Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma visti da est |
Quando
si dimora in un’area vulcanica quiescente, come può essere il Vesuviano o il Flegreo,
l’insorgere di terremoti accresce il desiderio di documentarsi: il maglio
litosferico per quanto snobbabile cattura sempre attenzione, perché a
differenze delle anomalie geochimiche piuttosto puntiformi, i sussulti sono
percepiti direttamente dalle popolazioni. Scettici e meno scettici allora, per
sedare un minimo d’ansia o di curiosità, cercano sul web notizie sulla possibilità
eruttiva, magari accedendo a siti alla dagospia,
contenenti, a cura di presunti beninformati, le verità più nascoste su quello
che la natura ha in serbo nel sottosuolo…
Occorre
dire in proposito, che il sentire comune parte dalla convinzione che le
autorità non dicono e né tantomeno diranno la verità sulla reale pericolosità
del Vesuvio o del super vulcano flegreo, per non scatenare il panico. Effettivamente
la tendenza governativa è quella di non generare paure, tant’è che il Dipartimento
della Protezione Civile ha stilato un protocollo d’intesa con l’Osservatorio
Vesuviano, che prevede la trasmissione dei dati geochimici e geofisici ad
oggetto i vulcani napoletani, secondo procedure di riservatezza tanto più
stringenti quanto maggiori saranno le perplessità del mondo scientifico sul
reale stato di allerta vulcanica. Sarà il Dipartimento poi, a valutare tempi e
modi per notiziare i sindaci e le popolazioni, qualora il progredire dello
stato di irrequietezza dei vulcani dovesse assurgere a livelli preoccupanti.
Sull’argomento
possiamo affermare con una certa sicurezza, che in realtà sussiste un fattore
di oggettiva insondabilità su quello che succede nelle viscere dei due
distretti vulcanici in questione, ma lo stesso vale anche per l’isola d’Ischia,
un luogo che oltre alla bellezza racchiude come contrappasso un concentrato di
problematiche di ordine naturale, come il rischio sismico e quello
idrogeologico che si sommano a quello vulcanico ancora poco esplorato.
Gli
scienziati possono quindi diffondere i dati strumentali che riguardano i
parametri di monitoraggio dei vulcani, magari accompagnandoli con il loro motivato
parere che sarà inevitabilmente corredato dai forse, ma nessuna previsione sul
lungo periodo è possibile trarre oggi dalla tecnologia strumentale, e qualsiasi
azzardo in tal senso difficilmente verrebbe avallato dalle istituzioni
competenti. I terremoti isolati o a sciami, nel
flegreo ma ultimamente anche nel vesuviano, non sono una rarità, e a cosa
preludano, ancorchè si profilano da un sottosuolo ribollente, è impossibile
accertarlo.
L’origine
dei terremoti vulcanici appartiene ai dinamismi litosferici di cui il magma insinuandosi dal profondo rappresenta un aspetto sicuramente caratterizzante, accumulandosi nella o nelle camere magmatiche, secondo ritmi sconosciuti e non lineari, che non consentono di
decifrare in anticipo i cambiamenti, con l’amalgama incandescente che si
riassesta, a volte diramandosi orizzontalmente e altre volte ancora spingendosi
verso l’alto sotto forma di intrusione fermandosi ad alcuni chilometri dalla
superficie.
Nel
1984 nei Campi Flegrei i terremoti si contarono a migliaia e il sollevamento
del suolo si misurava a decine di centimetri: dopo un allarmismo generalizzato vicinissimo
all’allerta rossa, la situazione retrocesse a un livello di quiete. Bisogna dire però, che nel 1984 il bradisismo
era considerato un fenomeno abbastanza localizzato e a sé stante, e il timore
maggiore per le autorità scientifiche era l’incalzare dei terremoti e quindi la
statica dei fabbricati. Quegli stessi fenomeni, nell’odierno, avrebbero
comportato una diversa valutazione della situazione e, nella migliore delle
ipotesi, sarebbe stato diramato lo stato di pre allarme vulcanico…
Quindi,
salterellando nella rete si potranno al massimo carpire dei punti di vista
senza alcuna certezza sui tempi che mancano al ripresentarsi di un’eruzione, ed è tutto frutto della statistica l'individuazione della tipologia massima eruttiva che in futuro dovrà essere
fronteggiata, con indici di intensità destinati ad aumentare col trascorre del tempo.
Nel
campo vulcanico non si può fare gossip, e a ogni sciame sismico o altra
anomalia geochimica e geofisica, peggio ancora se accoppiate, si trattiene un po' il fiato, alla stregua del rimescolamento dei 5 dadi in un bicchiere: prima ancora
di un valore, piaccia o non piaccia siamo in presenza di una grande incognita…
Il
secondo elemento riguarda il piano d’emergenza, ovvero di evacuazione, a cui
non si presta attenzione un po’ perché ancora non c’è, e un po’ perché non si
crede nella disciplina dei conterranei nei frangenti di pericolo.
Anche
in questo caso, nel sentire comune è diffusa la consapevolezza che in caso di
necessità a prevalere sarà l’anarchia comportamentale, dove ognuno
presumibilmente e sul momento di massimo allarme, elaborerà autonomamente la strategia
migliore per allontanarsi, secondo percorsi che riterrà in quel momento maggiormente
efficaci per mettersi al sicuro senza badare al prossimo.
Ovviamente
per poter raggiungere il successo evacuativo in una
condizione diffusa di affollamento veicolare, è necessario anticipare l’antagonista che poi è il vicino di casa,
i condomini del palazzo, la gente del rione e del quartiere e la popolazione comunale:
ci si muoverà con audacia e forse arroganza, per guadagnare in strada e ad ogni
incrocio la pole position.
Per
schierarsi per primi in posizione di partenza, è necessario muoversi senza
indugi e conoscere la viabilità ma anche le strategie su cui è stato costruito l’impalco
del piano d’emergenza: non conoscere il territorio e le regole penalizza
enormemente. Innanzitutto bisogna entrare nelle logiche dei livelli di allerta
vulcanica che contraddistinguono una scala a diversa pericolosità. Bisogna poi
tenere presente, come già accennavamo in precedenza, che l’evacuazione si basa su
concetti probabilistici, della serie prevediamo di prevedere.
Anche
il passaggio da un livello all’altro è assolutamente imprevedibile come
tempistica, cosa tra l’altro solo recentemente chiarita dal Dipartimento della Protezione
Civile. I passaggi di livello potrebbe caratterizzarsi per il salto di un colore: ad esempio da
attenzione ad allarme, o permanere a un medesimo livello per anni, come succede
ai Campi Flegrei, dove lo stato di attenzione fu dichiarato nel 2012 e persiste
ancora oggi. In sei anni occorre dirlo, i dubbi su cosa bolla nella caldera
flegrea sono tutti intatti e ben custoditi nell’enigmatico sottosuolo
chilometrico.
Per
capire bene alcuni dei concetti espressi in precedenza, bisogna partire dal
presupposto che il piano di evacuazione
è tarato su un tempo di 72 ore, perché
le autorità dipartimentali e regionali prevedono
di prevedere almeno 3 giorni prima l’approssimarsi di un’eruzione. Se
dovesse fallire la previsione nel senso del mancato allarme o anche del ritardato
allarme, le prime problematiche da affrontare sarebbero da ressa e panico
diffuso, in un contesto ambientale caotico e violento, a cui potrebbero
aggiungersi effetti meccanici dovuti all’eruzione che presumibilmente
incalzerebbe col passare delle ore. In un contesto di questo genere si dubita
sulla tenuta dei meccanismi dell’ordine pubblico, e ancora sullo schema
generale e locale dell’impianto evacuativo che potrebbe saltare per motivi di
disobbedienza civile. Un meccanismo quello dell’evacuazione, che in tutti i
casi ancora non c’è…
Livelli di allerta vulcanica e fasi operative. |
Viceversa,
il falso allarme che è anche la
condizione più probabile e in alternativa anche la più auspicabile, non prevede
danni causati dall’eruzione, ma potrebbero esserci quelli eventualmente
generati dal movimento repentino e massivo delle popolazioni. In altre parole,
a fare la differenza, sarà come sempre e come capita in tutti i frangenti di
pericolo reale o percepito, il comportamento delle masse.
Il
comportamento della popolazione è certamente favorito o comunque fortemente
condizionato dai sintomi pre eruttivi capaci di attivare gli organi sensoriali, la cui funzione è
anche quella di indurre comportamenti di sopravvivenza per sfuggire a fenomeni
magari incomprensibili. Viceversa, un allarme rosso diramato in un contesto di normalità ambientale, cioè con calma
geologica apparente senza fenomenologie in atto, indurrebbe probabilmente ansia
nei cittadini ma non immediatamente panico, soprattutto in assenza di
comportamenti inconsulti che in frangenti di pericolo c’è la tendenza ad
imitare.
Se
da un lato quindi sussistono le incognite previsionali legate a una possibile
eruzione in uno qualsiasi dei distretti vulcanici napoletani, anche se a
destare maggiori preoccupazioni occorre dirlo oggi è il flegreo, i piani di evacuazione
dell’area vesuviana e flegrea e anche ischitana, nonostante siano l’unico
elemento di certezza in materia di salvaguardia su cui investire, non sono
ancora pronti: mancano le istruzioni per utilizzare la viabilità locale e in alcuni casi, come nel vesuviano, è
ancora da definire l’allocazione dei centri operativi comunali (COM) o
intercomunali (COMI) deputati alle funzioni viabilità, soccorso e ordine
pubblico.
Il
piano di evacuazione, è bene specificarlo, altro non è che la mediazione tra due impossibilità; cioè
da un lato quella di spostare o contenere la furia vulcanica, e dall’altro
quella di delocalizzare i 700.000 abitanti che popolano la
plaga vesuviana. D’altra parte non è neanche possibile proteggere compartimentando la popolazione
attraverso barriere protettive resistenti al fuoco e ai fumi dell’eruzione,
perché le colate piroclastiche col loro carico di rocce che si staccano in quota e poi scorrono velocemente sul declivio
vulcanico, hanno una potentissima azione dinamica di sfondamento e un’elevata
temperatura che si conserverebbe per alcuni giorni negli ammassi piroclastici.
Dicevamo
mediazione, perché attraverso l’evacuazione preventiva si separa il pericolo
(P) dal valore esposto (Ve) per una distanza (d) rapportata al tipo di eruzione, ma
solo nel momento di massima allerta vulcanica, in modo da consentire alle
popolazioni esposte di vivere il loro territorio fin quando è possibile.
Nel
piano Vesuvio la distanza (d) è quella relativa all’eruzione massima attesa (VEI4) teorizzata e adottata
e offertaci dai calcoli probabilistici e poi da indagini campali; questo spazio
risulterebbe insufficiente se dovesse verificarsi un evento pliniano, la cui
intensità eruttiva supererebbe di dieci volte l’eruzione massima attesa VEI4.
La distanza (d) è quella da interporre tra popolazione ed eruzione. Il piano di evacuazione ha questa finalità. |
Certamente
in caso di allarme i vesuviani prediligerebbero le autovetture per allontanarsi
velocemente e diuturnamente, indirizzandosi verso le grandi arterie stradali,
superando i cancelli che rappresentano una sorta di valvola di non ritorno
presidiata dalle forze dell’ordine.
I
cittadini che lo vorranno, all’occorrenza potranno abbandonare le zone rosse
già nella fase di preallarme. Devono
però sapere, che una volta attraversato il cancello di uscita non potranno più
rientrare fino a quando il livello di allerta vulcanica non verrà riportato allo
stato di attenzione. Il che non
avverrebbe sul breve termine…
L’allarme vulcanico invece, prevede per
tutti, residenti e soccorritori, di abbandonare la zona rossa nella sua
interezza. Una zona che dopo l’eruzione verrebbe ri-presidiata dalle forze
dell’ordine deputate all’anti sciacallaggio, mentre per il ritorno dei
cittadini nelle aree evacuate si prospetterebbero tempi abbastanza lunghi, per
consentire le difficili valutazioni della situazione post eruttiva dell’area, dei
fabbricati e di tutti gli annessi strutturali e infrastrutturali connessi a un
vivere civile.
In
caso di eruzione, ritorneranno i vesuviani nel vesuviano? La governance
ideologica che oggi regna sovrana nel mondo è tutta proiettata sull’economia:
quindi, molto presumibilmente e contrariamente al principio di precauzione, sfruttando anche la forte tendenza e
volontà reinsediativa degli sfollati, la plaga vesuviana ritornerebbe ad essere
antropizzata a partire dai palazzi che hanno superato indenni la prova del
fuoco: dipenderà molto dalla tipologia eruttiva che in un futuro, auspicabilmente
lontanissimo, segnerà la morfologia dell’area. Dopo l'eruzione che verrà, occorreranno molti anni, ma si ritornerà
alla situazione precedente, col familiare monte a farci ombra con un rinnovato pennacchio
sommitale e una zona rossa fortemente ridotta, almeno per i primi 60 anni di quiete vulcanica...