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Solfatara di Pozzuoli - immagine sullo spettro visibile e agli infrarossi (G. Chiodini) |
Alcuni ricercatori hanno valutato in termini probabilistici le varie tipologie eruttive che possono interessare, chissà quando, il Vesuvio e i Campi Flegrei. Un’eruzione dall’indice di esplosività VEI 4 viene quotata nel flegreo al 23,8%, mentre una pliniana (VEI5) al 4,0%.
Per il Vesuvio un’eruzione dallo stile eruttivo VEI 4 è ritenuta probabile al 27%, mentre una pliniana VEI5 viene letteralmente obliata perché assoggettata alla risibile percentuale dell’1%. E’ necessario chiarire però, che le indicazioni ad oggetto il Vesuvio sono frutto di una scelta fra due percorsi statistici disponibili e differenziati da archi di tempo diversi. Diversamente, un’eruzione pliniana al Vesuvio avrebbe vantato nel percorso tralasciato un 11% di probabilità condizionata di accadimento. Una bella differenza…
Per i Campi Flegrei non c’è differenziazione statistica basata sui tempi di quiescenza, in quanto l’area calderica si caratterizza per un mezzo millennio di pace geologica, che è un tempo, presumiamo, ampio abbastanza da ipotizzare una discreta ricarica volumetrica della camera magmatica che può sostenere a questo punto tutti gli stili eruttivi menzionati.
E’ inutile aggiungervi che tanto per il Vesuvio quanto per i Campi Flegrei, il mondo scientifico ha adottato per entrambi i distretti vulcanici l’eruzione VEI4 come quella di riferimento, per definire zone rosse e piani di emergenza.
Le eruzioni VEI 4 lo ricordiamo ancora una volta, possono produrre le famigerate nubi ardenti che sono un fenomeno particolarmente distruttivo e da cui non ci si può difendere se non con l’evacuazione preventiva del territorio a rischio.
In ogni caso Napoli è l’unica metropoli mondiale che annovera ben tre vulcani quiescenti e differenti ed esplosivi, su di una superficie di 1171 chilometri quadrati, affollata da 3.107.000 abitanti che campano e dormono su un’unica grande camera magmatica…
Le politiche di sicurezza in assenza di prevenzione, sono tutte indirizzate sulla necessità di produrre dei buoni piani di evacuazione che, come sapete, sono ancora in itinere. Il problema grosso è che per la riuscita operativa di questi piani è indispensabile che i segnali eruttivi che un domani dovranno cogliersi dal profondo sottosuolo, dovranno essere individuati in tempo utile per la completa evacuazione della zona rossa flegrea, vesuviana o ischitana che sia.
Quindi, gli scienziati saranno costretti a pronunciarsi interpretando dei segnali che giungono o non giungono o che giungono in ritardo in superficie, onde stabilire con logiche a volte da Risiko, se i prodromi pre eruttivi ci sono tutti e se il magma è in ascesa. La caldera flegrea è forse oggi il rebus geologico tra i più interessanti al mondo, e su cui convergono preoccupazioni di non poco conto, atteso che parliamo di un super vulcano in stato di attenzione all’interno di una affollata metropoli.
Il Dott. Giovanni Chiodini è un dirigente di ricerca dell’INGV. Qualificatissimo esperto della geochimica dei vulcani, è autore di non pochi lavori scientifici pubblicati su importanti riviste internazionali ad oggetto proprio la caldera flegrea.
Dott. Chiodini, di recente ad alcuni visitatori della Solfatara è capitato un bruttissimo e fatale incidente dovuto all’anidride carbonica accumulatasi in alcune sacche nel terreno. E’ proprio tanta l’anidride carbonica che si diffonde dalla Solfatara?
<< Su questo sta indagando la procura che mi ha sentito come persona informata sui fatti a causa anche (credo), dei numerosi studi che ho fatto basandomi sui dati raccolti alla Solfatara. Rispetto a quanto mi chiede mi sembra che una precisazione sia necessaria: credo che l'ipotesi al momento più accreditata sia che il gas risultato fatale sia l'H2S (idrogeno solforato, o acido solfidrico).
Quello che penso è che comunque, sia che si tratti di CO2 o H2S, la causa principale dell'incidente sia stata l'apertura di una 'voragine' profonda un paio di metri. Credo che il tetto dell'anfratto, di poche decine di cm o meno, sia crollato al passaggio delle persone. La Solfatara è interessata da un diffuso processo d'emissione di gas vulcanici-idrotermali che arrivati in superficie vengono diluiti dall'aria ma che nel sottosuolo raggiungono concentrazioni molto elevate e letali.
Nell'ambito di progetti di ricerca sono state fatte numerose campagne di misura dei flussi di CO2 emessi dalla Solfatara e dintorni a partire dal 1998 fino al 2016 (forse una campagna anche ad inizio 2017). I dati mostravano un aumento nel tempo con flussi che nel 2015 sono arrivati fino a 2-3000 tonnellate di CO2 al giorno. Purtroppo al momento non esistono progetti finanziati per proseguire queste campagne ne per sperimentare nuove tecniche per la misura dei flussi di gas delle fumarole (es. Pisciarelli)>>.
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Pozzuoli. Solfatara. Le nuove fumarole di Pisciarelli. Foto: Carmine Minopoli |
Quali altri gas fuoriescono dalle fumarole e dalle fenditure nel terreno mare compreso?
<< I gas principali emessi dalle fumarole della Solfatara sono il vapor d'acqua (H2O) e il biossido di carbonio (CO2). Le rispettive concentrazioni sono cambiate nel tempo ed ora, rispetto ad altri vulcani, le fumarole sono particolarmente ricche in CO2 (fino al 28%). Poi, come le ho detto prima, un gas tipico della Solfatara, ma anche di quasi tutte le emissioni gassose dei vulcani, è l'H2S che è in un rapporto con il CO2 di circa 1/200. In concentrazioni minori, escono sia gas tipicamente idrotermali quali idrogeno (H2), monossido di carbonio (CO) e metano (CH4) sia gas poco o non reattivi (e non pericolosi) quali Azoto (N2), Elio (He), Argon (Ar). Purtroppo da quando è successo l'incidente a cui faceva riferimento l'area della Solfatara è chiusa non solo al pubblico ma anche ai ricercatori che fanno sorveglianza vulcanica. Da Settembre non sappiamo più niente della composizione delle fumarole>>.
I valori di monossido di carbonio perché sono ritenuti indizi importanti della risalita del magma verso la superficie?
<< Il monossido di carbonio (CO nel seguito), non è necessariamente indicatore di risalita di magma. Il CO è un importante indicatore della temperatura del sistema. Il CO infatti si forma per dissociazione della molecola della CO2 (uno dei componenti principali dei fluidi idrotermali), e l'aumento della temperatura favorisce la sua formazione. Quindi nelle nostre interpretazioni l'aumento della concentrazione del CO è interpretato come indicatore d'aumento di temperatura nel sottosuolo e non di risalita di magma >>.
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Stefano Caliro e Giovanni Chiodini - Bocca Grande - Solfatara |
Una teoria suffragata da elementi di analisi strumentali sembra stabilire in un'unica grande camera magmatica quella che caratterizza le profondità della caldera e del Vesuvio e forse di Ischia. Notandosi fenomeni estremamente differente fra i tre distretti, è lecito ritenere che la differenza a proposito di certi fenomeni (bradisismo; fumarole; emissioni;) la faccia innanzitutto la profondità del magma o le caratteristiche del soprassuolo o entrambi i fattori?
<< Diciamo che esistono delle ipotesi sull'esistenza ad una certa profondità (>10-12 km) di un livello, contenente materiale fuso o parzialmente fuso, fra i Campi Flegrei e il Vesuvio (non Ischia). Assumendo per vera questa ipotesi, quanto dice è ragionevole: il differente comportamento dei due vulcani è condizionato dalle caratteristiche delle rocce, dei terreni che separano il magma dalla superficie e possibilmente dalla profondità del magma. E' chiaro comunque che si tratta di due vulcani differenti: i Campi Flegrei sono una caldera, il Vesuvio uno strato vulcano. Ai Campi Flegrei le eruzioni non si sono mai ripetute dallo stesso centro eruttivo, al Vesuvio molte delle eruzioni si originano nel cratere omonimo ecc. >>.
Le Sue teorie sulla chimica delle caldissime acque termali flegree che hanno inficiato la resistenza della coltre rocciosa e tufacea che ricopre la camera magmatica ci sembra molto convincente. Questa teoria trova equivalenze e condivisioni in altre parti del mondo?
<<Il ragionamento, a cui fa riferimento, riguarda la separazione differenziata di H2O e CO2 da un corpo magmatico che si depressurizza. Il primo gas a essere rilasciato è il CO2 e, a mano a mano che la depressurizzazione prosegue, vengono emesse quantità crescenti di H2O. Questa, condensando, scalda le rocce oltre a formare un liquido che può essere molto acido e agire come fattore additivo nel processo di indebolimento della matrice rocciosa. Che i fluidi magmatici possano scaldare il sistema è cosa ben risaputa (molti sistemi geotermici si trovano presso vulcani attivi), e soluzioni acide calde vengono spesso rinvenute nei sistemi vulcanici. Quello che è poco conosciuto, e che abbiamo provato ad affrontare nel lavoro a cui fa riferimento, è la dinamica di questi sistemi idrotermali in parte ricaricati da fluidi magmatici. Abbiamo prospettato che esiste una pressione critica durante la depressurizzazione, in cui il magma può emettere quantità di fluidi molto elevate. Abbiamo poi ipotizzato che tale dinamica stia caratterizzando l'attuale momento dei Campi Flegrei, e nello stesso lavoro abbiamo teorizzato che una dinamica simile potrebbe aver caratterizzato periodi di crisi di altri vulcani>>.
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La Solfatara di Pozzuoli - Emissioni gassose |
Un’altra teoria ancora parla di un certo snervamento e quindi indebolimento della coltre che ricopre la camera magmatica flegrea, dovuto al bradisismo negativo e positivo. In questo caso la cedevolezza degli strati che ricoprono la camera magmatica dovrebbe favorire una più rapida ascesa del magma?
<<Immagino che si stia riferendo al lavoro recente di un collega inglese e di 2 colleghi dell'Osservatorio Vesuviano. Se così, il lavoro segnala come il ripetersi di crisi sismiche ai Campi Flegrei (iniziate 40-50 anni fa), abbiano causato un indebolimento delle rocce che perdono elasticità e si comportano in modo 'fragile' a causa delle numerose fratture aperte dai terremoti. Secondo gli autori questo comportamento può favorire la risalita del magma>>.
In termini antincendio e protezione delle sovrappressioni, in alcuni fabbricati o depositi di esplosivi, una parete viene realizzata molto più cedevole delle altre per indirizzare le eventuali sovrappressioni in quella direzione. Se sapessimo quale parte dell’area flegrea è più sottile o più cedevole ci darebbe il punto stimato della futura eruzione? Se sì, Il dato è possibile evincerlo strumentalmente?
<<Il calcolo non è certo facile! La natura è molto più complessa delle nostre costruzioni. Un dato di fatto inoppugnabile è quello che prevedere il luogo di un'eruzione in una caldera è molto difficile. Alcuni colleghi hanno tentato questa strada attraverso metodi statistici basati su quanto successo durante la storia eruttiva della caldera flegrea…>>.
Le osservazioni fin qui fatte a proposito della cedevolezza dei terreni in un contesto di magma a bassa profondità, dovrebbero essere implicitamente un ostacolo alle perforazioni profonde. E’ così?
<< Su questo punto è difficile esprimersi. Sono stato contrario al progetto Scarfoglio che prevedeva perforazioni a scopo industriale in un’area centro della fenomenologia (terremoti e emissione di gas) che sta caratterizzando ora la zona Flegrea. Un pozzo a fini scientifici e di monitoraggio del vulcano è differente: ci sono aspetti negativi e aspetti positivi. Fra gli aspetti negativi il più rilevante è che un eventuale incidente durante la perforazione andrebbe comunque a impattare in un territorio molto abitato. Fra gli aspetti positivi, la possibilità di un monitoraggio più efficiente del vulcano attraverso misure dirette della temperatura, pressione, caratteristiche meccaniche delle rocce, composizione dei fluidi (ecc.) e delle loro variazioni nel tempo. Forse la decisione non dovrebbe essere lasciata ad un unico ricercatore ma ad una commissione di esperti che possa valutare nel complesso tutti gli aspetti>>.
Le Sue interessantissime teorie come altre ad oggetto la caldera flegrea ci rimandano a quale situazione di pericolo attuale?
<< Credo che il colore giallo attuale nello stato del vulcano (cioè attenzione scientifica) sia quello che meglio esprime lo stato del vulcano>>.
L’Osservatorio Vesuviano a proposito del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, ha impiegato alcuni giorni per dare il giusto epicentro del terremoto. In queste condizioni operative è giusto puntare le chance della sicurezza interamente sulla previsione dell’evento vulcanico?
<<Premetto che da qualche anno non lavoro più all'Osservatorio Vesuviano; comunque credo che la rete dei sismometri (e degli altri sensori geofisici) dei Campi Flegrei sia molto efficiente. Le faccio io ora una domanda, ci sono alternative alla previsione tempestiva di un eventuale eruzione?>>.
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Campi Flegrei - La Solfatara di Pozzuoli |
La sala di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano è ubicata
nella caldera flegrea. Non Le sembra una collocazione particolarmente esposta
in caso di preallarme e allarme vulcanico?
<< Non mi esprimo. Noto comunque che l'Osservatorio
Vesuviano sta cercando una sede differente. Forse il comune di Napoli o altri
enti pubblici dovrebbero aiutare l'OV in questa ricerca (è possibile che il
Comune di Napoli non abbia edifici adatti al di fuori della caldera?) >>.
Perché
ancora non viene ripetuta un’analisi strumentale indiretta per calcolare con
una sufficiente precisione lo stato intrusivo del magma nel flegreo, al Vesuvio
o ad Ischia?
<< Purtroppo in questo momento le attività di ricerca (dico
'ricerca' e non routine di monitoraggio), per meglio capire cosa sta succedendo
ai Campi Flegrei, sono praticamente ferme e senza finanziamenti>>.
Gli
elementi che ci ha fornito in quest’intervista il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, sono di
grandissimo interesse, anche da un punto di vista della conoscenza degli
aspetti vulcanici che caratterizzano oggi la caldera flegrea. Ringraziamo per
l’importante disponibilità.
Nel concludere questo articolo, dobbiamo ahimè
confermare che la sicurezza dei cittadini metropolitani del napoletano a fronte
del rischio vulcanico, è oggi affidata prevalentemente alla previsione
dell’evento. Non una previsione generalizzata della serie i vulcani prima o poi
erutteranno, che potremmo fare lapalissianamente già adesso, ma una previsione
oculata diremmo mediata tra il falso allarme e il mancato allarme, con una
preferenza a scegliere riconducibile ovviamente e sicuramente al primo caso…
Mentre
mancano certezze assolute sulla previsione utile dell’evento vulcanico,
potremmo intanto e di contro e con assoluta scioltezza e risolutezza redigere i
piani di evacuazione che invece ancora non ci sono e quello che c’è è
strategicamente discutibile.
D’altra
parte è anche vero che per la previsione delle eruzioni aiuta molto la messa in
campo di strumenti ipertecnologici, ma riteniamo ancora di più la ricerca, che
nell’attualità e a fronte di uno stato di allerta
giallo, ci sembra di capire che sia stata messa all’angolo dalla mancanza
di fondi: un dato su cui riflettere e agire.
D’altro
canto, un altro elemento che è senz’altro da perorare, è il trasferimento dell’Osservatorio Vesuviano presso una sede
diversa dall’attuale perché ubicata in piena zona rossa flegrea. Le autorità
metropolitane e regionali potrebbero istituzionalmente farsi carico di questo
problema, magari proponendo a livello comunitario qualche interessante progetto
di ricollocazione della sede altrove. L’Osservatorio Vesuviano nel flegreo e
l’Ospedale del Mare nel Vesuviano, diciamola tutta, non sono un esempio
lampante di lungimiranza operativa.
Quello
che oggi si può fare in termini di prevenzione, è operare attraverso un grande
piano urbano metropolitano di riqualificazione e rimodellamento dell’esistente,
prediligendo la realizzazione di nuove opere viarie piuttosto che di edifici
residenziali, con un occhio di riguardo alla pratica di delocalizzazione e non
di deportazione del maggior numero possibile di abitanti dalle zone rosse alle
zone sicure.
Il
vincolo vulcano urbanistico per i
Campi Flegrei e per Ischia è di fondamentale importanza che venga instaurato al
più presto, anche se sarà osteggiato ferocemente dai divoratori di territorio
di ogni ordine, grado e appartenenza politica. Occorre prendere decisioni
impopolari ce ne rendiamo conto, ma assolutamente necessarie, se vogliamo dare
una chances di vivibilità minimamente accettabile, ai nostri ignari posteri.
Un particolare ringraziamento al Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell'INGV, per l'intervista che ci ha concesso.