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martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio: la zona rossa e la black line...di Malko



"Rischio Vesuvio: la black line segna la nuova zona rossa" di MalKo
La black line riportata dagli scienziati sulla mappa della macro zona rossa Vesuvio, dovrà alla fine e in ogni comune a rischio tradursi in qualcosa di necessariamente operativo, nel senso che dovrà avere una sua posizione georeferenziata sul territorio, senza alcuna lacuna o titubanza interpretativa.
Potrebbero usarsi pietre miliari, capisaldi, obelischi, oppure paletti o addirittura stele a confine, o altri strumenti ancora che in modo visivo e speditivo lascino capire il settore dove è possibile l’invasione delle colate piroclastiche in caso di eruzione.
Per fare questo probabilmente bisognerà assicurare agli uffici tecnici comunali un largo numero di coordinate geografiche, assolute o UTM, in modo che si possa tracciare con certezza la linea nera di demarcazione del pericolo. Altrimenti bisognerà dare ai medesimi direttamente le mappe comunali con il predetto limite già tracciato nei dettagli.
Per i comuni di fresca nomina il segmento nero che s’insinua sul loro territorio, rappresenta per i settori comunali ubicati a monte della line, una vera iattura perché segna o dovrebbe segnare la fine del provvido cemento. Occorre anche dire che dall’analisi delle mappe tali porzioni di territorio sono sostanzialmente residuali. Il problema principale probabilmente riguarda la città di Napoli, perché la black line passa in alcuni punti dei quartieri di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. Zone notoriamente con un notevole indice di affollamento comprendenti strutture importanti e forse anche qualche impianto con un rischio industriale che dovrebbe essere oggetto di attente valutazioni.
Intanto invitiamo il ricercatore L. Gurioli, autore del testo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius based on the geological record” a tracciare la black line anche sul mare pur se a poca distanza dal litorale. Infatti, la linea nera che delimita la zona a maggiore rischio chiamata R1, sarà assunta, anzi è già stata assunta dagli abitanti del vesuviano, come una sorta di confine da tenere in debito conto (l’asimmetricità la rende importante e referenziata) e da superare, ovviamente nel senso diametralmente opposto al Vesuvio in caso di eruzione.
Chi abita in uno dei paesi costieri invece, potrebbe fare lo stesso ragionamento, individuando nella black line on the sea, il traguardo per mettersi al riparo dai flussi piroclastici, che sono il pericolo principale di cui tener conto nelle eruzioni esplosive.
D’altra parte la linea nera che si dovrà tracciare sul mare dovrebbe avere un’importanza anche strategica per i nuclei operativi preposti al soccorso.
I sindaci e gli abitanti delle zone rosse di recente individuazione, hanno avuto momenti di panico all’uscita della nuova demarcazione pubblicata dal Dipartimento della Protezione Civile. Per capire il dramma già accennato in precedenza, è utile riprendere una dichiarazione del sindaco di Palma Campania a proposito dei nuovi scenari: <<… sembra che abbiano creato un falso allarmismo sull’argomento, in quanto si tratta di adeguare i piani comunali di protezione civile o di crearli nei comuni dove non ci sono, e non di limitazioni sul piano dell’urbanistica>>.
Sulla scorta di un contributo alla chiarezza offerto dall’assessore regionale all’urbanistica Marcello Taglialatela, il sindaco di Poggiomarino pure rassicura i propri cittadini: <<il Comune verrà suddiviso in due zone rosse e la seconda non sarà soggetta ai vincoli previsti dalla legge regionale n. 21 del 2003>>.
Il polso della situazione è esattamente questo. Nessun dramma. A far paura non sono le nubi ardenti o la rovinosa pioggia di cenere e lapilli, ma l’impossibilità di mettere mano al cemento intorno al “placido” monte…
Questi nuovi limiti hanno portato una sperequazione in termini territoriali evincibili dalla figura in basso, in cui abbiamo simulato l’arretramento della linea rossa a ridosso di quella nera (possibilità prevista dal disposto del DPC) per i comuni di Scafati, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Nola, Palma Campania e Napoli. Per i restanti comuni della vecchia zona rossa, questa chiamiamola opportunità non è concessa. Ergo, si è ricreata un’incongruenza territoriale in termini di esposizione al pericolo, con anse e penisole, alla stregua delle vecchie demarcazioni oggetto di vecchie polemiche.
rischio vesuvio
Non escludiamo che comitati e associazioni e partiti politici dei comuni di Torre Annunziata, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, faranno sentire la loro voce per la palese discriminazione subita. Se non lo fanno sbagliano! L’elasticità della linea rossa deve essere una possibilità per tutti come fatto di principio, di serietà, ancorché come concreta possibilità di interventi nella direzione dello sviluppo. Siamo sicuri che un ricorso al tribunale amministrativo darebbe ragione agli esclusi.
Secondo la vecchia classificazione, nella zona rossa possono abbattersi flussi piroclastici oltre che prodotti di ricaduta. La mappa di L. Gurioli accettata dalla Commissione Grandi Rischi, sancisce quindi una diversa rideterminazione dei settori a rischio, stabilendo un perimetro per la parte ad altissimo pericolo (nube ardente), evincibile appunto dalla Black line. Nell’insieme allora, si rideterminino i confini con la linea di pericolo e non con i limiti amministrativi secondo una logica che deve valere per tutti i comuni esposti senza differenziazioni alcuna tra i nuovi e i vecchi classificati. Se occorrerà modificare leggi regionali come quella 21/2003 sul divieto di edificare per scopi residenziali, si proceda pure in tal senso senza esitazione.
Molte sono le perplessità circa i nuovi limiti assegnati alle aree esposte al rischio Vesuvio; intanto, però, sta ritornando in auge il progetto di geotermia per la spianata di Bagnoli. Il Deep Drilling Project (CFDDP), non sappiamo quanto sia correlato alla fame di energia e alla vocazione industriale della classe politica locale.
bagnoli MalKo
Agli amministratori della metropoli ma anche alla comunità scientifica partenopea, suggeriamo di evitare assunzioni di impegni e di decisioni in merito a scavi profondi e a insediamenti residenziali e industriali, fino a quando non siano stati presentati gli scenari eruttivi per i Campi Flegreila pianificazione del territorio infatti, dovrà avere quel documento come nastro di partenza. Sarà quel documento ufficiale a definire e a quantificare il pericolo. Sarà quel documento a tracciare una linea nera, una rossa e una gialla, secondo ipotesi che saranno interessantissime da consultare, visto che parliamo di area calderica e supervulcano con annesso bradisismo. Solo in seguito, il sindaco Luigi De Magistris o anche il suo vice Tommaso Sodano che non ci sembra marginale al discorso, sommando altri elementi ai dati che gli saranno consegnati dalla Commissione Grandi Rischi (CGR), valuterà in che modo bisognerà pianificare lo sviluppo sostenibile nell’area flegrea, ovviamente con una particolare propensione alla prevenzione che non può in alcun caso essere subalterna alle pur comprensibili necessità di battere cassa.

Il Vesuvio e la nuova zona rossa


"Rischio Vesuvio: nuovi scenari e nuova zona rossa..." di MalKo
Sono stati aggiornati i piani d’emergenza! Con l’ennesima confusione che caratterizza sempre la disquisizione di argomenti tecnici che si mescolano a quelli scientifici, fa titolo di testa questa notizia. In realtà l’aggiornamento riguarda solo gli scenari eruttivi con riclassificazione delle zone a maggior rischio.
Nelle passate edizioni, la relazione finale prodotta a proposito dello “Scenario eruttivo dell’eruzione massima attesa al Vesuvio” (E.M.A.), individuava le fenomenologie da attendersi nell’area vesuviana, qualora il vulcano avesse posto fine alla sua annosa quiescenza. Secondo i ricercatori, nel breve medio termine la massima manifestazione possibile al Vesuvio non dovrebbe superare in termini d’intensità eruttiva le energie e le superfici della plaga vesuviana coinvolte durante l’eruzione del 1631. L’evento fu riportato negli annali come una sub pliniana e nelle premesse del piano d’emergenza come evento di riferimento.
I ricercatori di ieri e di oggi indicano in un rischio statisticamente accettabile questa determinazione, anche se poi precisano che allo stato attuale delle conoscenze non è possibile prevedere che tipo di eruzione il vulcano abbia  in serbo. Non si capisce se al ribasso rispetto alle loro stime o al rialzo.
I dati attuali poggiano tutti sulla pubblicazione della ricercatrice L. Gurioli e altri, dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Questa ricerca ha introdotto più che nuovi scenari nuovi limiti per quanto riguarda la zona rossa, includendo ai diciotto comuni già conosciuti, pure quelli di Scafati (SA), Pomigliano d’Arco, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e i tre quartieri napoletani: Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. I nuovi scenari quindi, hanno evidenziato una superficie territoriale definibile macro zona rossa (vedi figura A), con una perimetrazione delimitata dalla black line.



All’interno di questa traccia, chiamata zona rosso 1 in direzione del Vesuvio, potrebbero abbattersi i fenomeni più distruttivi come i  temibili flussi piroclastici. La linea nera è stata tracciata tenendo conto di indagini sul campo, analizzando eventi passati a media e alta probabilità di accadimento, dove le nubi ardenti potrebbero dilagare, secondo le previsioni, dal cono vulcanico fino alla linea nera (black line) segnata in figura. Nell’area pedemontana e montana così delimitata (R1), oltre alle colate bisognerà tenere in debito conto anche il problema della massiccia ricaduta di materiale piroclastico: una somma di effetti molto distruttivi.
Oltre la black line si estende la zona rossa 2 (R2), comprendente porzioni di territorio sia dei 18 comuni in precedenza già classificati a rischio che quelli di fresca nomina. L’area a valle della black line potrebbe essere interessata, dicono, solo dalla ricaduta di materiale piroclastico in una misura tale da rendere probabile il cedimento strutturale dei tetti per accumulo di materiale, soprattutto nei settori quadrettati a tinte scure (fig.B).


La black line ha alcune caratteristiche. Intanto segna l’entrata nella zona rossa a maggiore pericolosità (R1), anche se per piccole porzioni di territorio, dei comuni di Poggiomarino, Palma Campania, San Gennaro Vesuviano, Nola e i quartieri napoletani di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli.
La line poi, risulta sostanzialmente tangente ai comuni di Scafati e Volla che sarebbero solo lambiti dai possibili flussi, mentre “taglia” letteralmente (fig.B) alcuni territori della tradizionale zona rossa. Questi sono: Torre Annunziata, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e minimamente Cercola.
Questa riproposizione dei limiti rispetto ai due temibilissimi fenomeni vulcanici, innescherà polemiche e guazzabugli che finiranno probabilmente con ricorsi ai tribunali amministrativi. In effetti, sussistono dinieghi e possibilità che hanno operato, di fatto, una suddivisione della plaga vesuviana addirittura in tre zone (fig.B).  Una è la R1 il cui margine è la black line. La zona che noi abbiamo chiamato R invece, fa capo ai territori oltre linea facenti parte della vecchia zona rossa. Con R2 indichiamo la nuova zona rossa, al di là della oramai famosa linea.  In realtà c’è una differenza tra i differenti settori rossi appena indicati: i nuovi comuni e i tre quartieri partenopei possono rivedere e modificare il percorso della linea rossa evidenziata in grassetto, con un andamento diverso dal profilo amministrativo. Questa possibilità è invece negata ad alcuni dei diciotto comuni della vecchia perimetrazione che hanno la linea nera secante. Una disparità di trattamento probabilmente causata dai temuti vincoli legislativi della legge regionale 21/2003 che stabiliscono l’inedificabilità assoluta nell’area rossa per scopi residenziali.
Guardando la propaggine di Nola si capisce che un rimaneggiamento della linea rossa è comunque auspicabile per quel comune.
La postilla che consente alle municipalità in ingresso di riscrivere i confini del pericolo (zona rossa), premette come condizione di fattibilità esecutiva la redazione di un piano d’evacuazione a gestione parziale della popolazione (???) e applicazione di tecniche di difesa passiva degli edifici segnalati a maggior rischio di crollo dai quadretti colorati.

La nota recita inoltre, che questo rifacimento della mappa può avvenire previo accordo con la Regione Campania ma con una precisazione: la linea rossa rimaneggiata non può andare oltre la linea neraGuardando la figura a lato, noterete una certa incongruenza: al comune di Scafati potrebbe essere consentito di riportare la linea rossa contigua a quella nera scorporando così un po’ di problemi al catasto, mentre ai limitrofi comuni di Pompei e Boscoreale questa possibilità è da escludere. L’eventuale territorio scafatese liberato dai laccioli di zona rossa, presumibilmente riacquisterebbe il titolo di zona gialla: in concreto priva di regole particolari. Boscoreale e Pompei invece non potranno liberarsi dalla demarcazione dei vecchi confini a rischio. O forse sì… se, rivisitando il tutto, attraverso corsi e ricorsi, si dichiarerà zona rossa quella circoscritta dalla black line e zona gialla le restanti appendici. Bisognerà poi riparlare della tradizionale zona gialla che può essere a questo punto assottigliata e qualche parola bisognerà spenderla pure  per l’obliata zona blu soggetta ad allagamenti.
Ritornando agli aspetti di tutela, siamo ancora una volta costretti a ripetere che il piano di evacuazione non esiste. Per impostare una tale futura e faraonica pianificazione, bisognerà attendere intanto la rimodulazione della nuova zona rossa secondo accordi che si stipuleranno tra comuni e regione. L’Ing. Edoardo Cosenza fa sapere che già sono in corso accordi con il comune di Napoli, che dalla sua ha la delicata situazione dell’ospedale del mare. Non sappiamo se il pregevole nosocomio ricada all’interno della black line o fuori. La differenza consisterebbe, nella peggiore delle ipotesi, in una diversa destinazione d’uso della struttura. Nella migliore, cioè oltre line, occorrerebbe un adeguamento strutturale a fronte delle ricadute di materiali vulcanici e un piano di evacuazione a gestione parziale della popolazione (???).
Per quanto riguarda le difese passive degli edifici, i famosi spioventi di cui dovrebbero essere dotati i tetti indicati a maggiore accumulo di cenere e lapillo, consigliamo una valutazione sull’utilizzo di strutture prefabbricate. A nostro giudizio andrebbero bene quelle a lamelle, senza ricorrere alle murature, che appesantirebbero strutture non collaudate per pesi maggiori. Le opere metalliche prefabbricate in molti casi potrebbero semplificare gli interventi di prevenzione con una riduzione dei costi scacciando il rischio di un aumento del numero di abitanti.
Summit si stanno svolgendo intanto nei comuni dalla line modificabile con qualche partecipazione dell’assessore regionale Taglialatela. Tra questi Poggiomarino. Nessuno vuole la mannaia della legge regionale 21/2003 che impedisce di edificare.
Il sindaco di Sant’Anastasia, Carmine Esposito, farà sentire probabilmente la sua voce, e questa volta giustamente, a proposito della discriminazione che si perpetua in danno della vecchia zona rossa. Come si farà a dargli torto con questa linea rossa rigida da una parte e elastica dall’altra? Due pesi e due misure… I comuni tagliati in due dalla black line riscopriranno un nuovo mercato delle case che saliranno di numero e di prezzo dal lato a valle della linea nera. Ritornerà poi in auge il problema condoni che sarà alla fine riproposto oltre la frontiera di demarcazione del pericolo principale.
Consigliamo agli organi preposti al soccorso, in questo marasma, di mettere nel frattempo mano a un piano d’evacuazione d’emergenza per operare in caso di necessità in surroga al piano d’emergenza che è in alto mare. Qualcosa si può fare…

Questi nuovi scenari, che in realtà sono solo dei limiti, provengono da summit scientifici, cui converrebbe assicurare la partecipazione pure di un politico di lungo corso fuori ruolo e di provata capacità, che spieghi cosa significhino certe decisioni e quali stravolgimenti portano al famelico territorio.
Per completezza informativa riportiamo in basso la mappa a colori estratta dalla pubblicazione dalla ricercatrice Lucia Gurioli e altri, dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Si notino, per avere un’idea globale del rischio, le linee di demarcazione delle aree soggette ai flussi, in seno ad eruzioni stimate a media e ad alta probabilità di accadimento. In caso di eruzione, se il pronostico statistico dovesse fallire, la black line sarebbe sostituita dalla green line che si evince bene in figura.
Sempre per completezza informativa, è necessario precisare che le mappe in precedenza visualizzate sono state estrapolate dal sito del Dipartimento della Protezione Civile e modificate (fig.B) per motivazioni prettamente giornalistiche. Ritorneremo sull’argomento… Intanto e tra l’altro stiamo aspettando gli scenari eruttivi proposti per i Campi Flegrei, per avere un quadro completo della pericolosità vulcanica nel napoletano che, necessariamente, dovrà alla fine arricchirsi anche degli scenari probabilistici che riguardano l’isola d’Ischia.

Campi Flegrei e bradisismo



"Campi Flegrei: incognita bradisismo" di MalKo
Nei Campi Flegrei c’è un livello di allerta vulcanica classificato di attenzione o, se preferite, giallo. Secondo processi standardizzati di valutazione voluti dalla stessa autorità scientifica, il passaggio a un livello successivo diverso da quello base si verifica nel momento in cui la rete di sorveglianza registra variazioni significative dei parametri fisici e chimici del vulcano preso in esame. E così è stato.
Il Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Marcello Martini, qualche settimana fa ha annunciato uno stato di attenzione scientifica per i Campi Flegrei, dovuto alla constatazione che ci sono state:<<delle variazioni significative dei parametri sismici, geochimici e di deformazione del suolo, rispetto ai livelli ordinariamente registrati>>.
A voler semplificare certi linguaggi, siamo in una fase di ripresa del bradisismo flegreo. Ovviamente il bradisismo con il suo rigonfiamento dei suoli presenta sempre delle incognite dal fondo e di fondo, in questo caso alleggerite dal dipartimento della protezione civile, che ha sottolineato che le ipotesi interpretative dei fenomeni in corso non evidenziano al momento variazioni tali da far presupporre situazioni di criticità a breve termine.
A fine novembre poi, la commissione scientifica istituita nel 2009 ha consegnato, al dicastero della protezione civile retto dal Prefetto Franco Gabrielli, una relazione contenente gli scenari previsti in caso di ripresa dell’attività eruttiva nell’area flegrea. Si sapranno quindi con certezza i fenomeni da cui bisognerà difendersi e l’E.M.A., che suona come un prefisso trasfusionale, ma in realtà è l’acronimo dell’eruzione (ipotizzata) massima attesa nel breve – medio termine. Per il Vesuvio, ricorderete, è stata presa a campione quella sub pliniana del 1631.
Ovviamente tale documento dovrà contenere anche i limiti della zona rossa, quella a maggior pericolo, e poi di quella gialla, dove sono previsti fenomeni di ricaduta dei prodotti piroclastici. La consegna di questo documento scientifico i cui autori rimangono sempre un po’ sconosciuti alle masse, darà poi il via alla stesura dei piani d’emergenza che, pare, devono essere solo aggiornati.
Il deep drilling project (CFDDP), cioè la perforazione profonda che si sta facendo nell’area ex italsider di Bagnoli (Bagnoli Futura) per installare degli innovativi sistemi di controllo dei parametri vulcanici e sismici nell’area, ha raggiunto il 26 novembre 2012 quota meno 430 metri. Poche diecine di metri ancora e si toccherà la profondità prevista dei 500 metri. Che cosa succederà dopo non lo sappiamo. Ovviamente anche per il clamore suscitato dalla trivellazione e dalla situazione di allerta esistente oggi nell’area flegrea, un’eventuale ripresa dell’attività perforativa oltre la misura indicata, dovrà essere condivisa da tutti gli attori istituzionali che hanno un ruolo nella previsione e prevenzione dei rischi sismici e vulcanici nell’area flegrea, a iniziare dalla commissione grandi rischi, che presumibilmente sarà interpellata, e dal sindaco di Napoli che dovrà tenere in debito conto più fattori, compreso l’allarme sociale che si è creato intorno a questo  progetto di perforazione profonda.
I fenomeni di bradisismo sono stati da sempre una caratteristica dei Campi Flegrei (Campi ardenti). Di recente si ricordano i movimenti ascensionali dei primi anni ’70 caratterizzati da scarsa attività sismica, e poi di nuovo un rigonfiamento dei suoli tra il 1982 e il 1984, questa volta con manifestazioni sismiche intense (migliaia di scosse) e un terremoto di magnitudo 4 che creò non poche apprensioni il 4 ottobre del 1984.
L’innalzamento notevole del suolo costrinse le autorità a far evacuare precauzionalmente circa quarantamila persone, molte delle quali abitavano in palazzi particolarmente fatiscenti. Per far fronte alle necessità degli alloggi, fu edificato in poco tempo un complesso residenziale popolare nella frazione di Monteruscello. Fortunatamente non ci fu eruzione e l’allarme rientrò. La nota critica, e che le nuove e squadrate  costruzioni sorsero su suoli ubicati nel Comune di Pozzuoli, che rientra a pieno titolo nella zona rossa.
E poi gli alloggi prontamente costruiti potevano ospitare quarantamila persone: una cifra in realtà sproporzionata rispetto al reale fabbisogno abitativo misurato in diecimila sfollati. Si largheggiò molto col denaro pubblico. Il vulcanologo Haroun Tazieff adirato ebbe a dire: «È davvero triste che la gogna sia stata abolita. Una gogna moltiplicata all’infinito dalla televisione sarebbe il mezzo migliore per smascherare le truffe che si commettono in nome del rischio sismico».
Dal 2005, scrive l’Osservatorio Vesuviano, il suolo ha ricominciato a innalzarsi per un totale di 15 centimetri. Nel 2012 il fenomeno pare si sia notevolmente incrementato dando origine il 7 settembre 2012 a uno sciame sismico di circa 200 scosse a bassa magnitudo.
Nel puteolano si annoverano rigonfiamenti e sprofondamenti, a volte lentissimi altre volte ancora incalzanti, ma non dimentichiamo che ci sono state anche eruzioni come quella del Monte Nuovo nel 1538, evento annunciato da deformazioni metriche sviluppatesi nell’arco di pochi giorni e da un appariscente arretramento del mare che lasciò all’asciutto moltissimi pesci per la gioia dei pescatori ignari del pericolo.
Le cause del bradisismo restano un problema ancora irrisolto per una molteplicità di fattori, anche se, da un punto di vista concettuale, il fenomeno in se comunque è da ascriversi, direttamente o indirettamente, al magma nel sottosuolo e alla sua verve ardente.
L’area flegrea rimane quindi una grossa incognita scientifica e tecnica ma anche politica per gli aspetti della prevenzione, che in questo caso dovrebbe ruotare inesorabilmente e prevalentemente su un abbattimento della pressione demografica, una riqualificazione antisismica dei fabbricati e un’organizzazione del territorio che garantisca una rapida mobilità degli abitanti in caso di dichiarata emergenza vulcanica. Elementi di difficile attuazione: ma ci dovrà pur essere un inizio…

Campi Flegrei: stato di attenzione vulcanica?


"Bradisismo ai Campi Flegrei: stato di attenzione?" di MalKo
Nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanica dovrebbe essere passato al gradino di attenzione. Dovrebbe essere così perché l’Osservatorio Vesuviano tramite il Direttore Marcello Martini, ha prodotto un comunicato in cui si afferma che le reti di monitoraggio dei Campi Flegrei hanno registrato nell’ultimo periodo «variazioni significative dei parametri sismici, geochimici e di deformazione del suolo rispetto ai livelli ordinariamente registrati.».
Al livello di attenzione vulcanica dovrebbe quindi corrispondere parimenti una fase operativa a carico dei comuni della zona rossa. Napoli in primis con i quartieri di Soccavo, Pianura, Bagnoli e Fuorigrotta. E poi i comuni di Quarto e Pozzuoli; e ancora Bacoli, Quarto, Marano e Monte di Procida.
La fase di attenzione non rappresenta in se una situazione d’immediato pericolo, ma serve all’autorità scientifica per acuire la sorveglianza strumentale e diretta della zona, dando poi una “sveglia” ai comuni a rischio. Questi devono principalmente e preventivamente verificare  l’organizzazione locale, procedendo a una lettura critica del piano d’emergenza comunale e di quello di evacuazione, prendendo in esame tutto ciò che potrebbe nell’attualità favorirlo od ostacolarlo nell’applicazione.
I sindaci in questi frangenti e in ragione di precisi disposti legislativi, hanno l’onere dell’informazione corretta e puntuale su quello che accade, presumibilmente attraverso comunicati giornalieri.
Ogni istituzione presente sul territorio flegreo dovrebbe, nella “fase gialla” rodare la sua struttura operativa nell’evenienza che ci sia un incremento dei parametri di pericolo. Anche gli ospedali hanno compito di verifica, perché nei momenti di crisi rappresentano una priorità interventistica.
L’Osservatorio Vesuviano per il ruolo che occupa, forse avrebbe dovuto utilizzare nel comunicato un linguaggio tecnico operativo immediatamente adeguato, dichiarando, dopo la segnalazione della variazione significativa dei parametri geochimici e fisici nell’area flegrea, lo stato di attenzione vulcanica.
E’ un po’ riduttivo parlare di attenzione scientifica (un termine generico) senza divulgare un corrispettivo operativo. I cittadini devono sapere che alla fase di allerta vulcanica corrisponde una pari fase operativa definita gialla che riguarda i comuni. Certamente l’assenza di un piano d’emergenza per l’area flegrea pesa come un macigno, creando forti imbarazzi alla parte tecnico politica chiamata in causa dall’allerta e da recenti polemiche connesse alla perforazione profonda calderica.
Premesso che l’istituzione più vicina ai cittadini è il comune, le municipalità che caratterizzano la caldera flegrea, dovrebbero in questa fase instaurare a livello comunale il C.O.C. (Comitato Operativo Comunale) con un servizio telefonico informativo dedicato al rischio sismico e vulcanico 24 ore su 24 con operatore. I funzionari comunali invece, dovrebbero alternarsi nel presidiare il COC, osservando turni di guardia o di reperibilità immediata.
Tutte le attività comunali vanno tarate secondo i livelli di allerta che possono variare col tempo o mantenersi tali per mesi o anni.
Ovviamente la fase di attenzione può introdurre quella di preallarme ma anche retrocedere di nuovo al livello base. Nessun pericolo immediato quindi, ma occorre seguire appunto con attenzione gli eventi tutti naturali intracalderici tenendo in debito conto sia i prodromi passati (innalzamento del suolo valutato in metri) ma anche l’imprevedibilità della natura che potrebbe avere nelle sue fenomenologie andamenti diversi dal solito.
Domani, 26 novembre 2012, inizieranno dei corsi di formazione per i comuni e gli operatori di protezione civile dell’area flegrea. Un’attività formativa, si legge, fortemente voluta dal dipartimento della protezione civile, dalla regione Campania e dall’Osservatorio Vesuviano.
Questi corsi dicono, nascono dall’esigenza di formare coloro che dovranno partecipare all’elaborazione dei piani d’emergenza o che potrebbero all’occorrenza gestire una possibile evacuazione.
A questo punto bisognerebbe incrementare pure le attività del Deep Drilling Project (CFDDP), per avere, come promesso, uno strumento innovativo di previsione, e attendere poi le decisioni dei comitati promotori dei corsi (Dipartimento Protezione Civile, Regione, Comuni) su quelle che saranno le iniziative di prevenzione che imprescindibilmente e indiscutibilmente bisognerà mettere in campo.
Siamo sicuri che in questo contesto un sindaco flegreo prima di concedere una licenza edilizia con una fase di attenzione in atto ci penserà tantissimo sopra. Forse bisognerebbe, a proposito della prevenzione, varare qualche vincolo edilizio nell’area flegrea alla stregua di quello già esistente (legge regionale 21/2003) nel vesuviano, altrimenti nessuna istituzione sarà credibile e le attività di formazione e pianificazione potrebbero connotarsi più come iniziative di facciata che di reale tutela dei cittadini.

Rischio Vesuvio edizione straordinaria


"Rischio Vesuvio:edizione straordinaria" di MalKo
Il tema dei costi della politica pare abbia assorbito interamente la seduta del consiglio regionale della Campania del 26 settembre 2012, ed è stata quindi rimandata la discussione sul famoso decreto Taglialatela contenente “Norme in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio in Campania”, che, di fatto, avrebbe consentito di rimettere mano al cemento nella zona rossa Vesuvio e in altre aree regionali paesaggisticamente parlando di notevole interesse naturale e culturale.
Al ministro Corrado Passera a leggere certe cose gli è venuta la pelle d’oca:<< è una follia edificare nella zona rossa>>. Pari perplessitàperil ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, che ha preso le distanze dallo sconcertante piano paesaggistico campano attraverso una nota diffusa dal direttore regionale dei Beni Culturali Gregorio Angelini:<< è improprio affermare che il testo presentato in consiglio regionale sia stato condiviso con il ministero>>.
Per tutti quelli che speravano nell’approvazione di questo piano per rimettere mano alle betoniere con tutti i falsi distinguo che la propaganda sulla sicurezza recita, è stato un colpo durissimo. Il decreto regionale rappresentava il passepartout per ripristinare casali diroccati e ultimare quel cumulo di case congelate allo stato rustico su cui si erano accesi gli interessi degli assopiti palazzinari destati dalle trombe anastasine.
Molti sindaci del vesuviano non sono stati dei semplici spettatori in questa querelle legata al piano paesaggistico, ma dei veri promoter del primo cittadino di Sant’Anastasia Carmine Esposito, che è notoriamente contrario alla zona rossa, alla legge 21 del 2003 contenente disposti d’inedificabilità totale, e al rischio Vesuvio in genere che a suo dire non fa parte dei problemi di tutti i giorni. Almeno il major di Sant’Anastasia non pecca d’ipocrisia…
In una lettera indirizzata all’Espresso, l’assessore regionale all’urbanistica Marcello Taglialatela afferma: <<Per quanto concerne la “zona rossa” (ex l.r. n.21/2003), le modifiche proposte non hanno alcuna incidenza sul relativo regime di tutela e non consentiranno alcun aumento di volumetrie. Si tratta, infatti, di norme che limitano gli interventi edilizi agli adeguamenti funzionali sismici e a quelli finalizzati a eliminare il degrado degli immobili mediante interventi di riqualificazione e ristrutturazione edilizia. A ciò si aggiunga che il nuovo testo vieta ogni possibilità di frazionamento, proprio per evitare l’aumento dei carichi abitativi>>.
Per meglio capire i concetti intrinseci a questa lettera che non punta il nocciolo della questione, bisognerebbe chiedere all’assessore Taglialatela in modo netto e diretto: ma le case diroccate, i cosiddetti ruderi, inevitabilmente disabitati perché pericolanti, possono essere ristrutturati e riqualificati e adeguati alle norme antisimiche? Se sì, per quale motivo tanti cittadini dovrebbero spendere non pochi soldi per riqualificare un casolare cadente se non per abitarci, affittarlo o venderlo e rivenderlo? In tal caso la logica non lascia ritenere che il carico abitativo aumenterebbe nella zona rossa ?
Il passo successivo degli speculatori che già rumoreggiano, sarebbe quello di mettere mano (in nome della sicurezza) anche ai manufatti nuovi ma allo stato di pilastri e solai ancorché abusivi e pregni di sigilli. Grazie a qualche opinion leader, infatti, alla fine si arriverà all’ultimatum: o si abbatte o bisogna consentire di tompagnare e impermeabilizzare questi scheletri a tre e a quattro piani…
Dietro a questo piano paesaggistico c’è il tentativo non dimostrato di giungere furbescamente a un condono edilizio che sani tutti gli abusi almeno fino al ’94, senza escludere la possibilità che si condoni fino al 2003 come spera qualche sindaco appartenente alla cordata cementizia.
Non sappiamo come andrà a finire perché i voti fanno gola a destra e a sinistra. Forse le indagini della magistratura sul come sono spesi i soldi della politica nel grattacielo che ospita la regione Campania guidata da Caldoro potrebbero ritardare notevolmente l’approvazione della legge betoniera o viceversa accelerarla .
Ovviamente ci riproveranno con altre iniziative ed escamotage vari chiamando a raccolta il popolo degli imprenditori dell’abuso. Siamo sicuri che non demorderanno: la posta in gioco, credeteci, è molto alta.
La prossima eruzione del Vesuvio, commenta il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vedrà gli abitanti scappare a piedi come fecero quattromila anni fa i nostri antenati lasciando le proprie orme sulla cenere ancora calda.
Concetto sostanzialmente inattaccabile, ma siamo convinti che oggi, in caso di emergenza, i fuggitivi le orme le lasceranno sulla schiena di quelli che soccomberanno alla massa, e che inevitabilmente saranno calpestati .
In caso di allarme, che sarà sostanzialmente diretto e percepito, le auto si riempiranno all’inverosimile di masserizie e partirà una corsa verso la salvezza che durerà qualche metro e non vedrà vincitori.
I soprusi si conteranno a migliaia, mentre gli elicotteri di tutte le armi gireranno a vuoto sulle cittadine impossibilitati ad atterrare per non essere presi d’assalto dalla folla inferocita. Intanto i media mondiali dal cielo invieranno cronaca e immagini della tragedia, in barba al divieto di sorvolo lanciato dalle autorità che diventeranno schizofreniche e incapaci di prendere decisioni, maledicendo il mondo scientifico che non è in grado di produrre alcuna previsione… Intanto si preparerà il comunicato stampa: <<un’eruzione assolutamente imprevedibile sta interessando il Vesuvio e i cittadini vesuviani in preda al panico hanno fatto saltare tutti gli schemi rendendo vane le procedure previste dal perfetto piano d’emergenza Vesuvio stilato da anni dalle autorità competenti per mettere in sicurezza i vesuviani attraverso rapide vie di fuga verso le regioni gemellate>>.
Nel frattempo i salotti televisivi si affolleranno e i conduttori incominceranno a produrre domande inutili in quello che sarà un vero festival dell’ipocrisia.
Ovviamente gli ultimi diciannove righi sono frutto dell’immaginazione dell’autore senza attinenza con fatti,persone e luoghi reali. XDXDXD

Rischio Vesuvio:eutanasia della sicurezza


"Rischio Vesuvio:eutanasia della sicurezza" di MalKo
Il sindaco di San Giorgio a Cremano qualche giorno fa, durante una conferenza stampa, ha lanciato un appello affinché si rimetta mano al piano d’emergenza Vesuvio e al suo fantomatico aggiornamento, perché in caso di eruzione sarà il caos totale…  Nel frattempo il vice sindaco, nello stesso giorno e alla stessa ora, presenziava ad una riunione alla Regione Campania indetta dal primo cittadino di Sant’Anastasia, Carmine Esposito, per avere rassicurazioni dall’assessore regionale Taglialatela, che il cemento prestissimo ritornerà in auge nella zona rossa Vesuvio insieme ai condoni.
Il firmatario del piano paesaggistico (Taglialatela) che introduce il risanamento residenziale e forse amministrativo nel settore a rischio eruzione, ha assicurato che nella prima seduta consiliare regionale di settembre, si darà il giro di chiave alle betoniere …
Il comune di San Giorgio a Cremano con Giorgiano e Zinno, hanno mostrato come siano controverse le anime dei comuni vesuviani: Hyde e Jekyll. Bisogna dire però, che anche il commissario prefettizio di Boscoreale Michele Capomacchia non scherza: ha inviato nel gruppo pro cemento, il sub commissario Augusto Polito. Anche lo Stato evidentemente è interessato a sanare gli abusi che a Boscoreale si contano a moltissime cifre. Un modus operandi che è “fulgido esempio di elette virtù amministrative”, a proposito di come vanno le cose nel comprensorio vesuviano a rischio…
Ci sorge il dubbio che nessuna legge regionale o nazionale può rilasciare un condono edilizio in zona rossa vulcanica, visto che lo stesso Stato ha scritto e sancito che in caso di eruzione del Vesuvio la zona rossa verrà probabilmente distrutta. Condonare significa, secondo il principio giuridico noto come dolo eventuale e colpa cosciente, assumersi la responsabilità che la zona dichiarata a rischio vulcanico dall’autorità scientifica nazionale e internazionale, in realtà non sia così pericolosa e, quindi, non siano necessari atti di tutela particolari come ad esempio il divieto di favorire gli insediamenti abitativi in zona rossa. Condonare allora, potrebbe essere un’assunzione di responsabilità penale per le zone a rischio, per non parlare del principio giuridico di precauzione, che è letteralmente obliato in questa pratica annunciata di riattamento degli edifici “spenti” e inagibili e inabitati.
Cosa c’entri la zona rossa Vesuvio poi, con i piani paesaggistici non si capisce. Che c’entra Amalfi, i Monti Lattari e gli scavi di Velia con il rischio Vesuvio? La zona rossa non deve essere confusa con gli scempi al paesaggio e alle zone di particolare valenza paesistica che pure sono un delitto. La zona rossa è un’area dove potrebbero riversarsi colate piroclastiche dall’inaudita potenza distruttiva. E poi lava e bombe vulcaniche e cenere e lapillo in quantità tali da sprofondare i solai e seppellire le mura. Qui non è in gioco il panorama… ma la pelle.
Chi decide cosa si può fare nella zona rossa dovrà essere lo stesso che dovrà mettere su il piano d’emergenza Vesuvio. Ne siamo convinti. In modo che la mano destra sappia cosa fa la mano sinistra, senza alibi o scusanti.
Il piano d’emergenza Vesuvio è a cura dello Stato. Sia lo Stato allora a decidere se è possibile favorire nuovi insediamenti nella zona rossa. Se così non è, si rimandi alla Regione Campania la stesura del piano d’evacuazione, così vediamo come concilierà le due cose il presidente Stefano Caldoro e l’invisibile assessore alla protezione civile Prof. Edoardo Cosenza.
Gli abitanti insediati nella zona rossa all’ombra dello sterminator vesevo, sono numerosi quanto quelli che affollano la città di Genova. Lo sapevate? Un dato non da poco per chi doveva assicurare il diritto alla sicurezza a quei cittadini troppo spesso ciechi in loro danno sulle necessità di tutela, che utilizzano un sistema amministrativo, generalizzando, un tantino marcio, che si presta a soddisfare richieste eufemisticamente classificabili come irragionevoli.
Il piano d’emergenza Vesuvio è sempre stato una fonte di lavoro per moltissimi esperti o presunti tali che, asservendosi alle cosiddette istituzioni competenti, hanno ricavato qualche soldo senza per questo districare una matassa ingarbugliatissima relativa alla sicurezza di un comprensorio da seicentomila abitanti disseminati su di una superficie di circa 200 Km2, tutta vulcanica. La loro giustificazione che poi non giustifica un bel niente, è che l’humus in cui ci si muoveva, non riconosce il pericolo Vesuvio, la zona rossa e il piano d’emergenza ed è ostile alle istituzioni. Un piano per niente  richiesto dalle masse, che rifuggono dal concetto stesso di esposizione al rischio, al punto da evitare di chiamare il Vesuvio vulcano, bensì  montagna…
Come abbiamo più volte scritto, agli abitanti del vesuviano manca la percezione del pericolo vulcanico perché mancano segnali percepibili con uno dei cinque sensi. Sono i sensi che captano il pericolo. Il famoso pennacchio che si alzava dal cono era un segnale importante, simbolo di un fuoco vulcanico ancora ardente che lasciava temere quel monte carico di allume e bitume e ferro… come recita l’inutile epitaffio posto nella città di Portici, ad ammonimento, un anno dopo l’eruzione del Vesuvio nel 1631.
Il presidente dell Repubblica Giorgio Napolitano recentemente ha detto parole molto importanti sulla sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Ci aspettiamo parole ugualmente decise sulla sicurezza di un territorio a rischio vulcanico come quello vesuviano, la cui pericolosità il presidente l’ha raccolta direttamente dalle parole del Professor Annibale Mottana, all’adunanza di chiusura dell’anno accademico dei Lincei a Roma.
L’emerito Presidente concorderà con noi che un aumento degli abitanti nella zona rossa Vesuvio, comporterà automaticamente l’eutanasia di qualsiasi pratica di salvaguardia. Siamo ancora in tempo per fermare un processo altrimenti irreversibile.
Nell’area vesuviana sono tutti riqualificatori del territorio. Tutti progressisti ispirati e rimodellatori di una società in rapida evoluzione. Nessuno pensa al Vesuvio e alla necessità di dar corso alla politica degli spazi… neanche nei comuni di Portici e San Giorgio a Cremano che occupano rispettivamente il primo e il secondo posto nella classifica dei comuni italiani più densamente abitati. Un vero paradosso suicida…

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…