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sabato 28 luglio 2018

Rischio Vesuvio? Un esercizio di retorica... di MalKo


Golfo di Napoli all'alba

Qualche mese fa gli eurodeputati del M5S Piernicola Pedicini e Dario Tamburrano hanno presentato un’interrogazione alla Commissione europea per sapere se, una ripresa eruttiva del Vesuvio o dei Campi Flegrei, comporterebbe una partecipazione dell’organismo comunitario di protezione civile alle operazioni di soccorso.

In particolare, si legge dai giornali, gli eurodeputati hanno chiesto all’organismo Ue, se il meccanismo unionale di protezione civile prevede un impegno collettivo di tutti gli Stati membri per sopperire ad eventuali carenze operative, qualora si rendesse necessario fronteggiare un’eruzione del Vesuvio.

La risposta è stata che, in caso di eruzione del Vesuvio, le autorità italiane possono chiedere assistenza al Centro di coordinamento di protezione civile della Ue (ERCC). Purtuttavia, chiarisce la commissione europea, pur avendo condiviso un certo livello d’informazione sul rischio vulcanico, non ci sono piani d’intervento specifici condivisi, perché questi rientrano tra le responsabilità e gli obblighi a livello nazionale.

Infatti, al capo I comma 3 del disposto europeo n.1313/2013 inerente appunto gli obiettivi generali di una protezione civile europea, si precisa che: il meccanismo unionale promuove la solidarietà tra gli Stati membri attraverso la cooperazione e il coordinamento delle attività, fatta salva la responsabilità primaria degli Stati membri di proteggere dalle catastrofi le persone, l'ambiente e i beni, compreso il patrimonio culturale, sul loro territorio e di dotare i rispettivi sistemi di gestione delle catastrofi di mezzi sufficienti per affrontare in modo adeguato e coerente catastrofi di natura e dimensioni ragionevolmente prevedibili e per le quali possono essere preparati.

In altre parole, e l’esempio dei drammatici incendi boschivi che si sono sviluppati in Grecia alcuni giorni fa, ci suggeriscono la risposta, che è quella che si può chiedere l’aiuto europeo quando l’evento catastrofico si è materializzato e le forze e i mezzi messi in campo dallo stato sovrano non sono sufficienti per fronteggiare il disastro. Non è che con la stagione secca si può chiedere l’aiuto europeo a scopo precauzionale…

Pedicini e Tamburrano  molto pragmaticamente e prima di chiamare in causa Bruxelles, avrebbero dovuto e potuto indagare sullo stato dell’arte innanzitutto in Italia, ponendo le giuste domande al capo dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli e anche al presidente della Regione Campania De Luca, magari chiamando in causa pure il sindaco De Magistris, che ha l’esclusiva di amministrare una metropoli infra vulcani, con importanti e popolosi quartieri ubicati a destra e a manca in zone rosse invadibili dai micidiali flussi piroclastici.

A favore della cronaca, possiamo ribadire che il piano di emergenza Vesuvio con tutte le sue criticità strategiche dettate da un totale ottimismo procedurale, è stato in linea di massima completato. Sono così noti gli scenari eruttivi, i livelli di allerta, le fasi operative e la catena di comando da mettere in piedi all’occorrenza.
Il piano di evacuazione invece, langue nella sua incompletezza, perché ci sono ancora dei grossi nodi da sciogliere sulle scelte operative che prevedono l’allontanamento della popolazione secondo congetture e modalità che riconducono maggiormente ai piani di mobilità che caratterizzano di solito i grandi eventi sportivi o canori o religiosi o fieristici.

zona rossa Vesuvio (zona da evacuare in caso di allarme vulcanico)

Uno dei Comuni più attivi e che da tempo tenta di darsi una organizzazione locale di protezione civile idonea per mettere in sicurezza i cittadini dal rischio Vesuvio, era ed è il Comune di Portici. Ebbene, questa città nel 2001 diede vita a un’esercitazione (Vesuvio 2001,) ampia e complessa ma completamente obliata dai media. Fu testato il piano evacuativo con tutti i mezzi di trasporto utilizzabili grazie alle infrastrutture presenti in loco: autovetture, treni e navi. L’allontanamento del campione di popolazione avvenne in direzione dell’Emilia Romagna, precisamente nella località di Bellaria Igea Marina. L’esercitazione durò 3 giorni e per la prima volta su input comunale si testò pure la funzione ad oggetto la salvaguardia dei beni culturali e l’impiego del naviglio veloce con il rapido approdo e partenza di un catamarano dal porto del Granatello…

Oggi Portici si ritrova stravolta nel suo primitivo impianto evacuativo, con la metà della popolazione che dovrebbe andare via con autobus che dovrebbero infilarsi nei budelli cittadini per imbarcare gente dalle aree di attesa comunale, per poi procedere in direzione del porto di Napoli. Qui imbarcarsi su navi in direzione Genova, sbarcare e risalire sui Bus onde procedere per la regione Piemonte. Una regione diversa dall’iniziale gemellaggio (Emilia Romagna) e che fino ad oggi non ha lasciato registrare neanche una telefonata interlocutoria con l'amministrazione porticese. Portici quindi, ha ancora tutto da discutere…

Il pericolo vulcanico, diciamola tutta, non interessa moltissimo coloro che abitano lontano dagli apparati a rischio. È un problema in definitiva tutto napoletano…  Un po' come quando in una trasmissione televisiva di taglio medico si parla di una determinata malattia: chi non ce l’ha cambia canale e chi ce l’ha zittisce i presenti per ascoltare meglio.  D’altra parte, pure i mandati della politica durano un tempo giudicabile statisticamente in linea con la percezione di una perdurevole pace vulcanica, e quindi generalmente gli amministratori danno spazio ad altre priorità meno drammatiche e antitetiche con il rischio vulcanico, e più fruttifere in termini di consenso elettorale.

Ad assumere una posizione critica sul rischio vulcanico in Campania, più incisiva di un semplice pourparler estemporaneo, è un onere che hanno assunto una piccola manciata di esperti… Una società saggia utilizzerebbe la quiete vulcanica per pianificare tutti quegli interventi necessari per agire di prevenzione, perché nessuna certezza deterministica al momento ci può pervenire dalla previsione dell’evento eruttivo che è ancora una meta scientificamente e significativamente lontana. Così come non è possibile azzardare nessuna previsione sulla intensità eruttiva: un fattore non meno importante della previsione dell’evento. Tant’è che mentre è probabile che un’eruzione possa essere preceduta da prodromi significativi, l’intensità eruttiva invece, non ha fenomeni anticipatori! Non ha segnali premonitori! Non ha avvisaglie! La scala eruttiva, cioè l’indice di esplosività vulcanica (VEI), si potrà determinare solo al termine dell’eruzione. Questo significa che se dovesse risultare erronea la taglia dell’eruzione di riferimento adottata e utilizzata per la stesura dei piani di evacuazione, si verificherebbe pur nel successo evacuativo una immane tragedia vulcanica.
Ovviamente le disquisizioni fin qui fatte valgono per il Vesuvio ma anche per il super vulcano dei Campi Flegrei; quest’ultimo, essendo un distretto calderico molto vasto, racchiude dentro di sé un’ulteriore incognita geologica circa il centro o i centri eruttivi che non è possibile localizzare in anticipo.

L’apice delle spinte sotterranee che caratterizzarono il bradisismo di Pozzuoli del 1983/ 1984 erano tutte concentrate nel sottosuolo marino appena a sud del porto di Pozzuoli, nel tratto di mare prospiciente il Rione Terra. Oggi, alcuni indizi, come i rimescolamenti acquiferi, e i microsismi e le emanazioni gassose e gli aumenti di temperatura, ci riportano a un punto d’irrequietezza localizzato tra la Solfatara, le fumarole di Pisciarelli e ancora nella zona di Monte Nuovo e Bagnoli, con una certa incertezza dettata da un sottosuolo assolutamente enigmatico e schermato da una sorta di lamina orizzontale.
D’altra parte e lo vogliamo ricordare, la zona rossa flegrea non identifica solo il luogo dove potrebbe aprirsi una bocca eruttiva, bensì l’area che potrebbe essere invasa dalle colate piroclastiche. Trovarsi sulla bocca del fucile o lungo la traiettoria del proiettile, in definitiva non cambia le dinamiche della sicurezza, se non per i tempi e le distanze che bisognerà percorrere all'occorrenza per mettersi al sicuro dalle nubi ardenti.

zona rossa Campi Flegrei (zona da evacuare in caso di allarme vulcanico)

Le amministrazioni comunali hanno riversato totalmente sulla previsione dell’evento eruttivo la salvaguardia dei cittadini esposti all’imprevedibile fenomeno vulcanico. Una convinzione un po' navigata e da pesce in barile maturata negli anni grazie alle autorità scientifiche che per troppo tempo hanno diffuso la convinzione che le strumentazioni ultra tecnologiche e ultra sensibili, alcuni mesi prima di un possibile evento eruttivo, avrebbero consentito di percepire i mutamenti delle dinamiche all’interno del sottosuolo profondo vulcanico, dando così la possibilità di diramare un allarme in un tempo largamente utile. Con questa premessa non c’è bisogno di un piano di evacuazione ma di una semplice pianificazione di allontanamento organizzato.
Le autorità di protezione civile però, capito l'andazzo delle responsabilità, da poco precisano che i livelli di allerta vulcanica sono imponderabili e possono essere anche repentini nelle loro variazioni, e che il livello verde non esclude affatto la probabilità eruttiva. In altre parole nulla è scontato e nulla è garantito.

La ministra Barbara Lezzi ha visitato il sito di Bagnoli constatando che è un luogo dalle grosse potenzialità che va bonificato e recuperato. Speriamo che l'entusiasmo si concentri e si fermi alle strutture balneari da riconsegnare alle popolazioni e non alluda a futuri insediamenti residenziali o di rinascita della spianata nel senso abitativo magari con la formula della riqualificazione urbana. Bagnoli, ricordiamolo, è in piena zona rossa flegrea…

La comunità europea materialmente è impossibilitata a fornire un aiuto in caso di allarme eruttivo, perché il piano di emergenza Vesuvio o Campi Flegrei, prevede solo azioni e soluzioni da mettere in atto prima dell’evento eruttivo e non si sa con quali margini di tempo. L’evacuazione della popolazione dovrà attuarsi necessariamente con largo anticipo sul fenomeno vulcanico: un anticipo che nessun esperto al mondo è capace di quantificare. Sappiamo solo che scendere sotto i tre giorni a disposizione, quale fattore temporale limite indicato dagli esperti regionali e dipartimentali, significa entrare nel campo delle gravi criticità operative. In tutti i casi, le politiche globali di sicurezza sono ancora in alto mare e possiamo affermare che le autorità italiane non hanno profuso tutti gli sforzi necessari per mettere in sicurezza il vesuviano e il flegreo. La mediazione tra progresso, sviluppo e interessi di parte, non riesce a sposarsi e a convivere con le necessità della prevenzione delle catastrofi, che tra l’altro richiede politiche e visioni addirittura secolari…

In Grecia l’incendio boschivo sviluppatosi nell’Attica orientale, è stato paragonato all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., cioè le fiamme che avanzavano implacabili e la gente che si riversava verso il mare in cerca di salvezza. Secondo gli esperti, il dramma non è da ricercarsi solo nella dimensione dell’incendio, bensì nelle case e casette (molte abusive), improvvidamente addossate le une alle altre in mezzo alle pinete con troppe strade cieche che non portavano da nessuna parte. Lo stato ellenico sottodimensionato nei servizi per la crisi economica, è risultato alla fine impotente per scongiurare la catastrofe...


25 luglio 2018 - Incendio in Grecia (Attica orientale). 
La popolazione si riversa in mare per salvarsi dalle fiamme.

Il giorno 21 settembre 2018 presso il comune di Portici si terrà un convegno dove si parlerà del Vesuvio e delle criticità dei piani di emergenza e di evacuazione: ci sarà in questo contesto e a seguire, anche un confronto scientifico sulla nuova frontiera delle onde radio LF quali precursori di terremoti, con esperti del settore che proporranno una ricerca scientifica ad oggetto il Vesuvio.