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domenica 17 gennaio 2016

Rischio Vesuvio : nel vesuviano volano molti angeli tranne uno... di Malko







Vesuvio e orlo calderico Monte Somma

Il consigliere per gli affari della protezione civile Nello Di Nardo, da poco insediato in questa posizione dal presidente regionale Vincenzo De Luca, ha diffuso attraverso gli organi di stampa la notizia che in primavera riprenderanno le esercitazioni di evacuazione nei paesi vesuviani e flegrei.
Il fiduciario ha chiarito che in caso di un’improvvisa emergenza i vuoti da colmare sono ancora tanti nella complessa macchina della sicurezza a tutela di queste zone nevralgiche, precisando che il lavoro da fare è tanto, ma bisogna evitare di entrare in polemica con le precedenti amministrazioni…

Secondo il nostro punto di vista, se i cittadini del vesuviano e dell’area flegrea non sono ancora tutelati a fronte del pericolo eruttivo, lo si deve innanzitutto al nostro vantatissimo sistema nazionale della protezione civile, basato sostanzialmente sull’interventistica, e quindi sulla creduloneria che basta avere un folto esercito di volontari per risolvere le emergenze italiane.
Un concetto discutibile che viene da lontano e che è diventato bandiera del fare per tutte le componenti amministrative della protezione civile, con uffici dipartimentali e centrali e periferici che ripongono e ripropongono molto spesso per impedenze procedurali, per ignoranza o per calcolo, sulla sola operatività le politiche di tutela dei cittadini.
Porte aperte al volontariato allora e ai mezzi di supporto operativo e logistico che non mancano. Spazio alle colonne regionali e cucine e ospedali da campo, e radioamatori di tutte le sigle e tende e roulotte e sale operative automontate, e moto e jeep di ultima generazione che si arrampicano dovunque. E poi gommoni e navi e sommozzatori e soccorso alpino e marino e collinare e speleologico e droni e mongolfiere. E ancora cani da valanga, molecolari, da soccorso acquatico e posti avanzati di comando, di primo soccorso e…a farla breve, tutto quello che vi viene in mente e che riteniate possa servire su un qualsiasi scenario emergenziale o catastrofico: c’è!

In seguito a questo folto e senza fraintendimenti indiscutibile ed encomiabile esercito di volontari che s’affaccenda nelle emergenze, i giornali colgono il generoso operato classificando i volenterosi quali angeli del fango, della neve, delle macerie o gli angeli del mare della montagna e di ogni altro ambiente conosciuto... Sui cieli italici però, c’è un angelo che non vola mai, perché troppo pesante anche se è il più saggio e il più povero di tutti: l’angelo della prevenzione. E’ pesante perché impone rinunce; è saggio perché conosce tutto sulla previsione e sull’operatività; è povero, perché nessuno gli dà molto spazio, a causa del fatto che tutto ciò che fa per sua natura è invisibile… In una società dell’immagine, del mediatico e dell’apparire, non c’è posto per l’angelo della prevenzione che a farlo volare rende poco in termini di consensi…

I problemi di tutela legati al rischio Vesuvio, stringendo stringendo vertono su due argomenti principali: la necessità di pronosticare il momento eruttivo, e la necessità di evacuare totalmente i distretti vulcanici nei tempi d’anticipo che ci servono e che siamo prefissati di cogliere prima dell’eruzione. Le due cose sono strettamente connesse ma lontane miglia in termini di competenze.

La previsione dell’evento è una grande incognita che ancora non è possibile agguantare, neanche con strumenti satellitari o ad altissima tecnologia, perché questi hanno la indubbia capacità di anticipare la crisi vulcanica, ma non di prevedere con certezza se poi ci sarà l’eruzione. Tant’è che noi non abbiamo soglie strumentali di riferimento per il passaggio ai vari livelli di allerta vulcanica; infatti, per stabilire il raggiungimento dei parametri di preallarme e allarme vulcanico, all’occorrenza dovrà ricorrersi a un consesso di esperti comprendenti in primis la Commissione Grandi Rischi (CGR-SVR) insieme ai rappresentanti dei centri di competenza, tra i quali l’Osservatorio Vesuviano, che si riuniranno in camera caritatis con i dirigenti del dipartimento. Al riguardo è abbastanza chiaro che se il problema fosse solo strumentale, con le nuove tecnologie avremmo già degli avvisatori automatici di allarme… In sintesi, i dati che ci provengono dalla fitta rete di monitoraggio sono fondamentali, ma la conferma se sussiste o meno l'allarme evacuativo è riposta ancora in una procedura manuale ragionata che si avvale di conoscenze nazionali e internazionali e soprattutto sulle impressioni e sul confronto e sull'istinto degli scienziati chiamati a pronunciarsi e non già a decidere che è una prerogativa del primo ministro.

Il secondo elemento che serve a capire le ragioni dell’evacuazione preventiva improcrastinabile come necessità, sono i fenomeni attesi e da cui bisognerà difendersi. L’avvenimento più pericoloso in assoluto sono le colate piroclastiche dette anche nubi ardenti. Parliamo di un evento dinamico distruttivo, che consta in una sorta di valanga infuocata formata da materiale piroclastico incoerente di varia misura mischiato a gas e vapore acqueo che precipita lungo i fianchi del vulcano da cui trae origine staccandosi il più delle volte dalla colonna eruttiva. Le elevate temperature di diverse centinaia di gradi Celsius e le notevoli capacità di percorrenza di questa micidiale e roboante miscela rovente, rendono questo fenomeno particolarmente temuto quanto misconosciuto da diverse generazioni del vesuviano e del flegreo.

Gli effetti sugli uomini delle colate piroclastiche consistono in una rapidissima vaporizzazione dei liquidi corporei con effetti pressori nella calotta cranica e shock termico sulle ossa del corpo che a volte si spaccano: la morte è fulminea.

A fronte di una tale possibilità, si capisce quindi l’esigenza di allontanare tutti gli abitanti dall’area invadibile dai flussi piroclastici. Non c’è un sistema di difesa dalle nubi ardenti: durante l’eruzione del Monte Pelée in Martinica, un politico locale per non far scappare la popolazione in un momento in cui c’erano le elezioni, fece pubblicare su un giornale del posto un rassicurante articolo in cui si dichiarava: "Il Monte Pelée non rappresenta pericolo per gli abitanti di Saint-Pierre, non più di quanto lo sia il Vesuvio per i napoletani".  Dopo qualche giorno di avvisaglie di ogni genere, compreso invasioni di insetti e serpenti, dal vulcano venne sparata una nube ardente che carbonizzò all’istante i 30.000 abitanti dell’isola, che peccarono, ahiloro, di sottovalutazione del problema.

I sopravvissuti della catastrofe vulcanica poi chiamata dalla stampa internazionale la Pompei d’America furono solo due: un carcerato e un calzolaio, che se la cavarono comunque con ustioni profonde.

Martinica: Saint Pierre dopo il passaggio della nube ardente prodotta dall'eruzione del vulcano Pelèe (1902)
Ritornando al nostro discorso iniziale, l’ambito delle competenze in tema di sicurezza civile, è talmente vasto che risulta generalmente davvero difficile puntare il dito su di un responsabile o su di una struttura inadempiente, se non nel caso del rischio Vesuvio, perché trattandosi di una situazione che richiede una pianificazione nazionale, tra l’altro unica nel suo genere, la coda di paglia del Dipartimento della Protezione Civile in questo caso è di netta evidenza. 
Al noto dicastero competono indirizzo e coordinamento e gestione del piano Vesuvio che è centralizzato, addirittura anche per la parte scientifica e di monitoraggio vulcanico, atteso che l’Osservatorio Vesuviano per contratto deve riferire segretamente i dati geochimici e geofisici. Che i comuni siano inadempienti nella stesura del piano di emergenza locale comprensivo di piano di evacuazione, imporrebbe alla struttura dipartimentale un intervento in surroga e non una poca avveduta e inconcludente attesa messianica.

Di recente si è riscontrato un maggiore coinvolgimento della Regione Campania, soprattutto per la parte inerente le esigenze di limitazione della zona rossa Vesuvio. Infatti, il Dipartimento ha stabilito un limite minimo di pericolo utilizzando seppur impropriamente la linea nera Gurioli che in realtà è un limite di deposito. Dopodiché e purtuttavia, ha lasciato alla Regione Campania la possibilità di trovare un accordo con i comuni vesuviani, dando loro la possibilità di ampliare per prudenza il settore a rischio vulcanico, modificando e solo al rialzo l’estensione del perimetro Gurioli.  

Una filosofia di tutela che non ha avuto grande presa nelle amministrazioni locali interpellate, preoccupate più che altro da eventuali limitazioni alla loro prerogativa di rilasciare licenze edilizie piuttosto che di salvaguardarsi dai flussi piroclastici. Tant’è che il comune di Poggiomarino e quello di Scafati, attraverso un’alchimia tutta insita nella politica regionale di governo del territorio, possono allegramente dedicarsi ancora all’urbanizzazione, anche in ragione di un’accresciuta domanda di alloggi provenienti dai comuni limitrofi ingessati dai disposti anti cemento della legge regionale 21 del 2003. 

Eppure i territori scafatesi e poggiomarinesi già oggi potrebbero essere malamente spolverati dai flussi piroclastici di una pliniana o di una sub pliniana ignorante che non riconosce nella linea nera Gurioli un limite invalicabile…Nella migliore delle ipotesi, anche questi territori salvificati dalla scienza statistica e dalla politica regionale, comunque dovranno all'occorrenza affrontare il problema della massiccia caduta di cenere e lapillo, con istruzioni evacuative al momento alquanto contraddittorie, e da attuarsi dicono con eruzione in corso. 

Vesuvio: in rosso quella che poteva essere un'adeguata fascia di rispetto.

Nella figura sopra riportata abbiamo accennato (cerchio rosso) a quella che poteva essere una fascia di rispetto che doveva essere indicata dalla scienza, che in realtà ha preferito un atteggiamento da Ponzio Pilato, lavandosi le mani da ogni indicazione di perimetrazione precauzionale. Quella sotto invece, indica la mancata prevenzione dettata dalla possibilità di continuare a edificare nei territori a ridosso del vulcano, senza tener conto che gli anni passano e la possibilità anche statistica di una pliniana aumenta. Il Consiglio di Stato poi, con una  sentenza poco nota, ha deciso che per Boscoreale anche per la parte eccedente la linea nera vale la legge regionale 21/2003 sull'inedificabilità, mentre implicitamente per Scafati e Poggiomarino il concetto di equivalenza non vale. Quale logica?

Limitazione della zona rossa e possibilità di edilizia residenziale (vedi legenda)

La protezione civile è una materia di facciata che viene cavalcata dalla politica a seconda delle necessità di propaganda, con uffici che generalmente vengono relegati all’ultimo posto nell’interesse dell’ente di volta in volta chiamato in causa. Le strutture tranne poche eccezioni  assorbono spesso defatigati, altre volte scomodi pensatori o freschi assunti o gente sulla soglia della pensione o anche brillanti figure che con l’andar del tempo e in un clima di accidia diffusa e abbandonati dal contesto generale in cui operano, tirano alfine i remi in barca, limitando tutte le attività  alla sterile compilazione di stressanti e periodici quanto inutili questionari, o gestendo al massimo un manipolo di volontari non sempre motivati dal ruolo di partecipata funzione pubblica…

La politica, mai come in questo caso, dovrebbe essere fondamentale per dettare i giusti indirizzi ai dirigenti, soprattutto comunali, col fine di dare corso e impulso a tutte le tematiche insite nel concetto stesso di protezione civile, che comprende innanzitutto la previsione e poi la prevenzione che ingloba l'informazione e in ultimo l’interventistica. Vi sembrerà strano, ma la parte più agognata e su cui si concentrano risorse umane e materiali è proprio l'interventistica a mezzo volontari, che dovrebbe essere di primo intervento in attesa dei Vigili del Fuoco quali titolari del soccorso tecnico urgente, o di supporto operativo nelle calamità che andrebbero innanzitutto scongiurate...

La popolazione in genere non è competente del rischio vulcanico: non fatevi ingannare quindi dalle interviste televisive realizzate nel vesuviano, dove molta gente paventa fatalità a fronte del pericolo eruttivo, oppure cristiana rassegnazione al volere di Dio o facile filosofare sulla morte come destino ineluttabile…Non è così, perchè si può accettare con virile fatalismo la propria di morte ma non quella dei cari che ci circondano. Parlano con nonchalance alcuni intervistati, perché non c’è il pericolo evidente ovvero quello percepibile dai sensi; non odono boati, non vibrano e tremano le finestre; non cade cenere intorno, l’oscurità non avvolge un mezzodì soleggiato, e allora in assenza di queste fenomenologie tutt’altro che rassicuranti, siamo tutti eroi. E questo spiega perché nella pace geologica il Vesuvio è una mite montagna e i Campi Flegrei una piana intervallata da feconde collinette dai bordi stranamente rotondeggianti e circolari, che a volte emanano fetido odore di zolfo. Quale prevenzione applicare in questo contesto di sottovalutazione? In uno dei comuni più popolosi del vesuviano, un ingegnere capo (ufficio tecnico), ebbe a dire ai suoi dipendenti: ragazzi, se volete dedicarvi alla protezione civile lo dovete fare fuori dall'orario di lavoro e magari dall'ufficio... 
Vedremo dalla redazione dei piani di protezione civile comunale se è cambiato qualcosa. Ne abbiamo visionato uno, e il dato francamente non è confortante.

In Italia abbiamo tutti gli elementi e le risorse operative per intervenire quando la frana o la nube ardente si è abbattuta sui paesi, ma non riusciamo ad adoperarci adeguatamente quando l’ammasso di pietre è ancora attaccato alla parete o il vulcano ancora trattiene nel suo ventre le dirompenze che ha in serbo. Il Vesuvio è lì quieto e in bella mostra, ma ovviamente e nei fatti, sono pochi quelli che danno peso  al suo curriculum tridimensionale visibile anche sotto forma di calchi da Ercolano a Pompei...



venerdì 1 gennaio 2016

Rischio Vesuvio: piano vince piano perde... di Malko

 Vesuvio



Una delle maggiori perplessità che riguardano le misure di protezione dei cittadini dell’area vesuviana, è la straordinaria capacità che hanno le amministrazioni pertinenti nel continuare a rassicurare e pubblicizzare l’esistenza del piano di emergenza Vesuvio, omettendo di riferire che l’elegante malloppo cartaceo non contiene il piano di evacuazione, perché ancora in itinere…
In queste condizioni parlare del piano di emergenza e del piano di evacuazione come se fossero automaticamente la stessa cosa non è corretto, ma nel caso del Vesuvio è la regola che funziona da tempo... Su questo argomento abbiamo disquisito più volte, constatando tra l’altro come certa stampa disattenta (?) non abbia mai sollevato il velo sul refuso terminologico, svelando che l’annesso più importante del piano di emergenza Vesuvio, cioè il piano di evacuazione, ancora non è una realtà consegnata agli archivi delle garanzie e delle tutele dei sonnolenti vesuviani...

Nei testi sulla sicurezza non è raro imbattersi nel concetto che se bisogna dare attuazione al piano di evacuazione, il significato che immediatamente se ne ricava e il fallimento o l’impraticabilità delle politiche di prevenzione. Il ragionamento sostanzialmente fila, anche se nel vesuviano ovviamente ci ritroviamo con una storia pregressa di mancata prevenzione che parte da molto lontano, dal 79 d.C. e nessuno, in nome del progresso e delle necessità economiche della fertile area, ha mai ritenuto di spezzare questa spirale contorta del rischio, proibendo l’urbanizzazione selvaggia e senza nessuna regola prudenziale, come quella assolutamente necessaria di costruire ampie vie di allontanamento tangenziali e radiali all’apparato vulcanico. 
Nel 2003 ci fu finalmente il varo di una legge regionale, la numero  21, che proibisce l’edificazione residenziale in zona rossa Vesuvio; pratica che in realtà continua a est, lì dove si protende la zona rossa 2, grazie a una foglia di fico offerta qualche anno fa dalla Regione Campania e dall’assessorato pertinente. La legge 21/03 voluta dall'allora assessore regionale Di Lello, è continuamente oggetto di tentativi di scardinamento da parte di quelle forze politiche che vedono nel cemento e nel consumo del territorio l’unico sviluppo possibile. Speriamo che il bastione legislativo regga all’azione dei magli del liberismo cementizio, sotto sotto portato avanti dagli stessi paladini politici che senza distinzione di dottrine inneggiavano al condono edilizio. Voto non olet...

Il piano di emergenza Vesuvio è monotematico e ha nelle premesse l’analisi dell’unico e micidiale fattore di rischio che il pianificatore pone in evidenza e prende in esame per quell’area: l’eruzione vulcanica esplosiva.  Nel documento scientifico di premessa, è indicata statisticamente l’intensità eruttiva da cui bisognerà difendersi (VEI 4) nel medio e breve termine e i territori (zona rossa) su cui gli indesiderati fenomeni, a iniziare dai flussi piroclastici, si andrebbero a spalmare in modo particolarmente deleterio per la popolazione.

Nel piano di emergenza sono stati individuati gli indicatori di rischio consistenti nei parametri geofisici e geochimici del vulcano che vengono permanentemente monitorati dall’Osservatorio Vesuviano. Infatti, la famosa struttura di sorveglianza dell’INGV, attraverso una procedura di segretezza gira i dati raccolti al Dipartimento della Protezione Civile, che in caso di anomalia convoca la Commissione Grandi Rischi (CGR-SRV) per valutare l’eventuale necessità di variare lo stato di allerta vulcanica.   Al Presidente del Consiglio spetta la decisione finale di dichiarare lo stato di pre allarme e allarme con evacuazione totale dell’area, se i dati e il parere degli esperti dovessero indicare una condizione pre eruttiva dell’apparato vulcanico…


i 4 livelli di allerta vulcanica 


Per le fasi operative corrispondenti c’è un’organizzazione da mettere in campo quale frutto di strategie e sinergie ancora da diffondere, ma che sostanzialmente dovranno convergere tutte ed esclusivamente sulla necessità di evacuare l’area vesuviana, possibilmente prima dell’eruzione e possibilmente non senza eruzione.
Agli utenti del piano di evacuazione prima o poi bisognerà impartire istruzioni semplici quanto precise sul come raggiungere all’occorrenza un luogo sicuro.  Con il termine luogo sicuro intendiamo non la regione di destinazione finale, ma il primo punto adatto a proteggersi dall’elemento più pericoloso, in primis le nubi ardenti, da cui vogliamo difenderci mettendo magari sufficiente distanza tra noi e la valanga di fuoco, anche se ci hanno assicurato in termini deterministici che le colate piroclastiche non supereranno la linea nera Gurioli e il preavviso eruttivo avrà un margine di almeno  72 ore.

La linea nera Gurioli è indicata forse impropriamente  come limite di pericolo per i flussi piroclastici
perchè non prende in esame l'eruzione massima conosciuta ma quella media dall'indice VEI 4 

Per poter raggiungere un luogo sicuro, la natura, prima ancora della norma tecnica, ha previsto per l’uomo l’istinto irrefrenabile della fuga. La fuga è l’abbandono precipitoso e disordinato e angoscioso e spesso irrazionale del luogo pericoloso verso una direzione il più delle volte non definita. La parola evacuare sottintende invece l’abbandono un po’ più ragionato di un certo numero di persone da un luogo teatro di un’emergenza, che può essere un edificio, una nave, un aereo, o anche una zona, un quartiere, un comune, una regione, una nazione o finanche il Pianeta se avessimo la capacità tecnologica per farlo e una meta da raggiungere.  
Per non lasciare nulla al caso ed evitare la contrapposizione delle direzioni di allontanamento, gli strateghi delle emergenze, in base alle risorse viarie e ai mezzi di locomozione a disposizione, pianificano l’evacuazione dell’area vesuviana da attuare in caso di emergenza vulcanica. Il piano evacuativo di dettaglio quando sarà pronto conterrà istruzioni precise circa la direzione e i mezzi autonomi o collettivi da utilizzare per portarsi in luogo sicuro. Chi governerà l’esodo sarà una regia locale, e regionale e statale e le operazioni coinvolgeranno l’intero Paese (Piano Nazionale). A livello comunale si renderà operativo un centro di coordinamento dei soccorsi chiamato COM, con a capo il sindaco quale autorità locale di protezione civile, e che teoricamente dovrebbe essere l’ultimo a lasciare il comune.

Tutti i passaggi tecnici, scientifici e burocratici concernenti il piano di emergenza Vesuvio, pur con alcune incongruenze e inadempienze sono stati quasi ultimati e quindi si può dire che la fase di pianificazione generale è prossima al traguardo. Mancano però i piani di protezione civile comunali che conterranno anche i piani di evacuazione che ogni singola amministrazione campana dovrebbe aver consegnato entro il 31 dicembre 2015, e quindi siamo in attesa della pubblicazione online e delle considerazioni finali a cura del dirigente regionale, ing. Italo Giulivo, responsabile di questa pluri pianificazione economicamente onerosa per la comunità europea.

I piani di evacuazione probabilmente necessiteranno di un coordinamento regionale e dipartimentale perché dovranno incastrarsi l’un l’altro nel senso della continuità rotabile, esattamente come i binari dei trenini.  Rimanendo nell’esempio, se un binario salta, tutti i treni incolonnati a monte dell’interruzione rimarranno fermi nel nostro caso nella zona rossa e nessun locomotore riuscirà a superare l’ostacolo rappresentato dal binario divelto o tranciato...
Il piano d’emergenza nazionale Vesuvio è una pianificazione che dovrà rendersi attuativa quando il pericolo eruttivo ancora non è manifesto. Cioè l’unica garanzia possibile per la popolazione è proprio quella di andare via prima dell’eruzione e non durante l’eruzione… Questo significa che al mondo scientifico e politico è demandata una responsabilità enorme e purtroppo senza esperienze pregresse, sia in termini di valutazioni scientifiche che di gestione di un piano (evacuazione) che obiettivamente per indice di difficoltà e numeri in gioco è senza dubbio il più complesso a livello mondiale. 
La nota stonata è che il problema piano è stato messo sul tavolo istituzionale nel lontano 1993 e solo 10 anni dopo si sono accorti che forse bisognava porre un freno all’edilizia abitativa che proliferava in zona rossa; dopo il varo della legge 21/03, il proibizionismo edilizio ha scatenato l'abusivismo edilizio, per il quale, grazie a un'inerzia istituzionale e a un finto buonismo politico che chiede clemenza per gli abusi di necessità,  ancora oggi il fenomeno è  una piaga aperta 

Rispetto al passato, qualche voce di protesta scientifica, tecnica e giuridica sulle omissioni di tutela di un’intera popolazione purtroppo poco attenta a questi argomenti: c’è!  Il piano di emergenza è prossimo alla conclusione mentre i piani di evacuazione di ogni singolo comune che dovranno essere assemblati secondo logiche di coerenza direzionale, sono forse in una fase conclusiva ma non ancora operativi. L’operatività è garantita solo dalla consegna casa per casa di un vademecum illustrato contenente le regole evacuative che il comune deve imporre…

Da un punto di vista prettamente tecnico, a prescindere da quello che argomentano Dipartimento della Protezione Civile e Regione Campania, ad oggi non ci sono ancora strumenti di tutela della popolazione vesuviana. I piani d’evacuazione (Vesuvio e Campi Flegrei) non vedono ancora la luce mentre per l’isola d’Ischia mancano addirittura gli scenari di rischio…

Quello fin qui fatto in termini legislativi e organizzativi non rappresenta nell'attualità una soluzione nella gestione di una possibile emergenza vulcanica. La crisi sismica del 7 ottobre 2015 che si è registrata  nel distretto vulcanico dei Campi Flegrei, con 33 scosse di terremoto a bassa intensità ma superficiali, e le scuole opportunamente evacuate, ha dato un assaggio di quelli che sono i timori della popolazione. 
Il sindaco di Pozzuoli, Vincenzo Figliolia, pare non abbia gradito l’iniziativa dei direttori didattici di far evacuare le scuole. Viceversa crediamo che i dirigenti scolastici abbiano ben operato, in quanto si sono mossi secondo quella che era la percezione del pericolo in quel momento. Sancire l’evacuazione del plesso è una cosa in linea con il ruolo e le decisioni assunte dai direttori, e non possono essere censurate dal sindaco che non ha nessuna autorità gestionale delle scolaresche e degli insegnanti in frangenti d'emergenza. Siamo sicuri che il piano d'emergenza scolastico infatti,  non menzioni il sindaco alla voce terremoto ed eruzione vulcanica se non per l'evacuazione della cittadina che è un'altra faccenda...