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domenica 23 giugno 2013

Rischio Vesuvio: alcuni eventi sismici allarmano la popolazione...di Malko

Il Vesuvio da quota 1000
“Terremoto al Vesuvio” di MalKo

I recenti eventi sismici che hanno interessato l’area vesuviana hanno ridestato la paura atavica degli abitanti dell’omonima plaga su questi scuotimenti che qualche ansioso interpreta come sintomi premonitori di una possibile variazione dello stato di quiete del Vesuvio. In realtà anche i terremoti di origine vulcanica per essere considerati sintomi pre eruttivi necessitano generalmente di un incremento, cioè un incalzare del fenomeno sismico, accompagnato dalla variazione di altri parametri fisici e chimici che la geologia prende a riferimento come possibili indicatori di rischio vulcanico.
L’Osservatorio Vesuviano ma più ancora l’autorità scientifica, ha sancito in tempi non sospetti e alla stregua di quanto già è avvenuto per i Campi Flegrei, che per far spostare il livello di allerta vulcanica da base a quello di attenzione, sono necessarie variazioni significative dei parametri controllati (si noti il plurale). Cioè, più di uno dei valori base di riferimento dovrebbe cambiare e non unicamente il fattore sismico ancorché si presenti con scosse isolate o sequenze distanziate nel tempo.
I vesuviani devono avere la consapevolezza che, anche se dovessero cambiare questi famosi parametri base di riferimento per il Vesuvio, e si passasse quindi al livello di attenzione, ciò non significherebbe automaticamente una condizione di

allarme rosso con relativa e precipitosa fuga verso la salvezza.
Lo stato di attenzione è una sorta di attesa che è comunicata dal mondo scientifico alla popolazione (tramite Dipartimento Protezione Civile), per renderla consapevole che qualcosa è cambiato all’interno e nel sottosuolo del vulcano o della caldera, e che sono in corso approfondimenti per capire se i parametri misurati abbiano una tendenza verso livelli critici pre eruttivi o rappresentano semplicemente un’anomalia momentanea.
Ovviamente così com’è successo per il passato nella zona di Pozzuoli con il bradisismo, i parametri controllati potrebbero regredire e riportarsi nella normalità, e il livello di allerta vulcanica ritornerebbe allora su valori base.
Il livello di attenzione presenta purtroppo delle incertezze circa i tempi di attesa. A esser chiari, il “semaforo” giallo potrebbe permanere in questo stato per mesi o anni, così come nel giro di poco tempo la variazione dei parametri controllati potrebbe subire delle impennate in direzione del preallarme. Meno veloce sarebbe invece il ripristino della normalità (base).
Il sindaco di San Giorgio a Cremano preme perché si stabilisca un contatto diretto con la Protezione Civile, gestita dal Prefetto Gabrielli, per affrontare il problema dei piani di evacuazione che non esistono.  Il secondo problema da mettere in evidenza è come mai l’assenza di questo fondamentale strumento di tutela sia stato sottaciuto per anni.
I sindaci di altri comuni non hanno questa urgente necessità perché in capo alle loro attenzioni c’è il problema ben più grave dei condoni edilizi che mal si sposano con la necessità di tutela che, nel caso del rischio Vesuvio, dovrebbe incentrarsi sulla prevenzione.  Un problema nel problema quello dei condoni, che alla fine dovrà essere affrontato senza tentennamenti attraverso un tavolo di lavoro probabilmente sovra comunale.

Ai nostri lettori che risiedono nella zona rossa Vesuvio possiamo dire che il loro riferimento per quanto riguarda il diritto alla sicurezza non può che essere  il  sindaco. Per chi non lo sapesse la legge 225/92 individua proprio nel primo cittadino l’autorità locale di protezione civile. Cioè il soggetto giuridico su cui ricadono le responsabilità della prevenzione e del primo soccorso in caso di necessità. Anche della previsione se il dato dovesse rientrare nelle capacità di calcolo e di analisi del comune. Ovviamente i piani di emergenza e di evacuazione rispondono e rientrano nelle logiche della prevenzione delle catastrofi. Così come l’informazione corretta, puntuale e istituzionale, rientra nei compiti precipui del sindaco e non può essere delegata a terzi neanche se trattasi d’istituti o eminenze scientifiche (L'Aquila docet!).
Le responsabilità del mancato piano d'evacuazione sia per il Vesuvio che per i Campi Flegrei sarà una querelle fra dipartimento della protezione civile, trattandosi di una pianificazione di livello nazionale, e i comuni che hanno una gran coda di paglia.  
Se nei Campi Flegrei il livello di allerta dovesse passare da attenzione a pre allarme, cosa succederà in assenza di piani d'evacuazione? L'esodo in questa fase si ipotizza già spontaneo... come e verso dove? 

domenica 16 giugno 2013

Vulcani napoletani: pericolo e ricchezza...di Malko

Le isole flegree

Napoli, il Vesuvio i Campi Flegrei e Ischia

Il Vesuvio, i Campi Flegrei e l’Isola d’Ischia, sono i tre distretti vulcanici che caratterizzano l’area provinciale di Napoli. Bisogna subito notare che nonostante la vicinanza presentano caratteristiche completamente diverse con apparati vulcanici dissimili per forma ed estensione.
Il Vesuvio è certamente il più noto tra i vulcani menzionati, non solo perché il suo edificio è esterno e particolarmente riconoscibile, ma anche perché è stato protagonista di eruzioni recenti (1944) e altre famose come quella pliniana che seppellì nel 79 d.C. le città di Pompei ed Ercolano, poi riportate alla luce a tutto vantaggio del patrimonio archeologico internazionale.
L’isola d’Ischia è la parte aerea di un vulcano sottomarino. Circa 55.000 anni fa si ebbe l’eruzione esplosiva detta del tufo verde Epomeo, che fu la più importante per intensità e geomorfologia successiva dei luoghi. La violenza dell’eruzione, infatti, originò una caldera invasa dal mare e in seguito riempita dall’accumulo dei prodotti piroclastici eruttati dalle numerose bocche crateriche che costellavano quei luoghi.
Il Monte Epomeo non è un vulcano ma una sorta di pilastro tufaceo spinto in alto dal magma sottostante. Rappresenta il rilievo più alto dell’isola con i suoi 787 metri di altezza, e nella sua corona di base e verso est, si evidenziano numerosi centri eruttivi con attività passata effusiva ed esplosiva manifestatasi anche dopo lunghe quiescenze. L’ultima eruzione fu quella dell’Arso nel 1302 d.C. Oggi l’isola presenta un’importante attività fumarolica e idrotermale che ne attesta comunque una mai sopita vivacità di fondo. Pochi anni fa un boato sul versante di Forio destò allarme, ma si trattò di un getto di vapore che si era liberato rapidamente dal sottosuolo collinare.
Il tufo si lascia erodere dagli elementi naturali come il vento, il sole e l’acqua. Questo spiega una gran quantità di massi in bilico lungo i versanti più acclivati del Monte Epomeo. Un evento sismico potrebbe scuotere e far precipitare a valle le pietre. Incredibile a dirsi, uno di questi massi, molto grande, venuto giù nel passato, è stato scavato e modellato per essere adibito a dimora.
Monte Nuovo (1538)

I Campi Flegrei sono un distretto vulcanico particolarmente complesso ed esteso con numerosi centri eruttivi. Tra le eruzioni particolarmente violente che si manifestarono in quest’area, vanno annoverate sicuramente quella dell’ignimbrite campana avvenuta circa 39.000 anni fa, così come   l’eruzione detta del tufo giallo napoletano risalente a poco più di 15.000 anni fa. L’ultima eruzione che si segnala è quella che nel 1538 diede origine in pochi giorni alla nascita di un edificio vulcanico chiamato appunto Monte Nuovo (foto sopra).
L’iconografia classica ha sempre accomunato anche come immagine la città partenopea al Vesuvio. In realtà i Campi Flegrei sono il vero vulcano di Napoli, perché la metropoli sorge in buona parte sui suoli tufacei originatisi proprio dai numerosi  eventi eruttivi esplosivi dell’area flegrea.
Pure l’edilizia della città nel corso dei secoli si è caratterizzata dal grande uso delle pietre di tufo giallo estratto da cave a cielo aperto, in galleria ma anche in sotterranea con prelievi effettuati addirittura in verticale sotto la casa da costruire. Una tecnica estrattiva manuale delle rocce che generava dei grandi vuoti (vedi figura in basso) sotterranei che erano destinati, dopo l’intonacatura, a cisterne di accumulo dell’acqua piovana.
Cava di tufo sotterranea appena scoperta
in località Piscinola (NA)
Il sottosuolo di Napoli quindi è particolarmente traforato con cunicoli e cisterne che diedero vita già in epoca greca e romana a importanti e moderni servizi come gli acquedotti a pelo libero.
Sarà proprio questa incredibile rete di canali e cisterne e pozzi che raggiungevano cortili e casse scale e interni delle case, a richiedere l’opera di particolari operai idraulici manutentori del sottosuolo chiamati pozzari. Per lavorare e inoltrarsi in dedali molto stretti, era necessario essere di piccola statura e bastava ricoprirsi con una tela di sacco  per non patire il freddo e non sporcarsi o lacerarsi gli abiti in quello che era un ambiente tanto stretto da richiedere di avanzare strusciando le pareti. Non è da escludere che da queste profondità sia nata la leggenda del monaciello, quale figura eterea di bambino, spiritello generoso e a volte dispettoso. Questo personaggio fiabesco molto amato dai napoletani,  potrebbe avere qualche nesso interpretativo, giusto per sbrogliare la leggenda, con l’acquedotto sotterraneo partenopeo e i suoi protagonisti (pozzari), che portavano i figli e fin da piccoli, nella Napoli di sotto col fine di insegnarli un mestiere. Forse il mito non è solo partenopeo ma più in generale dove il tufo è presente a  banchi, come ad esempio sulla costiera sorrentina, che rimane un'altra zona prediletta dal monaciello.  Per noi rimarrà sempre uno spiritello e per questo motivo non togliamo il tozzo di pane dalla tavola dopo cena…
Il tufo grigio di Sorrento si giustifica con la ricaduta dei prodotti piroclastici dell’eruzione ignimbritica flegrea (Archiflegreo). Il litoide a banchi è affiorante  soprattutto nei versanti marini a strapiombo. Le grotte realizzate dalle popolazioni locali nel corso dei secoli, furono scavate per estrarre e squadrare pietre a uso edile, utilizzando poi i vuoti come ricoveri o cantieri per le barche (monazeni): gli antri sono ancora oggi ben visibili soprattutto per chi proviene dal mare.
Nella figura sopra si nota “l’occhio di monte”, cioè la parte iniziale e circolare dello scavo che poi a mano a mano scendendo si allargava a campana. Si notano poi gli scalini incisi sulle pareti, e le macchie di nerofumo a destra lasciate dalle lucerne a olio dei cavatori.
Tratto dell'acquedotto sotterraneo romano
che adduce a una cisterna in località
Chiatamone (NA)
Nell’immagine a lato invece, si nota un ramo dell’acquedotto. In primo piano il canale dell’acqua a forma rettangolare capovolta intonacato alla base (il tufo non è impermeabile) dove l’acqua era padrona di scorrere a pelo libero. Da canale a canale e da cisterna a cisterna, la rete serviva in definitiva l’intera città. In epoca greca e romana l’acquedotto fu chiamato della Bolla e per estensione era secondo solo a quello dell’antica Cartagine.
Nel 1629 Don Cesare Carmignano, collaborato dall’ingegner Alessandro Ciminello progettò l’ampliamento della rete idrica cittadina, oramai insufficiente per i crescenti bisogni pure industriali, rifornendola di nuove acque carpite e canalizzate dalle zone beneventane di Sant’Agata dei Goti. Quest’opera idraulica detta appunto del Carmignano, restò in uso fino al 1885; dopodiché si utilizzò l’acquedotto  intubato a causa delle numerose epidemie che colpirono la città.
Il tufo elargito dalle eruzioni vulcaniche esplosive, la pozzolana ma anche la cenere e i lapilli vesuviani, si sono rivelati materiali insostituibili per l’edilizia. I suoli vulcanici poi, sono ancora oggi ineguagliabili per dare nutrimento ai pregiati vitigni e agli alberi da frutta e ai pomodori della vicina piana nocerino - sarnese.   Il tufo poi, vero dono del Signore, si è lasciato lavorare per tramutarsi in loculi e tombe e templi e cisterne e castelli e cattedrali e acquedotti. E poi ancora ha fornito materiale per le mura di cinta e le fortificazione. Nell’ultimo conflitto mondiale il sottosuolo di Napoli si prestò come ricovero antiaereo salvando numerose persone, così come ai primordi servì da rifugio ai cristiani perseguitati.  
La salubrità dei luoghi e la fertilità dei suoli, fecero e fanno dei Campi Flegrei, delle isole flegree e del litorale vesuviano, meta privilegiata e turistica di un certo turismo internazionale colto e riverente dei fasti romani .

La realtà che possiamo cogliere da questo piccolissimo excursus è questa: esiste e sussiste un incredibile rapporto tra la popolazione napoletana e i suoi vulcani. Un rapporto controverso e illogico, ma anche romantico e fatalista con non poche convenienze. Un connubio però, che oggi è particolarmente difficile da accettare soprattutto perché nel corso dei secoli è aumentata a dismisura la quantità di popolazione che invece di proliferare lontano dai vulcani li ha invece stretti in una sorta di abbraccio demografico. Purtroppo non ci sono segni neanche di controtendenza. E’ un po’ come vivere davanti al fusto di un cannone: la salvezza dipenderà dalla lunghezza della miccia e da quanto tempo prima riusciremo a cogliere lo scintillìo dell’innesco. Tutto qui! 

venerdì 7 giugno 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: ultime notizie...di Malko

Il Vesuvio visto da Terzigno
“Rischio Vesuvio, Campi Flegrei, commissioni e gruppi” di MalKo

La Regione Campania ha organizzato qualche giorno fa una conferenza stampa per annunciare lo stanziamento di fondi europei da destinare ai comuni e alle province, col fine di dare slancio alle pianificazioni d’emergenza e alle attività informative connesse con i rischi naturali e industriali, secondo linee programmatiche dettate dalla stessa Regione.
L’assessore regionale Edoardo Cosenza ha annunciato l’istituzione di un ufficio di piano, dove dovranno confluire le più aggiornate pianificazioni dei comuni per costituire un archivio. Gli elaborati in corso d’opera invece, dovranno seguire un iter diverso ed essere convalidati dal predetto ufficio.
I comuni che ricadono in zona rossa Vesuvio e Campi Flegrei, avranno a disposizione un budget maggiore per l’indubbia e oggettiva difficoltà nel pianificare piani di evacuazione e di protezione in zone particolarmente difficili e complesse per pericolo e antropizzazione.
Soprattutto per i Campi Flegrei, Il Prefetto Franco Gabrielli ha posto l’accento sulle difficili analisi scientifiche che sono state fatte e che si sono concentrate sugli ultimi cinquemila anni di attività della caldera, ricordando che la nascita del Monte Nuovo nel 1538 non può annoverarsi tra i fenomeni più intensi del supervulcano. Affermazione che suona come un monito a non sottovalutare il pericolo insito in quell’area sulla falsa scorta di una plurisecolare quiescenza.
La nostra impressione è che la caldera flegrea al momento è quella che suscita qualche inquietudine, probabilmente per lo stato di attenzione dichiarato dalla comunità scientifica in seguito ai recenti fenomeni di bradisismo tuttora in corso.
Il Capo Dipartimento della Protezione Civile, nell’ambito della conferenza ha ricordato il notevole lavoro della Commissione Grandi Rischi (CGR) e anche quello della Commissione Nazionale (CN) per l’aggiornamento del piano d’emergenza Vesuvio e dei Campi Flegrei. Quest’ultimo consesso forse è meno noto, anche se in primis è quello impegnato da qualche tempo nella elaborazione degli scenari di pericolo in caso di ripresa dell’attività eruttiva dei vulcani napoletani.
Come anamnesi giornalistica, la data del 7 maggio 2003 è quella che ri-costituisce la commissione nazionale incaricata appunto di provvedere all’aggiornamento dei piani d’emergenza. L’atto fu firmato dall’allora capo dipartimento Guido Bertolaso.
Questo documento ormai decennale, menziona molti partecipanti e incomincia a essere in verità un po’ datato, perché fra costituzione e ricostituzione sul groppone porta ben vent’anni di lavoro sicuramente alacre, ma senza il parto di un piano di evacuazione.
Il documento istitutivo appena accennato (CN), prevede la formazione di ben 4 gruppi di lavoro. Il Gruppo A è quello incaricato di provvedere alla definizione degli scenari e dei livelli di allerta per il Vesuvio e per i Campi Flegrei.  A capo del Gruppo A non poteva che esserci l’Osservatorio Vesuviano per le sue competenze che ne fanno un centro di riferimento per gli aspetti scientifici del rischio.  Altri partecipanti di questo comitato ristretto, sono il Dipartimento della Protezione Civile, un rappresentante della Regione Campania e tre esperti: due di essi ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano. 
Il Gruppo A, nella relazione conclusiva consegnata al Dipartimento il 13 aprile 2012 con doppia firma, stranamente non menziona il lavoro scientifico   Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record di Lucia Gurioli e altri.
Sarà la Commissione Grandi Rischi consultata dal DPC come previsto, ad assumere il 27 giugno 2012 tale compendio, che definisce su carta (linea nera), il limite terminale dei depositi piroclastici rilasciati in situ dal passaggio delle nubi ardenti formatesi in seno ad eruzioni a media e ad alta probabilità di accadimento.  Questo lavoro campale di ricerca è servito da un punto di vista tecnico a stabilire un confine statico e statistico.
La commissione Grandi Rischi ha utilizzato invece la linea nera come (hazard), utile per tracciare limiti di pericolo legati a limiti comunque statistici ma accettati dal dipartimento della protezione civile che fa capo a un organo politico.
La linea Gurioli ha dettato anche la rimodulazione geografica della zona rossa che si è allargata inglobando altri sei comuni e un’enclave nel settore a maggior rischio. 

L’importante assise di esperti (CGR), per la parte rischio vulcanico oggi si avvale della collaborazione del Prof. Alessandro Aiuppa, Università di Palermo, e del Prof. Raffaello Cioni dell’Università di Pisa.
Per quanto riguarda la Regione Campania, vorremmo consigliare all’assessore alla protezione civile, Prof. Edoardo Cosenza, che sarebbe necessario che gli euri stanziati dall’Europa fossero utilizzati in un modo proficuo, magari elaborando studi e progetti finalizzati alla realizzazione di strutture e infrastrutture da destinare in concreto alle attività di protezione civile nelle aree a maggior rischio. Ad esempio, è sconcertante che ogni comune flegreo o vesuviano non abbia almeno un’area di atterraggio elicotteri con annesso cartello di località a lettura verticale. 
Per i comuni in area vulcanica di fascia costiera, pianificare opere di dragaggio dei porti, soprattutto quello di Torre del Greco particolarmente strategico per la posizione mediana che occupa nella zona nera, ci sembra fondamentale. Lo stesso dicasi per la progettazione e la realizzazione di banchine ad attracco rapido, utili per sfruttare al massimo le potenzialità della flotta di catamarani e monocarene, quali navi a basso pescaggio, che ogni giorno percorrono in lungo e in largo il Golfo di Napoli costituendo una vera risorsa operativa...  
La spianata di Bagnoli, sede del deep drilling project,  capiamo che è particolarmente appetibile per spazi e ubicazione geografica. Quest’area però, si offre egregiamente quale area strategica e polifunzionale di protezione civile, perché ricade in punti nodali per i trasporti aerei, ferroviari e stradali e navali. Bisognerebbe solo bonificarla davvero…
Progettare attraversamenti pedonali sopraelevati e protetti agli incroci stradali complessi per traffico e velocità, non guasterebbe già in tempi normali. Lo stesso dicasi per una verifica e un potenziamento della copertura radio in tutta la zona rossa del Vesuvio e dei Campi Flegrei, a iniziare dalla rete delle radio telecomunicazioni dei Vigili del Fuoco, che saranno i primi a ritrovarsi in trincea all’occorrenza.
Il Gruppo B della commissione nazionale incaricata dell’aggiornamento dei piani d’emergenza, ha come referente il dipartimento della protezione civile e un affollatissimo seguito. Il Gruppo B è quello che dovrebbe mettere su le linee guida e la strategia per i piani di evacuazione. Ovviamente e come sapete, siamo all’anno zero.  
Una particolare utilizzazione delle autostrade per l’evacuazione, anche in questo caso rapida di emergenza, dovrebbe essere nel campo delle attenzione, e forse lo è, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco Campania.
Il Gruppo C , informazione ed educazione, ha come referente istituzionale la Regione Campania.
Il Gruppo D, sotto l’egida della Provincia di Napoli, dovrebbe trattare i piani d’emergenza e d’evacuazione comunali o intercomunali,  che vanno tarati in accordo con le strategie del piano nazionale.  All’atto della stesura del documento di ri-costituzione della commissione nazionale, fu sancito che il Gruppo D si sarebbe potuto costituire solo dopo che gli altri tre gruppi fossero giunti a delle conclusioni scientifiche e operative. Probabilmente tale Gruppo D non si è mai riunito, salvo smentite graditissime…
I giornali stamani riportano la notizia di un evento sismico al Vesuvio di magnitudo 2,3 che potrebbe non essere una notizia se avessimo strumenti di tutela. Lascia veramente perplessi la dichiarazione del Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che in un’intervista al Mattino di Napoli facendosi carico di problemi non scientifici, parla di piani di sicurezza della protezione civile pronti da molti anni…
Rinnoviamo ancora una volta l’invito alla classe politica ma anche scientifica, ovviamente in entrambi i casi generalizzando, acchè non profetizzino che la previsioni delle eruzioni è possibile  mesi o anni prima dell’evento. Omettano poi, di dire sciocchezze sui piani d’evacuazione che ancora non esistono. 

Non ricalchiamo gli errori commessi all’Aquila: sarebbe una grossa imprudenza. Innanzitutto e purtroppo perché il dato della previsione eruttiva che si conta a mesi non è comprovato matematicamente. E poi, intuirete, se così fosse, più che piani di evacuazione sarebbero sufficienti piani di mobilità extraurbana, risolvibili con la consegna ad ogni cittadino vesuviano o flegreo di un biglietto Unico Campania, magari di fascia U3 o E3 da obliterare alla partenza, cioè al livello 4 di allerta vulcanica…




domenica 2 giugno 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la prevenzione delle catastrofi...di Malko

Il Vesuvio visto dalla strada che porta a quota mille
“Il Vesuvio, la linea Gurioli e la prevenzione delle        catastrofi”  di MalKo

Con molta attenzione stiamo valutando le scelte operate dal Dipartimento della ProtezioneCivile a proposito dei nuovi scenari di pericolo assunti per la plaga vesuviana. Tali conclusioni si avvalgono del lavoro scientifico della Dott. Lucia Gurioli e altri ("Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record"), contenente una mappa dove è segnata una linea nera che demarca la porzione di area vulcanica che potrebbe essere invasa, in caso di eruzione del Vesuvio, dai temibilissimi    flussi piroclastici.
nuova zona rossa e linea Gurioli
La linea nera che determina questo confine (fig. a lato), ha un profilo irregolare che comprende, segna o circoscrive, tutti i 18 comuni della vecchia zona rossa, ma anche altri non prima considerati, che si sono ritrovati  all’improvviso inclusi nell’area a maggior pericolo. Ci riferiamo a Scafati, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Nola, Palma Campania Napoli e l’enclave di Pomigliano d’Arco che, da un punto di vista tecnico, non può che adeguarsi in termini di piani di evacuazione ai disposti di salvaguardia da stabilire a cura del comune di Sant’Anastasia, cittadina entro cui l'enclave ricade.
Per la maggior parte delle municipalità di fresca nomina si è trattato di un vero dramma. Non già per il rischio di essere investiti da un’ondata piroclastica bollente, bensì dall’essere travolti dalla ben più pericolosa legge regionale 21 del 2003, che vieta qualsiasi pratica di edificazione a scopo residenziale nella zona rossa Vesuvio. La loro ansia, infatti, poi mitigata dalla politica, era tutta lì…
Per rendere più chiaro la nuova scenografia della zona rossa e comprendere anche l’appendice nolana, bisogna capire che il nuovo disposto ha inglobato inizialmente in zona rossa tutti i comuni "toccati" dalla linea nera, anche solo marginalmente. E’ successo per quello di Nola, da qui la strana propaggine; e ancora  Scafati, Poggiomarino, mentre per Napoli il “tocco nero” ha dipinto in rosso non l’intera città ma solo tre quartieri orientali: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli.
Un aiuto alle ansie della popolazione è arrivato dalla politica e nella fattispecie dal Prof. Edoardo Cosenza della Regione Campania, che ha concluso il suo giro di rassicurazioni, spiegando alle amministrazioni  comunali  new entry che era possibile  ricondurre i confini della zona rossa da quelli puramente amministrativi a quelli prospicienti o contigui alla linea nera ridimensionando il sedime a rischio. La black line  rimane comunque un limite intoccabile e insuperabile.
La clausola per stabilire una diversa linea di demarcazione del pericolo, cioè l’arretramento della linea rossa verso il monte, consisteva nel dichiarare i tetti delle case maggiormente esposti all’eventuale pioggia di prodotti piroclastici di caduta, sufficientemente resistenti all’insolito sovrappeso. Un’assunzione di responsabilità già siglata dai sindaci probabilmente con l’avallo dei dirigenti degli uffici tecnici, concretizzata con la spedizione di note e mappe al dicastero regionale campano. Il limite per tirarsi fuori dalla zona rossa era il 31 marzo 2013. Oltre questa data, infatti, i comuni ritardatari o non interessati a una diversa limitazione del pericolo, si sarebbero ritrovati con l’intero territorio comunale in zona (rossa) inedificabile.
Assumere una linea (black line) sostanzialmente puntiforme per delimitare un settore territoriale che potrebbe essere invaso da colate piroclastiche ci sembra francamente un po’ azzardato. Ancora di più se si considera che tale linea non è stata pensata  e segnata come un limite di pericolo. Un margine che annotiamo è stato ampiamente superato dalle eruzione pliniane le cui colate piroclastiche hanno cozzato a sud contro il baluardo dei Monti Lattari. Le eruzioni pliniane c'è da dire che sono rarissime con tempi di ritorno millenari, ma pur sempre insite nel DNA del Vesuvio. 
zona rossa a rischio vulcanico a ovest e ad est della città di Napoli
Il secondo elemento che vorremmo evidenziare con la cartina a lato, è che la città di Napoli confina con due distretti vulcanici molto importanti che si chiamano Campi Flegrei e Vesuvio.
Un certo numero di quartieri ad ovest e ad est della metropoli si ritrovano quindi in zona rossa. Questo significa che al di là dell’eruzione massima attesa (subpliniana), assunta come tipologia di riferimento negli scenari eruttivi del Vesuvio (quelli flegrei aggiornati sono attesi), la città di Napoli non può considerarsi fuori da certe logiche di prevenzione perché è dentro al problema più di quanto s’immagini, e le sue politiche di sviluppo residenziale devono fare i conti con il rischio di eventi naturali non contenibili come le eruzioni. Il settore case deve svilupparsi verso nord, come le vie di comunicazione che dovranno supportare tale scelta.
D’altra parte incomincia a essere insopportabile il fatto che ci siano ancora amministratori che parlano di lottizzare dei suoli insiti in zone che si gonfiano  addirittura sotto i loro piedi.   Dov’è la prevenzione delle catastrofi? La prevenzione è una disciplina che si accompagna logicamente a chi opera sul pericolo che dottamente in ogni dove disquisisce. I medici danno consigli sulla prevenzione delle malattie. Gli enti di Polizia sul come evitare furti e rapine. La guardia di finanza sui raggiri anche informatici; I vigili del Fuoco sul come allontanare il rischio incendi ecc… Nel campo della geologia e in tema di vulcani occorre che l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), attraverso le sue sezioni periferiche come l’Osservatorio Vesuviano, ricordi agli amministratori pubblici che sarà anche importante la geotermia, ma non si possono poi obliare i temi  che riguardano la  prevenzione delle catastrofi. Una disciplina che opera soprattutto sui tentativi di previsione dei fenomeni altamente energetici. In attesa dei progressi scientifici però, non si può abbandonare la strada maestra della prevenzione che rimane un dato certo per difendersi da eventi naturali come appunto le eruzioni vulcaniche.
L’ente scientifico nazionale indubbiamente si è speso bene in termini informativi per il rischio sismico, tant'è che tutti hanno capito la necessità e l'importanza di costruire gli edifici secondo criteri e norme antisismiche. Non abbiamo notato la stessa efficacia informativa per il rischio vulcanico. Fare opuscoli che dicono cos’è un vulcano senza un costrutto finale che acclari i concetti di prevenzione consistenti nel rispetto delle distanze o dei numeri abitativi è minimale; come parlare di un piano di evacuazione evocato a più non posso ma che ancora non esiste. 
La differenza tra i due pericoli probabilmente sussiste perché c’è una certa fiducia nelle possibilità di previsione utile del fenomeno eruttivo, contrariamente a quello sismico che invece è attualmente imprevedibile.  All’INGV però, non deve sfuggire che la previsione ottimistica del fenomeno eruttivo se non suffragata da dati matematici incontrovertibili sui tempi a disposizione, si offre come sponda all’intraprendente politico di turno che continuerà a urbanizzare nelle zone rosse vulcaniche, sia a est che a ovest di Napoli, ancorchè nella plaga vesuviana. Se dal palco si continua a ripetere che l’eruzione si prevederà mesi se non anni prima,il cementificatore ringrazierà sentitamente… 

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: super camera magmatica? Intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko

Il Vesuvio innevato visto da Boscotrecase
"Vesuvio e Campi Flegrei: vulcano, supervulcano e supercamera magmatica? Intervista alla Dott. Lucia Pappalardo" di MalKo
La camera magmatica di un vulcano potremmo assimilarla come idea a una sorta di avamposto del magma verso la superficie. Un magma che popola le profondità astenosferiche differenziandosi per caratteristiche chimiche e fisiche. Una differenza non da poco, poiché influenza le diverse tipologie eruttive, quando il materiale incandescente, stressato, balza fuori dal profondo.
I ricercatori affermano che i materiali eruttati da un vulcano sono nettamente inferiori alla capacità volumetrica complessiva della camera magmatica. Pensando all’eruzione delle pomici di Avellino che sconquassò l’area vesuviana circa 3800 anni fa, e a quella dell’ignimbrite campana nei Campi Flegrei, riconosciuta come la più potente in assoluto verificatasi nell’area regionale, c’è da rabbrividire elaborando calcoli sul materiale piroclastico asperso comparandolo poi e per proporzioni al contenitore sotterraneo…

Dott. Lucia Pappalardo - INGV Osservatorio Vesuviano
Di recente è balzata alla cronaca la notizia che Vesuvio e Campi Flegrei attingono da un’unica grande camera magmatica. La Dott.ssa Lucia Pappalardo ha lavorato a questa tesi che è stata ampiamente riportata dai media soprattutto per gli aspetti di pericolo che si colgono. Avendo già arricchito il nostro giornale con un’intervista ad oggetto proprio la camera magmatica del Vesuvio, abbiamo posto alla gentile ricercatrice alcune  domande:

Dott. Pappalardo, la camera magmatica di un vulcano è paragonabile a un pallone sgonfio che si riempie e poi scoppia?
Negli ultimi decenni le indagini geofisiche hanno rilevato al di sotto di vulcani quiescenti, come ad esempio la caldera di Yellowstone negli Stati Uniti d’America, oppure l’isola vulcanica di Santorini in Grecia, serbatoi magmatici più estesi del previsto, il che implicherebbe la possibilità in futuro di eruzioni catastrofiche.
I dati geofisici indicano che la forma di queste camere magmatiche è generalmente allungata, come una lamina estesa e sottile, e che nuovo magma profondo può “ricaricare” questi serbatoi in brevi periodi di tempo, come per impulsi. Ad esempio, tra il gennaio del 2011 e l’aprile del 2012, le immagini radar satellitari hanno rivelato che un flusso di magma ha “rigonfiato” la camera magmatica che si trova sotto il vulcano di Santorini, riempiendola di circa 10-20 milioni di metri cubi di materiale: approssimativamente 15 volte il volume dello stadio olimpico di Londra. Questo rigonfiamento ha causato un sollevamento dell’isola compreso tra gli 8 e i 14 centimetri. Tuttavia, anche paragonando il rigonfiamento osservato a qualcuno che soffia con forza in un palloncino (invisibile), non conoscendo quanto sia piccolo o grande il palloncino, non possiamo sapere quanti “soffi” saranno necessari per farlo scoppiare.
Articoli recenti datati autunno 2012, parlano di uno studio (Lucia Pappalardo & Giuseppe Mastrolorenzo, Rapid differentiation in a sill-like magma reservoir: a case study from the campi flegrei caldera. Nature’s Scientific Reports, 2 Article number: 712 (2012) doi:10.1038/srep00712), dove si accenna a un’unica grande camera magmatica, che alimenta sia il distretto del Vesuvio sia quello dei Campi Flegrei: è così?
Il nostro studio geochimico ed isotopico delle rocce delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, ha messo in evidenza tra l’altro forti analogie tra le caratteristiche chimiche e fisiche (contenuto in gas, pressione, temperatura ecc…) delle camere magmatiche che hanno alimentato questi vulcani, tanto da farci ipotizzare che si trattasse di un unico esteso strato di magma. Questa teoria spiegherebbe anche la presenza di antichi crateri vulcanici all’interno della città di Napoli, identificati nell’area di Chiaia, che testimoniano la risalita di magma profondo nell’area napoletana localizzata proprio tra i due vulcani. Inoltre, il flusso di calore che oggi si misura in superficie, evidenzia un’unica anomalia positiva estesa al di sotto di tutta l’area napoletana, con il valore massimo in corrispondenza del supervulcano flegreo, dove probabilmente è localizzata la maggior parte del volume di magma.
La camera magmatica di un supervulcano quiescente (Campi flegrei) comprendente anche quella di un secondo vulcano capace di eruzioni del tipo pomici di Avellino, dovrebbe avere dimensioni sbalorditive…
Circa 40000 anni fa i Campi Flegrei eruttarono una quantità di magma considerevole (all’incirca 300 km3) durante la super-eruzione dell’Ignimbrite Campana, considerata la maggiore di tutta l’area mediterranea. L’eruzione fu talmente catastrofica che ricoprì tutta la regione campana di una spessa coltre di tufo grigio, mentre le ceneri più sottili trasportate dai venti raggiunsero distanze elevatissime, fino in Russia. Si ritiene che questa eruzione abbia provocato un vero e proprio “inverno vulcanico”, cioè una riduzione della temperatura terrestre di diversi gradi centigradi per molti anni e addirittura, secondo altre teorie, contribuito alla scomparsa dell’uomo di Neanderthal. Tuttavia, sebbene le super-eruzioni siano eventi altamente distruttivi, sono fortunatamente rarissime.
L’unicità di una camera magmatica condivisa da due distretti vulcanici molto vicini accresce i termini di rischio per le popolazioni?
L’area campana è tra le aree a più alto rischio vulcanico al mondo. Infatti, i vulcani napoletani attivi (Somma-Vesuvio, Campi Flegrei ed l’isola d’Ischia), in grado di generare eruzioni altamente esplosive, sono localizzati in aree densamente popolate.  I nostri dati sulla velocità di crescita dei minerali nel magma hanno dimostrato che le camere magmatiche individuate dalle tecniche geofisiche a circa 7-8 km di profondità, potrebbero contenere magma parzialmente cristallizzato e ricco in gas, che potrebbe “esplodere” in qualsiasi momento. Tuttavia, i vulcani napoletani sono tenuti sotto controllo 24 ore su 24 da un efficiente sistema di monitoraggio che ci permetterà di registrare eventuali segnali premonitori (terremoti, deformazioni del suolo, variazioni del chimismo e temperatura dei gas fumarolici) in tempo utile per allertare la popolazione esposta al rischio. Certo, affinché la gestione dell’emergenza sia ottimale, è necessario predisporre validi piani di emergenza che devono essere ben noti alla popolazione anche attraverso esercitazioni di protezione civile e prove di evacuazione.
Da un certo punto di vista concernente la promiscuità areale, pure l’Isola d’Ischia con i suoi fenomeni di vulcanesimo potrebbe avere importanti connessioni con la camera magmatica già condivisa dagli altri due vulcani? D’altra parte qualche anno fa si registrarono scosse di terremoto al largo del Golfo di Napoli…
L’isola d’Ischia, la cui ultima eruzione risale al 1302, è parte del distretto vulcanico flegreo, insieme anche all’isola di Procida che però non è più in attività da circa 17000 anni. L’isola d’Ischia è nota anche per il terremoto che nel 1883 distrusse Casamicciola: fu il primo evento catastrofico dopo l’Unità d’Italia. Quasi l’80% dell’abitato andò distrutto con migliaia di morti, di cui molti turisti già allora presenti sull’isola. Tra le vittime del terremoto vi furono anche i genitori e la sorella del futuro filosofo Benedetto Croce, allora diciassettenne, che fu estratto vivo dalle macerie.
Con quali strumenti si identificano i limiti della camera magmatica e con quale grado di affidabilità?
Un potente strumento d’indagine per la caratterizzazione del sottosuolo è una tecnica nota come tomografia sismica. Essa ricalca a grandi linee i principi della TAC utilizzata in campo medico. Infatti, mentre nella TAC si utilizza la propagazione dei raggi X per individuare strutture a maggiore densità, allo stesso modo nella tomografia sismica sono utilizzate le onde sismiche. Queste si propagano in maniera differente a seconda della densità del materiale che attraversano. Nel caso di un liquido, come appunto il magma, le onde viaggiano molto più lentamente rispetto a rocce solide. Con questa tecnica è stato possibile individuare a circa 7-8 km di profondità al di sotto del Vesuvio e dei Campi Flegrei, uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S, con spessore dell’ordine di 1 km, che è stato interpretato come un ampio serbatoio di alimentazione magmatica di forma planare, che appare essere una caratteristica comune ai due vulcani.
Un’altra tecnica pionieristica per studiare la struttura interna dei vulcani è la radiografia muonica. Queste particelle sono una sorta di elettroni «pesanti» che, proprio in virtù della loro massa, sono in grado di penetrare strati di roccia dello spessore di 1-2 chilometri. Attraverso un telescopio muonico è possibile determinare con precisione la traiettoria dei muoni che lo attraversano e costruire una mappa del diverso assorbimento che subiscono le particelle a seconda della densità delle rocce attraversate.
Oltre ai limiti è possibile stabilire la composizione chimica del magma in profondità, cioè ravvisarne le modifiche chimiche e fisiche dettate dai nuovi materiali in arrivo?
Quando nuovo magma profondo raggiunge il serbatoio magmatico più superficiale ed eventualmente si mescola con il magma già presente nella camera, è possibile che si verifichi un rilascio di gas magmatici che, attraverso le fratture presenti nelle rocce, arriva in superficie ed alimenta le fumarole. Per questo motivo la temperatura e la composizione chimica dei gas fumarolici sono tenute sotto controllo, poiché una loro variazione potrebbe indicare un aumento nell’apporto di magma profondo.
L’attuale estensione della camera magmatica del Vesuvio, contiene materiale a sufficienza per quale tipo di eruzione? In termini pratici cosa differenzia una camera magmatica foriera di eruzioni di tipo Avellino da quella che indusse l’eruzione del 1944?
I nostri studi sulle caratteristiche chimiche ed isotopiche dei magmi che hanno alimentato le eruzioni passate, indicano camere magmatiche distinte per le eruzioni poco esplosive o effusive del tipo dell’ultima eruzione stromboliana del marzo del 1944 rispetto alle eruzioni esplosive intermedie (supliniane) e catastrofiche (pliniane).
Il serbatoio che alimenta le eruzioni più modeste infatti, è caratterizzato da magma di tipo tefritico, poco viscoso e povero in gas, che staziona a profondità comprese tra 16 e 20 km. Le eruzioni più violente invece, sono alimentate da magmi più evoluti di tipo fonolitico, cioè più viscosi e ricchi di gas, che stazionano a profondità comprese tra i 6 e gli 8 Km. L’attuale camera magmatica è stata individuata proprio a questa profondità, dove del resto esiste un’importante discontinuità litologica dovuta al passaggio da rocce sedimentarie a rocce cristalline, che favorirebbe l’accumulo di grandi quantità di magma.
In molte publicazioni viene continuamente affermato che la potenza eruttiva di un vulcano è rapportata ai tempi di quiescenza… la moderna vulcanologia conferma questa tesi?
In effetti questa tesi che risale ad alcuni decenni fa, è stata superata dai più moderni studi scientifici. Ad esempio, una recente ricerca (Druitt et al., Nature 2012) ha dimostrato che nel caso della violenta eruzione che interessò il vulcano di Santorini nel 1600 a.c., e che si ritiene provocò la scomparsa della civiltà Minoica, il serbatoio di magma iniziò a ricaricarsi solo 100 anni prima della catastrofe e il processo si concluse solo pochi mesi prima dell’eruzione.  Anche i nostri studi sulla velocità di crescita dei cristalli nei magmi vesuviani e flegrei hanno dimostrato che le camere magmatiche che alimentano questi vulcani sono in grado di raggiungere condizioni critiche che possono culminare in un’eruzione esplosiva violenta in tempi relativamente rapidi, dell’ordine di poche centinaia di anni.
 I tempi di risalita in superficie del magma dal profondo sono imprevedibili?
Una stima sulla velocità di risalita del magma in superficie può essere dedotta dalle caratteristiche tessiturali delle rocce vulcaniche, in particolare dalle dimensioni e forma delle vescicole e dei microcristalli che si formano via via che il magma degassa durante la risalita nel condotto vulcanico. I nostri studi sulla tessitura delle rocce vulcaniche dei Campi Flegrei e del Somma Vesuvio hanno dimostrato che, nel caso di alcune delle eruzioni passate, il magma ha raggiunto la superficie in tempi relativamente rapidi. Tuttavia, per quanto riguarda una eventuale futura eruzione, nessuna previsione può essere formulata. In nessun modo infatti, è possibile definire con certezza quanto potrà durare il periodo di crisi che normalmente precede un’eruzione.


Spaccato della struttura profonda
dei vulcani napoletani
Nel grafico a colori è riportata la struttura profonda dei vulcani napoletani dedotta dallo studio geochimico delle rocce vulcaniche delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio. In rosso sono indicate le possibili aree di accumulo di magma. Il magma silicico ricco in gas localizzato intorno ai 6-8 km di profondità, ha alimentato le eruzioni intermedie e altamente esplosive, mentre il serbatoio di magma mafico più profondo ha alimentato le eruzioni meno violente

Con cordialità la redazione di Hyde ParK ringrazia la gentile ricercatrice, Dott. Lucia Pappalardo, per la preziosa collaborazione che ci ha assicurato, consentendoci con chiarezza di entrare nei dettagli più vivi e aggiornati delle caratteristiche geologiche dei vulcani che dominano il territorio cittadino e provinciale della città di Napoli.



Rischio Vesuvio e linea nera: Intervista alla Dott. L. Gurioli...di Malko

Area vesuviana - foto aerea  a cura di Andrew Harris

Rischio Vesuvio, zona rossa e linea nera: intervista alla Dott. Lucia Gurioli... di MalKo
I flussi piroclastici rappresentano uno degli effetti più deleteri del risveglio di un vulcano esplosivo. Trattasi di un fenomeno temuto e pericoloso, soprattutto per una zona come quella vesuviana caratterizzata da una conurbazione asfissiante e caotica che ha letteralmente invaso la fascia pedemontana del Vesuvio, per poi spingersi fino alle pendici del monte. Un’urbanizzazione che, per superfici e numeri in gioco, ha portato l’indice di rischio zonale a un valore di inaccettabilità per un Paese che si definisce moderno e garantista.
Il Dipartimento della Protezione Civile, retto dal Prefetto Gabrielli, seguendo le indicazioni pervenute da una commissione incaricata di valutare e definire scenari e livelli di allerta, ha deciso, sentito anche la commissione grandi rischi (CGR), di adottare la pubblicazione scientifica della ricercatrice Dott. Lucia Gurioli per delimitare geograficamente l’area a maggior rischio per gli abitanti del vesuviano,includendo nuovi territori a quelli dei diciotto comuni già classificati in zona rossa. Gli scenari presi a riferimento e da cui bisognerà difendersi, sono quelli ipotizzabili per un’eruzione sub pliniana, accettata statisticamente dagli esperti istituzionali come eruzione di riferimento (EMA) per la stesura dei piani d’emergenza.

La Dott.ssa Lucia Gurioli come detto, è autrice insieme ad altri, di un lavoro scientifico in cui si evidenziano su carta  alcune linee che rappresentano il limite entro cui dilagarono i flussi piroclastici nel corso della plurimillenaria storia eruttiva del Vesuvio. I risultati, frutto di un lavoro campale, sono stati oggetto di un articolo molto interessante dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Lo studio geologico basatosi su un’intensa attività all’aperto, è stato suffragato da indagini dirette sui materiali deposti dal Vesuvio nell’arco della sua lunghissima storia eruttiva. Alla gentile Dott. Lucia Gurioli, che vive e lavora in Francia, abbiamo posto alcune domande:
Dott.ssa Gurioli, la mappa che riportiamo è tratta dalla pubblicazione citata in precedenza.  I limiti definiti da un segmento rosso, e poi nero e ancora verde, cosa indicano esattamente?
I limiti riportati sono quelli di depositi messi in posto dai flussi piroclastici durante le maggiori eruzioni del Vesuvio verificatesi negli ultimi 20.000 anni (Pomici di Base, Verdoline, Pomici di Mercato, Pomici di Avellino, Pomici di Pompei, Pollena e 1631). Nella pubblicazione abbiamo elaborato, per ogni singola eruzione, il piano di giacitura dei prodotti rilevati con le attività di campo. 
Sovrapponendo quindi ogni piano, caratterizzato da uno spessore e da una superficie, siamo riusciti a mappare e definire i limiti d’invasione dei flussi piroclastici.

La figura qui di fianco riporta le zone del vulcano che sono state flagellate dalle colate piroclastiche con un diverso indice di frequenza.
La linea rossa delimita una zona ad alta frequenza d’invasione, che raggruppa le aree colpite da tutte le eruzioni che hanno comportato la formazione di nubi ardenti.  La linea nera invece, delimita un’area leggermente più estesa che comprende una frequenza media di accadimenti invasivi.  La “corona” asimmetrica tra la linea rossa e nera invece, indica una zona, dove almeno due eruzioni hanno lasciato in loco i loro depositi. Infine, si evidenzia l’area gialla, quella più estesa, dove si registrano i depositi da flussi scaturiti dalle imponenti eruzioni di tipo pliniano. Quest’ultime, ricordiamo, sono le più energetiche e distruttive prodotte dal Vesuvio.
La zona gialla che si protende verso sud est é quella che fu colpita dall’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C. Quella orientata a nord invece, fu invasa dai flussi della violenta eruzione di Avellino. Queste due aree racchiuse complessivamente e omogeneamente all’interno della linea verde, furono flagellate da colate piroclastiche molto energetiche, caratterizzate da elevata mobilità. Eventi indubbiamente particolari che si sono manifestati solo due volte nell’arco dei 20.000 anni presi in esame.
I materiali piroclastici visionati e analizzati hanno dato un’idea delle temperature raggiunte dalle colate piroclastiche?
La temperatura media dei depositi di tutte queste eruzioni é di 250-370 °C (Zanella et al. 2013). Questi dati sono stati ottenuti con misure paleomagnetiche condotte sui litici dispersi nei depositi piroclastici.
La linea nera ha un suo logico proseguimento anche sul mare. A volerla tracciare a quanti metri dalla costa bisognerebbe evidenziarla?
La linea nera rappresenta un’indicazione: se si vuole tracciarla sul mare, diventa una linea fantascientifica perché non abbiamo alcun tipo di misura. Comunque, a forzare una risposta su basi analitiche, due chilometri dalla costa potrebbe essere una misura accettabile per disegnare un segmento che unisca le due estremità della linea nera.
I centri urbani con i loro edifici in zona nera costituiscono un serio freno al dilagare dei flussi piroclastici? Un po’ di anni fa c’era chi proponeva una sorta di muraglia cinese per difendere le popolazioni dalle nubi ardenti…
Non mi pronuncio neanche sull’idea originale, ma poco convincente della “muraglia cinese”. Per quanto riguarda la linea dell’edificato invece, dico solo che gli studi fatti nelle aree archeologiche colpite dall’eruzione di Pompei, hanno evidenziato che i flussi, soprattutto quelli più diluiti, interagiscono localmente con la struttura urbana, ma poi il sistema di trasporto della corrente (che può essere spessa anche fino a 200 metri), passa la città indisturbata ancora per chilometri (Gurioli et al. 2005 ; 2007 e Zanella et al. 2007)
- Il limite della black line lo possiamo definire garantista rispetto a quali tipologie eruttive e a quali fenomeni?
La line nera non era assolutamente stata pensata come un limite di rischio. Se io dovessi tracciare un qualcosa, innanzitutto disegnerei una fascia nera piuttosto che una linea. Poi, questo nero é un segmento tracciato e basato su limiti di depositi, e quindi rappresenta un valore minimo di riferimento. Noi non sappiamo con il passare del tempo quello che é stato perso in termini di materiali in sito, e logicamente non abbiamo informazione di quello che si è perso senza lasciare tracce. In questa carta poi, non c’é alcuna indicazione delle aree che potrebbero essere interessate dalla parte più diluita della corrente, che noi chiamiamo ash cloud. Quindi, per me la linea nera non dovrebbe essere utilizzata in termini di tutela, o comunque dovrebbe essere utilizzata come un limite minimo di riferimento. Per tracciare una carta di pericolosità utile per la prevenzione, occorre fare un lavoro più ponderato e finalizzato, ma non era questo lo scopo della pubblicazione. Teniamo presente inoltre, che questa carta deve essere completata con altri elementi di studio che riguardano ad esempio i depositi di caduta, dei quali noi non facciamo alcun cenno nell’articolo scientifico.
- Al di là della black line, nel senso opposto al Vesuvio, cosa è lecito attendersi nel caso dovesse verificarsi un’eruzione sub pliniana del tipo 1631?
Questa é una domanda alla quale non saprei rispondere. Noi sappiamo che i flussi piroclastici del 1631 sono stati delimitati dalla barriera del Somma, ciononostante sono state trovate delle ceneri oltre l’orlo calderico. Dato che le ceneri hanno lasciato uno spessore irrisorio e una dispersione limitata, non sono state prese in esame in questa carta, ma la loro presenza é sufficiente per affermare che porzioni più diluite dei flussi sono andate anche oltre il rilievo del Somma.
- In Francia com’è valutato il rischio Vesuvio?
Per tutti i vulcanologi e non solo francesi, il Vesuvio rappresenta certamente uno dei vulcani più pericolosi al mondo, a causa dell’elevato numero di abitanti che affollano le pendici del vulcano, la base e l’intera plaga vesuviana circostante.
 La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott. Lucia Gurioli per la gentile disponibilità a rispondere ad alcune domande particolarmente utili per tenere aggiornati, anzi aggiornatissimi, tutti i temi che riguardano direttamente o indirettamente il Vesuvio. L’opera informativa in questo caso ha una valenza non solo dal punto di vista della ricerca e della prevenzione, ma anche da quello più spigoloso riguardante i piani d’emergenza e d’evacuazione che sono appena in itinere.