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giovedì 5 ottobre 2023

Rischio eruttivo Campi Flegrei - osservatorio vesuviano a guardia del magma: Ipse dixit... di Malko

 

Uno spaccato della darsena di Pozzuoli

I recenti per quanto periodici ma incalzanti eventi sismici che martellano i Campi Flegrei, ripropongono ancora una volta il grande dilemma: sismicità dettata dal rigonfiamento dei suoli per effetto del bradisismo puteolano, o sussulti da inquadrare come i più classici dei prodromi pre eruttivi? A saperlo…

Dicono che Nello Musumeci, ministro per la protezione civile e per le politiche del mare, abbia detto che sono stati sprecati quarant’anni per la realizzazione di un piano di evacuazione.  Diciamo pure che dall’ultima crisi bradisismica, ci si è cullati nell’idea che, passati i sussulti crostali degli anni ’70 e ’80, la situazione geologica in questo lembo di terra sarebbe ritornata alla normalità. Però, avrebbe cosa buona il ministro, a non rimanere sul vago, bensì a citare l’incuria quarantennale non solo sulla mancata redazione di un piano di evacuazione degno di questo nome, ma anche e soprattutto sulla mancata applicazione di regole di prevenzione della catastrofe vulcanica, realizzabili innanzitutto con la limitazione dell’incremento del valore esposto (numero di abitanti), che avrebbe portato positive ricadute sull’efficacia della stessa pianificazione evacuativa. Sarebbe anche interessante capire perché negli anni scorsi si è concentrato l’interesse della scienza e della politica solo sul Vesuvio e non sui Campi Flegrei. Infatti, si nota la grave assenza di una legge che avrebbe dovuto inibire la realizzazione di ulteriori manufatti ad uso abitativo sulla gobba bradisismica e nelle zone limitrofe, con disposti anti cemento da estendere a tutta la plaga flegrea. La legge che vieta ogni ulteriore insediamento sul Vesuvio infatti, risale al 2003, cioè almeno 20 anni dopo il bradisismo flegreo, senza che quest’ultimo territorio fosse accomunato a quello vesuviano, e senza essere sfiorato da alcuna norma che limitasse l’edilizia residenziale. Il vulnus della prevenzione della catastrofe vulcanica allora, a chi bisogna addebitarlo, a una scienza disattenta o a una politica noncurante che insegue il consenso con la mediazione dei dirigenti pubblici?

Nel flegreo, i problemi legati all’insofferenza geologica del sottosuolo, si riaffacciano e si riaffacceranno pure a distanza di decine di anni, senza scartare l'idea di una forma più cruda. Quindi, è da mezzo secolo che si sprecano tempo e risorse sull’altare dell’opportunismo politico e della  furbizia, dei tanti che inseguono il bradisismo come fonte di opportunità economica, con a margine il consenso elettorale. Il pericolo vulcanico, diciamo la verità, quello delle colate piroclastiche che vaporizzano in pochi secondi i liquidi corporei, porta solo rinunce, tant’è che nelle viscere dei Campi Flegrei sembra dimorare certamente la dea Penia che nessuno vuole invocare, piuttosto che l'operoso dio Vulcano. Le decine di vulcani monogenici e i territori litorali periodicamente inabissatisi o sollevatosi dal mare per effetto del bradisismo, hanno insegnato poco, visto che l’antropizzazione della caldera ha dato luogo a una calderopoli da oltre mezzo milione di abitanti. Ancora oggi  si dà importanza alla gobba bradisismica del rione Terra, e non alla causa del fenomeno insita negli importanti volumi di magma sottostanti. D’altra parte temiamo che se il picco di sollevamento è localizzato periodicamente e da decenni al rione Terra (Pozzuoli), questa storica collinetta dovrebbe essere trasformata in una sorta di parco urbano archeologico, perché, ammesso che si fermi o retroceda il fenomeno del sollevamento, è probabile che anche a distanza di anni si ripresentino più vivi che mai, il bradisismo, i sismi e la minaccia eruttiva.

La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, tra i compiti consultivi operativi incentrati sulle valutazioni di pericolosità, ha anche quello di fornire indicazioni volte alla prevenzione delle catastrofi. Sarebbe quindi il momento buono acchè questa assise di luminari dica al ministro Musumeci e a chiare lettere, che non si può continuare a concentrarsi solo sulla pianificazione d’emergenza, ma è giunto il tempo di passare a drastiche soluzioni di prevenzione della catastrofe vulcanica. Sempre la commissione, terminata la sessione dell’analisi dei dati e degli ascolti dei rappresentanti dei centri di competenza, prima fra tutti l'INGV, nella seduta a "porte chiuse" ha deciso che per i Campi Flegrei deve permanere il livello di attenzione (giallo). Intanto il ministro prospetta entro pochi giorni un piano di emergenza (di esodo) relativo al bradisismo irrefrenabile, quello da bollino rosso, di cui sarà interessante vedere che confini saranno assegnati al fenomeno destinatario di aiuti di Stato. I rappresentanti dei comuni flegrei, hanno chiesto al governo per tramite della VIII commissione ambiente della camera, fondi per rinfoltire gli uffici tecnici comunali con ingegneri e architetti, ancorché di agenti per i comandi locali della polizia municipale. In questa commissione, tutti i partecipanti sono stati concordi che la minaccia è il bradisismo e i sommovimenti sismici che il fenomeno reca seco. Il rischio eruttivo è decisamente in seconda battuta e a margine del problema, per le rassicurazioni offerte dal mondo scientifico (INGV), sulla prevedibilità garantita dal monitoraggio del magma, che assicurano che al momento se ne sta buono a 7 chilometri di profondità. Infatti, su tutti capeggiano le rassicurazioni del capo dipartimento vulcani dell’INGV e del suo entourage, che, forti delle strumentazioni multi parametriche disseminate nell’area flegrea, ritengono di monitorare l’eventuale salita del magma in superficie, in modo da lanciare inequivocabilmente all'occorrenza l’allarme eruzione. In sintesi, la tesi dominante dell’osservatorio vesuviano, è quella che non si è in grado di prevedere quando salirà il magma, ma si è sicuramente capaci di captarne i movimenti ascendenti se questi si presenteranno. Questo spiega la ripetuta asserzione della ex direttrice Bianco che spiega: :<<… i piani di emergenza sono piani basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, conseguenza di una valutazione basata su dati scientifici>>. Questa idea datata, portò tempo fa i rappresentanti della protezione civile nazionale e regionale, a rassicurare i cittadini che mai avrebbero vissuto una condizione di fuga col fuoco alle spalle… Su questo argomento però, si registrano recentissime dichiarazioni discordanti, anche a livello del presidente INGV, che invece  ha avvertito che il magma può risalire pure nel giro di un paio di ore. Un tempo che comunque consentirebbe alla ex direttrice dell’osservatorio vesuviano, di fare qualche telefonata prima di scappare a gambe levate dalla sede INGV di via Diocleziano, insieme agli oltre 500.000 cittadini che la seguirebbero da vicino. Struttura quella dell’osservatorio, incredibilmente ubicata in via Diocleziano, in piena zona rossa, a testimonianza del tempo che si è perso…

Il piano di emergenza messo a punto dalle istituzioni competenti (dipartimento protezione civile, regione Campania e comuni) per fronteggiare il pericolo eruttivo nei Campi Flegrei, contiene delle strategie poco convincenti, in quello che ci sembra più un progetto aritmetico che operativo, che può reggersi solo sulla certezza della previsione dell’evento vulcanico: non è un caso che è nato come piano di allontanamento e non di evacuazione… D’altra parte il capo dipartimento vulcani dell’INGV, che occupa da pochi giorni pure un posto di componente della commissione grandi rischi, è stata presa in parola, magari cinicamente o convintamente da chi ha prodotto la pianificazione d’emergenza in veste di stratega designato, ben felice dell’endorsement proveniente dalla scienziata sulla previsione minima garantita a 72 ore: una misura che nessuno ha contestato.

Per meglio riflettere e a fronte di multiformi pensieri sulla pericolosità dell’area, dobbiamo ancora una volta prendere in esame le tre possibilità che possono caratterizzare l’evoluzione di questa fase di unrest vulcanico. Infatti, operativamente parlando, dobbiamo partire dal principio che possiamo andare incontro a tre condizioni, che sono anche la summa delle opinioni scientifiche sull’argomento :

 - falso allarme;

- mancato allarme;

- previsione dell’evento vulcanico in tempi utili (≥ 72 ore).

In assenza di indici probabilistici differenziati, occorre procedere con calcolo pragmatico su quello che non è deterministico. Abbiamo quindi:

 - un 33,33% di probabilità che si arrivi a un falso allarme;

 -un 33,33% che s’incappi in un mancato allarme;

 -un 33,33% che la previsione dell’evento vulcanico sia ufficializzata in tempi utili per l’evacuazione totale e ordinata della popolazione.

Il tecnico pianificatore, in realtà per fronteggiare situazioni e imprevisti, dovrebbe avere un piano d’emergenza o anche un sotto piano o anche un piano d'emergenza d'emergenza, per ognuna di queste possibilità, e non unicamente sull’ultima citata, quella da mulino bianco, come invece ha fatto la protezione civile. Avere un piano A, B e C, non significa che occorre garantire il successo in tutti i casi citati, ma almeno se non è possibile la riuscita al 100%  delle pratiche di salvaguardia, almeno si può raggiungere il risultato del minor danno possibile, in condizioni obiettivamente critiche in cui si andrebbe ad operare.

D’altra parte è di fondamentale importanza la collaborazione dei cittadini che dovrebbero adoperarsi per non lasciarsi prendere dal panico: condizione che porterebbe a disattendere qualsiasi regola civile e morale. La differenza comportamentale della popolazione ai fini dell’evacuazione, è tutta centrata sulla percezione attraverso i sensi dei prodromi pre eruttivi. La percezione o meno dei segnali di pericolo (terremoti; boati; tremori; fumarole; forte odore di zolfo; geyser) determinerebbero le reali caratteristiche del piano di emergenza, che oscillerebbe da ordinato allontanamento a caos diffuso.



Gli elementi che uno stratega dovrebbe tenere in debito conto ai fini della realizzazione di un documento validamente protettivo per la popolazione in frangenti di pericolo, sono i dati reali nel nostro caso del pericolo vulcanico (magnitudo), e il numero degli esposti al pericolo (numero abitanti).

Il campo calderico dei Campi Flegrei, per il passato e fino al 1538, è stato terra di eruzioni esplosive che hanno generato pure le temibili colate piroclastiche. Fenomeno quest’ultimo, particolarmente distruttivo, che non contempla sistemi di protezione validi, perché trattasi di una sorta di densa miscela composta da brandelli di magma, e poi liquidi e gas ad altissima temperatura (± 500°C.), che si muovono e scorrono a grande velocità.

Il secondo e non meno pericoloso fenomeno vulcanico che si materializzerebbe fin dai primi momenti dell'eruzione, anche se questa fosse moderata,  è quello della pioggia di cenere e lapillo. Materiale quest’ultimo relativamente leggero, che una volta scagliato in aria dalle dirompenze vulcaniche, diverrebbe preda dei venti dominanti, dando corpo nel brevissimo al fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici. Questa pioggia incalzante, determinerebbe depositi al suolo e sui tetti di spessore pericolosamente variabile, in una misura inversamente proporzionale alla distanza dal centro eruttivo e dal peso. I danni susseguenti potrebbero essere anche molto seri, in larga misura dipendenti dalla vulnerabilità degli edifici (sprofondamento dei tetti e dei solai), e all’aperto dall’aspersione in aria della cenere: elemento dannoso alla respirazione e alle mucose, per il carattere irritante delle microparticelle silicee.

Nel nostro sistema di protezione civile, l’autorità scientifica ha determinato quella parte di territorio che potrebbe essere coinvolto dai fenomeni vulcanici più deleteri, classificandoli come zone rosse. Per poter allontanare la popolazione da queste aree a rischio, i piani di evacuazione che risultano vigenti, prevedono in prima battuta l’utilizzo di autoveicoli privati o mezzi pubblici (Bus). Ed ancora si ipotizza l’uso del treno ad alta velocità (Stazione centrale di Napoli) e le navi che attraccherebbero e ripartirebbero sempre dal porto partenopeo.

A livello comunale, in quel di Pozzuoli pare che abbiano già definito circuiti viari per l’evacuazione con autovetture private, il cui transito dovrebbe avvenire attraverso i cancelli stradali. Chi invece deve usufruire del trasporto pubblico per allontanarsi, deve rispettare criteri di priorità in favore dei quartieri maggiormente vulnerabili agli effetti sismici. Costoro dovrebbero recarsi a una certa ora concordata sulle 48 disponibili, ai punti navetta: trattasi di una fermata dove passerebbe il bus comunale che porterebbe gli astanti all’area d’attesa (hub). Dall’area d’attesa i bus regionali trasporterebbero gli utenti ivi raggruppati fino alle aree d’incontro fuori zona rossa. Dalle aree d’incontro le amministrazioni regionali gemellate garantirebbero agli esodati l’ulteriore trasbordo verso i punti di prima assistenza nelle varie regioni e province italiane…



Secondo logiche operative, un piano d’emergenza a fronte di una eruzione che potrebbe presentarsi anche in modo improvviso, deve prevedere due step: il primo è quello di mettere almeno 20 chilometri di distanza tra uomo e eruzione; in contemporanea (seconda fase) e a cura di altro personale, si procederebbe a trasportare gli evacuati fuori dalla regione Campania, per dare loro una sistemazione alloggiativa magari temporanea.

Pensare che in una condizione di prodromi pre eruttivi incalzanti si possa dare un appuntamento orario a un cittadino che deve andare alla fermata dell’autobus, magari il giorno dopo, e lì attendere la navetta è fantascientifico in un contesto di acclarato pericolo. Pensare di evacuare alla stazione di Napoli i puteolani per farli imbarcare sui treni veloci è semplicemente controproducente, tra l’altro con una rete ferroviaria che deve essere monitorata post evento sismico. Ma poi non c’è nessun bisogno di un treno veloce per mettere 20 chilometri di distanza tra gli evacuati e il vulcano. Più che la velocità infatti, serve la capienza e il numero di convogli e la loro affidabilità. D’altra parte e a proposito del puteolano, a Villa Literno si è già fuori pericolo… Prevedere il trasporto della popolazione flegrea  verso il centro di Napoli, significa che lo stratega ha obliato completamente la possibilità che si debba andar via con eruzione in corso. In questa malaugurata ipotesi infatti, si concretizzerebbe una strategia dannosa per i puteolani e per i partenopei, con questi ultimi magari interessati essi stessi da operazioni di evacuazioni, visto che i quartieri Pendino e Mercato sono in zona gialla piuttosto contigua alla zona rossa. Con eruzione in corso, presumibilmente moltissimi cittadini flegrei andrebbero, piano o non piano di evacuazione, verso nord, raggiungendo la linea di demarcazione del fiume Volturno per sentirsi al sicuro: ed è comprensibile. Quelli metropolitani-flegrei invece, dovrebbero andare verso est, magari ove possibile utilizzando proprio la rete tangenziale nell'occasione dedicata. La separazione tra puteolani e partenopei gioverebbe alla fluidità del traffico. 

Ovviamente nessuno ha la soluzione in tasca, ma puntare tutto sulla previsione d’eruzione sarebbe l’ideale solo se fosse deterministicamente accertabile e in tempi utili. Diversamente, il ministro Musumeci faccia valutare tutte le strategie possibili per ogni possibile scenario. Ai cittadini della zona rossa dei Campi Flegrei e alla politica memorabile, consigliamo di monitorare i processi edilizi relativi alla spianata di Bagnoli, le cui progettualità sono ancora in itinere. Se riverseranno in questo sito come si teme, ondate di calcestruzzo per la costruzione di palazzi di prestigio con pilastri spessi e armati e forti da sorreggere il mondo alla stregua di Atlante, si conoscerà non solo la regia, ma anche la volontà di non accreditare il rischio vulcanico tra quelli possibili nel territorio metropolitano flegreo. Stesse congetture sul litorale di Licola (Pozzuoli), dove sembra che siano in elaborazioni progettualità non a cemento zero e non a costo zero per il rischio vulcanico.

Per i cittadini costretti a vivere col rischio sismico e bradisismico, ricordiamo che la scienza riferisce che in zona rossa la crosta vulcanica è fratturata, e quindi non consente grossi accumuli di energia: i terremoti, dicono, difficilmente dovrebbero superare il 4,5/ 5 della scala Richter. Per chi vive in palazzi realmente fatiscenti, potrebbe essere allora saggio spostarsi in altra sede, forse definitivamente ma a rigor di logica necessariamente  fuori dalla zona rossa. 

Per le scuole qualche regola: sarà la percezione della classe insegnante e quindi del dirigente scolastico a stabilire la necessità di lasciare l'edificio dopo un sussulto sismico. Non si aspetta la decisione del sindaco. Non si suona la campanella. Insegnare ai bambini a proteggersi addossandosi negli angoli della classe e nei muri prossimi a questi, evitando vetrate. L'insegnante al centro della porta.  Mettersi sotto i banchi a volte e problematico per gli alunni alti e robusti. Disegnare sul muro i punti dove devono addossarsi gli studenti. Se si decide di uscire, il percorso verrà verificato dal direttore o da suo incaricato fino ai punti di raccolta. Ricordatevi che il primo gradino della sicurezza scolastica, è la buona funzionalità delle uscite di emergenza che vanno controllate ogni giorno e prima che entrino gli alunni, con apposita nota sul registro dei controlli. Uscire se necessario, proteggendosi il capo, ove possibile, con gli zaini o caschetto per chi ne è in possesso (valutare questa dotazione). Al mattino si compili con precisione l'elenco dei presenti che deve essere sempre a portata di mano delle maestre. 




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