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domenica 23 marzo 2025

Il super vulcano dei Campi Flegrei: le nuove fasi operative e i nuovi livelli di allerta vulcanica... di MalKo

 

Il vulcano Solfatara - Le stufe - Pozzuoli


La problematica delle emanazioni gassose dal sottosuolo è ben presente nei territori vulcanici dei Campi Flegrei, e si registra soprattutto nell’area puteolana e nei territori viciniori. Il lago d’Averno (Avernus) per esempio,  era noto fin dall’antichità storica per il fatto che gli uccelli evitavano quel luogo per le notevoli e nocive esalazioni pestilenziali che si liberavano dal lago insieme all’anidride carbonica che però è inodore. 

I pesci, hai loro, non potendo evitare la permanenza in questo luogo mitico oramai chiuso al mare, purtroppo e non raramente capita, oggi come ieri, che muoiano in una certa quantità, per effetto delle esalazioni di idrogeno solforato: prodotto quest'ultimo altamente tossico per gli organismi acquatici, che si libera dal profondo del lago, soprattutto dopo  sussulti sismici. Le emanazioni gassose in terra flegrea erano un fenomeno conosciuto da tempo immemore, e sono tuttora una caratteristica della zona. 

Nel comprensorio dei Campi Flegrei, e soprattutto nel puteolano e nel napoletano occidentale, succede che l’anidride carbonica rilasciata dalla massa magmatica si fissa alle rocce porose e si mescola all’acqua circolante nel sottosuolo per effetto delle pressioni. Con lo shakeraggio crostale assicurato dagli sciami sismici poi, si verifica un aumento della quantità di prodotto gassoso che riesce a liberarsi dai fluidi e dalle sacche di accumulo, che alcuni lavori scientifici posizionano prevalentemente a circa 4 km. Da qui i gas confluiscono fino in atmosfera, attraverso le macro e micro fratturazioni crostali, sospinti dalla notevole pressione di giacimento. Una volta all’aperto, in assenza di ulteriore spinta motrice, l'anidride carbonica residua ristagna al suolo, visto che il peso specifico di questo gas è superiore a quello dell’aria soprattutto se è freddo.

Il rilascio di anidride carbonica è una costante in questi territori flegrei, che registrano emanazioni gassose nell'aria molto accentuate, addirittura in aumento negli ultimi decenni, secondo parametri che sarebbero più affini a un vulcano attivo piuttosto che quiescente. La preoccupazione sussiste non solo per le intrusioni dei gas che si liberano dal terreno e trapelano nell'aria, ma soprattutto quando riescono a infiltrarsi in ambienti confinati, come possono esserlo cantine, e sottoscala, garage e seminterrati, soprattutto in quelli che presentano pavimenti in terra battuta, oppure con spessori minimi di copertura del suolo realizzato con cemento ancorché segnato da lesioni o dotato di fughe perimetrali evidentemente dilatate. Anche i vespai a pietre possono diventare vie di propagazione per questo gas, che è pericoloso anche in ambienti confinati per il solo perimetro laterale pur in assenza di una copertura. I pozzi scavati in zona poi, possono essere il luogo ideale per la concentrazione di questo gas.

Per motivi di sicurezza il pericolo rappresentato dall’anidride carbonica stagnante non può essere sottovalutato ma neanche drammatizzato, soprattutto se si conosce la problematica e si dimora lontano dalle sorgenti di emissione più importanti, come può essere la zona di Pisciarelli e della Solfatara e in alcuni punti della conca di Agnano. Ci sembra poi che sussista una certa corrispondenza tra il perdurare degli sciami sismici che scuotono la crosta chilometrica, cosa che reca seco nuove fratture, e la dispersione del prodotto gassoso in superficie. Quindi l'attenzione deve essere massima in questi frangenti, anche perché il problema può presentarsi pure dove prima non c'era, atteso che la crosta della caldera è lesionata, sfibrata e ammollita. 

L’anidride carbonica trattandosi come detto, di un gas più pesante dell’aria, tende a stagnare sul fondo del "contenitore", depositandosi con altezze crescenti, soprattutto quando sul punto di immissione c'è ancora pressione residua e il gas non riesce a trovare vie di fuga dall'ambiente in cui è penetrato. Se le emanazioni gassose defluiscono all’interno di un avvallamento del terreno, o comunque in una palese depressione del piano campagna, il rischio asfissia potrebbe estendersi a tutta la superficie concava in assenza di ventilazione. 

Presumibilmente il maggior deflusso dell’anidride carbonica dal terreno o dalle polle o dalle fessurazioni, si dovrebbe riscontrare e per i motivi addotti in precedenza, in concomitanza con i fenomeni sismici maggiormente energetici. Ricordiamo alla stregua la bottiglia di acqua frizzante sbatacchiata: il gas contenuto nel liquido tenderebbe a dissociarsi generando pressione tra lo strato d’acqua e il tappo. In questo caso la resistenza della bottiglia conterrebbe la pressione del gas: se aprissimo il tappo o lesionassimo l’involucro però, ci sarebbe una repentina fuoriuscita dell’anidride carbonica al punto da generare un effetto dirompente e adescante che richiamerebbe anche liquido verso l’esterno…

Intanto occorre precisare che l’anidride carbonica non è un gas infiammabile e neanche tossico, tant’è che lo gradiamo nelle bibite e lo si usa pure nell’antincendio. La sua azione deleteria è rapportata al fatto che, occupando uno spazio confinato anche, come detto, solo perimetralmente, il gas si sostituisce progressivamente e per accumulo all’aria scacciandola da quell’ambiente. In questo caso tutti gli esseri viventi che generalmente utilizzano l’ossigeno presente nell’aria per respirare, avrebbero difficoltà crescenti a sopravvivere, se lo spazio entro cui si sono introdotti è appunto pieno di gas asfissiante, che in tutti i casi in condizioni di  abundantiam  potrebbe legarsi al sangue per difetto di circolo respiratorio.

Non molti anni fa perì una famiglia di turisti in visita alla Solfatara, perché si calarono in un misurato anfratto del terreno per porre in salvo il figlio che era accidentalmente caduto nel fosso. Morirono tutti e tre  velocemente secondo alcune disastrose logiche (like a stroke of lightining), che vedono i soccorritori soccombere a catena se non intuiscono subito la natura del pericolo gassoso: in quel buco l’anidride carbonica era a un livello di totale saturazione, e quindi non ci fu scampo. Sembrerà strano, ma il 50% delle morti per accesso in ambienti invasi da gas riguarda proprio i soccorritori improvvisati che agiscono d'istinto per nobile altruismo, mentre il rimanente 50% dei decessi è in capo alle vittime.

In caso di forti concentrazioni di questo gas poi, neanche con le maschere a filtri specifici ci si può garantire la sopravvivenza, perché la carenza di ossigeno sotto il 16% darebbe origine in ogni caso a problemi respiratori crescenti. Probabilmente utilizzando un estrattore assiale con tubo aspirante posizionato a pochi centimetri dal suolo, capace di convogliare all'esterno dei locali sottoposti alla strada gli inquinanti contenuti nel vano, potrebbe essere una soluzione per mitigare il problema. Ancora meglio se l'accensione del dispositivo sia automatica e quindi azionato da un rilevatore di gas con allarme sonoro.

L’anidride carbonica oltre ad essere un gas asfissiante, ha anche prerogative di attacco alle strutture in calcestruzzo, attraverso fenomeni di degradazione di malte e ferri dovuti anche al fenomeno della  carbonatazione e pure della solfatazione che accelera processi di espansione dirompenti e fessurazioni che deteriorano malte e tondini acciaiosi che attraversano travi e pilastri. Un processo di degradazione che può avere una certa importanza, soprattutto se i manufatti sono ubicati nelle zone prossime alle sorgenti vulcaniche che rilasciano appunto anidride carbonica e idrogeno solforato. Sul litorale poi, concorre anche l’opera di degradazione dettata dalla salsedine, soprattutto se sono carenti le manutenzioni protettive delle superfici ferrose e in cemento armato. Questo vuol dire che nei Campi Flegrei l’attenzione a queste problematiche dovrebbe essere puntuale e doverosa attraverso la realizzazione di opere di buona qualità.

La commissione grandi rischi d’intesa col dipartimento della protezione civile, ha in corso di elaborazione i nuovi livelli di allerta vulcanica, che contemplano in primis tra i pericoli naturali presenti nei Campi Flegrei, quello vulcanico, ma anche il fenomeno delle emanazioni gassose dal sottosuolo, il sollevamento del suolo e gli eventi simici. La novità di questa tabella dei quattro colori che si diversificano nel giallo e nell'arancione per due caselle aggiunte, riporta pure lo stato del vulcano. Un metodo per definire pur rimanendo nell'ambito delle incertezze, una pericolosità a scalare, utilizzando degli intermedi riferibili alla intensità dei fenomeni registrati, le cui tendenze non sono preventivabili.


I nuovi livelli di allerta vulcanica

Questi nuovi livelli di allerta hanno un pregio: dimostrano intanto una cosa determinante e che fino a ieri era considerata impronunciabile soprattutto dal comitato partenoflegreo. La sismicità, il sollevamento del suolo e quindi il rilascio più o meno massivo di gas di origine magmatica come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato, vengono interpretati di fatto come possibili precursori di un’eruzione vulcanica, e non di fenomeni a sé stanti che esulano dal rischio eruttivo. D'altro canto il piano elaborato per fronteggiare il bradisismo coi suoi 3 livelli d'intervento, è un piano post evento, che si rifà ai danni strutturali e infrastrutturali inflitti all'edificato dalle inclemenze geologiche, leggasi sismicità indotta dal bradisismo, senza per questo chiamare in causa alcun rapporto o nesso col rischio vulcanico, in quanto i bradosostenitori non contemplano alcuna implicazione del magma, che lo collocano più o meno staticamente localizzato a oltre 8 chilometri di profondità. L'ultimo lavoro scientifico invece (Tracking the 2007–2023 magma-driven unrest at Campi Flegrei caldera (Italy)), chiarisce tra le ipotesi, che non è possibile escludere la presenza di magma a circa 4 chilometri di profondità.  Il confronto scientifico sulla profondità del magma e sulle cause del bradisismo è tutt'ora aperto.

Tra i colori è stata aggiunta pure la colonna:<< Tempo di persistenza previsto nel livello (grado di incertezza)>>, che nelle vecchie tabelle dei primi anni novanta veniva chiamato tempo attesa eruzione. Non si riportano soglie ben definite oltre la quale far scattare il gradino successivo di allerta, anche perché il Prof. Coccia, presidente della commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, ha chiarito che ci sono ancora molte incertezze da dissipare. 

Questa nuova tabella potrebbe rispondere meglio alle esigenze informative da garantire alla popolazione, perchè ricorda a molti che l'area flegrea è multi rischi. Diciamo subito che nonostante l’ampliamento della legenda all’interno dei colori, in realtà da una prima lettura ci sembra di capire che la condizione di disequilibrio medio (giallo II), e quella di disequilibrio forte (Arancione I), in una qualche misura  quasi si equivalgano, e quindi sono comprensibili i timori dei cittadini.

La sensazione che si riceve è quella che l’autorità scientifica nella sua massima conformazione che è appunto quella della commissione grandi rischi, voglia sottolineare tutte le problematiche esistenti nei Campi Flegrei senza nascondere una certa incertezza sulla valutazione dei fenomeni potenziali o in atto, dovuta alla mancanza di soglie strumentali da comparare agli episodi eruttivi precedenti che vanno molto indietro nel tempo. Nella riunione di presentazione dei nuovi livelli, non sono state palesate certezze e  rassicurazioni, perché in esame c'è un'area che si caratterizza per un sottosuolo sub calderico dinamico e complesso. In tutti i casi le autorità confermano la vigilanza scientifica diuturna dell'area, effettuata con strumenti all'avanguardia. Sembrerà strano, ma questa è la prima volta che si inizia a scrivere la prima pagina del registro delle dinamiche dei disequilibri geologici che caratterizzano il sottosuolo dei Campi Flegrei, utilizzando precisi dati strumentali..  

Il dipartimento della protezione civile invece, vuole soprattutto condividere con le amministrazioni locali e con le popolazioni insediate nella caldera, tutti gli aspetti che accompagnano la stesura di questi nuovi livelli e con essi le indicazioni contenute nelle fasi operative: certamente come atto dovuto, ma anche per evitare critiche a posteriori raccogliendo magari e nel contempo pure qualche  suggerimento utile.    

Nell'insieme il quadro istituzionale potrebbe essere riassunto come segue: le autorità scientifiche e dipartimentali sono consapevoli di tutta la fenomenologia che caratterizza la caldera flegrea. In assenza di soglie strumentali però, una certa e importante discrezionalità valutativa per stabilire il passaggio tra i vari livelli di allerta vulcanica, come sempre rimane necessariamente manuale e a cura degli esperti della commissione grandi rischi… Sulla scorta di questi nuovi livelli, è stata pure abbozzato il prospetto delle fasi operative strettamente legate all’evoluzione dei livelli di allerta vulcanica.

Nuove Fasi operative

Un dato che emerge è quello che la direzione comando e controllo (DICOMAC), si riunirebbe in misura ridotta nella fase di primo preallarme arancione, che andrebbe a caratterizzarsi per un forte disequilibrio geochimico e geofisico del vulcano. In questo caso l'operatività della DICOMAC, sarebbe finalizzata a gestire le attività di messa in sicurezza dei beni culturali, e lo sfollamento di ospedali e carceri, ma anche della popolazione che decide di allontanarsi per utilizzare il CAS, cioè il contributo di autonoma sistemazione, che si attiverebbe appunto nel primo livello arancione.
Nel secondo livello arancione invece, cioè di disequilibrio molto forte del vulcano, la DICOMAC sarebbe al completo, e in questa fase si allontanerebbero le popolazioni gravanti nelle zone a maggior rischio a fronte di tutti i fenomeni menzionati nei nuovi livelli. Con l'allontanamento spontaneo della popolazione al raggiungimento del primo livello arancione, e a seguire col secondo livello arancione, di tutti i residenti dimoranti nelle zone a maggior pericolo previsto nella fase successiva, si ridurrebbe di molto il numero complessivo degli abitanti da evacuare allo scattare di una possibile fase di allarme geberale.

Secondo il dipartimento della protezione e la commissione grandi rischi, lo stato attuale del super vulcano Campi Flegrei, caratterizzato da una serie di fenomeni accentuati, naturali perduranti, è più correttamente classificabile come una condizione di disequilibrio medio; in altre parole, il livello di allerta vulcanica attuale, ha raggiunto pur permanendo nel giallo, il massimo livello di attenzione.

Interessante pure il dato riferito dal capo dipartimento della protezione civile, circa una interlocuzione congiunta del dipartimento, con la commissione e con i sindaci flegrei, in modo da condividere il work in progress scientifico e tecnico con gli amministratori deputati alla gestione del territorio, che purtroppo ancora non prendono provvedimenti per limitare l’urbanizzazione anche fuori dall’area bradisismica… 

Nel paesi vesuviani, quando fu varata la legge (21/2003) che proibiva la realizzazione di nuove opere ad uso residenziale nella istituita zona rossa, subentrò il boom cementizio nei paesi immediatamente confinanti con essa. Comuni come Scafati, Poggiomarino e Volla ad esempio, hanno scoperto l'oro grigio grazie ai vesuviani che cercavano casa in luoghi prossimi ai nuclei familiari storici, oramai ricadenti nella zona a massima pericolosità vulcanica. Questi cittadini si accontentarono e si accontentano di acquistare residenze in zone soggette, in caso di eruzione, a massiccia pioggia di cenere e lapilli, senza contare la beffa, semmai e come si presume, che si debba allargare la zona rossa per una rivalutazione del rischio pliniano: in tal caso non pochi si ritroverebbero di nuovo al punto di partenza. 

Nel flegreo, in assenza di un decreto regionale simile a quello vesuviano che dovrebbe riguardare l'intera zona rossa vulcanica, si tenterà di acquistare o costruire o ricostruire abitazioni appena fuori dalla zona rossa bradisismica, perché negli ultimi anni è passato il concetto che tutti i problemi geologici nei Campi Flegrei ruotano per intero  intorno al Rione Terra di Pozzuoli e zone limitrofe. 

La logica vorrebbe che se le autorità scientifiche e amministrative abbiano certezze in tal senso, così come sulla portata dell'eruzione futura, indicata da alcuni autorevoli personaggi come simile a quella del 1538, sarebbe il caso di procedere al ridimensionamento della zona rossa vulcanica flegrea, per evitare palesi contrasti tra la vigente classificazione della zona come ad alta pericolosità, senza provvedimenti amministrativi e conseguenziali capaci di mitigare attraverso la prevenzione il rischio eruttivo. 

In realtà non è possibile aspettare che prima si abbattano e si costruiscano in zone contigue i palazzi inabitabili della zona bradisismica, o che si accendano tutte le betoniere in quel di Bagnoli prima di imporre divieti al cemento residenziale per dare spazio al progetto di riqualificazione dell'ex area industriale, che rimane e fino a prova contraria, ad alta pericolosità vulcanica. D'altro canto e spiace dirlo, servono a poco pure i sit-in di protesta o le occupazioni delle sedi comunali, perché il problema è scientificamente irrisolvibile, in quanto i fattori naturali non possono essere piegati alle necessità della collettività stanziale. Quindi non è possibile dare certezze assolute in quest'area che appartiene al super vulcano: non ci sono garanzie, e quindi neanche l'apertura del portafoglio governativo con un sisma bonus rinforzato  può assicurare quella auspicata resilienza al riparo dai molteplici rischi insiti in questi territori ballerini...

Da un punto di vista della prevenzione strutturale del bradisismo, e solo del bradisismo, alcuni ricercatori suggeriscono la realizzazioni di pozzi e similari, da realizzare nel sottosuolo flegreo, più o meno a una quota d’interfaccia tra magma e spazio occupato dai gas ( 3 - 4 Km.), in modo da degassare il sistema, riducendo così la spinta crostale verso l'alto. In altri casi si propone il prosciugamento in alcuni siti delle acque che caratterizzano la circolazione sotterranea, in modo da togliere, più o meno e concettualmente, acqua alla caldaia magmatica che la trasforma in vapore surriscaldato. 

Nel primo caso riteniamo, e solo come opinione, che sarebbe un po' rischioso realizzare strutture degassificanti, classificabili come una sorta di sfiatatoi, magari perché i luoghi in questione sono fortemente urbanizzati e disequilibrati e già sottoposti a rischio alto di eruzioni freatiche. D’altro canto poi, il prelievo delle acque calde e fredde circolanti nel primo sottosuolo chilometrico, proposta questa fortemente innovativa, forse potrebbe presentare delle criticità ambientali, perché le acque emunte potrebbero modificare equilibri, e in tutti i casi potrebbero non essere idonee all'aspersione sui terreni o nel mare in quanto inquinate.  







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