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sabato 19 dicembre 2020

Rischio Vesuvio e pericolosità: la zona rossa, la zona gialla e la zona blu...di MalKo

 

Vesuvio

Chi cerca notizie sul Vesuvio, il più delle volte lo fa perché è attratto dagli elementi storici e naturali e archeologici che affollano il comprensorio dell’arcinoto vulcano, così come un vivo interesse lo profondono pure i ricercatori interessati a quei fattori di taglio tecnico - scientifico che sono alla base della suddivisione in zone diversamente pericolose del perimetro vulcanico. Ebbene, questa classificazione è stata fatta in base ai fenomeni che possono interessare una vasta porzione della plaga vesuviana, tenendo in debito conto il principio che ogni eruzione presenta una fase espulsiva e poi di deposito dei materiali magmatici.

Analizzando i prodotti piroclastici ammassati al suolo tutt’intorno al vulcano e alle diverse profondità e distanze, è stato possibile determinare con una buona approssimazione l’intensità eruttiva delle passate eruzioni storiche e protostoriche, e i chilometri percorsi dai flussi piroclastici scivolati a valle e dalla cenere e lapilli dispersi in atmosfera e guidate dai venti.

L’analisi dei fenomeni passati è determinante, perché il presupposto che indirizza i tecnici della sicurezza nelle loro analisi protettive, è il concetto che ciò che è successo centinaia di anni fa può ripetersi nel futuro, anche se i tempi della ciclicità degli eventi eruttivi non sono costanti per le innumerevoli variabili che entrano in gioco nelle dinamiche profonde del magma.

I fenomeni attesi in seno a un’eruzione del Vesuvio, dipendono molto dall’indice energetico di esplosività vulcanica (VEI), che può avere un valore di 3, 4 o anche 5 che è quello massimo conosciuto, corrispondente in quest’ultimo caso a uno stile eruttivo pliniano simile a quello che nel 79 d.C. seppellì letteralmente la cittadina di Pompei.

Di che tipo sarà la prossima eruzione e quando si manifesterà, sono due domande a cui oggi non è possibile dare una risposta. Purtuttavia il magma per assurgere in superficie presumibilmente dovrà farsi strada tra vecchi e nuovi percorsi, con una velocità d’infiltrazione che produrrà una serie di prodromi che saranno probabilmente colti con un anticipo, speriamo utile, per lanciare allarmi. Nel novero delle possibilità purtroppo non si può escludere neanche il falso allarme o il mancato allarme, statisticamente meno probabile.

Per quanto riguarda l’indice di esplosività vulcanica (VEI), non è possibile predeterminarlo in anticipo, perché i volumi delle masse magmatiche in gioco e con esse la chimica e la fisica che le contraddistingue, sono fattori gelosamente racchiusi nelle irraggiungibili profondità terrestri. Lì dove è incassato il magma infatti, neanche le prospezioni più tecnologiche e innovative riescono ad oggi a sondare il chilometrico sottosuolo per dare un preciso valore tridimensionale e quindi volumetrico alle rocce semifuse. In assenza di dati di dettaglio quindi, le attività di previsione sull’intensità eruttiva rimangono una disciplina incompiuta.

Volendo analizzare solo i fenomeni a maggiore pericolosità, cioè le colate o flussi piroclastici e la pioggia di piroclastiti, bisogna tenere in debito conto la tabella sottostante, che dimostra come l’impossibilità di determinare in anticipo l’indice di esplosività vulcanica, determina un vulnus operativo delle strategie e delle tattiche protettive da adottare o già adottate.


Le colate piroclastiche sono incontenibili e si caratterizzano per un notevole dinamismo distruttivo di ammassi roventi similmente valanghivi, che calerebbero dal monte per effetto del collasso della colonna eruttiva, che più in alto si spingerà e tanta più energia potenziale dovrà smaltire. Il calore insito in questa valanga surriscaldata, riuscirebbe a vaporizzare repentinamente qualsiasi essere umano per effetto delle elevate temperature del particolato dilagante. Questa caratteristica dell’eccessivo calore, rende improponibili in zona rossa difese individuali a mezzo maschere antigas che si fonderebbero insieme al corpo da proteggere, o anche misure collettive di protezione all’interno di edifici o ricoveri non progettati e collaudati per un siffatto utilizzo in condizioni estreme. A tal proposito valga la considerazione che, pur se l'Ospedale del Mare ubicato in zona rossa (Napoli – Ponticelli) è di possente fattura antisismica, alla stregua di tutte le altre strutture esistenti nella zona rossa, non offre protezione ai flussi piroclastici, e quindi la sua collocazione in quel luogo è progettualmente sbagliata.

Le zone dove il pericolo è massimo e quindi la sopravvivenza non è garantita in caso di eruzione, vengono chiamate zone rosse. Il Vesuvio ne ha due di zone rosse: la zona rossa 1 (R1) e la zona rossa 2 (R2). La zona rossa 1 è quella invadibile dalle micidiali colate piroclastiche. Nella zona rossa 2 invece, quella che per calcoli statistici si protende verso est, c’è da aspettarsi una sostenuta pioggia di cenere e lapilli che renderebbe la respirazione più che problematica, la circolazione impossibile, e la visibilità risulterebbe ridotta a qualche metro. I tetti piani a causa dei sovraccarichi sulle coperture dovuti agli accumuli di cenere e lapilli potrebbero crollare, così come i solai sottostanti.

Per la pioggia di piroclastiti occorre dire due cose: la prima è che il fenomeno è insito in qualsiasi tipologia eruttiva al Vesuvio. Il secondo elemento che dovrà avere il giusto risalto operativo è legato ai tempi di concretizzazione dei fenomeni letali. Ebbene la pioggia di cenere e lapilli è coincidente con l’inizio dell’evento eruttivo, mentre i flussi piroclastici sono appena più tardivi ma molto più distruttivi. Questo spiega perché sia nella zona rossa 1 che nella zona rossa 2, in caso di allarme eruttivo l’evacuazione preventiva è assolutamente necessaria.

Al di fuori della zona rossa c’è la zona gialla che si estende prevalentemente e statisticamente verso est, dove sono previsti medi e forti disagi, soprattutto in danno di quei territori ubicati sottovento al Vesuvio e che si trovano in linea con i venti predominanti: nella zona gialla non si possono escludere eventuali e mirate evacuazioni. Trattandosi di materiale di ricaduta trasportato e orientato dal vento però, qualsiasi valutazione di pericolosità o disagi estremi, dovrà essere fatta con eruzione in corso.

In seno alla zona gialla, a nord del Vesuvio, c’è anche la zona blu di sovrapposizione, dove sono possibili, in caso di eruzione, intensi allagamenti con fiumane di fanghiglia che scorrerebbero dal Vesuvio nelle normali linee d’impluvio verso la conca nolana. Per il forte ruscellamento dovuto alle acque espulse dal vulcano, salterebbero le coperture degli alvei e si formerebbero accumuli acquiferi nelle aree di confluenza dei rii, fino a raggiungere altezze di circa tre metri.

I problemi di sicurezza che gravano sull’area vesuviana, sono innanzitutto legati all’incertezza predittiva dell’eruzione vulcanica e a quella sull’intensità eruttiva. La previsione infatti, dovrebbe formularsi almeno tre giorni prima dell’insorgere delle dirompenze eruttive, con una tempistica che eviti possibilmente falsi allarmi o mancati allarmi. Per quanto riguarda la previsione dello stile eruttivo, le autorità di Protezione civile hanno deciso di assumere su basi statistiche, come eruzione di riferimento per i piani di emergenza, un evento medio sub pliniano VEI 4 e non quello massimo conosciuto VEI 5. Questa decisione che ha l’avallo della commissione grandi rischi è molto responsabilizzante, ancora di più se la dirigenza dell’Osservatorio Vesuviano ribadisce che il passare dei decenni e dei secoli non portano a rivalutare l'intensità eruttiva che rimarrebbe immutata (VEI4) nel tempo, almeno fino a quando nuove scoperte scientifiche non ribaltino questa prospettiva ottimistica. Se queste dichiarazioni non dovessero poggiare su presupposti scientifici molto solidi che in ogni caso contrastano con la letteratura a tema vigente, potrebbe verificarsi, in caso di allarme, la possibilità  statistica di un successo evacuativo con annessa catastrofe vulcanica.

Vesuvio: evidenza delle zone a diversa pericolosità













domenica 13 dicembre 2020

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la protezione che non c'è... di MalKo



Il Covid 19 da buon parassita non poteva che produrre una catastrofe sanitaria, soprattutto in una società senza un’idea anti pandemica, con non poche strutture di assistenza medica smobilitate negli ultimi decenni, e con personaggi neanche capaci di mettere a posto le carte, figuriamoci la salute.

L’odissea delle mascherine che si producevano ahinoi solo fuori dai confini nazionali, ci hanno disorientato e appiattito nei primi momenti, sull’unica opzione preventiva possibile che era quella di non uscire e tenere materialmente la bocca chiusa. Per mesi ci hanno ammorbato con disquisizioni assurde circa l’utilità o meno delle mascherine, che in ogni caso non c’erano. La bocca anche molto aperta l’hanno tenuta e la tengono invece epidemiologi, virologi e infettivologi e similari, che occupano il piccolo schermo, molto spesso elargendo opinioni e indicazioni completamente diverse le une dalle altre, anche se ultimamente stanno aggiustando il tiro evitando esternazioni iperboliche più che imbarazzanti per tutti. Vi sembrerà strano, ma riteniamo questa inflazione televisiva medico scientifica preferibile al pensiero unico del soggetto istituzionale e governativo, al maschile o al femminile che, con tono misurato, appare in pubblico per dire che è tutto sotto controllo e che sui blog fanno solo allarmismo.

L’articolo pubblicato online dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sulla testata TPI.it. è molto interessante e inizia così:<< il professor Antonello Ciccozzi insegna antropologia culturale all’Università dell’Aquila. Dopo il devastante terremoto che colpì il capoluogo abruzzese nel 2009, coniò il termine “rassicurazionismo”, poi inserito nel dizionario Treccani. L’occasione fu la sua consulenza tecnica al processo alla Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, processo che costò la condanna a due anni a Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo della Protezione Civile>>.

Il rassicurazionismo è quella pratica che normalmente trova ampio spazio applicativo nell’ambito governativo e delle istituzioni pertinenti, che anche senza istruzioni mirate sanno e si adoperano acchè si attenuino gli stati ansiosi delle popolazioni, soprattutto a ridosso di una condizione di pericolo difficilmente affrontabile in via preventiva e operativa che possa portare disordine pubblico. La gente infatti, vorrebbe vivere in un contesto di permanente protezione, o almeno rassicurazione, avendo la sensazione se non la certezza, che c’è un grande fratello statale che veglia diuturnamente sul loro sonno e con le migliori risorse umane e tecnologiche possibili.

L’Osservatorio Vesuviano è una struttura appunto statale che ha compiti di ricerca e di sorveglianza vulcanica, che non disdegna di esercitare anche la pratica del rassicurazionismo, soprattutto perché, contrariamente all’affollata componente medica che ha sul collo la pandemia, praticamente svolge indisturbato questo ruolo di front office in un clima di pace geologica, appena disturbato da qualche brontolio, e più ancora da qualche sussulto soprattutto nell’area flegrea. Con incalzanti crisi sismiche sarebbe tutto un altro discorso... Le diverse amministrazioni statali e regionali e comunali, che dovrebbero vedersela coi vulcani sopiti, preferiscono contemplare l’ipotesi eruttiva medio bassa sussurrata dall’INGV, che essendo dieci volte inferiore al massimo evento conosciuto (eruzione Pompei), offre maggiori chances di mediazioni tra economia, pericolo e tutela: della serie rischio accettabile, ovvero analisi costi benefici. Con questo modus operandi, la scala dei disastri allora potrebbe anche salire e coglierci totalmente impreparati, vanificando qualsiasi organizzazione evacuativa che intanto non c’è e se c’è è tarata sul medio evento. Non presentandosi il manifesto e percepibile rischio eruttivo, le maestranze istituzionali lasciano correre qualsiasi affermazione negativa proveniente dal basso su scenari e piani di emergenza, senza neanche soppesarla.

In realtà ogni affermazione allarmista o rassicurazionista dovrebbe poggiare su una solida analisi scientifica del problema, e soprattutto sulle alternative possibili in risposta ad ogni incognita. Quindi il discorso sul rischio vulcanico dovrebbe avere un’inquadratura diversa dal solito target minimalista o allarmistico. Se il pericolo non è quantificabile energeticamente e neanche temporalmente, per migliorare la nostra posizione di grande fragilità zonale, la soluzione alla fine dovrebbe essere quella di andarsene dal territorio vulcanico: l’emigrazione a dirla chiara o lapalissianamente, sarebbe la formula bruta della sicurezza.

Ovviamente questa strategia di uscita (exit strategy) piuttosto tranchant, avrebbe una sua percorribilità, in assenza di prodromi percepibili dai sensi, solo se il nucleo familiare per più motivi abbia in serbo di andarsene fuori dalla zona rossa. Diversamente la pratica del trasferimento familiare potrebbe essere una opzione sofferta ma molto utile per chi non ha remore per i cambiamenti, ed ha una forma mentis molto lucida su quella che dovrà essere l’organizzazione familiare del proprio futuro. Per la stragrande maggioranza delle famiglie invece, che ha relazioni e lavoro stabile in zona rossa, decidere di andare via è molto più difficile perché alla quantità della vita potrebbe non corrispondere una congrua qualità della vita stessa.

Per mitigare il rischio vulcanico senza per questo uscire dalla zona rossa, l’alternativa per garantirsi un minimo di protezione in più, dovrebbe essere quella di non risiedere nelle zone mediane di pericolo del perimetro a rischio, preferibilmente occupando un posto in periferia e ad occidente, possibilmente lontano dagli addensamenti abitativi che sono una variabile assolutamente negativa a fronte di qualsiasi elemento di pericolo geologico, climatico o di natura antropica.

Proprio stamani sulla rivista online Open, a proposito della pandemia si legge che non c’è mai stato un piano operativo. E ancora si legge che le scartoffie esistenti contenevano unicamente «linee guida generiche molto distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico». Come nel caso dell’organizzazione anti covid, anche nel vesuviano e nel flegreo non c’è un utile piano di protezione civile a fronte del pericolo eruttivo. In caso di allarme, la nostra impreparazione potrebbe essere platealmente e drammaticamente e catastroficamente evidente, e tutta la questione e la gestione dell’emergenza vulcanica, andrebbe ad offrire ampi spunti all’interno della trasmissione di Sigfrido Ranucci (Report), o in quella di Non è l’Arena con l’inviato Lupo che si si sposterebbe su paesaggi lunari. Come la pandemia però, le inchieste arriverebbero sempre a posteriori, ed esperti mai visti prima o mai prima espostisi con le loro teorie, darebbero lezioni di prevenzione e di vulcanologia, con un’attenta analisi della catena degli eventi che ha portato al disastro, bacchettando ed assolvendo con quelle famose e collaudate tecniche di dietrologia, frutto del senno del poi, quegli attori istituzionali muti e inattivi spettatori della sicurezza pubblica. Verrebbero tutti assolti come successe alla commissione grandi rischi, dove i giornalisti più accreditati tirarono in ballo la bufala che si stava svolgendo un processo alla scienza degno dell’inquisizione, un'artata campagna a favore della protervia istituzionale...

Che un’eruzione ci colga improvvisamente è improbabile. Che ci colga prima del previsto, cioè con un margine temporale inferiore alle 72 ore è ancora improbabile. Che diffondano un allarme eruttivo molto in anticipo sui tempi eruttivi è piuttosto probabile. Che lancino un allarme evacuativo seguito dall’eruzione dopo qualche giorno dalla desertificazione della zona rossa è un miracolo. Per gli esperti la previsione dell’evento vulcanico è più difficile nei Campi Flegrei che non al Vesuvio. Neanche le più innovative tecniche di monitoraggio delle plaghe vulcaniche hanno la capacità di accrescere la diagnosi predittiva dell’eruzione, perché storicamente non si ha una congrua sequela di dati archiviati nel corso dei millenni: i vulcani li conosciamo da ieri...

Il piano di emergenza e di evacuazione a fronte del rischio vulcanico campano, è un assemblato di carte dal taglio teorico ma per niente operativo. La risposta reclamizzata dalla protezione civile nazionale e regionale e comunale sembra di pura facciata senza certezze sull'efficacia delle misure generiche che si intenderebbero prendere in caso di necessità. La totale disorganizzazione del modello anti pandemico, alla stregua può suggerirci cosa succederebbe in caso di allarme vulcanico, dove la salvezza può solo provenire dai falsi allarmi che salverebbero ma alla lunga stancherebbero.  Il recovery fund porterà miliardi che cadranno su un terreno sterile pieno di ortiche che ci porterà a consumare concime, acqua e Sole senza che fiorisca alcunché. Richiamando un pensiero affine all'ideologia mazziniana, la felicità in terra è tutta racchiusa nel buon funzionamento delle istituzioni: si vanghino questi poderi allora... 













venerdì 23 ottobre 2020

Rischio Vesuvio: la zona rossa è di garanzia?

 


Per chi segue le vicende del rischio Vesuvio, occorre dire che nell’attualità il dibattito scientifico e giornalistico che ruota intorno al famoso vulcano è totalmente assente, perché tutta l’attenzione dei media è concentrata sul Covid 19, la pandemia che sta fustigando il mondo intero con le strutture sanitarie in ginocchio e la popolazione mondiale allarmata e disorientata.

L’apparato vulcanico del Vesuvio, come si evince dai tracciati sismici, di tanto in tanto subisce scuotimenti dovuti a terremoti a bassa e bassissima magnitudo con il rilascio di energia equivalente inferiore a una tonnellata di tritolo: valori, generalizzando, che non cagionano danni. Di contro però, attestano ineluttabilmente che il Vesuvio è ubicato su una vasta camera magmatica che ricordiamo non è un bacino chiuso. Questo significa che i contenuti di magma incassati nelle profondità chilometriche dell’apparato vulcanico, presumibilmente dovrebbero variare con il tempo. Intanto nessuna ricerca fino ad oggi è riuscita a dare un preciso rilievo tridimensionale alle sostanze incandescenti presenti nelle viscere del monte, onde consentire con precisione di valutare con quanti chilometri cubici di materiale magmatico potremmo avere a che fare un domani. Questo significa che non è possibile pronunciarsi sulla misura energetica della prossima eruzione, che non sappiamo se sarà esplosiva e soprattutto quanto esplosiva; e poi non sappiamo se riusciremo a cogliere con netto anticipo i prodromi pre eruttivi che non siano un falso allarme, e se il traffico stradale ci consentirà di allontanarci velocemente dal pericolo. Ed ancora non sappiamo se il piano di evacuazione quando sarà completato riuscirà a soddisfare d’appieno le necessità di sicurezza dell’area vesuviana. Queste sono solo alcune delle domande che un giorno cattureranno la nostra attenzione o quella dei posteri, che si scontreranno, statene certi, contro un muro di dubbi a fronte delle impellenti necessità del sopravvivere.

Riallacciandoci con qualche analogia alle problematiche da Covid 19, sembra che nessun governo nazionale e mondiale abbia mai stilato un piano per fronteggiare una pandemia seria come questa. Il Covid 19, dopo una prima ondata di aggressività sugli anziani, ha diviso gli scienziati che si sono espressi sulla letalità dell’epidemia. Alle porte dell’estate, secondo alcuni luminari il virus era morto e sepolto; altri lo definivano oramai cambiato e quindi innocuo come un raffreddore, ma c’è stato pure chi ha avvertito di una recrudescenza dei contagi con modalità particolarmente pervasive da attendersi in autunno. In effetti mentre il mondo cinematografico aveva largamente previsto la drammaticità di una minaccia pandemica, il mondo reale, quello fatto di politici e scienziati ed esperti e opinion leader, neanche avevano lontanamente immaginato che potesse verificarsi un incubo simile: da ciò ne è derivato una impreparazione pressochè totale. 

Un’esplosione pliniana del Vesuvio, evento raro ma non escludibile dagli annali del possibile, è un argomento in questo caso poco dibattuto fra gli scienziati, con prese di posizione fatte di farfugliamenti a bassissima voce. La classe degli esperti istituzionali preferisce infatti parlare a voce alta per esprimersi sui sistemi di monitoraggio sempre più tecnologici e da finanziare, e sui piani di emergenza e di evacuazione, dando in pasto all’opinione pubblica indizi di certezze sulla previsione dell’evento, offrendo poi esercitazioni di protezione civile che hanno la stessa utilità di una lampada abbronzante ai tropici.  I dati geologici ci provengono dall’organo istituzionalmente competente che è senza ombra di dubbio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), mentre per la parte tecnica e politica le indicazioni sono tutte del Dipartimento della Protezione Civile e della Regione Campania. L’INGV, anche attraverso la sua diramazione scientifica costituita dall’Osservatorio Vesuviano, ha concluso che la massima eruzione attendibile al Vesuvio è tuttalpiù di taglia sub pliniana, mentre quella più probabile è di tipo ultra stromboliana (VEI3). La pliniana è innominabile, perché, sussurrano, ha un indice di probabilità di accadimento praticamente zero. Stranamente un documento firmato da due ex direttori dell'Osservatorio Vesuviano davano una probabilità eruttiva VEI 5 all'11%.


Per quanto riguarda la possibilità che con i decenni e poi con le decine di decenni e poi secoli, il Vesuvio possa aumentare la sua latente energia eruttiva e distruttiva, la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) ebbe a precisare qualche anno fa, che non è il trascorrere del tempo che rende più pericoloso un vulcano come il Vesuvio, bensì solo nuove scoperte capaci di modificare quelle conoscenze scientifiche che hanno consentito nell’odierno di classificare l’eruzione  di tipo sub pliniana (VEI4) come l’eruzione massima di riferimento per i piani di emergenza.  Se per nuove scoperte s'intende la precisa calibrazione della massa magmatica in aspettativa nell'omonima camera, come già anticipato prima, non c'è una tale inappuntabile quantificazione, ma di certo l'eruzione pliniana del 79 d.C. pescò magma dalla camera superficiale (4-5 Km.), ma soprattutto da quella profonda (8-10 Km.) poco perscrutabile... Il dibattito scientifico dovrebbe incominciare a chiarire l’importanza di queste due camere nelle dinamiche magmatiche esplosive, che forse hanno ruoli diversi nelle diverse tipologie eruttive.

È nella normalità delle cose che se il mondo scientifico certifica addirittura come deterministica una previsione di eruzione massima attesa non superiore a un indice di esplosività vulcanica VEI 4, i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania hanno impostato le bozze dei piani di emergenza, tenendo in debito conto questa discutibile classificazione per circoscrivere la zona rossa da evacuare. Per meglio inquadrare il problema, si tenga presente che l’estensione della zona rossa ha un raggio correlato all’indice di esplosività vulcanica. Quindi: circa 10 chilometri per una VEI 4, e quasi 20 per una eruzione pliniana VEI5. Occorre anche comprendere che, come i termometri, anche le energie eruttive possono manifestarsi con valori intermedi che nel nostro caso creerebbero problemi, soprattutto se la zona rossa non ha un contorno maggiorato di sicurezza. Da questo punto di vista il caso di Volla è emblematico.


Assumendo per il Vesuvio una zona rossa VEI 4, in pratica si è tenuto fuori dai piani di evacuazione buona parte della città di Napoli ad eccezione dei quartieri orientali (Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio). Questa storia di Napoli centro storico invulnerabile alle dinamiche eruttive vesuviane e flegree ci lascia perplessi. Infatti, la zona rossa del super vulcano non comprende come è stato fatto col Vesuvio una zona rossa 2 (R2).  La zona rossa 2 ricordiamolo, è quella parte di territorio che per lontananza sarebbe risparmiata dalle colate piroclastiche sub pliniane ma non dalla massiccia pioggia di cenere e lapilli. La caduta di materiale piroclastico renderebbe impossibile la permanenza in loco per l’immediatezza dell’insorgere dei problemi alla respirazione. E poi ci sarebbero dopo qualche ora criticità alla circolazione dei veicoli, e poi serie complicanze statiche alle coperture dei fabbricati per il sovrappeso di cenere e pomici e lapilli. Questo significa che la zona rossa 2 ha le stesse regole e tempi di evacuazione della zona rossa ordinaria, e che intanto non è stata indicata per la zona rossa flegrea.

Considerato che i venti predominanti soffiano prevalentemente verso est, pur comprendendo che non c’è l’indicazione di un preciso centro eruttivo nella caldera dei Campi Flegrei, riteniamo che una media mediata non possa non comprendere la necessità, all’occorrenza, di un allontanamento preventivo di tutti gli abitanti che affollano il centro storico di Napoli. 

I rischi che si corrono col Vesuvio è quello che anche una riuscitissima previsione dell’evento vulcanico con una efficace evacuazione della zona rossa, possa comportare una catastrofe se l’intensità eruttiva che non è possibile cogliere in anticipo, vada ad assumere i caratteri di una pliniana o similmente pliniana, con le colate piroclastiche che andrebbero ad espandersi ben oltre i limiti attuali della zona rossa cogliendo non pochi spettatori immoti. Anche nel flegreo persiste un problema, e anche qui in caso di allarme, pur se si dovesse raggiungere l’auspicato successo evacuativo, il centro storico di Napoli rischierebbe di essere bombardato dai prodotti piroclastici di caduta che renderebbero dopo qualche ora inutilizzabile la stazione centrale, mentre i marittimi dovrebbero spalare cenere dai ponti dei traghetti e gli snodi stradali e autostradali rischierebbero dopo qualche ora il blocco totale della circolazione.

Alcune diatribe interne all’Osservatorio Vesuviano, così come la querelle sull’epicentro del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, la cui localizzazione venne fatta a distanza di giorni; ed ancora il gioco del sapevo e non sapevo sulla trivellazione operata nella zona di Agnano nel giugno 2020, portano a ritenere che la richiesta di alcuni senatori sull’opportunità di commissariare l’INGV per riorganizzare i vertici, sia un'assoluta necessità per riportare il ruolo della scienza lontano dai bisogni non confessati della politica. Le istituzioni non sono meno responsabili però, soprattutto quando si arrogano il diritto di nascondere la verità per non allarmare, mentre in realtà la cautela serve esclusivamente per non rispondere...














domenica 26 luglio 2020

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: il difficile governo dei territori vulcanici… di MalKo

VESUVIO

L’area vesuviana è caratterizzata e prende il nome, dalla massiccia presenza dell’arcinoto strato vulcano Vesuvio. Trattandosi di un apparato che nella sua lunga storia eruttiva ha prodotto eruzioni dissimili per intensità e fenomenologia, inquadrarlo in tutta la sua pericolosità è compito arduo. Come più volte sintetizzato, non è possibile prevedere con quale tipologia eruttiva il vulcano romperà nel futuro la sua annosa quiescenza che dura da 76 anni. L’assunzione dello scenario medio sub pliniano (VEI4) come eruzione massima di riferimento per la stesura dei piani di emergenza, ha dato vita all’attuale zona rossa i cui limiti scientifici sono dettati dalla linea nera Gurioli, mentre quelli amministrativi dalla Regione Campania.

In una interlocuzione avvenuta nei primi mesi del 2019 con le autorità di Protezione Civile Nazionale e Regionale e con l’Osservatorio Vesuviano (INGV), fu portato all’attenzione dei dirigenti intervenuti, la necessità di varare strumenti urbanistici graduali, per non determinare una stroncatura netta tra i limiti della zona rossa e quella verde contigua: quest’ultima per intenderci con vincoli edilizi ordinari. Una corona circolare che fungesse come un intercalare territoriale di tutta precauzione e non di evacuazione, sarebbe stato assolutamente necessario per dare spazio alle politiche lungimiranti di prevenzione, sulla scorta della consapevolezza che il pericolo eruttivo non è una costante invariabile col tempo.  

Esempio di organizzazione del territorio vulcanico


Se si adotta così com’è stato fatto uno scenario eruttivo medio e non quello massimo conosciuto, occorre anche comprendere che con il passare del tempo ciò che oggi è zona verde un domani, magari anche lontano, diventerà zona rossa VEI5 o prossima a questa intensità. Si tenga presente infatti, che l’indice di intensità vulcanica (VEI), è una scala che segue dei gradini che offrono energie 10 volte superiori ad ogni alzata: i processi energetici possono invece avere alla stregua di una scala termometrica, valori intermedi, con logiche al rialzo da piano inclinato. Un’amplificazione della probabilità eruttiva pliniana o similmente pliniana, col trascorrere dei decenni e poi dei secoli, verosimilmente rientrerà nel calcolo delle probabilità future di accadimento difficilmente contestabili. Una constatazione questa dell’intensità eruttiva, che trova una sua correlazione non misurabile con certezza con i tempi di quiescenza, che nella quasi totalità delle pubblicazioni di vulcanologia, viene indicato come fattore importante per le valutazioni al rialzo del pericolo eruttivo. In ogni caso l’imprevedibilità del sistema vulcanico che trae la sua energia dalle diramazioni con l’astenosfera, racchiude limiti di insondabilità insuperabili alla luce delle conoscenze attuali.

Ragionando sui documenti esistenti, si desume una possibilità non trascurabile che l’eruzione possa essere pliniana al giro di boa dei 200 anni di quiescenza. Superato questo limite bisecolare, la casistica introdurrà in modo non residuale la più famosa delle eruzioni, imponendo modifiche all’estensione della zona rossa per adeguarla al mutato indice di esplosività vulcanica (VEI5). Un mutamento che in assenza di regole urbanistiche, imporrebbe di fare i conti col consumo del territorio che sembra inarrestabile nel comprensorio metropolitano…

 
Area Vesuviana: zona rosso 1, zona rossa 2, zona blu, zona gialla.


Il problema grosso di protezione civile, è che nessuno al mondo può escludere la possibilità che già oggi una eruzione di questo tipo possa materializzarsi. L’altro elemento da brividi, è la previsione del fenomeno eruttivo, che per sua natura si presta ai falsi allarmi e ai mancati allarmi. Nessuno dice però, che c’è una terza possibilità: un infallibile successo previsionale di un’eruzione che poi potrebbe anche remotamente rivelarsi energeticamente superiore alle aspettative o maggiormente sbilanciata in una direzione, con effetti dirompenti capaci di superare i limiti amministrativi della zona rossa. In questo malaugurato ipotesi, migliaia di persone resterebbero immobili e impreparati come birilli...

Nella zona rossa Vesuvio sussiste il vincolo dell’inedificabilità totale per uso residenziale, e quindi va da sé che la domanda di alloggi fuori dalla zona rossa 1 (nella zona rossa 2 vige cemento libero) è fortemente aumentata. Per rispondere alle necessità immobiliari, alcuni comuni come quello di Volla, hanno incrementato la cementificazione del territorio per dare al mercato i vani richiesti.  

Articolo giornalistico ad oggetto la cementificazione di Volla.  Valutate la distanza del comune
dalla zona rossa nella mappa dell'area vesuviana riportata in alto.


La necessità di regolare senza vietare, i processi di urbanizzazione nell’area contigua alla zona rossa e per alcuni chilometri, dovrebbe spronare le autorità di governo del territorio metropolitano, a darsi regole di sviluppo sostenibile, utilizzando schemi di insediamenti abitativi capaci di favorire la politica degli spazi e una più agevole mobilità delle popolazioni su ruote. D’altro canto occorre anche prestare attenzione alle particolarità costruttive dei manufatti, in modo che siano maggiormente rispondenti alle esigenze di affrontare staticamente i fenomeni dinamici, verticali e orizzontali, insiti nelle grandi eruzioni. 

Secondo la maggior parte dei libri di vulcanologia, pedissequamente viene riportato il dato che quanto maggiore sarà il tempo di quiescenza di un vulcano, tanto maggiore sarà l’energia con cui l’apparato porrà fine al suo letargo geologico. La direttrice dell’Osservatorio Vesuviano stranamente escluse pubblicamente questa regola, sostenendo che la misura del tempo non cambia l’intensità eruttiva massima attesa al Vesuvio, che sarà in ogni caso di media intensità e fino a prova contraria. 

L'enigmatica scienziata forse voleva riferirsi agli esami tomografici sismici o muonici che potrebbero già aver quantificato i volumi di magma presenti nella camera magmatica profonda. Il concetto allora potrebbe essere quello che si valuteranno in futuro e con indagini indirette le masse di materiale rovente insinuatesi nella camera magmatica, e le comparazione "radiografiche" potrebbero consentire di mutare il quadro predittivo dell'intensità eruttiva.Temo però, che al momento non abbiamo questa precisione analitica...

Il monte St. Helen negli USA, è molto simile al Vesuvio e nel 1980 produsse una spaventosa eruzione. In realtà e spinti dalla curiosità e dalla necessità di chiarezza, abbiamo chiesto al servizio geologico americano,se è vero che l’intensità eruttiva non è legata ai tempi di quiescenza del vulcano. La risposta è stata lapidaria: that is not true (questo non è vero). Dal nostro punto di vista riteniamo che se l'indagine sismica avesse elementi tridimensionali di determinatezza assoluta, sapremmo con precisione cosa succede pure nel sottosuolo dei Campi Flegrei, assegnando con accettabile approssimazione l’indice di pericolosità vulcanica...

Campi Flegrei . Zona rossa e gialla.


L’affermazione della predetta assegnò un endorsment ai rappresentanti delle pregevoli istituzioni governative presenti, che uscirono dall’incontro  giustificati per la loro ingessatura evcuativa sull'argomento, che nulla porta però al contribuito strutturale della prevenzione del rischio vulcanico oltre i margini temporali della loro esistenza. Tecnici dell’oggi insomma e non del domani. Diversamente costoro avrebbero dovuto impegnarsi per costringere la politica a prendere contezza della realtà, suggerendo azioni di pianificazione urbanistica (Puc) con la mente concentrata sulle prerogative di sicurezza della società futura, che non merita che si lasci una bomba naturale in un contesto metropolitano di serrata e crescente e caotica e avviluppante conurbazione.

Intanto i sindaci della zona rossa che hanno costituito un cartello per mettere in discussione gli insopportabili divieti anti cemento vigenti nel vesuviano, chiedono a gran voce di abbattere e riscrivere la legge 21/2003 e nel contempo lamentano la necessità di trovare soluzioni agli abusi edilizi attraverso le sanatorie. Queste pretese degli amministratori locali che sanno un tantino di campagna elettorale, possono incidere fortemente sulle politiche della sicurezza areale, quale territori fortemente antropizzati e minacciati dall’imprevedibilità vulcanica, che da oriente a occidente stringe nella morsa del rischio eruttivo l’area metropolitana napoletana. 

Se i primi cittadini con i loro esperti riusciranno a convincere l’assessore Bruno Discepolo ad aprire il borsone dell’edilizia nel comprensorio vesuviano, anche per i Campi Flegrei si prospetterà una legge di latta, per dirla alla Cordova, che proclamerà di bloccare ogni ulteriore insediamento abitativo nel settore a maggior rischio vulcanico, ma con molte postille, distinguo e scappatoie ad esempio su Bagnoli, che invece di diventare un hub di protezione civile diventerà probabilmente un distinto agglomerato urbano.

Per quanto ne sappiamo, l’unica azione amministrativa che va nella direzione di strutturare sul serio le pratiche di mitigazione del rischio vulcanico nei Campi Flegrei, è quella di varare una legge capace di bloccare qualsiasi ulteriore insediamento abitativo nella zona rossa, fermando così nuove esposizioni dei cittadini al pericolo, alla stregua di quanto è stato fatto nel vesuviano con la norma regionale,  risultata di una certa efficacia al netto degli abusi edilizi perpetrati su un territorio francamente senza controlli.

L’ipotesi di disegno di legge presentato nel 2016 dalla consigliera regionale Maria Muscarà :<< Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area flegrea>>, affronta quindi il problema. L’iter della buona proposta, si è arricchito dei pareri espressi in alcune sedute dai rappresentanti delle municipalità del flegreo e del napoletano, in verità poco entusiasti del rigore normativo proposto. La tessitura di questa legge è particolarmente importante, perché i governi locali, che sembra che badino più a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce, fanno squadra e premono ridimensionando con le loro pretese il rischio vulcanico in nome di esigenze sociali e del progresso economico.


E’ di questi giorni una pubblicazione (Invited perspectives: The volcanoes of Naples: how can the highestvolcanic risk in the world be effectively mitigated?) del Dott. De Natale dell’INGV (OV) che affronta il tema di una discussione sulla prevenzione basata solo sulla previsione dell’evento vulcanico, accennando alla fallibilità della pratica. Poi individua altri elementi come i limiti dei piani di emergenza e la necessità di intraprendere il cammino del decentramento abitativo per mitigare il rischio vulcanico.











martedì 21 luglio 2020

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: pericolo, prevenzione e battaglie... di MalKo


I Campi Flegrei
Circa un mese fa ad Agnano (Campi Flegrei), a ridosso delle grandi concessionarie di auto di via Antiniana, è stato trivellato un pozzo che ha preoccupato non poco gli abitanti della zona per la fumarola che si è sprigionata dalla perforazione, tra l’altro poco profonda. L’operazione ha presentato e presenta dei retroscena per niente convincenti su quello che sembra essere un progetto sperimentale (Geogrid) legato al geotermico in una zona che si caratterizza per dei fluidi idrotermali molto caldi già a bassa profondità nel sottosuolo. Come tutti i fallimenti del mondo, anche questa trivellazione risulta orfana di responsabili, nonostante la Regione Campania abbia speso una cifra considerevole per vestire questa creatura oggi politicamente innominabile, ma ben conosciuta agli uffici regionali per le attività produttive e ricerca scientifica. Al grido delle opposizioni “riprendiamoci i soldi”, l’assessore al ramo si giustifica, almeno così ci è sembrato di capire, dicendo più o meno che il finanziamento è stato in gran parte consumato nel cantiere della metropolitana di piazza Municipio, e non è quindi possibile chiedere la restituzione delle cifre anticipate per il Geogrid…

I politici, quelli che vivono il territorio, si sono subito allertati manifestando grande interesse e compartecipazione alla preoccupazione collettiva dei cittadini e soprattutto dei gruppi organizzati, per quel buco fumarolico che emetteva vapore portando seco un carico di idrogeno solforato e anidride carbonica ed altri elementi salini. Esposti e denunce sono partiti a raffica e si sono sovrapposti accendendo l’interesse della magistratura. Intanto a fronte del pericolo dettato dalle emissioni gassose, si è adottata la cautelativa risoluzione di chiudere minerariamente il buco: cosa che è stata fatta attraverso l’installazione di un “tappo” con valvola sommitale.

Agnano: pozzo chiuso.

Tale intervento di chiusura non sappiamo se può dirsi risolutivo: solo il tempo potrà dirlo, e si spera che i fluidi riescano ad interallacciarsi alle linee di frattura preesistenti nel sottosuolo, favorendo così il ripristino similmente naturale della circolazione dei prodotti liquidi e gassosi, in modo che in ogni caso si stabilizzi, circolo o non circolo, una pressione nel condotto verticale sotto ai limiti di resistenza della copertura. 

La trivellazione è stata un po’ maldestra perché è stata effettuata in un territorio dove le rocce sono già pregne di vapori termali, che a ondate periodiche trasudano e sbuffano gas, che viene rilasciato in alcuni punti della conca, dando origine all'inconfondibile odore di uova marce. Non era affatto imprevedibile che scavando pur a profondità contenute si favorisse la fuoriuscita dei vapori, e quindi non è chiaro perché si è proceduto…

Intanto e a corredo della faccenda, occorre essere chiari e dire che è abbastanza facile intestarsi una battaglia contro gli organizzatori della improvvida operazione di perforazione nel comprensorio flegreo, soprattutto quando si condensa una comunanza fra i cittadini, favorita dalle indesiderate volute di vapore. Tutt’altra cosa invece, è incidere fortemente sui più complessi temi della sicurezza e della prevenzione del rischio vulcanico, con argomenti che generalmente sfuggono all'attenzione delle masse. Non ci risulta infatti, una pari convergenza dei cittadini, dei movimenti, della politica e degli amministratori contro l’accidia con la quale il governo nazionale e soprattutto regionale e locale stanno palleggiando la necessità di porre fine a nuovi insediamenti residenziali nella zona rossa calderica dei Campi Flegrei, attraverso norme ad hoc, alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio con la legge regionale numero 21 del 2003.

Questa necessità di grande ambizione preventiva, dovrebbe andare nella direzione di una coerente legislazione atta a fronteggiare o mitigare qualsiasi ipotesi di catastrofe vulcanica: gli esperti anche istituzionali, sfuggono questo ambito discorsivo, perché significa mettersi contro il potere politico che, generalizzando, in queste come in altre zone, a volte sfrutta la cementificazione per favorire addirittura il consenso elettorale. 
Il mondo degli amministratori e dei politicanti, allora evita nelle conferenze pubbliche e con grande abilità questo tema, per evitare imbarazzi e distinguo difendendo l'indifendibile. Non c’è volontà politica di introdurre nella zona rossa flegrea, sic et simpliciter, una legge anti cemento che vieti qualsiasi nuovo insediamento residenziale in un settore territoriale definito dallo stesso Stato ad alta pericolosità vulcanica. È urgente attivarsi, ed è appena il caso di ricordare che problematiche residenziali riguardano l’area metropolitana di Bagnoli quale esempio del controsenso: un sito questo, ubicato in zona rossa, dove è previsto sì la bonifica, ma anche un carico urbanistico di tutto rispetto. 

I sindacati e le organizzazioni di categoria poi e in genere, sono contrarie alle limitazioni dell’edilizia, perché il settore dei lavoratori edili è in crisi: chi va a spiegare a costoro che in nome dell’economia non si può mettere fuori sicurezza una zona ad alto rischio vulcanico, addirittura favorendo una antropizzazione già dai numeri spropositati, che oggi conta nella depressione calderica del super vulcano un numero di residenti doppio rispetto alla città di Venezia, o quasi pari al numero di abitanti di Genova…

A leggere i resoconti (2019) delle audizioni ad oggetto problematiche relative alla definizione delle istanze di condono edilizio legge regionale 21/2003 appare molto chiaro il pensiero dei sindaci del vesuviano e degli esperti chiamati a supportare i primi cittadini: l’eloquio degli oratori è intraprendente e ridondante. Il Vesuvio e la zona rossa è un problema di protezione civile affermano, che non va confuso con i piani di urbanizzazione comunale! Ovvero, dovranno essere i comuni a decidere dove possono ancora sorgere dimore e bisogna magari abrogare la legge 21 del 2003 e riscriverla velocemente e di sana pianta. Innanzitutto però, i sindaci chiedono il condono edilizio per le migliaia di pratiche che stipano gli uffici tecnici, perché non si può fare la traversata del deserto (audizione in commissione regionale) e tornare a mani vuote dai concittadini, e tra questi pure gli abusivi, che andrebbero invece ristorati amministrativamente, pena il risarcimento degli oneri di urbanizzazione già anticipati.

Invocare una legge contro l’edilizia residenziale in area vulcanica flegrea dicevamo è problematico, e gli amministratori pubblici hanno recepito tutte le acuzie che hanno individuato gli strategici colleghi del vesuviano, e non vogliono fare lo stesso “errore”. Costoro auspicano il varo di una legge per i Campi Flegrei che abbia possibilmente il ventre flaccido, e quindi consenta di coniugare il divieto di cementificare con la velata possibilità di poter manovrare senza enfasi e propaganda, direttamente sulle licenze edilizie, magari favorendo l'edificato in quelle zone cittadine che gli stessi comuni pretendono di accamparsi il diritto di classificarle come luoghi compatibili con il rischio vulcanico. Non a caso la municipalità di Pozzuoli non esclude di decentrare la zona abitata del Rione Terra a favore di altri siti periferici, secondo la personalissima visione che basta essere lontani dai fenomeni acuti del bradisismo per ritenersi al sicuro…

zona rossa Campi Flegrei


Su questo argomento il panorama politico regionale individua la sola consigliera  Maria Muscarà dei cinque stelle, come propositrice della legge ad oggetto:<< Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area flegrea>>, depositata il 29 giugno 2016. I disposti contenuti in questa proposta, sono senza tentennamenti ed escludono a chiari lettere qualsiasi nuovo insediamento abitativo nella caldera flegrea, proibendo anche i cambi di destinazione d'uso da commerciale a residenziale, favorendo invece il processo inverso, cioè da dimora a struttura turistica o commerciale. Da esperti della sicurezza e del rischio vulcanico, non possiamo che condividere questa proposta che per essere efficace non può essere assolutamente portatrice di postille e comma che in qualche modo aprano una breccia nello stop al cemento, in quanto una possibile eruzione vulcanica può avvenire in un punto qualsiasi del pavimento calderico, e le possibili colate piroclastiche così come i prodotti piroclastici, possono colpire a chilometri di distanza dal centro o dai centri eruttivi. Insediare nuove costruzioni magari sui bordi calderici, non offre nessuna garanzia di sicurezza... 

Noi abbiamo il dovere morale di lasciare ai posteri un habitat migliore di come lo abbiamo trovato, magari maggiormente congeniale a una più sicura vivibilità morale e fisica, secondo politiche che possono andare solo nella direzione della salvaguardia e del recupero degli spazi. Non si vada però nella direzione suggerita da un ex sindaco del vesuviano, che si professò attento a certe necessità, e quindi affermò che avrebbe favorito la realizzazione di mansarde a spiovente col duplice scopo di scongiurare l’accumulo di cenere e lapilli e consentire l’abitabilità nelle nuove volumetrie sopraelevate senza consumare un solo centimetro di terreno… 

Il pericolo vulcanico nel flegreo è inquantificabile: non c’è alcuno che possa definire con certezza il livello di rischio che incombe sugli abitanti del super vulcano. È possibile stimare il rischio in senso concettuale, partendo da fatti un po' azzardati, come quello che un evento vulcanico può avere un indice di esplosività nella migliore delle ipotesi non eccedente VEI4: e poi conosciamo l’ammontare del valore esposto (550.000 ab.). Nella classica e semplificata formula del rischio (R= PxVe), occorre dire che l’uomo non potendo incidere sulla pericolosità vulcanica, può solo architettarsi per variare il valore esposto al ribasso, cioè il numero di abitanti. Se pensate che il capillare monitoraggio che caratterizza quest’area sia sufficiente a far assurgere il problema della sicurezza ai soli beni materiali siete fuori strada. La geologia non è una disciplina in tutti i casi esatta e ampiamente prevedibile nelle sue manifestazioni energetiche, neanche utilizzando un monitoraggio super tecnologico, soprattutto se il pericolo proviene dal profondo. Quindi, le politiche di sicurezza sono strettamente connesse con le politiche degli spazi. Senza spazi si è più vulnerabili: allora se più abitanti confluiscono nella caldera flegrea, tanto maggiore sarà il rischio e tanto minore le capacità di resilienza dei residenti che, in tutti i casi e a iniziare da Pozzuoli, il più popolato dei paesi flegrei,  devono avere o progettare vie di fuga orientate a nord, e non sul centro storico di Napoli. Quest’ultimo è in zona rossa 2, anche se si tituba a certificarlo e a definirne i contorni… 














martedì 7 luglio 2020

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: trivellazioni e distinguo...di MalKo


Pozzuoli - Scarfoglio: stato attuale sito trivellazione


La trivellazione iniziata nella zona di Scarfoglio (Pozzuoli) nella prima decade di giugno, pare si prefiggesse l’obiettivo di raggiungere fluidi idrotermali con una temperatura superiore ai 100°C, onde sperimentare nuovi sistemi e tecnologie per lo sfruttamento di energie a bassa e media entalpia per produrre caldo, freddo e corrente elettrica. Se il prototipo d’impianto avesse risposto alle aspettative, probabilmente sarebbe stato piazzato sul mercato interno e internazionale.

La popolazione del posto, appena ha notato che la perforazione aveva dato vita a una nuova fumarola e ha percepito per quanto possibile un odore ancora più forte di zolfo, si è allarmata allertando il municipio con in testa il sindaco di Pozzuoli, che ha bloccato i lavori interessando per le valutazioni del caso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e la struttura regionale e poi nazionale di protezione civile. Successivamente una squadra di geochimici dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) si è recata sul cantiere ed ha effettuato un sopralluogo e il campionamento dei fluidi dispersi nell’aria, rilevando nel contempo che il foro praticato non era condizionato e provvisto di congegni capaci di bloccare la fuoriuscita dei fluidi. L’istituto di vulcanologia ha quindi rappresentato la difficoltà nel fornire una valutazione sugli sviluppi di questa improvvida trivellazione, così come gli eventuali effetti del degassamento sulle vicine strutture commerciali e abitative.

L’INGV pur comparendo col suo logo e a pieno titolo sul tabellone degli enti coinvolti nel progetto di trivellazione e sperimentazione industriale del geotermico (Geogrid), ha precisato che tale iniziativa di scavo è stata portata avanti all’insaputa dell’attuale amministrazione che non aveva tra le sue carte neanche l’allegato tecnico che prevedeva la perforazione. Purtuttavia appena saputo della problematica fumarolica, l’INGV ha invitato la protezione civile regionale e il responsabile del progetto ad attivarsi per l’immediata chiusura mineraria del pozzo, e il ripristino ambientale dei luoghi.

Scarfoglio - Cartello di cantiere

Intanto nell’ambito della riunione periodica della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico ai Campi Flegrei, è stato affrontato pure il profilo di pericolosità di questa nuova fumarola di Agnano – Pisciarelli. Le conclusioni dell’altissimo consesso scientifico, hanno rimarcato la impossibilità a fornire nell’attualità un parere esaustivo sullo scavo, in quanto mancano ai loro uffici le relazioni e i carteggi progettuali del Geogrid. D’altro canto però, gli esperti hanno convenuto sul fatto che tale trivellazione potrebbe avere un impatto sull’ambiente circostante, raccomandando di monitorare i luoghi interessati per poter cogliere tempestivamente l’emergere di qualsiasi elemento di criticità nell’evoluzione del sistema fumarolico artificialmente innescato, col fine di garantire la salute e la sicurezza dei cittadini.

La popolazione metropolitana flegrea, ha seguito con preoccupazione le disquisizioni sulle trivellazioni del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), che ha parlato a titolo personale, anche se sostanzialmente il suo istituto di appartenenza parimenti si è dovuto porre il problema della pericolosità delle trivellazioni in area vulcanica. Tra l’altro occorre dire che le disquisizioni scientifiche addotte da Mastrolorenzo, in tutti i casi contribuiscono a pubblicizzare certi argomenti che forse passerebbero in sordina, rinnovando nei cittadini un senso civico di custodia e tutela del territorio.

I problemi connessi alle trivellazioni nascono dal fatto che il sottosuolo vulcanico racchiude anche prodotti di varia natura che possono fuoriuscire per effetto delle trivellazioni, pure con una certa irruenza perché c’è molto calore nelle viscere flegree. Gli imprevisti non sono una rarità e le conseguenze a volte possono essere di un certo rilievo. D’altra parte pure le stratificazioni che caratterizzano e separano i vari strati del sottosuolo, una volta bucherellate potrebbero generare rimescolamenti dei fluidi a diversa composizione chimica e a diverse quote. Ovviamente il rischio ha una sua proporzionalità legata alla profondità di scavo, ma non in maniera assoluta se s’inquadra il sottosuolo come un insieme di elementi in equilibrio.

In tutti i casi riteniamo che il progetto Geogrid non possa essere demonizzato, così come la ditta esecutrice, ancorché le varie rappresentanze degli atenei campani che partecipano presumibilmente come consulenti tecnologici e non geologici del progetto. Questo significa che un ruolo centrale avrebbe dovuto averlo proprio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). L’Ente scientifico o chi per esso, probabilmente non ha valutato appieno la reazione dei cittadini alle volute di vapore pressoché inevitabili in una zona caratterizzata ma non abituata al ribollire delle acque idrotermali che in alcuni punti si spingono in superficie (Pisciarelli). D’altra parte sembra strano che non si sia valutato che la perforazione e il successivo getto fumarolico potrebbe scompensare gli equilibri di una zona sottoposta a monitoraggio geochimico e geofisico, come attività primaria di previsione vulcanica che procede con la comparazione annosa e in continuo dei dati rilevati.

L’area di Scarfoglio oggetto della recente perforazione e a proposito della pericolosità, lascia ritenere che lo scalpello rotante pur avendo raggiunto la modesta profondità di quasi cento metri, ha consentito al condotto verticale così realizzato di assumere una sorta di ruolo da collettore della circolazione dei fluidi che soprattutto nella loro componente acquosa e gassosa ora sbuffano in superficie. La presenza di una cavità ancorché colma d’acqua, favorisce l’accelerazione dei liquidi e dei gas dagli interstizi rocciosi che lì confluiscono trovando minore resistenza da vincere rispetto al terreno. Il geyser progressivamente potrebbe incrementarsi fino a quando gli equilibri non raggiungono la fase di stabilizzazione. Questo spiegherebbe un certo aumento delle emissioni così come lo slargamento del foro in superficie per effetto dilavante dei fluidi ricchi di acque saline che colmano il pertugio. Non avendo contezza dei luoghi le nostre osservazioni sono di taglio analitico...

Discorso a parte meritano le emanazioni gassose e liquide che non sono state completamente classificate, e che presumiamo siano costituite prevalentemente da idrogeno solforato e anidride carbonica e vapore e precipitati salini che si collocano per condensazione nelle vicinanze del pozzo.  Ovviamente in questo caso ed è lapalissiano, maggiore sarà la distanza di esposizione dalla sorgente, e tanto minore sarà il grado di concentrazione dei gas che sfuggono dal sottosuolo. L’abbronzatura o l’annerimento di alcuni metalli esposti a questo elemento (H2S), come possono essere le monete ramate o l’argento che annerisce, avviene anche a basse concentrazioni. Per esperienza su altre zone soggette a simili emissioni, percentuali anche minime che generano effetto sui metalli, non sembrano immediatamente pericolose per l’uomo: occorre però dire, che l’esposizione prolungata può causare problematiche alla salute pure in concentrazioni inizialmente ben tollerate. Presumibilmente, l’officina e la rivendita auto dove sembra indirizzarsi il flusso a causa dei venti predominanti, dovrà valutare l’elemento gassoso come possibile rischio per la salute dei lavoratori esposti, sia all’aperto che all’interno dei locali.

Qualsiasi valutazione sulla salute dei cittadini che dimorano intorno alla sorgente gassosa, non può prescindere da un puntuale riconoscimento dei gas, che ancora non è stato fatto, e dalla loro concentrazione nell’aria a varie quote dal piano campagna e a distanza e più volte per evidenziare eventuali picchi. Per avere garanzie occorre che qualche qualificata istituzione non riportata come logo nel cartello di cantiere, in ossequio alla trasparenza, effettui tutte le analisi e le verifiche del caso. D’altra parte già nel documento di analisi del rischio associato alle attività lavorative di trivellazione, doveva prospettarsi una tale eventualità con relativa procedura d’intervento. Operativamente e con dati alla mano, se ad esempio la concentrazione massima di idrogeno solforato non deve superare i 7 mg. /m3, occorre che si tracci e si segnali una sorta di curva chiusa, chiamiamola magari isogas, intorno al foro di emissione con misure effettuate sottovento, anche se il limite dovesse poi risultare di appena pochi metri dal buco atteso che vi si può accedere. Sarà poi quello il perimetro da monitorare con una certa costanza, in attesa della chiusura definitiva del pozzo.

Anche l’anidride carbonica è altamente pericolosa, e proprio nella conca di Agnano si rilevano già naturalmente emissioni dal sottosuolo, tant’è che anticamente era famosa la grotta del cane, un luogo dove le genti del posto  introducevano per meravigliare i turisti, gli amici (?) a quattro zampe che stramazzavano al suolo, per poi tirarli per la coda all’esterno lasciandoli “resuscitare” con l’aria fresca. La respirazione di questo gas asfissiante a certe concentrazioni produce fame d’aria, svenimento e in una condizione di saturazione alla morte. Trattandosi di un gas pesante che ristagna al suolo, la geomorfologia dei luoghi può fornire più precisi indizi di pericolosità. In prossimità della trivellazione sarebbe opportuno tenere a distanza animali di bassa taglia e soprattutto bambini prossimi al mezzo metro di altezza. La misura della concentrazione verticale dell’anidride carbonica dal piano campagna è quindi molto importante. Se il sindaco di Pozzuoli stabilisce che ai limiti della recinzione di cantiere le percentuali di entrambi i gas misurati nell’aria non sono pericolose, può adottare tale perimetrazione esistente come limite di pericolo perchè in tutti i casi c'è uno scavo aperto, apponendo sulla rete il divieto di accesso all’area, con tanto di cartellonistica di pericolo corredate da numeri di telefono delle autorità da allarmare in caso si registrassero pericolose anomalie.

Su questa faccenda del Geogrid il presidente dell’INGV ha messo le mani avanti dichiarando che lui non ne sapeva niente. Probabilmente la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano dovrà spiegare qualcosa in più, perché c’è un decreto di nomina di alcuni ricercatori deputati a seguire il progetto. Riteniamo che tutti questi referenti scientifici a vario titolo siano meno responsabili rispetto alla classe politica che ebbe a sancire con leggi ad hoc, che il nostro Paese doveva tirare fuori tutti i potenziali energetici esistenti, sia in mare che in terra, sopra e sotto la crosta terrestre, per raggiungere un profilo di bassa dipendenza energetica dall’estero.

D’altra parte pure all’interno della caldera flegrea, tra emanazioni e sollevamento del suolo e intrusioni magmatiche e zona rossa e stato di attenzione vulcanica, occorrerebbe che i politici che subito si sono attivati a fronte dell’'incauta trivellazione, facessero parimenti adoperandosi per far completare l'iter finalizzato al varo della legge “Norme Urbanistiche per i Comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area flegrea”. Questo obiettivo legislativo di taglio assolutamente preventivo per mitigare il rischio vulcanico nel flegreo, non trascina tantissimo gli amministratori pubblici, ma servirebbe ad assegnare anche ai Campi Flegrei, linee guide per bloccare nuovi insediamenti abitativi, alla stregua di quanto è stato già fatto per la zona rossa Vesuvio con la legge 21/2003.

Il rappresentante del Comune di Pozzuoli, in seno alle audizioni in commissione urbanistica, ad oggetto appunto il disegno di legge sopra accennato, ebbe a riferire che nel territorio puteolano risultava utile assestare l’edilizia esistente, per alleggerire urbanisticamente l’area del Rione Terra e zone limitrofe, magari realizzando manufatti compensativi ben lontani da queste zone dove il bradisismo è in una fase acuta e la circolazione è problematica. Altri comuni del Flegreo hanno rappresentato, invece, la necessità di condonare gli abusi edilizi, così come altre amministrazione ancora lamentano scarse vie di comunicazione e altre problemi economici derivanti dai mancati introiti rappresentati dagli oneri di urbanizzazione che si perderebbero con siffatta legge se approvata. Ovviamente il Comune di Napoli vive la faccenda della possibile contrazione totale dell’urbanizzazione residenziale in area vulcanica con una certa titubanza dettata dall’affaire Bagnoli, dove anche il documento di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) ad oggetto la riqualificazione di quell’area assolutamente appetitosa al business, nota e lamenta l’assenza nei documenti di precisazioni sul carico urbanistico che la "cabina di regia" intende abbattere su quei territori magnifici da riqualificare.

Campi Flegrei - Bagnoli


Nei disposti di legge anti cemento mirati alla zona rossa flegrea, si potrebbero inserire disposizioni precise riguardanti il geotermico e gli scavi in genere, fissando un limite nella profondità oltre la quale occorre un parere geologico proveniente da strutture pubbliche come l’INGV. D’altro canto eventuali anomalie che dovessero registrarsi sui fronti di scavo, dovrebbero essere segnalate immediatamente alla stregua di quello che si fa nel caso del rinvenimento di reperti archeologici. Se non si vogliono generalizzare queste precauzioni, si possono indicare le zone dove tale procedura è assolutamente necessaria.

Al di là del bailamme politico, la direzione generale dell’INGV deve capire che occorre mettere ordine in certe faccende, perché è davvero sconfortante sentire un sindaco del flegreo che riferisce, intervenendo sulle trivellazioni, che all'interno dell'Osservatorio Vesuviano ci sono posizioni differenti e che a lui le guerre di bande non gli interessano, perché la sua bussola sono le istituzioni competenti come appunto L’INGV e la Protezione Civile. A fronte di questo pubblico riconoscimento, è un po’ contraddittoria la decisione del primo cittadino puteolano di assicurarsi un comitato tecnico scientifico di supporto che affiancherà gli uffici comunali quale:<< organo che tutelerà maggiormente la nostra comunità, supportando le decisioni in materia di programmazione e prevenzione>>.