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martedì 17 giugno 2025

Rischio Vesuvio: da qui a 119 anni... di Malko

 

Napoli e il Vesuvio

Per mettere a punto un piano di emergenza a fronte del rischio eruttivo dettato dal famosissimo Vesuvio, è necessario un’attenta analisi che riguardi innanzitutto la determinazione energetica del pericolo insito nelle viscere della montagna, indagando necessariamente nel passato secolare e millenario del vulcano, senza lesinare ogni sforzo scientifico mirato a comprendere le dinamiche magmatiche operanti nel sottosuolo.

La tipologia eruttiva che ha caratterizzato la storia geologica dell’area vesuviana, annovera stili eruttivi molto differenti tra loro, con eruzioni talvolta da richiamo turistico, mentre altre volte potenti al punto da sconvolgere l’intera plaga vesuviana: ne sono un esempio l’eruzione pliniana del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano e quella sub pliniana del 1631. L’ultima dirompenza invece, è avvenuta nel 1944 a distanza di 38 anni da quella più dannosa del 1906, e fu prevalentemente effusiva con lava e caduta di cenere e lapilli. Ad oggi, sono quindi 81 anni che il Vesuvio è in uno stato di quiescenza…

Il gruppo di lavoro incaricato anni fa di stabilire quale tipologia eruttiva potrebbe caratterizzare la futura eruzione del Vesuvio, sintetizzò nelle conclusioni due percorsi che riconducono a una tabella A e a una tabella B. La differenza tra le due alternative è racchiusa in due intervalli di tempo diversi nel tetto ma non alla base, in quanto partono entrambe dai 60 anni di quiescenza dall’ultima eruzione. Ovviamente lo studio è di taglio statistico  probabilistico senza alcun risvolto deterministico.

Il prospetto A, come si vede nello schema sottostante, chiama in causa per lo stile eruttivo un intervallo di tempo a partire dai famosi 60 anni di quiete geologica ma senza un limite temporale superiore. Nella tabella B invece, la statistica riguarda un arco di tempo preciso che va sempre dai 60 anni di quiescenza ma fino ai 200 anni. In altre parole il percorso B indica le percentuali statistiche che caratterizzeranno nei prossimi 119 anni la possibilità che si manifesti un certo tipo di eruzione. 

Vesuvio: probabilità circa lo stile eruttivo della futura eruzione.

Il dipartimento della protezione civile, visto le conclusioni del gruppo di lavoro e, sentito la commissione grandi rischi,  decise di adottare il percorso B e con esso tutto ciò che ne consegue col successivo apporto della regione Campania per rifinire i contorni della zona rossa secondo logiche che dovevano essere probabilmente più garantiste. Gruppo e commissione avevano operato la scelta dell’eruzione di scenario optando per una VEI4,  obliando l’eruzione pliniana (VEI5) dal novero delle possibilità eruttive: non lo diciamo noi, ma lo dice il piano d’emergenza nazionale che perimetra di fatto l’estensione della zona rossa partendo dall'assunto eruttivo sub pliniano prestabilito dalle autorità.

Con questi numeri, in entrambi i casi, A o B, un evento di tipo stromboliano (VEI3) risulta essere l’eruzione più probabile, anche se, come sottolinea lo stesso lavoro degli esperti, le eruzioni stromboliane violente caratterizzano di solito un vulcano a condotto aperto. Questo dovrebbe indurre a ritenere che la prossima eruzione del Vesuvio possa presentarsi con una tipologia eruttiva di tipo esplosivo. Gli esperti concordarono che l’adozione di uno scenario di piano tarato su un evento massimo sub pliniano VEI4, avrebbe assicurato tutela ovviamente pure a fronte di un evento eruttivo VEI3, e sarebbe stato quindi statisticamente garantista per la popolazione vesuviana, coprendo il 99% delle dinamiche eruttive prospettate dagli indici probabilistici riportati nel percorso B.

Se il dipartimento della protezione civile avesse invece adottato la tabella A, i piani d’emergenza per forza di cose avrebbero dovuto contemplare l’eruzione pliniana (VEI5) come evento massimo di scenario, visto i valori probabilistici in questo caso non proprio minimi (11%). La grande novità di quest’ultima scelta, sarebbe stata l’inclusione di buona parte della città di Napoli nella zona rossa vulcanica: una possibilità che nessuno voleva e vuole, anche se la problematica non è risolvibile col diniego generale. 

La buona politica del governo del territorio, con implicazioni politiche locali, regionali e nazionali, avrebbe dovuto riflettere attentamente sul tempo offerto dal percorso B che, pur preso per oro colato, se da un lato ha ridimensionato in evento medio l'eruzione di riferimento massima attesa al Vesuvio per il prossimo secolo, ha stabilito in ogni caso un arco di tempo, un giro di boa oltre il quale occorrerà annoverare pure la possibilità che si materializzi un evento pliniano.

Un principio che dovrebbe essere faro del fare, e che dovrebbe guidare con molta convinzione gli strateghi della prevenzione, è quello che stabilisce il concetto che i piani di emergenza e di evacuazione non devono adeguarsi al territorio che evolve, soprattutto se in forma scoordinata, ma è il territorio che deve evolversi adeguandosi alle necessità di sicurezza, attraverso rinunce e ingegno, innanzitutto perchè il pericolo eruttivo non è delocalizzabile. Purtroppo assistiamo a politiche urbanistiche miopi, che badano più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce... Tra l'altro parliamo di un pericolo, quello vulcanico, non garantito deterministicamente dalle pratiche previsionali, né sul quando si presenterà, e neanche sul quanto sarà energetico il futuro evento, se non con azzardo statistico. 

Un armonico e coordinato sviluppo antropico, pratica assolutamente necessaria nell’area napoletana, dovrebbe essere regolamentato intorno al Vesuvio, seguendo le scie lasciate dai depositi piroclastici di tutte le eruzioni e i punti del fin dove si sono spinte. La pianificazione urbanistica dovrebbe guardare al futuro, per evitare le condizioni di una conurbazione disordinata, asfissiante, e senza politica degli spazi, tanto necessaria per fronteggiare un pericolo raro ma incontenibile. Purtroppo parlare di quello che succederà tra un secolo, una distanza temporale che non vedrà attori e decisori che operano nell'attualità, è quasi impossibile per chi non ha l'abito mentale di pensare pure al futuro e alla vivibilità provinciale che si tramanda. 

Le politiche di prevenzione della catastrofe vulcanica, avrebbero dovuto trarre spunto dalle parole del ministro Musumeci, che ha affermato a proposito dei Campi Flegrei, che sono decenni che non si è fatto niente per garantire sicurezza a questi territori. Una affermazione che dovrebbe essere all’origine di profonde riflessioni in capo all'inerzia di non pochi protagonisti istituzionali e amministrativi, che vivono dell’oggi e senza estendere i loro orizzonti garantisti a favore dei posteri, che saranno sempre più fragili per condizioni antropiche e per estrema dipendenza tecnologica. 

Si fa notare che l’inedificabilità sancita per la zona rossa VEI 4 (R1), di fatto ha incentivato la fame di case nel perimetro immediatamente contiguo alla zona ad alta pericolosità vulcanica, cioè quella attuale che chiamiamo VEI4. Per quanto esposto e in ossequio alle politiche di prevenzione, nel 2019 suggerimmo di delimitare anche una zona rossa pliniana (VEI5) intorno alla attuale zona rossa VEI4, dove non è necessario vietare in toto la realizzazione di manufatti ad uso residenziale come è stato fatto solo per la zona rossa 1 (R1), ma almeno di classificare tale corona circolare come zona regolamentata, in modo che sia possibile preventivamente procedere con la pianificazione delle misure di difesa passiva e attiva che richiedono impegno di urbanisti e ingegneri dell'ambiente e del territorio.

Disegno non in scala.


Per entrare nelle logiche discorsive a proposito della zona regolamentata, occorre un preambolo: le matrici di rischio che governano la coesistenza con un pericolo naturale come le eruzioni vulcaniche, prevedono nell’odierno e in genere tre possibilità:

  • 1.    Mancato allarme eruttivo;
  • 2.    Allarme eruttivo diramato in tempi utili;
  • 3.    Falso allarme eruttivo.

A voler forzare le statistiche da un punto di vista discorsivo, c’è il 33,33% di possibilità che si verifichi un mancato allarme eruttivo con conseguente disastro vulcanico. Nel 66,66% dei casi invece, la popolazione vesuviana sarebbe salva o perché non si verifica l’evento annunciato, o perché è stato previsto in tempo utile. Il problema grosso però, e che adottando una eruzione di taglia media (VEI4) nei piani di emergenza e non quella massima conosciuta (VEI5), si determinerebbe, per quanto misurata, un’ulteriore matrice di rischio dovuta alla possibilità che si possa presentare, magari pure prevista e annunciata dall’ente di sorveglianza, un evento eruttivo di taglia superiore a quello adottato dagli attuali piani di emergenza. Non va sottaciuto infatti, che non è possibile stabilire in anticipo che tipo di eruzione il Vesuvio ha in serbo per il futuro prossimo o lontano o lontanissimo; tra l’altro bisogna tenere in debito conto che l’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C., attinse materiale rovente direttamente dalla camera magmatica miriametrica, senza bisogno di accumulare nei primi chilometri il materiale da eruttare…

L’ulteriore matrice di rischio comporterebbe:

      4.   Allarme eruttivo diramato in tempo utile con eruzione    energicamente   Superiore a VEI 4.    

In quest’ultimo caso e premesso che le popolazioni ricadenti nella zona gialla devono attendere istruzioni con eruzione in corso, si creerebbe la condizione che non pochi vesuviani ancorchè non menzionati e non coinvolti dal piano d’emergenza, sentendosi garantiti proprio dall’esclusione evacuativa, rimarrebbero immoti e verrebbero quindi travolti dalle dirompenze vulcaniche di un’eruzione pliniana o simil pliniana, perché l’indice di esplosività vulcanica (VEI), potrebbe essere superiore alla cifra tonda, ma non fino a quella successiva, come nel caso dell’eruzione del 472 d.C. che nella letteratura scientifica viene classificata dai ricercatori come una sub pliniana vigorosa, e da altri come una pliniana appena minore...

La zona rossa vulcanica attualmente vigente nella plaga vesuviana, è una zona determinata in parte scientificamente, in parte amministrativamente e in parte politicamente. Molti amministratori e tecnici, hanno grattato risorse interpretative dal barile dei limiti, in modo da ridurre all'osso le distanze di sicurezza, magari in un contesto di controllori nel migliore dei casi distratti. Utilizzando multi criteri allora, è stata circoscritta la nuova zona rossa Vesuvio, adottando una eruzione media come eruzione di scenario su cui pianificare, e ancora è stato assunto il principio discutibile che l'orlo calderico del Monte Somma è un baluardo protettivo a fronte dei flussi piroclastici prodotti da un evento con indice di esplosività vulcanica VEI4. Questa convinzione ha fatto sì che il confine della zona rossa a ridosso delle municipalità napoletane (San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli) e fino a Volla compresa, è talmente esiguo da contravvenire a qualsiasi principio di precauzione, visto l'assenza di distanze di rispetto dalla linea di deposito dei flussi piroclastici. 

Il comune di Napoli che ha salvaguardato le aree ancora edificabili dalla mannaia della legge anti cemento 21/2003, non ha inteso estendere questi limiti in via precauzionale all'interezza territoriale delle tre municipalità orientali, rendendo inalterato e all'occorrenza, il pericolo rappresentato dalla parte meno densa e aerea delle correnti piroclastiche.

Lucia Gurioli: Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius
based on the geological record

Nel disegno soprastante estrapolato dal lavoro scientifico della ricercatrice Lucia Gurioli si vedono nel campo giallo limitato da una linea verde, i limiti d'invasione dei flussi piroclastici nel corso di due eruzioni pliniane. L'area gialla orientata a sud est riguarda l'evento eruttivo di Pompei del 79 d.C. Quella a nord ovest con testa rotondeggiante, è afferente alla terribile eruzione delle pomici di Avellino verificatasi 3800 anni fa. La linea nera invece, così come già accennato in precedenza,  delimita, col metodo delle indagini campali, il limite di massimo scorrimento dei flussi piroclastici in seno ad eruzioni VEI4. In altre parole, la linea nera Gurioli dovrebbe essere la linea scientifica dell’attuale zona rossa ma non di quella futura, quando e nella migliore delle ipotesi,  si resetteranno da qui a un secolo gli orologi statistici. 

D’altra parte ed è utile ricordarlo, nella stessa relazione scientifica del 2012, si annota che la decisione di assumere una eruzione VEI 4 come evento di riferimento sui cui pianificare le misure protettive per la popolazione, è frutto pure di valutazioni da rischio accettabile: una formula che dovrebbe competere alle autorità politiche piuttosto che a quelle scientifiche...

Vesuvio: zona rossa 1, rossa 2, gialla e blu.





lunedì 2 giugno 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il pericolo vulcanico non è percepito... Malko

 

Rione Terra - Pozzuoli

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza un luogo del Pianeta ancorchè dell’area occidentale metropolitana di Napoli, dove è possibile che si verifichino eruzioni di tutto rispetto in quello che di fatto è un super vulcano. L’ultimo evento eruttivo risale al 1538 e fu di modeste dimensioni. In tutti i casi sono 487 anni che la crosta pur con sussulti, ingobbimenti e degassazioni, riesce a contenere le masse magmatiche stipate a circa 8 – 10 chilometri nel sottosuolo calderico senza dare spazio a dirompenze. Trattandosi di una copertura crostale abbastanza fratturata, c’è chi ipotizza che si sia infiltrata qualche intrusione magmatica fino a circa 3 chilometri dalla superficie. Questa condizione porterebbe un ulteriore apporto al riscaldamento delle acque idrotermali già surriscaldate dai fluidi magmatici, favorendo ulteriormente  il fenomeno del bradisismo e della sismicità associata. L’ente ufficiale preposto al monitoraggio vulcanico (INGV) invece, esclude questa possibilità intrusiva.

Dalle stesse spaccature della crosta superficiale, in alcuni punti si sprigionano una gran quantità di gas prevalentemente di origine magmatica, come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato: sostanze gassose che vengono spinte in superficie si diffondono nell’aria soprattutto in concomitanza con eventi sismici che fessurano ulteriormente la crosta e shakerano le acque gasate. Le pressioni interne alla crosta superficiale deformano gli strati litoidi fino a spaccarli inducendo i terremoti che, anche se non sono di elevata magnitudo, in ogni caso sono temibili per la superficialità degli ipocentri. I danni in genere sono riconducibili alla qualità dell’edificato e alle caratteristiche dei suoli di fondazione.

Entrando nelle tematiche naturali che caratterizzano questo territorio, diciamo subito che l’area calderica flegrea è una zona multirischio, con fenomeni a diversa estensione e intensità e pericolo, che si distinguono per la grande differenza esistente fra ogni singola manifestazione naturale, e per quelli che sono gli  intervalli di ritorno dei fenomeni che non sono quantificabili. Ovviamente finché perdura il bradisismo, perdura tutta la fenomenologia associabile al bradisismo che è legato alla radice magmatica flegrea. Quindi dovrebbe essere piuttosto chiaro che una eruzione è un evento non obliabile:  rimane infatti un avvenimento  fenomenale, potente, e naturalmente e purtroppo immanente in questi luoghi.

FENOMENO:

Eruzione vulcanica

Terremoti

Bradisismo

Emanazioni gassose

ULTIMA MANIFESTAZIONE:

1538

Mm > 2

23/05/2025

In corso

In corso

TEMPI DI RITORNO:

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ognuno di questi fenomeni legati al vulcanesimo flegreo che non è statico ma dinamico con implicazioni superficiali e profonde, sono di fatto imponderabili nel loro incedere, e quindi non è possibile lanciarsi in previsioni sul divenire delle cose che sono tutte figlie del famoso concetto del Panta rei. La constatazione poco rassicurante è che tutte le tipologie di pericolo segnalate, con sintomi a diversa intensità, sono in una certa misura da ritenersi ineluttabili, almeno finché il sottosuolo dei Campi Flegrei avrà una consistente base magmatica a profondità miriametrica. Tra l’altro le rocce fuse si estendono fino al sottosuolo vesuviano, in quella che sembra sia una unica e vasta camera magmatica: "un gran lago di magma" recitavano i media circa una decina di anni fa, anche se non ci sono evidenze di reciproche ingerenze tra i due distretti vulcanici.

Secondo un  emerito accademico salernitano invece, le eruzioni degli ultimi millenni nei Campi Flegrei vanno scemando in potenza, e dalle deformazioni della camera magmatica si capisce che i volumi di magma in gioco non sono eccessivi e sono stimabili in cento milioni di metri cubi: come una piccola collinetta. L'esperto continua affermando che in caso di eruzione ci si aspetta un evento simile a quello del 1538. In realtà i volumi di magma che interessarono quest'ultima eruzione, sono stati decisamente inferiori a quelli richiamati dall'esperto... Se l'eruzione tipo 1538 avvenisse sotto una città, secondo l'associato ed è lapalissiano, i problemi in ogni caso non mancherebbero. L'attesa di una eruzione simile a quella che diede vita al Monte Nuovo (H 133 metri), è condivisa senza conferme ufficiali da più scienziati. I piani di emergenza però, e lo ricordiamo, sono tarati su un evento massimo di tipo sub pliniano (VEI4).

Il fenomeno che preoccupa le popolazioni flegree, spiccatamente puteolane, sono le puntate bradisismiche che caratterizzano da secoli questi luoghi. Nel recente passato si segnalano le crisi  bradisismiche del 1969/1972, e poi quella del 1982/1984. La terza puntata bradisismica, cioè quella attuale, è iniziata in sordina il 2005, ma con una intensità via via crescente e resasi preoccupante ad iniziare dal 2018. Il massimo sollevamento del suolo di 145 centimetri, misura provvisoria, si registra sul fondo del mare a circa 500 metri a sud del Rione Terra (Pozzuoli). Una eventuale controtendenza del bradisismo che potrebbe divenire discendente, mitigherebbe di molto la componente sismica. Anche in questo caso però, il pericolo vulcanico rimarrebbe intatto.

Affrontando l’argomento rischio pure da un punto di vista tecnico, occorre sottolineare che nel flegreo sono percepibili dai sensi solo i terremoti e le emanazioni gassose di idrogeno solforato per il loro caratteristico odore di uova marce. I sismi quindi sono il fenomeno che coglie la maggiore attenzione della popolazione, a causa della diretta percepibilità dell’energia rilasciata nell’area dai sussulti crostali, non influenzabili in alcun modo dalle condizioni ambientali.

L’altro fenomeno, quello delle emanazioni gassose dal sottosuolo che si diffondono nell’aria, come detto sono percepibili dall’olfatto solo per la componente idrogeno solforato: per quanto riguarda l’anidride carbonica invece, è il caso di ricordare che è un gas  inodore e incolore; più pesante dell'aria e rilevabile in genere solo con apposite strumentazioni. Il sollevamento del suolo poi, è un fenomeno lentissimo, pari a circa mm. 0,05 al giorno, che è una misura che può anche variare nel tempo, ma in tutti i casi non è fisicamente percepibile direttamente dalla popolazione. Se lo fosse il pericolo sarebbe massimo e da gambe in spalla.

La percezione di un fenomeno allarmante è sicuramente un processo complesso proprio degli esseri viventi e quindi degli umani, ancorché fondamentale per poter comprendere e interpretare attraverso l'elaborazione delle informazioni fornite dai sensi, i pericoli derivanti dall'ambiente circostante. La risposta al pericolo spesso è la fuga che non sempre è ragionata e a volte è inconsulta: sovente dettata da una pressione psicologica che mina la lucidità mentale quando si è sotto minaccia. Nello schema sottostante si evidenzia la differenza tra un piano di evacuazione e un piano di allontanamento: la chiave comportamentale è proporzionale alla intensità con cui i sensi percepiscono il fenomeno nocivo o letale, con la variante dettata dalle informazioni che si hanno sulle caratteristiche del pericolo.



La componente amministrativa ai vari livelli ma anche quella scientifica, sembrano orientate a scollegare dalla comprensione collettiva i fenomeni naturali prima accennati dal rischio eruttivo. Una necessità considerata strategica per favorire probabilmente politiche di resilienza a fronte dei terremoti ritenuti il vero problema di cui occuparsi nella zona d'intervento bradisismica. Apparentemente tali politiche sembrano convincenti, ma sarà proprio questa scaltra selezione dei pericoli che ha consentito al ministro Musumeci di poter dire che ci sono decine di lustri di ritardo nella prevenzione del rischio vulcanico. Cavalcare quindi la sola teoria sismica, è un modus operandi che assicura consensi popolari, ma che può essere sconfessato in qualsiasi momento; in tutti i casi non sono manovre da grande politica, perchè possono minare le future necessità di sicurezza della popolazione intra calderica.

Alla base della minore sensibilità verso il rischio eruttivo dettato forse pure da un bisogno psicologico di obliarlo, c'è la mancata percezione da parte dei sensi della pericolosità vulcanica. Un pericolo che ha rendicontazione analitica e non direttamente  percepita in assenza della colonna eruttiva, con processi informativi che coinvolgono varie istituzioni e amministrazioni spesso con linguaggi da pensiero unico sbilanciati su tutti i pericoli areali tranne quello vulcanico. 

Nel flegreo ci sono segnali geofisici e geochimici che possono essere inquadrati come prodromi preeruttivi. Ebbene, questi segnali tra l'altro non corroborati da statistiche valutative pregresse che potrebbero indicare la tendenza dei fenomeni, sono tutti presenti nel flegreo, e ultimamente si nota un incremento della fenomenologia  anche in ambito sub marino. Occorre chiarire però, che anche se siamo in presenza di squilibri geofisici e geochimici ben acclarati nel sottosuolo flegreo, questi segnali possono continuare per anni e senza che si manifesti una eruzione, così come in poco tempo potrebbero indicare una condizione pre eruttiva. In tutti i casi non ci sono garanzie deterministiche su quello che geologicamente può succedere...

A fronte di tante indecisioni sulla previsione del fenomeno eruttivo, nonostante rassicurazioni di prassi non vincolanti come testimoniano i bollettini emessi dall'osservatorio vesuviano, le uniche iniziative verso la sicurezza areale e che avrebbero un senso, riguardano la prevenzione strutturale come strategia passiva per ridurre il valore esposto (VE), e una concreta pianificazione di evacuazione come strumento attivo di protezione per separare in poche ore la popolazione dal pericolo eruttivo. 



Partendo dal presupposto che la caldera è fisicamente inamovibile, allora, per separare  gli uomini e le donne dal pericolo eruttivo, all'occorrenza prima che le dirompenze si manifestino con crudezza, occorre dare corso a un piano di evacuazione. Per forza di cose bisogna quindi agire sul valore esposto, cioè sulla popolazione (550.000 ab.),  che dovrà essere spostata all’occorrenza ad una distanza (d) di circa 10/15 chilometri dai confini della zona rossa vulcanica. La direzione comando e controllo (DICOMAC) del dipartimento della protezione civile ad esempio, organo direttivo che si attiverà modularmente per gestire il pre allarme, e integralmente in caso di allarme, è ubicata a circa 30 chilometri a nord est di Pozzuoli. Un luogo che, per posizione geografica e distanza, dovrebbe risultare immune dalle fenomenologie eruttive: non si può dire lo stesso per la sede dell'osservatorio vesuviano... In tutti i casi, anche a piedi, in circa 3 ore, c’è la possibilità di mettersi fuori portata dagli effetti più deleteri di un’eruzione vulcanica. Questo significa che la segnalazione di percorsi pedonali per uscire fuori dalla zona rossa, potrebbe essere una tattica estrema per non farsi cogliere impreparati qualora l'eruzione dovesse iniziare a manifestarsi in un contesto di circolazione automobilistica totalmente compromessa dal caos. D'altro canto la lapide di Portici del 1632 diretta ai posteri parla chiaro sui comportamenti da adottare quando si dimora nel raggio d'azione di un vulcano...