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mercoledì 7 giugno 2017

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: eruzione work in progress?... di MalKo



La Solfatara - Pozzuoli - Campi Flegrei

A ovest della città di Napoli sorge il distretto vulcanico dei Campi Flegrei. Dall’altro lato, ad est, capeggia invece il Vesuvio. I due vulcani sono in vista l’uno dell’altro e ricadono geograficamente sullo stesso parallelo a 40° e 49’ di latitudine. La città di Napoli è posta quindi al centro di queste due aree vulcaniche che sono accomunate da un’unica grande camera magmatica che si sviluppa anche sotto la metropoli partenopea…

I Campi Flegrei non hanno un apparato montuoso ma solo brandelli collinari e semi collinari a volte rotondeggianti, che delimitano e punteggiano l’estensione geografica di un territorio forse sede del mitico vulcano Archiflegreo, sbriciolato nell’antichità da immani eruzioni fino alla condizione di caldera depressa, poi riempita da decine di bocche monogeniche che hanno proposto il loro vagito eruttivo molto spesso esplosivo respingendo in parte il mare.

Nell’arco di tre periodi diversi, sono stati espulsi da questo singolare distretto grandi quantità di materiale piroclastico anche a grandi distanze. L’ultima eruzione del 1538 ha segnato la quiescenza macroscopica dell’area, segnata comunque dal fenomeno anche recente e perdurante del bradisismo flegreo, che non sembra mettere tutti gli scienziati d’accordo circa la genesi di un suolo particolarmente irrequieto. In tutti i casi appare inoppugnabile il collegamento con la fonte energetica rappresentata dal calore magmatico sottostante…

Pochi giorni fa è stata formulata una teoria circa le intrusioni magmatiche che caratterizzano l’area flegrea; una tesi secondo la quale il magma insinuatosi fino a pochi chilometri dalla superficie si sia raffreddato dopo aver dato “spettacolo” e apprensione col suo calore oggi disperso…

Macellum - Pozzuoli - Campi Flegrei
Il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, è tra i massimi conoscitori della geochimica dei Campi Flegrei.

Dott. Chiodini, secondo una recente tesi il magma che sembra si sia infiltrato fino a basse profondità nel sottosuolo flegreo, pare possa datarsi e ascriversi alle crisi bradisismiche degli anni 70’ e 80’: è così?

C’è dibattito su questo. Io sono d’accordo con questa interpretazione: altri autori affermano che quel magma si sia già solidificato….

Che ci sia stata un’intrusione magmatica sembra un dato su cui concorrono con qualche distinguo un po’ tutte le tesi. Nel merito possiamo confermarlo questo dato ed ancora conosciamo l’estensione, ovvero le dimensioni di questa protuberanza magmatica insinuatasi nei territori flegrei?

Che nel 1983/1984 ci sia stata una intrusione di magma è un dato su cui concordano la maggior parte dei ricercatori (se non tutti). Si pensa ad un volume di magma relativamente piccolo, dell’ordine di 0,1 Km3.

Dott. Chiodini, se di intrusione magmatica si tratta, il fenomeno è da attribuirsi prevalentemente alla possente spinta magmatica o a una scarsa resistenza della coltre crostale che in questi luoghi è aggredita da una chimica e da una temperatura che ne minano la resistenza? Una Sua recente teoria…

Immagino che la recente teoria a cui fa riferimento sia il lavoro pubblicato nel Dicembre 2016 nella rivista Nature Communications. In quel lavoro consideriamo quanto è avvenuto dopo il 2000. Per quello che riguarda, la crisi del 1983/1984 e la intrusione magmatica che l’ha causata, posso solo dirle come elemento di riflessione che a quelle profondità (4 km) la temperatura è molto elevata. D’altra parte nella zona di massima deformazione non si osservano terremoti a profondità più grandi. E’ la stessa zona dove si ipotizza una intrusione datata di alcuni secoli, quella che ha generato probabilmente e in qualche modo l’evento eruttivo di Monte Nuovo (1538). Ne sappiamo poco, ma in quella zona e a quelle profondità le rocce potrebbero avere un comportamento ‘plastico’ e non rigido.

Se la caldera flegrea è stata sede di alcune decine di bocche eruttive monogeniche, quest’intrusione potrebbe corrispondere a una nuova bocca o a una bocca eruttiva precedente…

Credo che la zona di Pozzuoli col tratto di mare adiacente sia una zona di accumulo di magma… Nel 1538 la deformazione inizialmente era su questa zona, poi si spostò prima dell’eruzione verso ovest, dando così origine all’ultimo evento riscontrato nei Campi Flegrei: quello appunto di Monte Nuovo.

La Solfatara e la fumarola di Pisciarelli con i suoi possenti sintomi di degassazione non è detto che sia la parte più vulnerabile all’ascesa del magma in superficie. La Solfatara è una sorta di camino, una specie di collettore zonale, ma il magma non è certo che segua la strada dei vapori.


Porto di  Pozzuoli (Campi Flegrei) - L'agglomerato del Rione Terra
La geochimica fino a che punto riesce a dare risposte sulle dinamiche magmatiche che interessano un fondo calderico come i flegrei?

Noi abbiamo interpretato le variazioni osservate alle fumarole della Solfatara come un processo di depressurizzazione del magma. Ora, secondo me, il magma sta rilasciando fluidi in maggiore quantità ed arricchiti in H2O perché si sta appunto depressurizzando. Penso che l’evento che ha causato questo processo sia in realtà collegabile alle migliaia di terremoti registrati nel 1983/1984 che hanno in qualche modo aperto il sistema alla risalita dei fluidi che, rilasciati dal magma, starebbero riscaldando le parti più superficiali della caldera.

Dott. Chiodini, i dati geochimici e geofisici flegrei cosa segnalano… cosa raccontano nell’odierno?

In sintesi e nell’insieme uno spostamento della crisi verso le zone più superficiali della caldera.

Un po’ di anni fa effettuammo un lavoro ad oggetto i dissesti statici nel napoletano infiltrandoci nei condotti acquedotto del sottosuolo di Napoli. Dissesti molto spesso originati dalle caratteristiche del tufo giallo che perde la sua resistenza statica fino al 40% una volta imbibito… La possente struttura tufacea su cui poggia la città di Napoli trova pari caratterizzazione nell’area flegrea?

Il sottosuolo di Napoli - Centro storico -  San Carlo all'Arena
Quello che diciamo nel lavoro che citava prima, riferendoci a lavori specifici fatti da colleghi stranieri, è che il tufo giallo se sottoposto a riscaldamento diminuisce la sua resistenza meccanica.

Un sottosuolo anche profondo rimaneggiato dalla chimica delle acque e dalle temperatura elevate potrebbe consentire una rapida risalita del magma, magari senza acquistare una veemenza particolarmente dirompente? In altre parole, un’eruzione nel flegreo può essere anche rapida ma contenuta negli effetti? 

A questa domanda è difficile dare una risposta. Credo che nel caso di una futura eruzione l’attuale fase di elevato degassamento possa attenuarne gli effetti dirompenti. Ma gli effetti comunque bisogna relazionarli anche e in gran parte alle quantità totali di magma coinvolgibili in un’eventuale eruzione….

In che modo si può migliorare la sorveglianza vulcanica dell’area flegrea?

La sorveglianza che viene fatta oggi è già a un ottimo livello. Quello che manca non è la sorveglianza ma la ricerca. La gente spesso sopravvaluta le nostre capacità di ‘sorvegliare’ un vulcano. Nel caso dei Campi Flegrei, ad esempio, bisogna tenere presente che non abbiamo mai misurato quello che accade prima di una eruzione.

L’unico modo per cercare di capire cosa potrà succedere e quali sono i processi in corso, è quello di assicurare una interazione tra il sistema di sorveglianza con delle ricerche scientifiche mirate. Penso che servono più cervelli che studiano il problema, piuttosto che ulteriori strumenti di monitoraggio del vulcano.

 
Strumentazione scientifica di monitoraggio - Vulcano Solfatara - Pozzuoli

L’Osservatorio Vesuviano sarebbe saggio che spostasse la collocazione dei suoi uffici e sala di monitoraggio nelle retrovie del fronte vulcanico? 

Secondo me sì. Sarebbe opportuno che la struttura che sorveglia e gestisce la rete dei sensori posti sul vulcano sia ubicata al di fuori di quelle zone che verrebbero evacuate qualora dovesse rendersi necessario diramare un allarme vulcanico….

Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per averci illustrato con chiarezza la situazione attuale dei Campi Flegrei.

Il quadro complessivo che possiamo farci nelle conclusioni circa la situazione di pericolosità vulcanica esistente ai Campi Flegrei, è quello di una condizione complessiva che suggerisce grande attenzione ai processi magmatici che avvengono nel comprensorio terracqueo di Pozzuoli e per largo raggio. Qualche nodo scientifico incomincia a sciogliersi ma rimane una situazione molto complessa dettata anche dalla mancanza di comparazione scientifica con gli eventi eruttivi e pre eruttivi del passato.

Nei Campi Flegrei la popolazione esposta al pericolo vulcanico conta 550.000 abitanti. Nella caldera flegrea l’organizzazione della sicurezza dovrebbe avere precise strategie e idee molto chiare sul da farsi all’occorrenza. Non è sufficiente dare visibilità e risalto a chi rassicura oltre misura: le popolazioni non necessitano di massicce dosi di valeriana mediatica. Alle popolazioni bisogna assicurare il diritto all’informazione, perché la democrazia passa anche attraverso la conoscenza della realtà che ci circonda.

Alle incertezze della previsione vulcanica, si potrebbero contrapporre le certezze della prevenzione come metodo per mitigare le catastrofi: disciplina che nessuno persegue e che molti eludono. Mentre gli scienziati si confrontano con qualche distinguo sui temi vulcanici, la politica e le amministrazioni locali e nazionali sono invece concentrate sulle cubature cementizie da calare sulla ex spianata industriale di Bagnoli (Campi Flegrei), attraverso una cabina di regia che tutti reclamano. C’è pure chi appalesa in quest’area geologicamente attenzionata la possibilità di accedere all’affare energetico trivellando per il geotermico lì dove la crosta è più gonfia e satura di fluidi caldi…

La parola d’ordine allora è il business, in barba a tutti i gufi catastrofisti che pensano di vivere nell’epoca dei dinosauri coi vulcani  sbuffanti ed eruttanti…

giovedì 25 maggio 2017

Vesuvio: camera magmatica sopra o sotto?... di MalKo


Cratere del Vesuvio con vista Capri

Un vulcano è possibile definirlo come una spaccatura nella crosta terrestre da dove fuoriescono generalmente e in modo discontinuo, materiali gassosi, liquidi e solidi ad alta temperatura. Le cause alla base del trasferimento dei prodotti magmatici dall’interno del Pianeta e fino alla superficie terrestre attraverso varie tipologie eruttive, sono oggetto di studio con formulazioni di teorie tutte corredate dall’incertezza scientifica, perché i fenomeni eruttivi generalmente non sono continui, e in alcuni casi sono intervallati da secolari quiescenze. Fenomeni tra l’altro, che traggono origine dal sottosuolo chilometrico, quello non direttamente esplorabile…

Certi vulcani in termini di manifestazioni eruttive sono più rari dell’apparizione della cometa di Halley che solca i cieli mediamente ogni 76 anni… Nessuno degli scienziati oggi in servizio permanente effettivo all’Osservatorio Vesuviano ha mai visto un’eruzione dell’arcinoto Vesuvio o del super vulcano dei Campi Flegrei o dirompenze sull’isola d’Ischia. Quindi, la maggior parte delle disquisizioni scientifiche ad oggetto i vulcani napoletani, gioco forza devono trattare la scienza delle eruzioni e le sue innumerevoli variabili analiticamente, magari gettando lo sguardo su altri vulcani in attività come quelli ubicati sulle nostre isole meridionali oppure in altre parti del mondo.

I vulcani “stranieri”, per genesi e comportamenti e storie e contesti, sono completamente diversi l’uno dall’altro: non parliamo della forma, bensì del DNA geologico, frutto di fusioni e rifusioni e mescolamenti del magma, che avvengono nella parte superiore del mantello che assorbe prodotti in ascesa dal profondo, fondendone altri dalla suola litosferica.

La camera magmatica è forse l’elemento più importante di un vulcano, ancorchè dislocata a profondità variabile dai 3 ai 10 chilometri: è qui che ristagna la pasta ignea ad elevata temperatura e pressione ben insinuata nelle rocce incassanti. Se dovesse aumentare la spinta magmatica verso la superficie o, viceversa, dovesse essere minata la resistenza della crosta terrestre in un determinato punto sotto pressione, come sembra prospettarci il Dott. Chiodini per i Campi Flegrei, l’eruzione sarebbe inevitabile.

Alcune congetture sulla tipologia eruttiva e sulle varie manifestazioni vulcaniche ad oggetto il Vesuvio, sono state fatte dal Gruppo di lavoro “A” messo insieme un po’ di anni fa dal Dipartimento della Protezione Civile: una sorta di conclave costituito da scienziati per tracciare gli scenari eruttivi della prossima eruzione dell’arcinoto vulcano semmai dovesse verificarsi un’eruzione nel medio termine. Al massimo un’eruzione VEI 4 (sub pliniana) hanno sentenziato gli esperti: giudizio poi avallato dalla commissione grandi rischi. D’altra parte, nella relazione del Gruppo A si evidenzia a sostegno della tesi VEI 4, che nella camera magmatica superficiale del Vesuvio non c’è magma a sufficienza per una eruzione VEI 5, cioè una pliniana come quella che distrusse nel 79 d.C. Pompei, Ercolano e Stabia.

Secondo il Prof. Raffaele Cioni dell’INGV, tra l’altro membro della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, l’eruzione di Pollena del 472 ha marchiato i prodotti litoidi espulsi dal Vesuvio, lasciando impresso sulle rocce il segno di pressioni dell’ordine di cica 1000 bar. Cioè una pressione mille volte superiore a quella registrabile al livello del mare: compressioni riscontrabili a una profondità terrena di circa 4 - 5 chilometri…

Lo stesso Cioni però, rileva (Evidence for the shallowing of the Vesuvius reservoir in the upper crust over the last 20 kyr), che nell’analisi petrografica dei prodotti eruttati dal Vesuvio nell’eruzione pliniana del 79 d. C. e altre eruzioni particolarmente violente, si nota che il magma è assurto in superficie direttamente dalla camera magmatica più profonda, come quella attualmente dislocata a una profondità di circa 8 – 10 chilometri.

Il dato che ci sembra si possa cogliere allora è questo: il Vesuvio può attingere per le sue eruzioni da una camera magmatica pseudo superficiale quanto profonda, senza rendere necessario accumuli di magma intermedi, che pure potrebbe già esserci come punta di un iceberg incandescente, con spessori orizzontali non particolarmente estesi e quindi non evidenziabili nettamente dalla tomografia sismica.

D’altra parte un magma che ristagna più superficialmente dovrebbe essere un po’ più povero di elementi volatili. Quello che proviene dal profondo invece, ha una forza gorgogliante particolarmente dirompente: da pliniana insomma…

Lo studio del Prof. Cioni è forse un tantino in controtendenza con la relazione presentata dal Gruppo di lavoro A. In questo trattato scientifico infatti, viene dato come elemento rassicurante poco magma nella camera superficiale del Vesuvio...


Complesso Somma_Vesuvio visto da nord


Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo è un noto vulcanologo dell‘INGV – Osservatorio Vesuviano. Autore di alcune pubblicazioni di grande presa sul pubblico mondiale.

Prof. Mastrolorenzo, ha influenza la dislocazione della camera magmatica nelle dinamiche eruttive?

<< Innanzitutto è necessario precisare che tutte le ricerche relative alla identificazione di camere magmatiche sotto i vulcani attivi sono basate su approcci indiretti. Infatti, fatta eccezione per casi rarissimi, relativi ad antiche camere magmatiche solidificate e venute poi a giorno a seguito di processi di erosione, le camere magmatiche non sono rilevabili in modo diretto, e tuttalpiù possono essere intercettati dicchi magmatici nell’ambito di trivellazioni in vulcani attivi.

Nel caso del Vesuvio, dallo studio delle rocce eruttate durante i vari eventi eruttivi che hanno caratterizzato la storia del noto vulcano e da una serie di rilievi e analisi di natura geofisica utili per la comparazione dei dati, sono state ipotizzate le possibili localizzazioni in profondità dei sistemi magmatici responsabili delle eruzioni avvenute in passato, nonché delle zone anomale situate in profondità, quali possibili sedi di attuali camere magmatiche.

In particolare, ricerche condotte da me e dalla dott.ssa Lucia Pappalardo e da altri ricercatori nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come le eruzioni sub-pliniane e pliniane del Vesuvio, nel corso degli ultimi ventimila anni siano derivate da camere localizzate a una profondità dell'ordine di circa otto chilometri.

Questo risultato è basato sullo studio dei minerali presenti nelle rocce espulse dal vulcano, e più in generale da particolari indicatori di pressioni pre eruttive che influenzano e favoriscono inclusioni vetrose (gocce di magma intrappolate nei cristalli prima e durante la risalita del magma) rilevabili all'interno dei materiali rocciosi che abbiamo raccolto in zona. Tutti elementi in accordo con le evidenze di strati ad alta temperatura e bassa rigidità risultante dalle indagini di tomografia sismica condotta negli scorsi decenni.

Circa i processi pre eruttivi e le possibili durate e tipologie dei fenomeni precursori che potrebbero accompagnare l'evoluzione delle camere magmatiche verso una possibile eruzione futura, dobbiamo limitarci a semplici ipotesi non verificabili per la mancanza di qualsiasi esperienza diretta in merito, e possiamo solo riferirci alle poche eruzioni di altri vulcani attivi direttamente osservate negli ultimi decenni.

Per tali motivi, è assolutamente doveroso che i vulcanologi dichiarino i loro limiti di conoscenza per non indurre le autorità e le popolazioni a rischio a ritenere che esistano metodi oggettivi e affidabili per la previsione dell’evento vulcanico, in termini sia temporali che di tipologia eruttiva di quello che sarà il futuro evento eruttivo>>.

Ringraziamo il Prof. Mastrolorenzo, primo ricercatore INGV – OV, per questa nota che lascia pochi dubbi interpretativi sull’ubicazione della camera magmatica del Vesuvio e sullo stato della previsione dell’evento vulcanico.

Quello che vorremmo ulteriormente segnalare in conclusione, è che l’attuale politica di prevenzione delle catastrofi vulcaniche, un argomento che ci riguarda molto da vicino, si basa su un modello statistico utilizzato come elemento di certezza deterministica, per tracciare limiti di pericolo addirittura geo referenziati con implicazioni nel campo dell’edilizia residenziale che non segue criteri di prudenza e delle strategie operative di emergenza molto discutibili soprattutto dal punto di vista dei territori classificati coinvolgibili nelle fenomenologie vulcaniche più disastrose.

Con questo non si vuole dire che la prossima eruzione del Vesuvio sarà certamente apocalittica, cioè pliniana in ambito metropolitano; vogliamo semplicemente dire che la vita umana non è un assemblaggio di tessuto vivente ricostruibile in un altro luogo e, quindi, l’umanità deve essere titolare di un qualche diritto di precauzione.

Allora la scienza deve essere in linea con la democrazia, senza essere serva sciocca dell’aristocrazia istituzionale che vuole popoli rabboniti e concilianti… Ogni singolo abitante che vive nelle aree vulcaniche, deve sapere i limiti della scienza e della tecnologia esplorativa. Deve sapere a cosa si può andare incontro permanendo in zona rossa, e deve avere contezza che lo Stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri cittadini attraverso la redazione e l’adozione di un piano d’emergenza corredato da un piano di evacuazione, preferibilmente non mediatico o aritmetico.

L’elaborazione di politiche di prevenzioni delle catastrofi dovrebbero essere un disegno politico e istituzionale da porre al vaglio nelle campagne elettorali comunali e regionali e nazionali. Così come può concorrere alla sicurezza areale l’educazione civica delle future leve vesuviane e flegree e ischitane, secondo processi formativi che dovrebbero prevedere l’inoculazione di concetti che riguardano il territorio e il rispetto delle regole, che in un’area vulcanica potrebbe voler dire il concorso civile nella direzione della collettiva e futura sicurezza: “Venturi non immemor aevi ” ossia: “Pensiamo alle generazioni del tempo che verrà… (cartiglio Palazzo Cassano - Napoli -).

martedì 23 maggio 2017

Campi Flegrei: eruzione o non eruzione?... di MalKo



Campi Flegrei - Macellum di Pozzuoli -

In questi giorni a tenere banco sul rischio vulcanico ci hanno pensato i giornali che hanno riportato in prima pagina la notizia che, dallo studio - Progressive approach to eruption at CampiFlegrei caldera in southern Italy -, condotto dai ricercatori Christopher R. J. Kilburn, Giuseppe De Natale e Stefano Carlino, risulta che un’eruzione ai Campi Flegrei è più vicina del previsto.

Lo studio in questione pubblicato il 15 maggio 2017 sulla rivista Nature Communications, segue a distanza di tempo i primi allarmi lanciati dal geochimico dell’INGV Chiodini e altri (2012) dalle pagine di Geology - Early signals of new volcanic unrest at Campi Flegrei caldera? Insightsfrom geochemical data and physical simulations - e poi da Amoruso e Crescentini e altri, che nel 2014 con la loro ricerca Clues to the cause of the 2011–2013 Campi Flegrei caldera unrest,Italy, from continuous GPS data - orientativamente assegnavano una sorgente magmatica all'origine del sollevamento dei suoli flegrei.

C’è poi un’ulteriore studio di Chiodini -  Vandemeulebrouck ed altri del 15 marzo 2015 - Evidence ofthermal-driven processes triggering the 2005–2014 unrest at Campi Flegrei caldera -  dove si evidenzia un ruolo fondamentale del riscaldamento delle rocce causato da fluidi magmatici, quale fattore che indebolisce la resistenza degli strati tra magma e superficie.

In un altro lavoro ancora datato agosto 2015:<< Magma injection beneath the urban area of Naples: a new mechanism forthe 2012–2013 volcanic unrest at Campi Flegrei>>,  i ricercatori D’Auria e Pepe ed altri ipotizzano la presenza di magma a bassa profondità (3 Km) nel flegreo anche marino.

Significance of the 1982–2014 Campi Flegrei seismicity: Preexisting structures, hydrothermal processes, and hazard assessment è un ulteriore rapporto scientifico firmato da Di Luccio, Pino, Piscini e Ventura, pubblicato il 28 settembre del 2015, dove anche in questo caso si richiama un’intrusione magmatica nei suoli del bradisismo.

Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unresttowards a critical state, è un altro lavoro scientifico pubblicato da Chiodini e Paonita su Nature Communications il 20 dicembre del 2016, dove, in conclusione, si pone in rilievo ancora una volta e per i Campi Flegrei, un indirizzo geologico di criticità. 

Nel compendio scientifico - Space-weighted seismicattenuation mapping of the aseismic source of Campi Flegrei 1983–1984 unrest - di De Siena, Amoruso e altri pubblicato il 22 febbraio 2017, si ipotizza magma nella parte marina prospiciente Pozzuoli.

La relazione pubblicata su Nature Communications da Kilburn, De Natale e Carlino, ci sembra che evidenzi maggiormente e come elemento capace di indebolire la crosta flegrea, i movimenti meccanici dovuti al bradisismo, inteso come fenomeno destabilizzante dell’elasticità delle rocce che viene persa a favore di una maggiore fragilità complessiva della coltre crostale.

L’allarme eruzione di questi giorni dicevamo, è stato prevalentemente consumato a livello giornalistico e mediatico , in quanto l’attenzione della popolazione puteolana e napoletana non ha avuto un particolare picco di interesse alla faccenda, con De Natale che ha poi tranquillizzato in Italia e Kilburn invece, che pare abbia allarmato in Inghilterra…

Il Prof. De Natale al momento dell’ondata giornalistica allarmistica si trovava a un seminario a Rotterdam. E’ subito intervenuto cercando di chiarire il senso che si voleva dare alla ricerca pubblicata su Nature C. che non paventava un’eruzione vicina, rimandando al suo rientro in patria le spiegazioni del caso. Cosa che poi ha fatto intervenendo innanzitutto a un seminario assicurato dalla struttura comunale di Pozzuoli e dall’attento sindaco Figliolia a capo della municipalità dai terreni ballerini.

Tornando a fattori più generali, una caldera che ha visto imponenti eruzioni partorite nel corso dei millenni da circa una quarantina di bocche eruttive con fenomeni sussidiari di bradisismo negativo e positivo in suoli e sottosuoli pregni di liquidi e vapori soprassaturi con temperatura fra le più calde riscontrabili in Italia, sono tutti elementi che pongono e presentano all’investigatore scientifico, indizi di un tessuto crostale diciamo monoliticamente un tantino compromesso.

Un po’ tutti gli studi vanno nella direzione dell’indebolimento crostale ipotizzato ci sembra per primo da Chiodini. Una matrice magmatica sembra plausibile quale fonte di calore e di riscaldamento dei fluidi nel sottosuolo, anche se qualche lavoro scientifico va verso la direzione di un’intrusione magmatica presente sì nei primi chilometri, ma datata e in via di raffreddamento. Tutti i lavori scientifici concorrono con pari dignità a fare chiarezza sulla fragilità dei suoli flegrei e su cosa spinge dal basso, e quindi la proposta di Chiodini di invitare le massime autorità scientifiche mondiali a pronunciarsi su un eventuale stato pre eruttivo dei Campi Flegrei, ci sembra particolarmente sensata.

In questo panorama d’incertezza, c’è chi offre la certezza che procedendo nella trivellazione profonda dei suoli di Bagnoli verso il mare e fino a profondità dell’ordine dei 4000 metri, si riuscirà a prelevare campioni di rocce su cui “leggere” lo stato attuale della caldera flegrea incidendo così e positivamente sulla previsione del fenomeno eruttivo.

Bagnoli - Napoli
Senza entrare nel dibattito scientifico che non ci compete, entriamo con qualche argomentazione in quello tecnico e forse politico. Tutte le disquisizioni scientifiche sull’argomento flegreo sono corredate dall’incertezza e non potrebbe che essere così.

Il quadro d’insieme a proposito del deep drilling project (CFDDP) inteso come progetto scientifico internazionale, intanto è stato inquinato in partenza da una certa euforia legata al geotermico piuttosto che alla scienza,  da una propaganda iniziale che accomunava CFDDP ed energia geoelettrica da produrre nell’area in un momento in cui il progetto geotermico Scarfoglio era scientificamente supportato direttamente o indirettamente dall’INGV, nonostante una certa contrarietà locale degli abitanti dettata anche da uno stato di attenzione vulcanica che non è regredito: anzi...

Riferire che il progetto di trivellazione profonda sia esente da rischi è molto azzardato perché dire flegreo significa dire area metropolitana di Napoli, ovvero 550.000 abitanti. Tentare di raggiungere il magma superficiale (4 km) interagendo attraverso le trivellazioni in strati rocciosi dichiarati nell’ultimo lavoro scientifico fragili, è francamente incomprensibile e forse sconsigliabile, anche perché bisognerà trapanare porzioni di territorio ad elevata temperatura e pressione dei fluidi in quello che è considerato da tutti, ripetiamo,  un territorio ballerino e non certo per propensione artistica.

I Campi Flegrei godono di un livello di allerta vulcanica tarato sullo stato di attenzione, che potrebbe essere forse poca cosa nelle condizioni di unrest attuale. Nessuno è in grado di dirlo però, e a dirla tutta, attualmente in termini di allerta vulcanica, si sta campando un po’ alla giornata sperando che gli strumenti di monitoraggio non virino al rialzo…

Il progetto di sfruttamento geotermico denominato Scarfoglio (Solfatara), è oggetto dal 2015 a Valutazione di Impatto Ambientale a cura della commissione tecnica ministeriale incaricata di decidere sulla fattibilità e innocuità del progetto. Commissione a cui sono giunte tutte le osservazioni possibili ad oggetto trivellazioni e reiniezione dei fluidi in quell’area calderica, con relazioni non favorevoli di Mastrolorenzo e Vanorio e Ortolani e altri. Il CFDPP non prevede reiniezioni, ma trivellazioni accentuate in area vulcanica agitata sì. Le valutazioni del Ministero dell’Ambiente quando saranno pronte porteranno quindi ulteriori e nuovi elementi su cui riflettere anche da questo punto di vista (trivellazioni).

Se la valutazione del rischio eruttivo fosse solo una competenza scientifica, la diramazione dello stato di pre allarme e allarme sarebbe lanciato all’occorrenza dal direttore dell’Osservatorio Vesuviano. Ma non è così. Per contratto il monitoraggio dei Campi Flegrei è affidato all’INGV – OV classificato - Centro di Competenza - per gli affari vulcanici, i cui bollettini, analisi e indagini, sono leggermente imbavagliati da una clausola di riservatezza imposta dal dipartimento della protezione civile che invece decide livelli e fasi di allerta vulcanica  in seno alla presidenza del consiglio.

tavola allerta vulcanica e livelli decisionali
Il rischio però, per sua natura, non è la valutazione di un solo fattore critico per quanto importante. Il rischio prevede l’analisi di più fattori fisici, geochimici, statistici, filosofici, giuridici, meteorologico, compreso il modello di società e i livelli di garanzia e di valore assoluti che si assegnano alle popolazioni, anche in nome del diritto europeo (CEDU) e di precauzione… Tutti gli elementi che possono condizionare le scelte confluiscono quindi sui tavoli politici fino al primo dei politici, a cui è demandata l’unica estrema risposta possibile al pericolo eruttivo manifesto, cioè la dichiarazione dello stato di allarme con evacuazione preventiva della popolazione esposta.

Non essendoci eruzioni pregresse di riferimento, non sappiamo se lo stato di preallarme e allarme saranno dichiarati quando i precursori vulcanici incominceranno ad essere un elemento percepibile da uno dei cinque sensi e direttamente dalla popolazione. In questo caso si scatenerebbe il panico e qualsiasi piano di allontanamento, termine per chiarire che si procede in assenza di panico ovvero di pericolo palpabile, fallirebbe già nei primi minuti.
Guardate la strategia evacuativa prevista nel piano di evacuazione del Vesuvio: 500 Bus per portare gente dall’interno del vesuviano, ad alcuni punti posti fuori dalla zona rossa come ad esempio il cortile della stazione Trenitalia di Nocera. 500 Bus attaccati l’uno all’altro formano una colonna di 6 chilometri. Infilare una “supposta” di 6 chilometri in un culo per quanto grande da elefante (zona rossa), è praticamente impossibile. Se la si spezzetta questa colonna, formerà alfine un tappo… Allora?

In Italia non siamo riusciti a sconfiggere mafia e camorra, a gestire il fenomeno migratorio, a risolvere il problema della corruzione, ad avere una giustizia giusta, ad avere forze di polizia che siano di prevenzione e non di constatazione, una sanità che non lascia indietro nessuno, un fisco equo, l'integrità dei parchi e del territorio anche marino invece trivellato. Non siamo riusciti a combattere l’evasione fiscale, a risolvere i conflitti con le banche, a varare una legge elettorale degna di questo nome, una buona scuola che sia davvero competitiva e creativa, a creare posti di lavoro, a non vedere più figli all'estero per sopravvivere, a sconfiggere il caporalato, a sconfiggere l’abusivismo edilizio, le caste, i vitalizi, auto blu, ecc. L’elenco potrebbe continuare per molto ancora...

Noi siamo forse la protezione civile più bella del mondo, dicono. Sicuramente la più costosa. In termini di pianificazione e di manipolazione mediatica delle realtà siamo al top: all’epoca di Bertolaso del piano di emergenza Vesuvio si diceva che ci era addirittura invidiato  all’estero, come affermavano con piglio d’orgoglio gli addetti dipartimentali: eppure l’invidiato piano nazionale Vesuvio, mancava come oggi del piano di evacuazione…una piccolezza.

In questo contesto di ampia democrazia non molto partecipata ma subita, cosa vi fa ritenere che l’organizzazione scientifica e tecnica e politica salverà milioni di persone dal rischio vulcanico flegreo, vesuviano o ischitano? L'attuazione di un piano aritmetico di evacuazione? Il piano con certe premesse fallirà, ma la colpa sarà addossata al popolo popolino in preda al panico... 
E dov'è la prevenzione delle catastrofi se sui suoli d Bagnoli, in piena caldera, si possono costruire ancora palazzi e palazzoni per la mancanza di una legge anti edilizia residenziale? E l'abusivismo di necessità vale anche in zona rossa ad alta pericolosità vulcanica? Bisogna essere davvero degli inguaribili ottimisti per credere nella salvezza proveniente da questo modello effimero di società... Speriamo solo che l’evacuazione non si traduca magari dovesse verificarsi nel periodo estivo ad alberghi pieni, in un imbarco degli sfollati sui treni verso l’estero, come la monnezza…



giovedì 27 aprile 2017

Rischio Vesuvio: tsunami cementizio su Volla... di MalKo


Vesuvio da Napoli


Le ultime valutazioni del mondo scientifico circa la determinazione delle aree a maggior rischio vulcanico, hanno stabilito per il Vesuvio l’adozione della linea nera Gurioli quale limite d’invasione dei flussi piroclastici per eruzioni di livello intermedio energeticamente valutate con un indice di esplosività vulcanica (VE) 4 similmente sub pliniane. Tutto ciò che è all’interno di questo segmento curvilineo quindi, può essere spazzato via dalle terribili e micidiali nubi ardenti, cioè il fenomeno vulcanico più temuto in assoluto.

La linea Gurioli rappresenta allora il perimetro della zona ad alta pericolosità vulcanica. Una certificazione che è anche un azzardo statistico però, perché si basa sulla discutibile certezza che la prossima eruzione del Vesuvio non supererà il livello intensivo di una sub pliniana…

L’azzardo è tutto racchiuso in questo limite di deposito (linea Gurioli) trasformato in un limite di pericolo. Il problema grosso è che nella storia eruttiva del Vesuvio si contano anche alcune pliniane (VEI 5), come quella arcinota che seppellì Pompei circa 2000 anni fa, o quella che distrusse a nord gli insediamenti dell’età del bronzo approssimativamente 4000 anni fa. Eruzioni potentissime, i cui flussi piroclastici superarono di gran lunga l’attuale linea nera.

La demarcazione del limite di propagazione delle nubi ardenti ha assunto una valenza assurdamente deterministica, come se gli scienziati avessero colto dal profondo sottosuolo vesuviano, tutti gli elementi necessari per dare un valore quantitativo e qualitativo al magma stipato nelle camere magmatiche o nell’unica camera magmatica a circa 8 chilometri di profondità, fino al punto da poterne determinare con precisione il valore dirompente. La realtà è ben diversa e i limiti di una camera magmatica si colgono in una misura approssimata soprattutto sui contorni, perché i metodi d’indagine sono indiretti e quindi non privi d’incertezza interpretativa.

In assenza di elementi pragmatici, si è lasciato spazio al gioco statistico le cui percentuali non potranno mai darci la sicurezza matematica su quale sarà la reale tipologia eruttiva della prossima eruzione del Vesuvio. Eruzione, ricordiamo, che in ogni caso non potrà mai essere una fedele replica di quelle precedenti pur nel caso in cui le tecniche di previsione dovessero cogliere l’insorgere di energie con stima VEI 4. Le eruzioni vesuviane molto spesso si caratterizzano con un nome (Avellino; Pompei; Mercato; Pollena; Ottaviano) per alcune singolari caratteristiche certamente legate al livello energetico o al fenomeno predominante e ancora al livello di coinvolgimento del territorio interessato e ai prodotti aspersi, a testimonianza del fatto che ogni eruzione fa storia a sé stante.
Per poter meglio comprendere il concetto d’indeterminatezza della faccenda, ci aiutiamo con un esempio: se noi buttiamo più volte il contenuto di un secchio d’acqua in aria sopra la nostra testa, il liquido ricadrà e ci colpirà e si propagherà ad ogni secchiata con rivoli dall’andamento sempre dissimili… Se le secchiate sono poche è difficile ricreare una statistica particolarmente attendibile sul percorso delle lingue d’acqua, soprattutto se non conosciamo in anticipo se nel secchio ci sono 3, 4 o  5 litri di liquido e non sappiamo neanche l’altezza che raggiungerà l’acqua aspersa in cielo dalla nostra energia di lancio sempre diversa… e che può essere una VEI 3,9 oppure una VEI 4,2 una VEI 5 ecc.



In questo contesto non suffragato da certezze, il modus operandi delle istituzioni competenti sbilanciate interamente sul dato statistico utilizzato in senso deterministico, ha creato le basi per minare anche le auspicate pratiche di prevenzioni delle catastrofi che in ogni caso e purtroppo già non ci sono.

Entrando nel merito, l’immagine sottostante ci consente di apprezzare intanto il percorso della linea nera Gurioli e il tratto viola che rappresenta e circoscrive l’area entro la quale vige il divieto di edificare nel senso residenziale (zona rossa 1).


A sud est il segmento nero trapassa solo di qualche metro il comune di Scafati. Ebbene, in questo comune è possibile rilasciare licenze edilizie nonostante il fatto che in caso di allarme vulcanico bisognerà scappare gambe in spalla. Il comune di Scafati infatti, è classificato come zona rossa 2 perché in caso di ripresa dell’attività eruttiva sarà molto probabilmente bombardato da cenere e lapilli proiettati in aria dal vulcano e spinti ad est dalla direzione dei venti predominanti. Una situazione altamente critica che tra l’altro si verificherebbe in seno a qualsiasi tipo di eruzione: VEI 3, VEI 4 o VEI 5…

Poggiomarino invece, ha fatto un vero capolavoro apparentemente di pseudo furbizia: gli amministratori hanno stabilito una fascia di rispetto dalla linea nera Gurioli, talmente insignificante da coincidere quasi con la stessa linea nera. Mentre la regola prevedeva di utilizzare strade, fiumi o altro elemento di chiara determinazione geografica per tracciare una fascia di rispetto, la comunità amministrativa poggiomarinese ha utilizzato addirittura i confini poderali e infra poderali, praticamente intangibili, per riformulare il perimetro a rischio secondo la loro visione garantista a fronte delle imponderabilità vulcaniche. In altre parole la vera garanzia che si sono cercata, è stata solo quella di evitare su quanta più terra è possibile, la mannaia della legge 21 del 2003 che comporta la inedificabilità residenziale nelle zone classificate ad alto rischio vulcanico. E’ quasi inutile aggiungervi che a Poggiomarino, alla stregua di Scafati, si costruisce al di là della linea nera con licenza edilizia.

Spostiamoci adesso a nord ovest nel comune di Volla. Come vedete le caratteristiche sono simili a quelle di Scafati. Questo comune però, non rientra in alcuna catalogazione di rischio vulcanico. Probabilmente gode di un beneficio indiretto dettato dalla necessità politica di tenere fuori il segmento partenopeo comprendente per intero le municipalità di San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli. Infatti, Se avessero classificato come in effetti avrebbero dovuto, questi tre quartieri napoletani in zona rossa 1, alla stregua avrebbero dovuto inserire anche Volla. Stessa logica ma inversa se avessero considerato Volla zona rossa…

Cosa comporta l’esercizio di classificare il territorio secondo le logiche della politica è presto detto. Assumendo l’eruzione VEI 4 come quella massima possibile e, quindi, la linea nera Gurioli come un limite di pericolo certo, su Volla si è abbattuto, come recita il testo giornalistico, un vero tsunami di cemento

Che non si possa costruire una muraglia di appartamenti a ridosso della linea nera Gurioli doveva e dovrebbe essere una considerazione frutto del buon senso e della logica protettiva. Tra alcuni anni la scienza e anche quella che autorevolmente occupa le posizioni apicali all’interno della commissione grandi rischi, si accorgerà che oltre a tracciare una linea nera Gurioli si sarebbe dovuto parimenti segnare un ulteriore segmento più ampio del precedente, quale fascia di rispetto capace di colmare il fossato delle incongruenze statistiche e anche territoriali circa i territori percorribili dai flussi piroclastici o bombardati dalla ricaduta di cenere e lapilli.

La scienza avrebbe dovuto inoltre levare alta la sua voce sulle necessità di adoperarsi di prevenzione per scongiurare le catastrofi, senza limitarsi a dire che più tempo passa e più l’eruzione sarà violenta. Se così fosse, bisognava e bisogna dare un peso alle parole… e muoversi di conseguenza senza doversi piangere addosso, fra 100 anni, per gli errori commessi dalla politica e da una scienza afona che presenteranno l’assurdo conto di uno o più vulcani esplosivi sovrastati e asfissiati dalla megalopoli delle sirene...

C’è poi tutto il capitolo sull’abusivismo edilizio da sanare. Tutti i comuni e senza differenze, spingono (elezioni a breve) per una sanatoria generalizzata sull’abusivismo edilizio che costella anche il vesuviano zone rosse comprese. Lo Stato come valuterà il patrimonio abusivo ricadente anche nelle zone classificate ad alta pericolosità vulcanica?

L’argomento è complesso e cercheremo di trattarlo meglio nei prossimi articoli richiamando magari alcune proposte di qualche anno fa che prevedevano priorità nelle demolizioni; una proposta non soddisfacente perché non menzionava e non teneva in debito conto le criticità territoriali in cui l’abuso eventualmente ricadeva ovvero ricade…

sabato 25 marzo 2017

Vesuvio e Campi Flegrei: quale livello di allerta vulcanica?... di MalKo



Vesuvio da Castellammare di Stabia


Chi segue i nostri articoli, conosce la tabella concepita dal mondo scientifico per illustrare i vari livelli di allerta vulcanica che caratterizzano sinteticamente lo stato geologico di un vulcano.

I passaggi da un livello all’altro non avvengono sulla scorta di valori geofisici e geochimici ben determinati, anche se possiamo dire che il primo livello di allerta, cioè lo stato di attenzione vulcanica, viene sancito senza particolari sofferenze. Non si può dire la stessa cosa per il preallarme e l’allarme, anche perché questa più che preoccupante condizione non è stata mai diramata ufficialmente, né per il Vesuvio e né per i Campi Flegrei. Sarebbe un’esperienza scientificamente e operativamente parlando totalmente nuova…


In linea generale possiamo dire che il livello base è quello che caratterizza un’attività di fondo definibile normale per un distretto vulcanico quiescente. Vale a dire che le possenti forze endogene che ci sono e comunque in una qualche misura si monitorano, riescono ad essere contenute con una certa disinvoltura dalle forze statiche che le sovrastano, in termini di peso e di consistenza della coltre crostale. Il livello base però, non significa automaticamente un livello di pericolosità zero, bensì solo basso… Il Vesuvio attualmente rientra in questa classificazione.

La fase di attenzione vulcanica indica che uno o più parametri che contraddistinguono la quiescenza sono cambiati, il che può sottintendere un processo di riequilibrio delle forze interne o diversamente che il magma grazie alla sua temperatura, densità e pressione, inizia a premere e a insinuarsi dal fondo sulle rocce sovrastanti comprensive di magma degassato, fratturandole, inducendo terremoti, riscaldando e rilasciando dei gas che trapelano in superficie, soprattutto se le masse crostali hanno una notevole fratturazione… Il distretto vulcanico e metropolitano dei Campi Flegrei,da quasi 5 anni è in una condizione geologica di attenzione vulcanica.

Se l’incedere del magma, a volte con andamento impulsivo, non perde vigore e i dati sismici, e di temperatura e di composizione dei gas fumarolici, così come la deformazione del suolo, lasciano registrare un incremento seppur minimo ma progressivo e al rialzo dei valori precedentemente registrati, si passa a un livello di allerta vulcanica di pre allarme.

Una ulteriore variazione dei parametri monitorati con deformazioni, e sismicità e tremori sempre più insistenti, possono dettare il passaggio alla drammatica fase di allarme vulcanico.
La tabella in alto a cui facevamo riferimento all’inizio, ci evidenzia che l’utilizzo del plurale a proposito dei parametri monitorati è una costante fissa, anche se riteniamo che l’argomento possa essere oggetto di qualche osservazione: ad esempio se dovesse cambiare solo la sismicità locale in termini di intensità e frequenza, dovrebbe essere difficile non ritenerlo un parametro che già da solo vale almeno un pre allarme… Qualsiasi passaggio di livello di allerta comporta certamente l'analisi di dati strumentali che devono comunque essere corroborati  da valutazioni da parte dei componenti della commissione grandi rischi - settore rischio vulcanico -  e dal rappresentante dell'Osservatorio vesuviano (Centro di Competenza) e probabilmente da altri esperti del settore. Non ci sono soglie strumentali ovvero automatismi per il passaggio da una fase all'altra dell'allerta.

I vulcani non hanno una ritualità pre eruttiva standard e riservano sorprese. Questo è il grande problema di fondo della previsione delle eruzioni. L’eruzione del vulcano Mount St Helens nel 1980, avvenne quando i terremoti si sedarono e il pericolo eruttivo sembrava oramai quasi scongiurato. Il vulcano Rabaul con la sua caldera simile ai Campi Flegrei, eruttò con un preavviso inferiore ai due giorni…

Nella vecchia pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana, la componente scientifica costituita prevalentemente dall’Osservatorio Vesuviano, citava come dati di riferimento per la variazione dello stato di allerta vulcanica 7 livelli di rischio, affiancati dai rispettivi tempi di attesa eruzione (tavola in basso).


 

Il dato che si coglie in questa classificazione, è una razionalizzazione dell’incedere dei prodromi vulcanici ad andamento modicamente progressivo. Una condizione diciamo subito ideale da un punto di vista operativo, ma purtroppo e nella realtà, senza una sicura corrispondenza della progressività dei fenomeni che, pochi lo dicono, possono di fatto far passare il livello da un'allerta all'altra più velocemente dei tempi necessari per mettere in piedi un conclave scientifico.

La comunità scientifica certificò nel 1995 che un’eruzione del Vesuvio era preventivabile con un anticipo di 20 giorni: il dato desta sicuramente qualche perplessità. Bisognava riflettere poi, che una cotale previsione ottimistica del fenomeno vulcanico vertente non si sa su quali soglie di riferimento, poteva funzionare pure nel senso opposto, cioè che era possibile escludere un’eruzione nei successivi venti giorni a venire.

Successivamente a questa prima relazione scientifica, nelle elaborazioni strategiche delle pratiche di difesa della popolazione vesuviana dal rischio vulcanico, si è cominciato a sancire in 14 giorni il tempo intercorrente tra la previsione dell’eruzione e l’eruzione stessa. Questi 14 giorni si pensò poi di dividerli tra preallarme e allarme e, quindi, si ritenne in 7 giorni il tempo utile intercorrente tra l’allarme e l’eruzione.

Un piccolo aneddoto: al livello di rischio 4 III fase (allarme), l’Osservatorio Vesuviano nell’anteprima dei livelli di allerta a proposito dei tempi di attesa eruzione scrisse: da alcuni giorni a settimane. Dalla città di Portici segnalammo all’Osservatorio Vesuviano che, con tempi d’attesa eruzione misurati in un minimo di alcuni giorni, misura che può anche equivalere a due giorni, c’erano seri problemi di fondo nella strategia di allontanamento, perché il piano di evacuazione contemplava un minimo di 7 giorni per spostare le popolazioni dall’area vesuviana. Arrivò subito la correzione che stabiliva un tempo minimo di attesa eruzione al rischio 4 III fase, misurato in una settimana…

L’attualità invece, con grande meraviglia è addirittura più stringente sui tempi e più efficiente nelle pratiche evacuative (Vesuvio). La previsione del fenomeno vulcanico infatti, potrà contare oggi su un anticipo predittivo di solo 72 ore.  Perché per l’applicazione dei piani di allontanamento della popolazione hanno ritenuto sufficiente 48 ore. Tutto calcolato allora! 12 ore per organizzarsi; 48 ore per traghettare altrove le 800.000 anime vesuviane e le rimanenti 12 ore sono considerate grasso che cola, una sorta di surplus a disposizione per recuperare qualche ritardo accumulato…

I Campi Flegrei oggi sono stati fagocitati urbanisticamente e territorialmente dall’area occidentale metropolitana napoletana. Nel vascone calderico flegreo dimorano circa 550.000 abitanti. Le recenti sintomatologie di instabilità geologica hanno creato apprensione nella comunità che solo oggi scopre di vivere in un vulcano.

Già negli anni 70’ e 80’ i Campi Flegrei balzarono alla ribalta con il famoso bradisismo, che all’epoca non si collegava tantissimo con l’ascesa del magma, col rischio eruttivo per intenderci, tant’è che spostarono alcune migliaia di abitanti dai vecchi caseggiati del Rione Terra ai nuovi insediamenti di  Monteruscello, località ubicata sempre all’interno del comune di Pozzuoli. Cioè da zona rossa a zona rossa…

Ai Campi Flegrei esistono alcune tesi per giustificare il sollevamento dei suoli. Sinteticamente: vapore soprassaturo che gonfia gli strati mediamente superficiali; intrusioni magmatiche che si spingono verso la superficie; oppure una miscellanea di entrambi i fattori con la prevalenza a volte di uno a volte dell’altro.

Il vulcano Popocatepetl (Messico), è alto 5452 metri e in cima ha una corona di ghiacci perenni. Dal 1538 si contano 18 eruzioni.

Il Cenapred e il Sinaproc, cioè il Centro Nazionale per la Prevenzione delle Catastrofi e il servizio nazionale della protezione civile messicana, hanno messo a punto da tempo e per la tutela dei cittadini, una sorta di semaforo di allerta vulcanica.

Troviamo in questo caso molto interessante quello che capeggia sulla parte gialla che riguarda la fase di Alert, corrispondente alla nostra attenzione: remain aware and get ready for a possible evacuation (Bisogna essere consapevoli e preparati per una possibile evacuazione).

I Campi Flegrei sottoposti a un livello di allerta gialla, cioè di attenzione, di recente hanno destato preoccupazioni soprattutto a cavallo di alcuni sciami sismici. In questi giorni la stasi geologica sembra mantenere: Il suolo non ascende e non cala; la temperatura alle fumarole di Pisciarelli segna stabilmente 112° C. e l’emissione di anidride carbonica si mantiene costante senza alcuna accelerazioni. Ma non ci si può illudere che il respiro del vulcano si sia nel breve esaurito. C’è chi afferma che l’eruzione del Monte Nuovo del 1538 sia stato l’evento foriero della ripresa eruttiva dei Campi Flegrei, e non il rantolo finale dell’attività vulcanica.

Ci si chiede allora se qualche mese fa eravamo nei Campi Flegrei ai limiti dello stato di preallarme. Da un punto di vista tecnico possiamo affermare che lo stato di preallarme è già insito potenzialmente nello stato di attenzione vulcanica che  comunque ha un suo range oscillativo.
Valga allora e alla stregua, il concetto espresso dal manifesto per il Popocatepetl: si tenga presente la possibilità che dallo stato di attenzione vulcanica si possa passare a una fase di allarme vulcanico nel volgere di pochissimo tempo. Già nella fase gialla allora, bisogna essere preparati per un’evacuazione, e francamente noi non lo siamo mentalmente, scientificamente, tecnicamente, politicamente e operativamente.

C'è anche qualche stranezza, come ad esempio l'accordo che  l'Osservatorio Vesuviano ha stipulato con il Dipartimento della Protezione Civile a proposito dei dati di monitoraggio vulcanico su cui pesa in modo antidemocratico una clausola di segretezza (censura?). Come del resto è inspiegabile e insopportabile che i dati sismici che potrebbero essere diffusi online in tempo reale, subiscano invece un ritardo di pubblicazione di dieci minuti: la sismicità è il principale elemento di previsione del pericolo eruttivo...
Che poi non ci sia nessuna organizzazione di protezione civile per fronteggiare con metodo e disciplina un allarme vulcanico anche nella zona flegrea è un fattore di una gravità assoluta. Ma è anche un dato che non riesce ad emergere in assenza di pericolo...