Vesuvio e orlo calderico Monte Somma |
Il consigliere
per gli affari della protezione civile Nello
Di Nardo, da poco insediato in questa posizione dal presidente regionale Vincenzo De Luca, ha diffuso attraverso
gli organi di stampa la notizia che in primavera riprenderanno le esercitazioni
di evacuazione nei paesi vesuviani e flegrei.
Il fiduciario ha chiarito
che in caso di un’improvvisa emergenza i vuoti da colmare sono ancora tanti
nella complessa macchina della sicurezza a tutela di queste zone nevralgiche, precisando che il lavoro da fare è tanto,
ma bisogna evitare di entrare in polemica con le precedenti amministrazioni…
Secondo il nostro punto di
vista, se i cittadini del vesuviano e dell’area flegrea non sono ancora tutelati a
fronte del pericolo eruttivo, lo si deve innanzitutto al nostro vantatissimo
sistema nazionale della protezione civile, basato sostanzialmente sull’interventistica,
e quindi sulla creduloneria che basta avere un folto esercito di volontari per risolvere
le emergenze italiane.
Un concetto discutibile che
viene da lontano e che è diventato bandiera del fare per tutte le componenti
amministrative della protezione civile, con uffici dipartimentali e centrali e
periferici che ripongono e ripropongono molto spesso per impedenze procedurali, per ignoranza o per
calcolo, sulla sola operatività le politiche di tutela dei cittadini.
Porte aperte al volontariato
allora e ai mezzi di supporto operativo e logistico che non mancano. Spazio alle
colonne regionali e cucine e ospedali da campo, e radioamatori di tutte le
sigle e tende e roulotte e sale operative automontate, e moto e jeep di ultima
generazione che si arrampicano dovunque. E poi gommoni e navi e sommozzatori e
soccorso alpino e marino e collinare e speleologico e droni e mongolfiere. E
ancora cani da valanga, molecolari, da soccorso acquatico e posti avanzati di
comando, di primo soccorso e…a farla breve, tutto quello che vi viene in mente
e che riteniate possa servire su un qualsiasi scenario emergenziale o catastrofico:
c’è!
In seguito a questo folto e senza
fraintendimenti indiscutibile ed encomiabile esercito di volontari che
s’affaccenda nelle emergenze, i giornali colgono il generoso operato
classificando i volenterosi quali angeli del fango, della neve, delle macerie o
gli angeli del mare della montagna e di ogni altro ambiente conosciuto... Sui cieli italici però, c’è un angelo che non vola mai, perché troppo
pesante anche se è il più saggio e il più povero di tutti: l’angelo della prevenzione. E’ pesante perché impone rinunce; è
saggio perché conosce tutto sulla previsione e sull’operatività; è
povero, perché nessuno gli dà molto spazio, a causa del fatto che tutto ciò che fa per sua natura è invisibile…
In una società dell’immagine, del mediatico e dell’apparire, non c’è posto per
l’angelo della prevenzione che a farlo volare rende poco in termini di consensi…
I problemi di tutela legati
al rischio Vesuvio, stringendo stringendo vertono su due argomenti principali: la necessità
di pronosticare il momento eruttivo, e la necessità di
evacuare totalmente i distretti vulcanici nei tempi d’anticipo che ci servono e che siamo prefissati di cogliere prima dell’eruzione. Le due cose sono strettamente connesse ma lontane
miglia in termini di competenze.
La previsione dell’evento è
una grande incognita che ancora non è possibile agguantare, neanche con strumenti
satellitari o ad altissima tecnologia, perché questi hanno la indubbia capacità
di anticipare la crisi vulcanica, ma non di prevedere con certezza se poi ci
sarà l’eruzione. Tant’è che noi non abbiamo soglie strumentali di riferimento
per il passaggio ai vari livelli di allerta vulcanica; infatti, per stabilire il
raggiungimento dei parametri di preallarme e allarme vulcanico, all’occorrenza
dovrà ricorrersi a un consesso di esperti comprendenti in primis la Commissione Grandi Rischi (CGR-SVR) insieme ai rappresentanti dei centri di competenza, tra i quali l’Osservatorio
Vesuviano, che si riuniranno in camera caritatis con i dirigenti del dipartimento. Al riguardo è abbastanza chiaro che se il problema fosse solo strumentale,
con le nuove tecnologie avremmo già degli avvisatori automatici di allarme… In
sintesi, i dati che ci provengono dalla fitta rete di monitoraggio sono fondamentali, ma la conferma se sussiste o meno l'allarme evacuativo è riposta ancora in una procedura manuale ragionata che si avvale di conoscenze nazionali e internazionali e soprattutto sulle impressioni e sul confronto e sull'istinto degli scienziati chiamati a pronunciarsi e non già a decidere che è una prerogativa del primo ministro.
Il secondo elemento che
serve a capire le ragioni dell’evacuazione preventiva improcrastinabile come necessità, sono i fenomeni attesi e
da cui bisognerà difendersi. L’avvenimento più pericoloso in assoluto sono le colate piroclastiche dette anche nubi ardenti. Parliamo di un evento dinamico
distruttivo, che consta in una sorta di valanga infuocata formata da materiale
piroclastico incoerente di varia misura mischiato a gas e vapore acqueo che precipita
lungo i fianchi del vulcano da cui trae origine staccandosi il più delle volte dalla
colonna eruttiva. Le elevate temperature di diverse centinaia di gradi Celsius
e le notevoli capacità di percorrenza di questa micidiale e roboante miscela rovente, rendono
questo fenomeno particolarmente temuto quanto misconosciuto da diverse
generazioni del vesuviano e del flegreo.
Gli effetti sugli uomini delle colate piroclastiche consistono in
una rapidissima vaporizzazione dei liquidi corporei con effetti pressori nella
calotta cranica e shock termico sulle ossa del corpo che a volte si spaccano: la morte è fulminea.
A fronte di una tale
possibilità, si capisce quindi l’esigenza di allontanare tutti gli abitanti
dall’area invadibile dai flussi piroclastici. Non c’è un sistema di difesa
dalle nubi ardenti: durante l’eruzione del Monte
Pelée in Martinica, un politico locale per non far scappare la popolazione in
un momento in cui c’erano le elezioni, fece pubblicare su un giornale del posto
un rassicurante articolo in cui si dichiarava: "Il Monte Pelée non rappresenta pericolo per gli abitanti di
Saint-Pierre, non più di quanto lo sia il Vesuvio per i napoletani". Dopo qualche giorno di avvisaglie di ogni
genere, compreso invasioni di insetti e serpenti, dal vulcano venne
sparata una nube ardente che
carbonizzò all’istante i 30.000 abitanti dell’isola, che peccarono, ahiloro, di
sottovalutazione del problema.
I sopravvissuti della
catastrofe vulcanica poi chiamata dalla stampa internazionale la Pompei d’America furono solo due: un
carcerato e un calzolaio, che se la cavarono comunque con ustioni profonde.
Martinica: Saint Pierre dopo il passaggio della nube ardente prodotta dall'eruzione del vulcano Pelèe (1902) |
Ritornando al nostro
discorso iniziale, l’ambito delle competenze in tema di sicurezza civile, è
talmente vasto che risulta generalmente davvero difficile puntare il dito su di
un responsabile o su di una struttura inadempiente, se non nel caso del rischio Vesuvio, perché trattandosi di una
situazione che richiede una pianificazione nazionale, tra l’altro unica nel suo
genere, la coda di paglia del
Dipartimento della Protezione Civile in questo caso è di netta evidenza.
Al noto dicastero competono indirizzo e coordinamento e gestione del piano Vesuvio che è centralizzato, addirittura
anche per la parte scientifica e di monitoraggio vulcanico, atteso che l’Osservatorio Vesuviano per contratto
deve riferire segretamente i dati geochimici e geofisici. Che i comuni siano inadempienti nella stesura del piano di emergenza locale comprensivo di piano di evacuazione, imporrebbe alla struttura dipartimentale un intervento in surroga e non una poca avveduta e inconcludente attesa messianica.
Di recente si è riscontrato
un maggiore coinvolgimento della Regione
Campania, soprattutto per la parte inerente le
esigenze di limitazione della zona rossa
Vesuvio. Infatti, il Dipartimento ha stabilito un limite minimo di pericolo
utilizzando seppur impropriamente la linea nera Gurioli che in realtà è un limite di deposito. Dopodiché e purtuttavia,
ha lasciato alla Regione Campania la possibilità di trovare un accordo con i
comuni vesuviani, dando loro la possibilità di ampliare per prudenza il settore
a rischio vulcanico, modificando e solo al rialzo l’estensione del perimetro
Gurioli.
Una filosofia di tutela che non
ha avuto grande presa nelle amministrazioni locali interpellate, preoccupate più che altro da
eventuali limitazioni alla loro prerogativa di rilasciare licenze edilizie piuttosto che di salvaguardarsi dai flussi piroclastici. Tant’è
che il comune di Poggiomarino e quello di Scafati, attraverso un’alchimia tutta insita
nella politica regionale di governo del territorio, possono allegramente dedicarsi ancora all’urbanizzazione, anche in ragione di un’accresciuta domanda di alloggi
provenienti dai comuni limitrofi ingessati dai disposti anti cemento della legge regionale 21 del 2003.
Eppure i territori scafatesi
e poggiomarinesi già oggi potrebbero essere malamente spolverati dai flussi piroclastici di una pliniana o di una sub
pliniana ignorante che non riconosce
nella linea nera Gurioli un limite invalicabile…Nella migliore delle ipotesi, anche questi territori salvificati dalla scienza statistica e dalla politica regionale, comunque dovranno all'occorrenza affrontare il problema della massiccia caduta di
cenere e lapillo, con istruzioni evacuative al momento alquanto contraddittorie, e da attuarsi dicono con eruzione in corso.
Vesuvio: in rosso quella che poteva essere un'adeguata fascia di rispetto. |
Nella figura sopra riportata abbiamo
accennato (cerchio rosso) a quella che poteva essere una fascia di rispetto che
doveva essere indicata dalla scienza, che in realtà ha preferito un atteggiamento da Ponzio Pilato, lavandosi le mani da ogni indicazione di perimetrazione precauzionale. Quella
sotto invece, indica la mancata prevenzione dettata dalla possibilità di
continuare a edificare nei territori a ridosso del vulcano, senza tener conto
che gli anni passano e la possibilità anche statistica di una pliniana aumenta.
Il Consiglio di Stato poi, con una sentenza poco nota, ha deciso che per Boscoreale anche per la parte eccedente la linea nera vale la legge regionale 21/2003 sull'inedificabilità, mentre implicitamente per Scafati e
Poggiomarino il concetto di equivalenza non vale. Quale logica?
Limitazione della zona rossa e possibilità di edilizia residenziale (vedi legenda) |
La protezione civile è una materia di facciata che viene cavalcata dalla politica a seconda delle necessità di propaganda, con uffici che generalmente vengono relegati all’ultimo posto nell’interesse dell’ente di volta in volta chiamato in causa. Le strutture tranne poche eccezioni assorbono spesso defatigati, altre volte
scomodi pensatori o freschi assunti o gente sulla soglia della pensione o anche brillanti figure che con l’andar del tempo e in un clima di accidia diffusa e abbandonati dal
contesto generale in cui operano, tirano alfine i remi in barca, limitando tutte le attività alla sterile compilazione di stressanti e periodici quanto inutili questionari, o gestendo al massimo un manipolo di volontari non sempre motivati dal ruolo di partecipata funzione pubblica…
La politica, mai come in
questo caso, dovrebbe essere fondamentale per dettare i giusti indirizzi ai dirigenti,
soprattutto comunali, col fine di dare corso e impulso a tutte le
tematiche insite nel concetto stesso di protezione civile, che comprende
innanzitutto la previsione e poi la prevenzione che ingloba l'informazione e in ultimo l’interventistica. Vi sembrerà strano, ma la parte più agognata e su cui si concentrano risorse umane e materiali è proprio l'interventistica a mezzo volontari, che dovrebbe essere di primo intervento in attesa dei Vigili del Fuoco quali titolari del soccorso tecnico urgente, o di supporto operativo nelle calamità che andrebbero innanzitutto scongiurate...
La popolazione in genere non è competente del rischio vulcanico: non fatevi ingannare quindi dalle
interviste televisive realizzate nel vesuviano, dove molta gente paventa
fatalità a fronte del pericolo eruttivo, oppure cristiana rassegnazione al
volere di Dio o facile filosofare sulla morte come destino ineluttabile…Non è
così, perchè si può accettare con virile fatalismo la propria di morte ma non quella
dei cari che ci circondano. Parlano con nonchalance alcuni intervistati, perché
non c’è il pericolo evidente ovvero quello percepibile dai sensi; non odono
boati, non vibrano e tremano le finestre; non cade cenere intorno, l’oscurità
non avvolge un mezzodì soleggiato, e allora in assenza di queste fenomenologie tutt’altro
che rassicuranti, siamo tutti eroi. E questo spiega perché nella pace geologica
il Vesuvio è una mite montagna e i Campi Flegrei una piana intervallata da
feconde collinette dai bordi stranamente rotondeggianti e circolari, che a volte emanano
fetido odore di zolfo. Quale prevenzione applicare in questo contesto di sottovalutazione? In uno dei comuni più popolosi del vesuviano, un ingegnere capo (ufficio tecnico), ebbe a dire ai suoi dipendenti: ragazzi, se volete dedicarvi alla protezione civile lo dovete fare fuori dall'orario di lavoro e magari dall'ufficio...
Vedremo dalla redazione dei piani di protezione civile comunale se è cambiato qualcosa. Ne abbiamo visionato uno, e il dato francamente non è confortante.
In Italia abbiamo tutti gli
elementi e le risorse operative per intervenire quando la frana o la nube ardente si è abbattuta sui paesi, ma
non riusciamo ad adoperarci adeguatamente quando l’ammasso di pietre è ancora
attaccato alla parete o il vulcano ancora trattiene nel suo ventre le dirompenze che ha in serbo. Il Vesuvio è lì quieto e in bella mostra, ma ovviamente e nei fatti, sono pochi quelli che danno peso al suo curriculum tridimensionale visibile anche sotto forma di calchi da Ercolano a Pompei...