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mercoledì 21 agosto 2024

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: siamo solo all'inizio... di Malko

Pozzuoli. Rione Terra

 

             

Il pensiero della commissione grandi rischi, riunitasi alcune settimane fa su invito del dipartimento della protezione civile, è quello che nella zona rossa dei Campi Flegrei, ovvero quella ad alta pericolosità vulcanica, l'allerta codificata per il momento rimane sui livelli di attenzione (gialla).

Per le zone bradisismiche invece (figura in basso), soggette a sollevamento dei suoli quale conseguenza del vulcanesimo locale che induce sismicità a volte incalzante con ipocentri poco profondi, non si utilizzano colori per classificare lo stato di pericolosità zonale, perché questo dipende da molti fattori anche imponderabili in via preventiva, come la magnitudo e la profondità ipocentrale dei terremoti. I sismi sopraggiungono improvvisi abbattendosi su fabbricati di diversissima fattura costruttiva, e quindi con una risposta statica e dinamica alle sollecitazioni crostali molto differente. A evento sismico avvenuto, si andrebbero a valutare gli eventuali danni subiti dall’edificato, dalle infrastrutture e dai sottoservizi nell’area colpita, classificando le criticità secondo una scala crescente da 1 a 3.



Probabilmente sarà proprio la notevole fratturazione degli ammassi litoidi che caratterizzano i primi chilometri di profondità della caldera flegrea, ad evitare accumuli di energia oltre misura. In ogni caso trattasi di una considerazione non deterministica, che può essere di minimo  conforto solo per chi vive in fabbricati robusti o antisismici, e che ad oggi non hanno presentato cenni di cedimento statico, nonostante le numerose sollecitazioni bradisismiche e sismiche.

Per coloro che dimorano in alloggi strutturalmente fatiscenti invece, occorre che tengano in debita considerazione anche livelli di sismicità modesti.  La magnitudo massima che potrebbe colpire le zone soggette al bradisismo, per le ragioni addotte in precedenza, difficilmente dovrebbe assurgere a livelli catastrofici; purtuttavia a fare la differenza è la bassa profondità degli ipocentri, che renderebbe temibile qualsiasi sussulto crostale. Quindi, ai Campi Flegrei non ci sono consolidate e definitive conclusioni geologiche da offrire al pubblico, tanto per il fenomeno del bradisismo quanto per i terremoti e per la pericolosità vulcanica in tutte le sue forme. Quest’area geografica è sede di rischi naturali, e anche se la crisi bradisismica attuale dovesse scemare o concludersi come del resto è successo pure nel recente passato, non è difficile ipotizzare che il fenomeno si ripresenterebbe col tempo, portando seco gli stessi fenomeni bradisismici e sismici con il pericolo vulcanico tra l’altro, permanentemente immanente.

Le popolazioni flegree cercano dai dettami della scienza e della tecnica, ma soprattutto dalla politica, elementi utili per corroborare la loro volontà di resilienza. Generalizzando, il cinismo o la sprovvedutezza  degli amministratori locali e regionali, che hanno negli anni consentito la nascita della calderopoli flegrea, si è rivelato un danno in termini di vivibilità non solo per la comunità  attuale, ma anche per i posteri. Questi ultimi tra l’altro, non hanno la possibilità di votare come gli italiani all’estero, e quindi, sono meri destinatari delle decisioni popolari o impopolari del nostro tempo.

Nei Campi Flegrei, a fronte dei multiformi pericoli naturali insiti nel vulcanesimo dell’area, sussiste un overbooking edilizio che espone a tutt’oggi gli oltre 500.000 residenti a un rischio serio ancorchè non limitato temporalmente, neanche col passare di decine di generazioni. Se l’antica cittadina romana di Baia era meta ambita dalle famiglie in vista dell’Urbe, ebbene ora l’abitato coi suoi peristili e mura e mosaici è sott'acqua. Questo vuol dire che nonostante siano passati decine di secoli, il fenomeno vulcanico è sempre in auge, e quindi nessuno può escludere che la Baia romana magari risorga dal mare nel corso degli anni... Il comprensorio ardente potrebbe essere dichiarato vulcanicamente estinto, se da qui all’anno 11.538 non dovesse verificarsi alcuna eruzione…

Come si vede dalla cartina sottostante, le due zone bradisismiche, quelle a colori celeste e viola, ricadono interamente all’interno della caldera flegrea, e quindi nella zona rossa ad elevato rischio vulcanico, occupando addirittura un posto centrale. Questo significa che in tutti i casi i settori bradisismici, fanno parte del più vasto distretto dove il rischio vulcanico è una costante e non una variabile ancorchè residuale del territorio.



Con queste premesse di multirischio infra calderico, non si capisce di quale resilienza parlano gli amministratori locali. Ogni  nuova casa che si aggiunge alla conurbazione esistente, comporta un aumento del rischio e una rendita negativa per lo Stato, ma soprattutto è un lascito ereditario ai posteri fatto di pericoli, incertezze del quotidiano, con la minaccia eruttiva che incombe a permanenza su proprietà e vite umane, a prescindere dalla qualità antisismica delle costruzioni che non incidono sulla sopravvivenza da eruzione esplosiva.

L’antropizzazione serrata della caldera flegrea, ha portato quest’area ad essere tra le più pericolose del mondo, alla stregua del distretto vulcanico vesuviano che non è da meno. Al Vesuvio, sono oltre venti anni che vige la legge regionale 21/2003, che vieta qualsiasi realizzazione di opere edilizie di taglio residenziale, anche se di recente gli stessi uffici regionali pertinenti per la programmazione urbanistica, pare che vogliano aprire spiragli per ridimensionare i divieti tuttora vigenti nella zona rossa Vesuvio.  

Il dato che ci sembra emergere a proposito della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica, è quello di un mondo politico, generalizzando, miope o disattento. Un j’accuse che bisogna forse estenderlo pure al mondo scientifico, che poteva fare meglio la sua parte informativa, magari omettendo di lasciar trapelare a favore di telecamera, la quasi certezza della previsione del momento eruttivo, grazie a stazioni di monitoraggio multi parametriche, che in realtà ci sembra che siano multi strumenti ficcati all’interno di stazioni ubicate in vari punti della caldera flegrea. Certamente strumentazioni di buon livello tecnologico aiutano a monitorare il vulcano, ma non a garantire una previsione dell’eruzione che rimane ancora un procedimento “manuale” a cura della commissione grandi rischi e non dell’osservatorio vesuviano. Tra l’altro in una terra avvezza ai sommovimenti percepibili e visibili  addirittura a occhio nudo, coi fondali marini all'asciutto, con emanazioni gassose contate a tonnellate e deformazioni dei suoli decimetriche, un dato micrometrico sarebbe forse di difficile interpretazione previsionistica, soprattutto in assenza di dati pregressi preeruttivi…

Può darsi che non è stato neanche del tutto proficuo per la sicurezza, infondere l’idea che si possa monitorare con precisione l’ascesa del magma. Nel merito della previsione dell’evento vulcanico quindi, sembra che siamo ancora in una fase d’impasse, che forse andava sottolineata senza mitigazione, fornendo così elementi di deterrenza per quanti volevano sulla scorta della disinformazione, investire nel mattone nella calderopoli, 

Tra le tante cose da dire sull’argomento, c’è anche quella ad oggetto la pianificazione d’emergenza, che è nata su uno scenario eruttivo di riferimento di tipo sub pliniano dall’indice di esplosività vulcanica VEI4. Questo per dire che forse è stato ed è controproducente, che referenti scientifici istituzionali indichino l’eruzione tipo Montenuovo 1538, come quella attesa e più probabile. Innanzitutto perché ciò che si dice sullo stile eruttivo della futura eruzione è un pourparler tendente alla rassicurazione ma senza l’onere della responsabilità dell’affermazione. E lo si dice in presenza di una pianificazione VEI4, dalla quale sono derivati i limiti territoriali della zona rossa vulcanica, che comprende totalmente tutta l'area calderica. Bisognerebbe quindi evitare tutte quelle affermazioni che possono essere fuorvianti per l’opinione pubblica, anche perché non c’è un piano differenziato d’intervento basato sull’indice di esplosività vulcanica, che rimane, purtroppo, un dato appurabile solo dopo l’eruzione. Quindi, gli enti di monitoraggio si attengano ai fatti anche perché nei contratti di vigilanza e monitoraggio sussiste un certo dovere condivisibile o non condivisibile alla riservatezza, piuttosto che alle rassicurazioni. Se c’è da rassicurare rimandiamo l’onere a chi stabilisce le fasi operative e non i livelli di allerta. D’altra parte anche un’eruzione di bassa intensità rappresenta un problema serio se non si specifica il punto o i punti eruttivi dove possono presentarsi le dirompenze vulcaniche, che non è detto che debbano coincidere col punto di massimo sollevamento del suolo…

Un deputato pochi giorni fa ha avanzato la necessità di finanziare l’osservatorio vesuviano in modo da poter far assumere due tecnici e due ricercatori. Riteniamo che l’osservatorio vesuviano debba essere finanziato innanzitutto per spostare la sede di sorveglianza e ricerca fuori dalla zona rosse vulcanica e bradisismica dei Campi Flegrei, in modo da avere all’occorrenza e nei momenti topici, una struttura pienamente operativa e non impegnata a caricare i materassi sui camion.

Gli amministratori regionali della Campania, su input legislativo del Ministro della protezione civile, dovranno adottare strumenti legislativi assolutamente inibitori alla realizzazione di ulteriore edificato ad uso residenziale nell’area calderica dei Campi Flegrei.  In tempi brevi tra l’altro, per non rischiare la procedura di surroga da parte dello Stato. Ecco allora che questa importantissima iniziativa strutturale di prevenzione favorita dal Ministro, sta suscitando mugugni che si trasformeranno molto presto in serrato confronto, se non verranno trovate in sede regionale soluzioni, meglio dire escamotage, per estrapolare con alchimie amministrative almeno la spianata di Bagnoli dai vincoli inedificatori…

Già… la spianata di Bagnoli. Quelli bipartisan, generalizzando, studiano la mossa del cavallo in ambito regionale, e non è da escludere che faranno sentire la loro voce con tutte le armi disponibili, a iniziare dalla acclarata capacità tecnica di buttare giù super pilastri armati da poter essere utili addirittura al gigante Atlante nel sostentamento del suo fardello planetario. Gli astuti politici metropolitani e regionali, in sintonia con una certa componente politica nazionale d’estrazione campana,  da anni si coccolano la spianata di Bagnoli, specialmente ora che verrà finanziato a cura dello Stato, il risanamento ambientale dell’ex area industriale litorale compreso.

Con l’approssimarsi delle scadenze imposte dal decreto bis Campi Flegrei, che ha formalizzato la necessità di non costruire oltre nella zona rossa, è probabile che assisteremo a strenue battaglie politiche, popolari, sindacali, associative, laiche e religiose. Non è da escludere la formazione di un fronte di opposizione con bandiere e slogan anti governativi, che in barba a qualsiasi criterio di prevenzione del rischio vulcanico, chiederà che non sia frenato il piano di urbanizzazione di Bagnoli, comprendente pure appartamenti di pregio con vista mare. Per noi la migliore riconversione della spianata di Bagnoli è quella di destinarla ad  area strategica di protezione civile, con tanto di elisuperficie e di approdo rapido dei natanti veloci…

Tra le strutture che iniziano a sentirsi a disagio con le iniziative anti cemento del Ministro Musumeci, si annovera l’assessorato all’urbanistica regionale: ufficio mai depositario o ispiratore di iniziative volte alla prevenzione del rischio vulcanico. Siamo altresì sicuri che faranno sentire i loro borbottii pure taluni amministratori metropolitani, membri di rilievo del comitato partenoflegreo, in quanto particolarmente inclini a ritenere il rischio vulcanico neanche nominabile. Una legge anti cemento, piaccia o non piaccia invece, è l’unica misura di prevenzione seria per evitare il disastro vulcanico, anche in capo ai posteri, a cui non dobbiamo o non dovremmo tramandare un territorio trasformato in una calderopoli asfittica multirischio, la cui programmazione urbanistica è stata lasciata sotto varie forme in mano ai businessmen.

Pare che siano due parlamentari campani, quelli che hanno proposto lecitamente un emendamento al decreto Campi Flegrei bis, acchè la spianata di Bagnoli fosse estrapolata dai divieti di urbanizzazione. L’appello doveva essere rivolto alla natura e non a Musumeci, che non ha il potere di abolire i pericoli in modo puntiforme e per decreto… Del resto questa infelice proposta forse era nell’aria, come dimostra la prima cartina pubblicata sul web (in basso):  le zone bradisismiche stranamente aggirano la spianata di Bagnoli che non ha colorazioni di merito… 



La condizione per operare di prevenzione a fronte del pericolo vulcanico (P), è quella di tenere strutturalmente separato il valore esposto (VE), rappresentato dalla vita umana, a una distanza di sicurezza (d) dal distretto vulcanico che potrebbe dirompere con fenomeni molto pericolosi come le colate piroclastiche o eventi similari. Ecco: il limite della zona rossa vulcanica è dettato proprio dalle eruzioni passate e dai limiti di scorrimento dei flussi piroclastici rilevati sul campo dai geologi.

Il piano di evacuazione è una misura di ripiego dettata da due impossibilità: la prima è quella di spostare o ingabbiare il vulcano, cioè il pericolo; l’altra è quella di spostare dalla zona pericolosa e da subito gli oltre 500.000 abitanti della zona rossa flegrea per proteggerli preventivamente: il numero dei residenti è pari a quelli che si contano nella città di Genova…


Nella formula del rischio semplificata, è evidente che all’aumentare di uno dei due fattori (P e VE) il rischio aumenta. Se aumentano entrambi il rischio diventa insostenibile. In una tavola rotonda organizzata alla Regione Campania alcuni anni fa, presente il sistema di protezione civile, fu affermato che la pericolosità vulcanica non aumenta col passare dei secoli. Affermazione buttata lì per stroncare ogni critica che avanzavamo sull’operato del sistema in tema di prevenzione, quale disciplina che ritenevamo profondamente disattesa. Intanto e per inciso, le pubblicazioni scientifiche dicono tutt’altro sui tempi di quiescenza e sulla pericolosità vulcanica che aumenta... Continuando, in assenza di leggi anti cemento aumenta anche il valore esposto. Ne consegue che non potendo agire sul pericolo vulcanico, occorre concentrarsi necessariamente e strutturalmente sul valore esposto (residenti), che non deve più crescere numericamente, anzi deve diminuire col tempo, azzerandosi repentinamente nei momenti di estremo pericolo vulcanico, grazie a un piano di evacuazione susseguente la previsione d’evento, che al momento non è certa, pur essendo la chiave di volta attuale della sicurezza areale. Purtroppo e alla luce delle odierne conoscenze, la previsione d’eruzione potrà essere solo probabilistica e non deterministica. Ne consegue che non si potranno escludere  anche situazioni da falso allarme o peggio ancora di mancato allarme. Il mancato allarme è una probabilità catastrofica da evitare a ogni costo. Il falso allarme che in tutti i casi comprende l’evacuazione, sarebbe un problema, perché per dichiarare il cessato allarme poi, occorrerebbero tempi lungi di osservazione e monitoraggio geologico, fino a quando qualcuno non si assumerà la responsabilità del rientro dei cittadini nel flegreo. 

Nel 2003 il presidente regionale Antonio Bassolino, riuscì a far approvare la legge 21 che proibiva nella zona rossa Vesuvio, zona ad altissima pericolosità vulcanica, qualsiasi ulteriore urbanizzazione a scopo residenziale. Qualcuno ironizzò chiamando in causa anche la necessità allora di regolamentare le nascite...il mattacchione non calcolò che le morti superano le nascite. Qualcun altro chiamò in causa il TAR, per vedersi riconosciuto in ogni caso il diritto ad edificare in zona rossa, in forza del possesso di autorizzazioni e licenze antecedenti rispetto alla data d’instaurazione del divieto 21/2003. Il Tribunale regionale respinse questa tesi, perché nel momento in cui si appura un pericolo, questi prevale su qualsiasi retrodatazione degli atti amministrativi autorizzativi. Diversamente, sarebbe come dire faccio il pergolato con lastre di amianto perché ho l’autorizzazione a farlo con data antecedente ai disposti di legge che hanno sancito il pericolo cancerogeno del prodotto (asbesto)…

Il Ministro Musumeci si sta spendendo per arrivare a serie e logiche proposte di prevenzione del rischio vulcanico. Proibire la realizzazione di residenze nelle zone ad alta pericolosità vulcanica è una misura inoppugnabile di civiltà, che sarà riconosciuta da tutti, posteri compresi. Per quanto riguarda gli abusi edilizi perpetrati in area ad alta pericolosità vulcanica, abbiamo maturato l’idea che non dovrebbero essere condonati  perché il condono rende vendibile il manufatto, e con esso pure il fardello del rischio che dovrebbe  rimanere unicamente  in capo all’incauto costruttore.