiamo avuto modo di accennare in precedenti articoli, la fascia costiera a parità di condizioni è quella a maggior rischio perché è stretta tra mare e vulcano. Tecnicamente parlando due ambienti ostili, che in caso di allarme costringerebbero i cittadini a procedere parallelamente al tracciato Gurioli.
Torre del greco è il quarto comune campano per numero di abitanti con una densità abitativa ben più alta dei numeri ufficiali riportati nelle statistiche. Torre è anche il comune ubicato in una posizione mediana costiera, che genera qualche criticità aggiuntiva rispetto ad altre municipalità più defilate. In caso di allarme vulcanico l’evacuazione dei cittadini avverrebbe prevalentemente su ruote. Questa condizione di centralità mediana imporrebbe direzioni di marcia pressoché obbligate, secondo direttrici di fuga parallele alla linea nera Gurioli. Occorrerebbe che i cittadini torresi si accodassero ad altre masse in movimento dalle cittadine viciniori, che andrebbero a gravare su altre frange ancora in allontanamento rinforzandone le schiere.

D’altra parte se nella parte orientale vesuviana è ancora possibile e auspicabile costruire una strada sopraelevata che si protende verso l’autostrada A30 Caserta – Salerno, nel settore occidentale, appunto quello marittimo, l’indice di affollamento e di conurbazione è tale da rendere problematica qualsiasi nuova progettazione viaria che in tutti i casi non cambierebbe orientamento al percorso trasversale al vulcano. L’impegno in emergenza della viabilità ordinaria, come molti sanno è caldamente sconsigliato…
Come scrissero appena 23 anni fa (Quaderni Vesuviani), la via del mare nonostante la sua dipendenza dalle condizioni meteo marine, variabili e non preventivabili in anticipo, può essere una eccezionale risorsa da tenere in debita considerazione per i comuni della fascia costiera qualora si debba evacuare. Il mare è una strada che consentirebbe con adeguati mezzi e organizzazione, di mettersi al riparo dai fenomeni vulcanici più travolgenti percorrendo alcune miglia marine. Cosa che non fu possibile ai disperati ercolanesi che nel 79 d.C. si rifugiarono sotto i fornici della litoranea, mai prevedendo di essere in un attimo mortalmente surriscaldati dalle travolgenti colate piroclastiche.
Un catamarano in servizio nel Golfo di Napoli
Quando analizzammo la via del mare come risorsa strategica, ci rendemmo immediatamente conto che poteva essere una possibilità percorribile perché nel Golfo di Napoli sono normalmente in esercizio due tipi di battelli particolarmente utili in operazioni di evacuazione di massa: i catamarani e le monocarene. Un naviglio veloce che ha come caratteristica principale un basso pescaggio e una buona manovrabilità.
Gli equipaggi poi, hanno grande esperienza perché operano ordinariamente nei collegamenti con le isole napoletane, attraccando in porti di piccole dimensioni. Ognuno di questi traghetti potrebbe trasportare per ogni corsa e nel giro di pochi minuti, oltre 300 passeggeri in direzione porto di Napoli. Ovviamente lo sfruttamento di questa risorsa già disponibile in loco, richiede la necessità di avere nel porto oggetto di possibili operazioni marittime, un tratto di banchina permanentemente agibile e conformato e attrezzato per un attracco rapido. 

Durante l’esercitazione Vesuvio 2001 tenutasi a Portici, fu preteso e si ottenne di testare proprio la via del mare come risorsa alternativa evacuativa delle popolazioni appiedate, facendo giungere nel porto del Granatello un traghetto veloce. Seguimmo con attenzione le operazioni di attracco e imbarco e rimanemmo veramente meravigliati dalla rapidità della manovra e dalla velocità di crociera della monocarena, che alla partenza lasciò in coda tutti i pur veloci battelli d’appoggio.
Il Porto del Granatello (Portici)
L’assessore regionale Edoardo Cosenza potrebbe in seno all’attualissimo e interessantissimo progetto di sistemazione integrata del porto di Napoli, prevedere nel primo tratto portuale dai grandi piazzali, predisposizioni strutturali d’attracco rapido in banchina e anche una elisuperficie segnalata. Se ricordiamo bene, da quella posizione si accede tra l’altro e rapidamente anche alla rampa d’immissione in autostrada.
Lo stesso dovrebbe fare l’amministrazione comunale di Torre del Greco impegnando le migliori risorse umane disponibili in loco per strutturare al meglio il suo porto nelle logiche della prevenzione e della gestione delle emergenze, e non solo del turismo... L’assessore alla protezione civile potrebbe farsi parte diligente visto che nelle sue competenze rientra il rischio vulcanico e tutte le logiche della prevenzione delle catastrofi. L’esponente politico potrebbe proporre l’inclusione nel piano comunale urbano di tali interventi preventivi, compreso un’area atterraggio elicotteri che manca…
Per poter vivere con una certa serenità in un territorio vulcanico, occorre innanzitutto che sia bandita dalle genti l’indifferenza quale modus pensandi e operandi. Se non ci fosse stata l’indifferenza, non ci sarebbero stati venti anni di mancata sicurezza... 

domenica 3 maggio 2015

Rischio Vesuvio: zona rossa al Consiglio di Stato... di MalKo

Il Vesuvio
Il 4 giugno 2015 dovrebbe esserci un interessante dibattito innanzi al Consiglio di Stato tra il Comune di Boscoreale e la Regione Campania ad oggetto la zona rossa Vesuvio. Alla base della diatriba c’è la sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), che ha dato ragione al Comune di Boscoreale circa il diritto ad estrapolare dalla classificazione di zona ad alto rischio, quella parte di territorio boschese che va oltre la linea nera Gurioli. In questo modo il comune vesuviano sfuggirebbe parzialmente alla morsa della legge regionale campana n° 21 del 2003. Questa legge infatti, vieta di edificare per uso residenziale nella plaga ad alto rischio vulcanico.

La Regione Campania ha proposto ricorso al Consiglio di Stato che a sua volta ha ritenuto necessario sospendere la sentenza (periculum in mora), indicendo un dibattito pubblico per approfondire aspetti giudicati di tutto rispetto per la sicurezza delle popolazioni esposte.
Siamo stati facili profeti nell’ipotizzare questa querelle, perché riteniamo di conoscere in buona parte i cui prodest che regolano le azioni di alcuni politici e amministratori pubblici, particolarmente protesi nella corsa alla cementificazione del territorio e al condono edilizio che racchiude aspettative da barattare col consenso elettorale.

Per spiegare che cosa si andrà a dibattere, dobbiamo procedere con una piccola cronistoria degli eventi scientifici, tecnici e politici, che hanno portato il Dipartimento della Protezione Civile, la Regione Campania, l’INGV e la Commissione Grandi Rischi, a produrre una serie di documenti poi sfociati nelle nuove direttive ad oggetto scenari eruttivi e nuova zona rossa.

La "vecchia" zona rossa Vesuvio
La zona rossa Vesuvio, cioè quella a massima pericolosità vulcanica, negli anni 90’ era composta dai 18 comuni riportati nella figura a lato. Una conformazione scarlatta molto criticata perché utilizzava i confini amministrativi come limite alle dirompenze vulcaniche. 

Nel 2003 l’assessore Marco di Lello propose e ottenne il varo della legge n° 21 che bloccava e blocca di fatto l’edilizia ad uso residenziale nei territori vesuviani a maggior rischio. L’articolo 1 del disposto recita testualmente così: << La presente legge si applica ai comuni rientranti nella zona rossa ad alto rischio vulcanico della pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana del dipartimento della protezione civile – prefettura di Napoli – osservatorio vesuviano>>.

Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC), come abbiamo più volte segnalato, è uno degli attori principali di questa storia, ed è anche il soggetto giuridico su cui grava la responsabilità del piano nazionale d’emergenza Vesuvio.
Per definire i territori a rischio vulcanico, e, quindi, la zona rossa, il dipartimento si è avvalso di un’apposita commissione legata al piano d’emergenza (Gruppo A), che ha prodotto un elaborato tecnico scientifico posto poi al vaglio della Commissione Grandi Rischi per il rischio vulcanico (CGR - SRV). A quest’ultimo consesso di esperti infatti, è demandato l’ultimo autorevole parere sugli argomenti di particolare rilevanza per la sicurezza.
La Commissione Grandi Rischi ha concluso che la zona a massima pericolosità vulcanica, cioè quella invadibile dalle colate piroclastiche, nel nostro caso (Vesuvio) poteva ritenersi congrua a quella circoscritta dalla linea nera Gurioli. Il Dipartimento della Protezione Civile ha quindi fatto sue queste conclusioni, assegnando a questo segmento a tratti curvilineo, la funzione fondamentale per quanto discutibile di limite di pericolo.

La linea nera Gurioli: in rosa la vecchia zona rossa.In tratteggio rosso i nuovi comuni "toccati"
dalla linea nera Gurioli.
La linea nera Gurioli che vedete nella figura soprastante, è un segmento geo referenziato nato da indagini campali e segna i limiti di scorrimento dei flussi piroclastici per eruzioni di energia VEI 4.
Quasi contemporaneamente, alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, hanno effettuato specifiche elaborazioni statistiche indicando da qui a un secolo un’eruzioni ultra stromboliana (VEI 3)  come quella più probabile, mentre una sub pliniana di energia VEI 4 come quella massima di riferimento.  Il Dipartimento ha quindi accettato questa proiezione statistica e anche la linea Gurioli che da limite di deposito si è trasformata incredibilmente in un limite di pericolo. In conclusione possiamo dire con certezza che si è assegnato con qualche azzardo un valore deterministico al pericolo eruttivo.

D’altra parte nel momento in cui è stata rivisitata la zona rossa ad alto rischio vulcanico, il risultato immediatamente apprezzabile che si evince dalle mappe fin qui pubblicate, è quello di un restringimento del settore a maggior rischio vulcanico, perché le superfici inglobate dalla linea nera Gurioli sono nettamente inferiori alle superfici eccedenti la stessa linea. Infatti, guardando la figura sottostante, si identifica immediatamente la nuova zona rossa che, come abbiamo più volte chiarito, è quella circoscritta proprio dalla linea Gurioli. All’interno del segmento asimmetrico, si apprezzano delle piccole aree rosse che sono  porzioni di territorio entrate recentemente nella classificazione ad alto rischio vulcanico (Ponticelli, Barra, San Giovanni a Teduccio, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania e Poggiomarino). Di contro, le aree color testa di moro sono quelle uscite dalla classificazione scientifica di alto rischio.

L'area vesuviana commentata.

Il 4 giugno 2015 il Comune di Boscoreale chiederà il rispetto della sentenza che gli ha riconosciuto il diritto di estrapolare quella parte del proprio territorio eccedente la linea nera, dalla nuova zona rossa che classifica, lo ribadiamo ancora una volta, il territorio ad alto rischio vulcanico. Con la favorevole sentenza emessa dal TAR Campania, questo settore boschese acquisirebbe alla stregua di Poggiomarino e Scafati, lo status di zona rossa 2 (R2). Nulla cambierebbe ai fini dell’evacuazione preventiva in caso di allarme vulcanico, ma crollerebbero i vincoli di inedificabilità previsti dai disposti della legge regionale 21 del 2003.

Richiamando principi di equità e di diritto, siamo convinti che la Regione Campania non può sostituirsi all’autorità scientifica nella definizione e nella classificazione delle zone ad alto rischio, soprattutto utilizzando confini non circolari ma sinusoidali. L’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza è lecito pensare che possa proporre un cambio della legge 21/03, ma non siamo certi invece, che egli possa procedere a forzature di classificazione del territorio, palesando concetti di maggiore tutela che varrebbero stranamente per un comune e non per l’altro. La realtà è che involontariamente o maliziosamente è stato veicolato alla stampa il concetto propagandistico dell’allargamento della zona rossa Vesuvio, forse perché sarebbe stato di qualche imbarazzo ammettere che il nuovo settore a rischio nei fatti è più piccolo della precedente perimetrazione…


La Regione Campania a cui spetta in aula confutare le tesi avverse, dovrebbe innanzitutto spiegare, atteso una certa linearità distanziale dei tre comuni dalla bocca eruttiva del Vesuvio (fig. Y), come mai alle municipalità di Poggiomarino e Scafati non vengono assegnati gli stessi criteri di iper garantismo che invece vengono invocati per Boscoreale e comuni similari, indicati (abnormità) come già avvezzi alle rinunce nel campo dell’edilizia... Ancora più assurda è la situazione di Pompei, che dovrebbe essere quasi per intero fuori dalla nuova zona rossa; lo stesso vale anche per Torre Annunziata e poi Somma Vesuviana e Sant’Anastasia. Su questi comuni infatti, grava una palese discriminazione che a torto o a ragione, ha avuto negli anni delle notevoli implicazioni  economiche.



Per decisione regionale alcuni comuni oltre linea Gurioli permangono in zona rossa.
Quelli colorati in giallo no. Nei comuni a colorazione gialla si può costruire in quelli rossi no.

Qualche giorno fa nell’ambito di un convegno ad oggetto il rischio vulcanico napoletano, l’assessore Edoardo Cosenza nel rispondere a una domanda proveniente dal pubblico in sala, ci sembra che ebbe a chiarire succintamente che sui suoli di Bagnoli (caldera del super vulcano Campi Flegrei), si potrà costruire anche nel senso residenziale perché la legge 21 del 2003 che vieta l’edificazione nella zona ad alto rischio vulcanico, vale per il Vesuvio ma non per il vulcano flegreo… La legge non può essere semplicemente estesa ad altri distretti vulcanici per logica, ha affermato… Questa puntualizzazione non depone a favore della Regione. Infatti, proprio perché la legge è legge, i disposti della norma sull’inedificabilità nella zona ad alto rischio vulcanico, devono applicarsi solo ai territori compresi all’interno della linea nera Gurioli, che non può essere allargata per logica politica, soprattutto se non c’è equità di trattamento delle municipalità limitrofe, ovvero supporto scientifico di riferimento.   

Certamente il nostro atteggiamento sulla faccenda non è motivato da ripensamenti sui danni prodotti dal cemento ristoratore: anzi… Con queste precisazioni pedisseque vogliamo semplicemente dimostrare che sul rischio Vesuvio pesa la politica del guazzabuglio e dei colpevoli silenzi anche della carta stampata usuale e specializzata. Sull’area vesuviana bisogna sciogliere molti nodi scientifici, tecnici, politici e informativi. La gente sappia che si sta dando molto spazio alla strategia della previsione dell’evento vulcanico come misura di tutela assoluta, abbandonando completamente la prevenzione delle catastrofi: una complessa multidisciplinarietà che richiede tempo e rinunce e poca visibilità.
La linea nera deve trasformarsi in un cerchio e passare da segmento puntiforme a fascia di rispetto come suggerisce la stessa Lucia Gurioli. Una fascia circolare e ampia in una misura che dovrà essere stabilita a cura di un consesso di scienziati nazionali, internazionali e preferibilmente senza particolare dipendenze finanziarie sui progetti di ricerca.

Per quanto riguarda il restringimento della zona rossa non si faccia confusione con l'allargamento della zona da evacuare che sono due cose completamente diverse che nascondono una ipocrisia di fondo che tratteremo presto.

Il nostro parere è che il Consiglio di Stato intanto debba rendere esecutiva la sentenza del TAR Campania, soprattutto perché la giustizia deve rimanere su un discutere dei fatti e sulle evidenze e non sulle conclusioni scientifiche o sulle strategie operative. Ovviamente Il Consiglio di Stato potrà arrogarsi con motu proprio il diritto civico - istituzionale di scrivere al Dipartimento della Protezione Civile, onde segnalare delle probabili incongruità o incertezze sull’affaire Vesuvio, che vanno riviste in un quadro di generale interesse della collettività esposta. 
Il principio appellante potrebbe essere proprio quello del periculum in mora, o se volete semplicemente di precauzione che difficilmente sarà richiamato dalle parti in causa.