Il palazzo di Giustizia di Torre Annunziata col Vesuvio alle spalle |
“Rischio Vesuvio: la soluzione è in un piano giudiziario?” di MalKo
Il
Vesuvio cattura sempre un certo interesse per le possenti energie che racchiude
nel grembo litosferico sormontato da una platea di settecentomila persone. I
vesuviani in parte sono consapevoli del rischio a cui sono sottoposti vivendo in zona rossa, ma nella maggioranza
dei casi le idee sul vulcano localmente sono molo confuse e tendenti giocoforza
a sottostimare quello che realmente potrebbe
accadere se il Vesuvio dovesse porre fine alla sua annosa quiescenza.
Il
vulcano oggi sonnecchia… in qualsiasi momento però, anche ora mentre si legge,
la terra potrebbe iniziare a tremare sotto i piedi e allora l’angoscia assurgerebbe
a sentimento diffuso. La fame di notizie sull’interpretazione da dare al
fenomeno sussultorio attanaglierebbe tutti. Corrucciati, si guarderà verso la
montagna che non è montagna, sperando che il tremore crostale appena avvertito
sia semplicemente un colpo isolato, un
assestamento gravitativo, un evento tettonico appenninico, incrociando le dita
acchè non sia invece l’inizio della furibonda ascesa della lava in superficie
che fratturerebbe e s’insinuerebbe con tempi incerti nelle rocce che la
costipano da decenni, per aprirsi roboante un varco in superficie, spazzando
via tutto il gravame litoideo sugli inveterati uomini che ne affollano le
pendici.
Tutti
avrebbero dovuto interiorizzare che il problema Vesuvio è rappresentato dal
fatto tutt’altro trascurabile che non è possibile prevedere quando avverrà un’eruzione e di che tipo questa sarà. L’incognita geologica
avrebbe dovuto rendere insostenibile la conurbazione che è stata invece perpetrata
intorno al vulcano che svetta isolato e accerchiato dai palazzi. Un dato noto,
anche se i tentativi di porre di nuovo mano al cemento sono numerosi e solo un
personale inconveniente giudiziario ha fermato di recente il sindaco di
Sant’Anastasia, capofila di altri comuni pronti alla sommossa in nome di un
territorio da sanare con condoni e da mettere in sicurezza non già con la
politica degli spazi, ma con nuovo cemento ristoratore
che fortifica e munifica pure l’economia zonale. A voler essere veramente
sintetici, diremmo che tale cordata voleva o vuole dare spazio alla politica
della cicala senza temere alcun inverno vulcanico…
L’edificazione
nel vesuviano è stata perpetrata senza scrupoli da amministratori che hanno
cavalcato, generalizzando, una scienza a volte disarticolata e servizievole che
ben poco ha fatto per frapporsi alla spinta speculativa del cemento. I moniti circa
la necessità di prestare maggiore attenzione al rischio Vesuvio arrivano da
isolati cattedratici nostrani e soprattutto dall’estero come di recente è
avvenuto attraverso le parole del Prof. Nakada Setsuya dell’Università
di Tokyo.
In
nome della pseudo necessità di non allarmare il popolo napoletano, sono state
invece rilasciate nel tempo e da più parti troppe dichiarazioni confortanti, come
quella sui tempi di previsione di un’eruzione del Vesuvio, “diagnosticabili”
addirittura mesi prima dell’evento. Bisognerebbe dare un peso alle parole, che
nel nostro caso hanno trasformato un rischio da inaccettabile ad accettabile.
Nelle
bozze di piano d’emergenza che si sono susseguite nel corso dell’ultimo
ventennio, da una previsione di
previsione eruzione ottimisticamente misurata a mesi, si è passati a settimane
e poi alle attuali settantadue ore di preavviso che deve essere anche il tempo
a disposizione per allontanarsi lestamente dal vesuviano. Dal mondo
istituzionale si auspica addirittura che si trovino sistemi e risorse per evacuare
in un tempo massimo di ventiquattro ore.
Il
rischio di una previsione fallace, infatti, purtroppo esiste e sussiste perché
l’indice di attendibilità previsionale di un’eruzione può essere tentata nel momento
in cui si presentano i prodromi pre eruttivi, e potrebbe rivelarsi un
inaccettabile azzardo in un senso o nell’altro, se la previsione andrebbe a
snodarsi su tempi troppo lunghi (settimane).
Che
la struttura scientifica dell’Osservatorio Vesuviano possa essere sottoposta a
stress decisionale è normale e lo ipotizzammo il 9 ottobre 1999 in seguito ad
un evento sismico di 3.6 Richter centrato sul bordo meridionale del Vesuvio.
Serpeggiò il panico tra gli abitanti con amministratori comunali esagitati che
pretendevano con affanno notizie precise dalla struttura di sorveglianza e dalla
Prefettura di Napoli. Nessuno aveva certezze, e proprio l’assenza d’informazioni
cristallizzò l’angoscioso momento che si sciolse solo dopo che ritornò una
perdurante pace sismica.
Il
terremoto del 1999 fu il più forte avvertito in area vesuviana dal 1944 e anche
il più istruttivo per chi studia le problematiche legate al piano d’evacuazione
e la reazione delle istituzioni tecniche e amministrative nei momenti di crisi.
In quei frangenti ricordiamo bene, molte famiglie preferirono intanto cambiare
subito aria…
Oggi,
un’eventuale anomalia dei valori chimici e fisici del Vesuvio (parametri
controllati) sarebbe segnalata con la linea telefonica rossa dall’Osservatorio
Vesuviano al Dipartimento della Protezione Civile che convocherebbe la
commissione grandi rischi per adottare presumibilmente su indicazioni politiche
le decisioni necessarie per affrontare l’emergenza nazionale. Una catena comando
non sappiamo quanto veloce, ma sappiamo che lo deve essere se si opta per un
margine di ventiquattro ore a disposizione per allontanare inizialmente
settecentomila persone dalla zona rossa…
Se
i politici e gli amministratori e le istituzioni scientifiche, e non solo
quelle, riflettessero sui fatti, concorderebbero nelle conclusioni che la
fortuna dei vesuviani è stata fino ad oggi la clemenza geologica e non la lungimiranza
di chi per ruolo amministrativo e dovere istituzionale avrebbe dovuto mettere
in sicurezza un territorio che potrebbe essere invaso da flussi piroclastici
con temperature da forno e velocità da fuoriserie.
I
giornali stranieri parlando del Vesuvio lo classificano come una bomba a
orologeria. Purtroppo è così, anche se non udiamo il ticchettìo e non vediamo
le lancette. Il Vesuvio come tutti i vulcani esplosivi ha un indice di
pericolosità zero in fase di quiescenza e quasi cento nel momento dell’eruzione
con un picco di pericolosità massima che si raggiunge in concomitanza del
collasso della colonna eruttiva.
Le
autorità scientifiche chiamate in causa dal dipartimento della protezione
civile, hanno ritenuto plausibile e statisticamente possibile il risveglio del
vulcano con una tipologia eruttiva massima attesa del tipo sub pliniana, cioè
simile a quella che devastò la plaga vesuviana nel 1631. Partendo da quest’assunto,
la commissione grandi rischi di recente ha deciso di adottare la demarcazione offerta
dalla linea nera Gurioli, per definire i limiti di maggior pericolo (R1) su cui gli
amministratori locali e regionali devono focalizzare la loro attenzione
preventiva di tutela piuttosto che quella cementizia.
Occorre
poi rilevare che, se invece di un’eruzione sub pliniana, il Vesuvio
ridestandosi dovesse offrire il meglio di se con una fenomenologia pliniana, il
risultato sarebbe una tragedia di proporzioni belliche, favorita in questo caso
e strano a dirsi, proprio dall’attuale perimetrazione del pericolo che, di
fatto, ne esclude altre.
Purtroppo
non è possibile al momento e ragionevolmente preparare un piano di evacuazione anti
pliniana che comprenderebbe l’area metropolitana di Napoli, perno di tutto il
problema. Rimanere nel solco di una stima eruttiva sub pliniana allora, bisogna
dirlo chiaramente, è stata una scelta non garantista in assoluto, ma certamente
obbligata e mediata come tutte le perimetrazioni a rischio che hanno a che fare
con problemi naturali in gran parte e come in questo caso ancora imprevedibili.
Alcuni
cittadini del vesuviano e il politico radicale Marco Pannella hanno di recente presentato un ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, contro
lo Stato italiano che non ha messo in atto strumenti adeguati di tutela dei
cittadini esposti al rischio vulcanico in zona vesuviana.
In
realtà la consapevolezza delle inadempienze istituzionali riguardanti i piani
di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio dovrebbe essere un argomento già noto
almeno alla Procura della Repubblica di
Torre Annunziata che nel 2011 ha ricevuto nel merito un esposto in cui si
richiamavano a proposito del rischio Vesuvio, alcuni concetti di un qualche
interesse come il principio di precauzione oggi particolarmente evocato e
diffuso.
Intanto
la trasmissione televisiva crash del 5 dicembre 2013, ha mandato
in onda su RAI 3 approfondimenti sul rischio Vesuvio. E’ stata sicuramente un
programma che ha fornito chiari indizi sulle problematiche che riguardano i
piani di evacuazione. Per far emergere le incongruenze però, bisognava spostarsi
non già nella sede del mediatico dipartimento della protezione civile o nello
studio dell’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, bensì nei municipi della
zona rossa Vesuvio per farsi dire
dai sindaci in quali cassetti sono riposti i piani d’evacuazione comunale di
cui accenna l’assessore Cosenza nell’intervista televisiva.