Colata di fango (1980) - Mount St. Helens - (fonte USGS) |
I lahar
sono delle colate di fango che si formano soprattutto lungo i fianchi dei
vulcani, quando le piogge intense che accompagnano di solito le eruzioni
esplosive lasciano cadere molta acqua sui rilievi acclivi. Il prezioso liquido scorrendo
prevalentemente lungo i valloni di erosione, si mischia ai prodotti piroclastici
che incontra sul suo cammino formando una sorta di fiumara fangosa.
Le
colate di fango diventano sovente inarrestabili ed hanno una densità
sufficiente a trascinare verso il basso anche pietre e massi che hanno un
effetto particolarmente abrasivo e distruttivo sulla vegetazione e sui
manufatti che non rappresentano un ostacolo insormontabile al loro dilagare.
Le eruzioni vulcaniche esplosive
che riguardano apparati montuosi ricoperti in cima da neve o ghiacciai, sono
ancora più pericolose, perché i flussi piroclastici o anche altre fenomenologie
vulcaniche roventi, liquefano velocemente la neve che diventa immediatamente una
riserva idrica disponibile e dal grande potenziale energetico per effetto della
quota.
Durante
le eruzioni, cenere e lapilli possono essere depositati anche sui rilievi montuosi
posti a distanza dal vulcano in attività: quindi, in presenza di piogge intense
le colate di fango o detritiche torrentizie, possono prodursi pure altrove e dopo
molti anni dal deposito.
Colata di Sarno - Fonte Corriere mezzogiorno |
Le
colate rapide di fango che sconvolsero i territori del sarnese il 5 maggio del 1998 sono un esempio di
lahar posdatati rispetto alle eruzioni del Vesuvio. Infatti, le persistenti
piogge impregnarono totalmente le coltri di cenere e lapillo e pomici che
giacevano da centinaia di anni su un sub strato calcareo nella zona montuosa di
Pizzo D’Alvano (a est del Vesuvio), al punto che
l’ammasso perse aderenza e fluidificò con furia nei valloni d’erosione e poi
nelle strade di Sarno (Salerno) seminando morte e distruzione soprattutto nella frazione
di Episcopio. Morirono 159 persone: nella sola Sarno se ne contarono 137, tra cui un vigile
del fuoco, Marco Mattiucci, che
rimase imprigionato durante le operazioni di soccorso all’interno del veicolo
di servizio investito dal fango.
I
lahar,
sono il fenomeno vulcanico che ha prodotto il maggior numero di vittime nel
mondo. Una delle colate di fango più micidiale che si annovera negli annali a
tema, fu quella che caratterizzò l’eruzione del Nevado del Ruiz (Colombia)
il 13 novembre del 1985. In questo caso i flussi piroclastici sciolsero il
nevaio in cima al vulcano (5400 mt.), e tanta acqua si riversò verso il basso
inglobando i prodotti piroclastici che intanto si erano accumulati al suolo. In
poco tempo si animò un’enorme colata di fango che si abbatté inaspettata ancorché
di notte sulla cittadina di Armero. Fu una strage…
L’immagine
che vedete in basso fu scattata dal fotografo Frank
Fournier è mostra una delle 23.000 vittime di quella notte: la piccola Omayra
Sanchez travolta e poi imprigionata dal fango e dai detriti in una
situazione apocalittica che durò sessanta ore. Minuti che segnarono l’impotenza
dei soccorritori che nulla poterono fare per trarla in salvo da quella trappola
mortale.
La
foto fece il giro del mondo e tra mille polemiche perché si disse che non si
poteva mostrare l’agonia di una bambina... L’autore dello scatto ha sempre
affermato che Omayra è una vittima del Nevado del Ruiz, ma è soprattutto un
simbolo di condanna del pressapochismo con cui il governo colombiano gestì quell’emergenza
vulcanica…
La piccola Amyra Sanchez - Armero Guayabal 1985 - Foto F. Fournier |
Il
Vesuvio è uno strato vulcano che durante le eruzioni esplosive produce una gran
quantità di ceneri e molto vapore acqueo che legandosi a corpuscoli di
condensazione si trasforma in pioggia battente. Questo significa che anche da
noi il problema dei lahar non è trascurabile in caso di eruzione. Le zone a
maggior rischio sono quelle riportate nella figura sottostante corrispondente grosso
modo alla zona rossa Vesuvio.
Una
delle caratteristiche della cenere vulcanica è quella di produrre un effetto di
semi sigillatura dei suoli che diventano cattivi recettori dell’acqua piovana,
che ristagna o si accumula e scorre in superficie in direzione delle
depressioni plano altimetriche.
Le
cronache dell’eruzione del Vesuvio del 1631 (VEI4), riportano fenomeni
alluvionali soprattutto per le acque corrive provenienti dal Monte Somma e che
si riversarono nella piana di Nola, allagando
cittadine come Saviano ed altre
località ancora quali Marigliano, Cicciano e Cisterna, con altezza delle acque che raggiunsero e
superarono largamente i 3 metri dal piano campagna.
Gli
alluvionamenti possono presentarsi prevalentemente nei territori settentrionali
dell’area vesuviana, nel settore tra Acerra
e Nola, soprattutto, come dicevamo, se
i terreni sono stati soggetti in ragione della direzione dei venti alla
ricaduta di cenere vulcanica.
La
conca di Nola è un settore geografico che per una serie di motivi di ordine
altimetrico non è in grado di convogliare le acque meteoriche verso il mare
secondo direttrici di percorso minimo (sud) come invece succede nel caso del
fiume Sarno. La zona ove è ubicato il centro commerciale definito vulcano
buono (Nola), dovrebbe corrispondere alla massima depressione areale. La
morfologia dei luoghi costringe quindi le acque meteoriche a scorrere in
direzione ovest passando sommessamente
tra i comuni di Pomigliano d’Arco e Acerra.
Nel
vesuviano settentrionale si potrebbero riversare torrenti di acqua e fango
anche dalle valli del Clanio e di Quindici. Una situazione eruttiva con
caduta di piroclastici concentrati a nord, indurrebbe velocemente un
consistente alluvionamento non solo per l’effetto cenere sui terreni, ma anche per
l’ostruzione dei canali e del sistema fognario dovuto ai detriti precipitati e mobilitati
dalle acque.
L’eruzione
massima di riferimento adottata dal dipartimento della protezione civile per la
stesura dei piani d’emergenza e di quelli d’evacuazione ancora in itinere, è
simile a quella del 1631 (VEI4). Quest’ultima cagionò oltre ai fenomeni dei
flussi piroclastici e della pioggia di cenere e lapilli, anche inondazioni
diffuse in alcune cittadine tra cui Marigliano
e Cicciano che lamentarono vittime a
causa dei circa tre metri d’acqua dilagante.
Zone Vesuvio (rossa,gialla e blu) |
Per avere qualche dettaglio in più sul fenomeno delle colate di fango, chiediamo al Professor Giuseppe
Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), quali eruzioni
del Vesuvio hanno prodotto lahar e quali sono state le zone o i paesi particolarmente
colpiti.
Come in quasi tutti i
vulcani esplosivi, anche al Somma-Vesuvio gli eventi eruttivi sono spesso
associati a fenomeni particolari, quali precipitazioni eccezionali e
generalmente colate, la cui definizione precisa è in funzione della
concentrazione di particelle solide e dei processi di trasporto. In genere si
parla di colate di fango o lahar, ma questi fenomeni spaziano in un più ampio
spettro di proprietà fisiche e meccanismi di genesi, trasporto e deposizione
dei materiali. I due estremi comprendono fenomenologie simili alle frane con
prevalenza di materiale solido accumulato sui fianchi del vulcano e mobilizzato
a causa di instabilità, sollecitazioni sismiche e riduzione dell'attrito
interno per effetto di precipitazioni, ecc. C’è poi una tipologia di flussi
simili a sovralluvionamenti, nella quale abbonda l'acqua, mentre il materiale
solido trasportato è fortemente subordinato: in questo caso generalmente si
parla di mass flow.
Molte eruzioni esplosive del
Vesuvio sono state accompagnate e seguite da mass flow, talvolta devastanti,
anche se in genere questi sono più frequenti in eruzioni di tipo pliniano o
subpliniano. Le aree interessate
comprendono tutti i versanti del vulcano, con particolare concentrazione nelle
aree di maggior accumulo di materiale piroclastico. I lahar, possono
raggiungere distanze notevoli dal vulcano, e possono accumularsi con spessori
anche superiori ai 10 metri in canali o pianure perivulcaniche; così come
possono originarsi pure da altri rilievi montuosi sottovento e interessati da
notevoli accumuli di materiale vulcanico, poi mobilizzato per effetto di
instabilità legata ad elevata pendenza dei versanti e precipitazioni.
Ugualmente eruzioni di
minore portata, quali stromboliane o vulcaniane, occasionalmente hanno generato
lahar, per lo più localizzati sui versanti del Somma-Vesuvio con modesta
mobilità.
L’eruzione del Vesuvio del
472 si caratterizzò tra l’altro anche per le colate di fango. Ma quest’eruzione
è da ritenersi una pliniana, una sub pliniana o, energeticamente parlando,
mediana tra le due?
L'eruzione del 472 A.D è una
eruzione molto particolare che meriterebbe una più ampia trattazione. In base
agli attuali criteri di classificazione è una sub-pliniana, ma per l'estensione
degli effetti associati può essere considerata e alla stregua una pliniana. Le ricerche che ho
condotto alla fine degli anni '90 hanno consentito di evidenziare proprio gli
effetti secondari (lahar e mass flow), che in generale hanno conferito
all'eruzione del 472 uno straordinario potere di devastazione e modificazione
del territorio in un raggio di decine di km dal vulcano. L'eruzione avvenne
quasi alla fine dell'Impero Romano, quando il territorio vesuviano era in
progressivo abbandono. L'effetto combinato del carattere freatomagmatico di
alcune fasi dell'eruzione e del degrado degli insediamenti umani, fecero sì che
l'eruzione seppellendo le pianure intorno al Vesuvio sotto metri di pomici,
ceneri e fango poi consolidato, assestasse un duro colpo in termini di
vivibilità all'area nolana e sarnese in particolare.
Ringraziamo il Professor
Giuseppe Mastrolorenzo per le risposte che ha assicurato ai nostri lettori su
questo tema delle colate di fango spesso sottovalutato come fenomeno vulcanico
complementare e dirompente.
Nelle conclusioni dobbiamo sottolineare che il fango composto da acqua e cenere vulcanica è
una vera trappola mortale, perché pur riuscendo a respirare, un eventuale
malcapitato sarebbe sottoposto suo malgrado a problemi di ipotermia e probabilmente
da sindrome da schiacciamento soprattutto col progredire del processo di
disseccamento.
In
alcuni casi sono stati fatti esperimenti per valutare lo sforzo necessario a un
uomo per liberarsi dal fango viscoso: ebbene, occorrerebbero centinai di
chilogrammi... D’altra parte è anche il caso di ricordare che mentre sull’acqua
si galleggia e sulle macerie si cammina, sul fango non si galleggia e non si
cammina, e questo per un soccorritore è un grosso limite operativo.