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domenica 11 settembre 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: i livelli di allerta e il rebus del preallarme... di MalKo


 

I livelli di allerta vulcanica sono quattro e indicano nell’eventualità, una certa progressione dello stato di disequilibrio (unrest) fisico e chimico del vulcano in esame, il più delle volte manifestato con un incremento dei valori di monitoraggio che non sempre danno la misura esatta della pericolosità vulcanica e della tempistica eruttiva. In tutti i casi, è da queste informazioni strumentali che si parte, per tentare di offrire attraverso l’analisi dei dati, una provvida previsione d’eruzione per mettere al sicuro i cittadini delle zone rosse. 

I rischi insiti nella previsione degli eventi vulcanici, comprendono un minimo e un massimo che spaziano dal mancato allarme al falso allarme: al centro dei due estremi la previsione utile del fenomeno eruttivo. Un ulteriore matrice di rischio per quanto remota e non contemplata, è quella di una eruzione di intensità eruttiva superiore a quella adottata nei piani di emergenza. Questi ultimi infatti, sia per i Campi Flegrei che per il Vesuvio, sono   stati stilati per fronteggiare al massimo un’eruzione tipo sub pliniana, non eccedente un indice di esplosività vulcanica VEI 4. L’eruzione di Pompei del 79 d.C. per capirci, ebbe un’intensità eruttiva VEI 5, cioè circa dieci volte superiore a quella di piano. 



Il livello di preallarme vulcanico (arancione), potrebbe sopravvenire allo stato di attenzione su indicazione della commissione grandi rischi che verrebbe chiamata in causa dal dipartimento della protezione civile. Ovviamente il consesso di esperti vaglierebbe le congetture e i dati raccolti dall’osservatorio vesuviano, che è l’ente deputato al monitoraggio in continuo dei vulcani napoletani. Le eventuali anomalie geofisiche e geochimiche registrabili dall’osservatorio vesuviano, andrebbero girate con un certo indice di riservatezza al dipartimento della protezione civile. Quest’ultimo si avvarrebbe appunto della consulenza della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-RV) che, dopo aver vagliato i dati, rilascerebbe il suo parere scritto al dipartimento, circa il livello di allerta da adottare. Secondo alcuni disposti legislativi recenti, i contenuti di questi passaggi e delle riunioni, dovrebbero essere meticolosamente verbalizzati, così come i singoli pareri degli esperti. 

Il dipartimento della protezione civile informerebbe tempestivamente il presidente del consiglio che, in seno al comitato operativo della protezione civile, deciderebbe, in forza dell’analisi complessiva del rischio, di diramare o meno il preallarme vulcanico. È appena il caso di ricordare che ci sono differenze tra i livelli di pericolosità e l’indice di rischio: quindi, non ci sono automatismi tra i livelli di allerta e le fasi operative, anche se viaggiano in buona parte affiancati. 

Il livello di preallarme vulcanico, è forse il più difficile da adottare perché ci si muove nell’ambito del nuovo, non essendoci in archivio dati precisi di monitoraggio che riguardano prodromi pre eruttivi delle eruzioni precedenti. Negli annali si possono individuare resoconti scritti di testimonianze orali, così come nell’eruzione di Pompei del 79 d.C. Plinio il Giovane in una missiva a Tacito descrisse l’eruzione ma non i fenomeni che la precedettero. Il sisma del 62 viene spesso tirato in ballo come precursore della pliniana, ma parliamo di molti anni prima della fatidica data del 79. Questo significa che dopo l’eruzione i segnali premonitori lapalissianamente vengono tutti individuati, ma 17 anni prima dell’evento sarebbe stato molto difficile collegare l’evento sismico al Vesuvio come precursore a lungo termine.  In ogni caso questa fase (preallarme) è la più problematica, anche da un punto di vista operativo, perché il piano di emergenza in una condizione dubitativa prevede di demandare direttamente ai cittadini della zona rossa la valutazione personale se abbandonare o meno il settore a rischio eruzione. 

Alla diramazione del preallarme, le autorità, secondo i piani di settore interni alle istituzioni e alle amministrazioni interessate, dovrebbero procedere intanto all’evacuazione degli ospedali, dei penitenziari, degli animali da allevamento e dei beni culturali che si prestano a spostamenti. È interessante notare che esiste anche un patrimonio artistico culturale in mano ai privati, che dovrebbe avere pari garanzie a patto che il bene sia stato censito in anticipo sui tempi, cioè in regime di pace vulcanica, per consentire la pianificazione del trasporto fuori dalla fase emergenziale.



L’informazione sulle situazioni di rischio che una volta era affidata al prefetto, ora rientra nelle competenze dirette del sindaco. I Campi Flegrei sono dal 2012 in una condizione di attenzione vulcanica. Quindi, i cittadini settimanalmente sono messi al corrente dei valori di monitoraggio a cura dell’osservatorio vesuviano, con un occhio particolare ai centimetri di sollevamento, atteso che nel flegreo è in corso il fenomeno del bradisismo. Questi dati di ordine scientifico è possibile reperirli online sul sito dell’osservatorio, mentre quelli di carattere tecnico - operativo, dovranno essere diffusi dal sindaco tramite web, manifesti, totem pubblicitari, o altri canali informativi pubblici, specialmente se le notizie da diffondere riguardano le procedure evacuative e il piano di emergenza comunale. In caso di crisi vulcanica, i bollettini sui dati di monitoraggio verrebbero vagliati in anteprima dal dipartimento della protezione civile. Non dimentichiamo infatti, che la responsabilità della dichiarazione del preallarme e dell’allarme rientra nei compiti della presidenza del consiglio e non dell’organo di ricerca e vigilanza geologica dei vulcani campani (INGV), che non può fornire anticipazioni sullo stato del rischio. 

Alla dichiarazione del preallarme, tutti i cittadini che ne dovessero sentire il bisogno, potrebbero allontanarsi dalla zona rossa che intanto verrebbe presidiata dalle forze dell’ordine ai cancelli stradali prestabiliti dal piano. Tra le cose che i cittadini devono vagliare, c’è appunto questo, cioè che non è possibile una volta allontanatisi, rientrare in zona rossa a piacimento, perché i transiti dalla fase di preallarme in poi verrebbero regolamentati. Il secondo elemento da tenere presente, è che si può passare dal preallarme all’allarme nel giro di ore, settimane o mesi… D’altra parte questo livello di allerta arancio, prevede che i cittadini che si allontanino possano usufruire di un contributo economico statale finalizzato all’autonoma sistemazione. Questo significa che nelle zone rosse già soggette al livello di attenzione vulcanica (giallo), i residenti devono avere ben chiara la loro situazione familiare e l’imprevedibilità dei tempi di allerta, in modo che se dovesse scattare il preallarme, i dubbi sulle cose da fare sarebbero in buona parte argomento già discusso all’interno della famiglia, in modo che ogni decisione nel merito sarebbe rapidamente assunta. 

La fase di preallarme, qualora ci fossero gli estremi temporali per dichiararla, sarebbe di grandissimo aiuto operativo, perché in caso di successiva evacuazione, il numero dei cittadini e di auto da mobilitare sarebbe ridotto anche se non si sa di quanto. L’impossibilità di quantificare i numeri e i tempi in gioco, ha fatto si che nel piano di evacuazione sia stata valutata una condizione di zero allontanamenti di cittadini e veicoli durante la fase di preallarme, che potrebbe non esserci, e quindi la totalità di auto e residenti da evacuare è stata addossata numericamente interamente alla fase di allarme. Dicono che il sistema reggerebbe.

Il piano di evacuazione prevede sia per la zona rossa Vesuvio o per la zona rossa dei Campi Flegrei (molto difficile che avvenga una contemporaneità di allarme vulcanico), che nel giro di 72 ore venga effettuata la completa evacuazione dei settori a rischio. Addirittura la documentazione ufficiale regionale e dipartimentale, assegna alla procedura evacuativa solo 48 ore. Il restante margine di tempo (24 ore), servirebbe, secondo la strategia evacuativa, per prepararsi (12 ore) e per far fronte agli imprevisti (12 ore). 

Possiamo definire la fase di preallarme come una condizione in cui i prodromi pre eruttivi (boati e terremoti), per intensità e durata non sono percepiti o lo sono in una misura poco allarmante per la popolazione. Con siffatta condizione ideale, sarebbe possibile procedere a un allontanamento auspicabilmente in buona parte gestibile. Se invece i prodromi pre eruttivi dovessero essere chiaramente avvertiti dalla popolazione esposta, si darebbe vita a una condizione evacuativa disordinata, caotica e scarsamente gestibile per effetto del panico, e addirittura l’evacuazione potrebbe trasformarsi in spontanea per effetto della percezione sensoriale del pericolo che innescherebbe emulazione collettiva irrefrenabile e senza regole. La massa si muoverebbe allora senza attendere disposizioni dall’autorità comunale o statale. Quindi la differenza tra un piano di evacuazione e uno di allontanamento, è data dalla percezione del pericolo. 






domenica 4 settembre 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: il preallarme eruttivo non ha passato...di MalKo

 

Comitato Operativo Protezione Civile Nazionale

Un piano di emergenza a fronte del rischio vulcanico è un documento complesso e soprattutto oltremodo responsabilizzante che richiede una stretta collaborazione tra il mondo scientifico e quello tecnico, onde consentire a chi deve premere il pulsante di allarme (presidente del consiglio), di poterlo fare avendo ben presente il quadro della situazione e del rischio. Per mitigare lo stress decisionale legato a una funzione che implica cambiamenti repentini della normalità su vasta scala, si è messo a punto una tavola di colori che in modo sintetico e intuitivo rappresenta l'incalzare dei sintomi prodromici fino all'eruzione.


I 4 livelli di allerta vulcanica

Occorre subito dire che, per il passaggio da un colore all'altro non c’è nessuna tempistica codificata, tant'è che potrebbero passare mesi, giorni o poche ore, oppure che si salti letteralmente un livello in assenza di stasi perdurante degli indicatori di pericolo. Ad esempio si potrebbe passare dal giallo al rosso direttamente. Una possibilità tutt'altro che remota. D’altra parte i livelli di allerta vulcanica potrebbero anche recedere, ma presumibilmente in tempi lunghi rispetto all'incremento.

La decisione di dichiarare lo stato di preallarme (arancione) vulcanico  è forse la più difficile. La più difficile perché il decisore si troverebbe di fronte a una condizione mai sperimentata prima, né per il Vesuvio e né per i Campi Flegrei. Infatti, non esiste una soglia numerica di riferimento, e quindi non ci sono elementi da comparare per decidere il da farsi. 

La decisione del passaggio di livello verrebbe assunta dalla commissione grandi rischi (CGR), che andrebbe appositamente mobilitata con input del dipartimento della protezione civile. Il Prof. Francesco Dellino, referente di settore (CGR) per il rischio vulcanico, in un’intervista ebbe a precisare che egli opera in contesti dove si accendono discussioni a porte aperte seguite poi da discussioni a porte chiuse. La commissione grandi rischi, concluse, comunica con i verbali che contengono le decisioni finali da comunicare all’esterno. Una di queste decisioni fu appunto quella di assumere l'area circoscritta dalla linea nera Gurioli come zona invadibile dai flussi piroclastici, attestando con tale decisione uno scenario di rischio al Vesuvio non eccedente un evento sub pliniano (VEI4).

La necessità di passare al preallarme o anche al livello di allarme, verrebbe sollecitata dal dipartimento della protezione civile al presidente del consiglio, presumibilmente in un consesso operativo tecnico scientifico, e in ogni caso spetterebbe al premier la decisione ultima di preallarmare o allarmare, sentito pure il presidente della regione Campania. Al riguardo non dimentichiamo che il piano d’emergenza Vesuvio è un piano di livello nazionale, che in fase operativa comporta una mobilitazione generale di enti e istituzioni preposte, insieme a tutte le regioni e a quei comuni a cui spetta dare ospitalità agli sfollati. Non ultimo è un piano che per essere attuato richiede un intervento economico di tutto rispetto.


Il compito di monitorare lo stato dei vulcani campani è a cura dell’osservatorio vesuviano. La cosa che subito viene detta in ogni conferenza o seminario o consesso informativo e formativo, a cui partecipa il pregevole ente, è che diuturnamente il Vesuvio e i Campi Flegrei vengono sorvegliati con strumentazioni ad alta tecnologia, anche di taglio satellitare, e che quindi nulla sfugge agli osservatori. 

Purtroppo la dotazione iper tecnologica che indubbiamente ci rimanda secondo dopo secondo la misura anche micrometrica dei dati geochimici e geofisici dei vulcani, non rappresenta un metodo di previsione degli eventi eruttivi, ma solo il report di una situazione geologica ad horas. Mancano come dicevamo, elementi di comparazione per azzardare una previsione; manca un database  sui parametri strumentali che hanno caratterizzato i prodromi pre eruttivi delle eruzioni passate. Basta pensare, tenendo presente le date degli eventi, che tra le mani abbiamo ben pochi dati e in larghissima misura i periodi storici che hanno accompagnato quelli eruttivi sono senza elettricità, con tutto quello che ne concerne. Infatti, la prima centrale elettrica nacque in Italia nel 1883. Questo ci fa capire che la storia strumentale dei Campi Flegrei e del Vesuvio è decisamente recente.

In ogni caso, ogni singola eruzione ha le sue caratteristiche che si somigliano ma non sono mai uguali. Proprio il Vesuvio è un esempio lampante di questa semplice constatazione, atteso che l'ardente monte ha la prerogativa di materializzare eruzioni effusive dal taglio attrattivo turistico, ma anche eruzioni di portata esplosiva e catastrofica come quella di Pompei del 79 d.C. Lo sterminator Vesevo purtroppo per noi, perché lui fa il suo mestiere, può spaziare su livelli energetici che vanno da un indice di esplosività VEI3, VEI4 ma anche VEI5.

La scienza, quella attuale, non tutta certamente, contrariamente alla passata informazione soporifera e rassicurante, chiarisce timidamente che il mondo sotterraneo non ha un orizzonte visibile, pertanto è inaccessibile e quindi le informazioni che provengono dalle profondità chilometriche, sono indirette e per questo non particolarmente precise. Al di là delle prospezioni elettromagnetiche, ci sono poi le perforazioni, che ci dicono con precisione la natura dei prodotti estratti ai vari livelli di carotaggio: ma il dato non è molto attendibile con l’incremento della distanza orizzontale  dal centro di trivellazione. In tutti i casi le trivellazioni hanno raggiunto al massimo i 12 chilometri che sono ben poca cosa rispetto ai circa 6400 chilometri del raggio terrestre, o comunque ai circa 35 Km. di spessore della crosta.

Gli scienziati con il tempo hanno fissato una serie di parametri dei vulcani, ufficializzando uno stato di quiete quasi “certificata” che in ogni caso non assegna all’area in esame un rischio eruttivo pari a zero. Quindi, il continuo delle misurazioni geofisiche e geochimiche di alcune aree vulcaniche, anche attraverso stazioni automatizzate, ci consentono di registrare eventuali incrementi di elementi significativi, come ad esempio la temperatura, la concentrazione di CO2, CO, le deformazioni, ecc. Questo consente agli scienziati di proporre previsioni eruttive probabilistiche che possono diventare deterministiche (100%) solo in presenza della colonna eruttiva. Anche in questo caso è possibile certificare il giorno e l'ora della ripresa eruttiva, ma non è possibile cogliere la quantità di energia che si sta liberando (VEI), che è un dato tutto sommato che può essere valorizzato con precisione solo al termine dell’eruzione.

A fronte di questi limiti, la presidenza del consiglio dei ministri per tramite del dipartimento della protezione civile, ha emesso un decreto che recita: è bene ricordare che le previsioni di tipo probabilistico, non sono sempre possibili e non per ogni tipologia di fenomeno. Inoltre, queste previsioni sono fortemente condizionate dalla disponibilità di adeguate e numerose serie storiche di osservazioni collegabili all’effettivo verificarsi di eventi.

Per completezza è interessante segnalare pure la direttiva del presidente del consiglio dei ministri (2/2021). Quivi si legge che Le procedure e le attività finalizzate all’allertamento e all’allarme pubblico devono quindi esplicitare, quando e ove possibile, i limiti delle attività di valutazione e decisionali. In particolare, è opportuno dare conto:

  • dei limiti scientifici delle previsioni probabilistiche.
  • della latenza, incertezza e/o indisponibilità dei dati, delle misure e delle     informazioni.
  • del possibile malfunzionamento e/o di disfunzionalità degli apparati e delle reti.
  • del margine di errore derivante dall’imprescindibile discrezionalità delle attività di valutazione e decisionali.
A voler concludere, i livelli di allerta vulcanica indicano il progressivo avvicinamento alla soglia eruttiva di quell'eruzione di scenario che gli scienziati hanno prospettato in sede di analisi per definire l'ampiezza della zona rossa da evacuare.  Se arriveranno le risposte proposte nell'articolo precedente al nuovo direttore dell'osservatorio vesuviano, capiremo meglio lo stato dell'arte, in ossequio al diritto all'informazione e alla sicurezza dei cittadini napoletani.








venerdì 2 settembre 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la scienza tappabuchi (stopgap science)... di MalKo

A sinistra il Vesuvio e a destra il Monte Somma (orlo calderico)

 

Nella percezione collettiva la quiete vulcanica durerà in eterno. Questa affermazione che corrisponde a una sensazione iper ottimistica, consente ai residenti delle zone rosse di affrontare tutte quelle necessità che a volte diventano difficoltà e che caratterizzano il vivere quotidiano, senza subire l’angoscia di questo pericolo immanente che viene relegato in un angolo remoto della mente. Il rischio eruttivo purtuttavia rimane una minaccia seria ma per sua natura non decifrabile, databile e quantificabile, e quindi nulla vieta di credere che il problema potrebbe presentarsi magari a distanza di svariati secoli.

Nei territori del super vulcano dei Campi Flegrei, tra l’altro soggetti al fenomeno del bradisismo, ci sono persone che seguono con moderato interesse i bollettini che segnalano i millimetri di sollevamento dei suoli, agognando una inversione di tendenza che in verità mitigherebbe l’ansia da bradisismo, ma quasi niente toglierebbe alla indecifrabilità del rischio vulcanico che rimane integro. D’altra parte i sommovimenti sismici a bassa intensità che caratterizzano da tempo il flegreo, rimandano al fenomeno bradisismico che in tutti i casi deriva dalla natura vulcanica dei luoghi, con la presenza ad alcuni chilometri di profondità di magma responsabile di surriscaldare gli acquiferi che generano spinte e sussulti in genere localizzati. 

L’autorità scientifica sembra maggiormente propensa a porre interesse al fenomeno del bradisismo piuttosto che al rischio vulcanico. Il problema si ferma al vapore surriscaldato che gonfia i terreni, o questo stato critico dell’acqua non è altro che il sintomo di un corpo semi plastico e rovente che s’insinua lentamente dal profondo o che magari si è insinuato e staziona a pochi chilometri di profondità? Difficile una risposta netta… 

Perforazione ai Campi Flegrei 

A est invece, il Vesuvio troneggia sornione sul Golfo di Napoli, lasciando che i turisti raggiungano la vetta, da dove con meraviglia si gustano un panorama stupefacente che mal si coniuga con una scellerata urbanizzazione accalcata sull’area di base dello sterminator Vesevo. La morsa dei palazzi è asfissiante, e in mezzo a questi l’ardente vulcano sormonta il cemento presentandosi come una sorta di arido giardino metropolitano. I dibattiti degli arrampicatori rinvangano la straordinarietà degli inquietanti calchi umani in mostra nella cittadina pompeiana, così come la sommità del vulcano si presta ad offrire ampi spazi all’immaginazione. Il turista infatti, sovente guarda in aria e poi subito in basso, quasi a voler rivedere quei prodotti piroclastici che nel 79 d.C. ricaddero su Pompei, Ercolano e Stabia, stravolgendo e seppellendo quelle che erano prospere cittadine che oggi sono un eccezionale museo a cielo aperto. 

Il visitatore non può non provare un fremito offertogli dalla permanenza sul monte vulcanico più famoso del mondo. I film che narrano l’eruzione di due millenni fa, certamente contribuiscono al brivido adrenalinico, atteso che rinvangano la tragedia dei flussi piroclastici che nella scena finale travolgono eroi ed eroine. La prima riflessione degli ospiti è sempre la stessa: come si fa a vivere e progettare il futuro  qui sotto al Vesuvio… 

Il Vesuvio e i Campi Flegrei, oggigiorno vengono considerati dalla comunità scientifica e soprattutto dell’osservatorio vesuviano, distretti che non destano grandissimi allarmi anche se al flegreo da dieci anni c'è lo stato di attenzione. D’altra parte la famosa struttura di ricerca e sorveglianza dell’INGV, ebbe a paventare qualche anno fa la buona probabilità che la strumentazione dell’ente possa cogliere eventuali movimenti ascendenti del magma in netto anticipo sugli eventi eruttivi. Per completezza d’informazione bisogna aggiungere che nella pagina web del dipartimento vulcani (INGV), struttura di ricerca nazionale, si precisa che la stima della pericolosità di un vulcano non è mai una valutazione esatta né una previsione deterministica del comportamento futuro: i vulcani sono sistemi complessi la cui struttura profonda è poco conosciuta perché, di fatto, inaccessibile. 

A sinistra zona rossa Campi Flegrei, a destra zona rossa Vesuvio



La logica porterebbe a pensare che chi dice di avere il magma sotto controllo parte dal principio che la sostanza astenosferica, prima di spingersi e aspergersi in superficie, debba risalire per ristagnare a bassa profondità (3-4 km.), per poi accumularsi, e indi per effetto di stimoli pressori, prima o poi dirompere all’aria aperta. Temiamo che non sia sempre così e in ogni caso non ci sono conferme della tappa obbligatoria del magma al terzo piano chilometrico. In tutti i casi e di fatto, il rischio pliniana è stato obliato al punto che il piano di evacuazione è stato tarato per una sub pliniana (VEI4), perché l’osservatorio vesuviano ha rassicurato che non c’è magma a sufficienza nella camera magmatica superficiale per un'eruzione VEI5. Se l'eruzione che verrà fosse veramente e come dicono non eccedente i valori di esplosività VEI4, I maggiori danni si riscontrerebbero nel raggio di circa 7 km. dal centro eruttivo (linea nera Gurioli) con i flussi piroclastici che lambirebbero appena la metropoli partenopea. Pensiamo che queste logiche che riguardano le camere magmatiche potrebbero essere alla base delle argomentazioni prospettate sempre dalla dott.ssa Bianco, quando profferì in seno a una tavola rotonda organizzata alcuni anni fa presso la sede della protezione civile campana, che lo scenario eruttivo VEI 4 non cambierà con il passare dei secoli ma solo con nuove valutazioni scientifiche. 


Vesuvio - linea nera Gurioli: zona a rischio invasione flussi piroclastici
                         
Quello che non viene ben valutato dall’osservatorio vesuviano, è il fatto tutt’altro trascurabile che una affermazione di questo tipo consente alla politica, quella con la pi minuscola, di permettere che in zona rossa vengano realizzati ulteriori insediamenti residenziali: ai Campi Flegrei manca il vincolo di inedificabilità abitativa. Il Prof. Cioni nel 2008 in uno studio asseriva che le eruzioni al Vesuvio possono attingere magma tanto dal serbatoio superficiale quanto da quello più profondo. Questo interessante studio è stato superato? 

In tutti i casi eventuali notizie allarmanti provenienti dai tre distretti vulcanici campani, localizzati tutti nella provincia di Napoli, verrebbero trattati in prima battuta in segretezza e per il seguito dal dipartimento della protezione civile. Le valutazioni predittive dell’osservatorio vesuviano, occorre precisarlo, sono tutte basate su elementi statistici che assegnano ai due vulcani napoletani, in caso di ripresa dell’attività eruttiva, dirompenze non eccedenti le energie di una sub pliniana (VEI4) e probabilmente con attestazioni energetiche da ultra stromboliana (VEI3). L'attuale direttore dell'osservatorio vesuviano, il dott. Mauro Antonio Di Vito, illustre lucano che avemmo modo di conoscere nell'ambito di un corso a Portici, dovrebbe garantire diversamente dal passato, una informazione meno soporifera, magari dicendo chiaramente se le disquisizioni sulle camere magmatiche hanno un senso, e ancora se è vero che lo scorrere del tempo sia ininfluente sulla pericolosità vulcanica, e se l'adozione di scenari eruttivi sub pliniani nei piani d'emergenza siano nell'attualità in linea con il diritto alla sicurezza dei cittadini.