Translate

domenica 17 gennaio 2016

Rischio Vesuvio : nel vesuviano volano molti angeli tranne uno... di Malko







Vesuvio e orlo calderico Monte Somma

Il consigliere per gli affari della protezione civile Nello Di Nardo, da poco insediato in questa posizione dal presidente regionale Vincenzo De Luca, ha diffuso attraverso gli organi di stampa la notizia che in primavera riprenderanno le esercitazioni di evacuazione nei paesi vesuviani e flegrei.
Il fiduciario ha chiarito che in caso di un’improvvisa emergenza i vuoti da colmare sono ancora tanti nella complessa macchina della sicurezza a tutela di queste zone nevralgiche, precisando che il lavoro da fare è tanto, ma bisogna evitare di entrare in polemica con le precedenti amministrazioni…

Secondo il nostro punto di vista, se i cittadini del vesuviano e dell’area flegrea non sono ancora tutelati a fronte del pericolo eruttivo, lo si deve innanzitutto al nostro vantatissimo sistema nazionale della protezione civile, basato sostanzialmente sull’interventistica, e quindi sulla creduloneria che basta avere un folto esercito di volontari per risolvere le emergenze italiane.
Un concetto discutibile che viene da lontano e che è diventato bandiera del fare per tutte le componenti amministrative della protezione civile, con uffici dipartimentali e centrali e periferici che ripongono e ripropongono molto spesso per impedenze procedurali, per ignoranza o per calcolo, sulla sola operatività le politiche di tutela dei cittadini.
Porte aperte al volontariato allora e ai mezzi di supporto operativo e logistico che non mancano. Spazio alle colonne regionali e cucine e ospedali da campo, e radioamatori di tutte le sigle e tende e roulotte e sale operative automontate, e moto e jeep di ultima generazione che si arrampicano dovunque. E poi gommoni e navi e sommozzatori e soccorso alpino e marino e collinare e speleologico e droni e mongolfiere. E ancora cani da valanga, molecolari, da soccorso acquatico e posti avanzati di comando, di primo soccorso e…a farla breve, tutto quello che vi viene in mente e che riteniate possa servire su un qualsiasi scenario emergenziale o catastrofico: c’è!

In seguito a questo folto e senza fraintendimenti indiscutibile ed encomiabile esercito di volontari che s’affaccenda nelle emergenze, i giornali colgono il generoso operato classificando i volenterosi quali angeli del fango, della neve, delle macerie o gli angeli del mare della montagna e di ogni altro ambiente conosciuto... Sui cieli italici però, c’è un angelo che non vola mai, perché troppo pesante anche se è il più saggio e il più povero di tutti: l’angelo della prevenzione. E’ pesante perché impone rinunce; è saggio perché conosce tutto sulla previsione e sull’operatività; è povero, perché nessuno gli dà molto spazio, a causa del fatto che tutto ciò che fa per sua natura è invisibile… In una società dell’immagine, del mediatico e dell’apparire, non c’è posto per l’angelo della prevenzione che a farlo volare rende poco in termini di consensi…

I problemi di tutela legati al rischio Vesuvio, stringendo stringendo vertono su due argomenti principali: la necessità di pronosticare il momento eruttivo, e la necessità di evacuare totalmente i distretti vulcanici nei tempi d’anticipo che ci servono e che siamo prefissati di cogliere prima dell’eruzione. Le due cose sono strettamente connesse ma lontane miglia in termini di competenze.

La previsione dell’evento è una grande incognita che ancora non è possibile agguantare, neanche con strumenti satellitari o ad altissima tecnologia, perché questi hanno la indubbia capacità di anticipare la crisi vulcanica, ma non di prevedere con certezza se poi ci sarà l’eruzione. Tant’è che noi non abbiamo soglie strumentali di riferimento per il passaggio ai vari livelli di allerta vulcanica; infatti, per stabilire il raggiungimento dei parametri di preallarme e allarme vulcanico, all’occorrenza dovrà ricorrersi a un consesso di esperti comprendenti in primis la Commissione Grandi Rischi (CGR-SVR) insieme ai rappresentanti dei centri di competenza, tra i quali l’Osservatorio Vesuviano, che si riuniranno in camera caritatis con i dirigenti del dipartimento. Al riguardo è abbastanza chiaro che se il problema fosse solo strumentale, con le nuove tecnologie avremmo già degli avvisatori automatici di allarme… In sintesi, i dati che ci provengono dalla fitta rete di monitoraggio sono fondamentali, ma la conferma se sussiste o meno l'allarme evacuativo è riposta ancora in una procedura manuale ragionata che si avvale di conoscenze nazionali e internazionali e soprattutto sulle impressioni e sul confronto e sull'istinto degli scienziati chiamati a pronunciarsi e non già a decidere che è una prerogativa del primo ministro.

Il secondo elemento che serve a capire le ragioni dell’evacuazione preventiva improcrastinabile come necessità, sono i fenomeni attesi e da cui bisognerà difendersi. L’avvenimento più pericoloso in assoluto sono le colate piroclastiche dette anche nubi ardenti. Parliamo di un evento dinamico distruttivo, che consta in una sorta di valanga infuocata formata da materiale piroclastico incoerente di varia misura mischiato a gas e vapore acqueo che precipita lungo i fianchi del vulcano da cui trae origine staccandosi il più delle volte dalla colonna eruttiva. Le elevate temperature di diverse centinaia di gradi Celsius e le notevoli capacità di percorrenza di questa micidiale e roboante miscela rovente, rendono questo fenomeno particolarmente temuto quanto misconosciuto da diverse generazioni del vesuviano e del flegreo.

Gli effetti sugli uomini delle colate piroclastiche consistono in una rapidissima vaporizzazione dei liquidi corporei con effetti pressori nella calotta cranica e shock termico sulle ossa del corpo che a volte si spaccano: la morte è fulminea.

A fronte di una tale possibilità, si capisce quindi l’esigenza di allontanare tutti gli abitanti dall’area invadibile dai flussi piroclastici. Non c’è un sistema di difesa dalle nubi ardenti: durante l’eruzione del Monte Pelée in Martinica, un politico locale per non far scappare la popolazione in un momento in cui c’erano le elezioni, fece pubblicare su un giornale del posto un rassicurante articolo in cui si dichiarava: "Il Monte Pelée non rappresenta pericolo per gli abitanti di Saint-Pierre, non più di quanto lo sia il Vesuvio per i napoletani".  Dopo qualche giorno di avvisaglie di ogni genere, compreso invasioni di insetti e serpenti, dal vulcano venne sparata una nube ardente che carbonizzò all’istante i 30.000 abitanti dell’isola, che peccarono, ahiloro, di sottovalutazione del problema.

I sopravvissuti della catastrofe vulcanica poi chiamata dalla stampa internazionale la Pompei d’America furono solo due: un carcerato e un calzolaio, che se la cavarono comunque con ustioni profonde.

Martinica: Saint Pierre dopo il passaggio della nube ardente prodotta dall'eruzione del vulcano Pelèe (1902)
Ritornando al nostro discorso iniziale, l’ambito delle competenze in tema di sicurezza civile, è talmente vasto che risulta generalmente davvero difficile puntare il dito su di un responsabile o su di una struttura inadempiente, se non nel caso del rischio Vesuvio, perché trattandosi di una situazione che richiede una pianificazione nazionale, tra l’altro unica nel suo genere, la coda di paglia del Dipartimento della Protezione Civile in questo caso è di netta evidenza. 
Al noto dicastero competono indirizzo e coordinamento e gestione del piano Vesuvio che è centralizzato, addirittura anche per la parte scientifica e di monitoraggio vulcanico, atteso che l’Osservatorio Vesuviano per contratto deve riferire segretamente i dati geochimici e geofisici. Che i comuni siano inadempienti nella stesura del piano di emergenza locale comprensivo di piano di evacuazione, imporrebbe alla struttura dipartimentale un intervento in surroga e non una poca avveduta e inconcludente attesa messianica.

Di recente si è riscontrato un maggiore coinvolgimento della Regione Campania, soprattutto per la parte inerente le esigenze di limitazione della zona rossa Vesuvio. Infatti, il Dipartimento ha stabilito un limite minimo di pericolo utilizzando seppur impropriamente la linea nera Gurioli che in realtà è un limite di deposito. Dopodiché e purtuttavia, ha lasciato alla Regione Campania la possibilità di trovare un accordo con i comuni vesuviani, dando loro la possibilità di ampliare per prudenza il settore a rischio vulcanico, modificando e solo al rialzo l’estensione del perimetro Gurioli.  

Una filosofia di tutela che non ha avuto grande presa nelle amministrazioni locali interpellate, preoccupate più che altro da eventuali limitazioni alla loro prerogativa di rilasciare licenze edilizie piuttosto che di salvaguardarsi dai flussi piroclastici. Tant’è che il comune di Poggiomarino e quello di Scafati, attraverso un’alchimia tutta insita nella politica regionale di governo del territorio, possono allegramente dedicarsi ancora all’urbanizzazione, anche in ragione di un’accresciuta domanda di alloggi provenienti dai comuni limitrofi ingessati dai disposti anti cemento della legge regionale 21 del 2003. 

Eppure i territori scafatesi e poggiomarinesi già oggi potrebbero essere malamente spolverati dai flussi piroclastici di una pliniana o di una sub pliniana ignorante che non riconosce nella linea nera Gurioli un limite invalicabile…Nella migliore delle ipotesi, anche questi territori salvificati dalla scienza statistica e dalla politica regionale, comunque dovranno all'occorrenza affrontare il problema della massiccia caduta di cenere e lapillo, con istruzioni evacuative al momento alquanto contraddittorie, e da attuarsi dicono con eruzione in corso. 

Vesuvio: in rosso quella che poteva essere un'adeguata fascia di rispetto.

Nella figura sopra riportata abbiamo accennato (cerchio rosso) a quella che poteva essere una fascia di rispetto che doveva essere indicata dalla scienza, che in realtà ha preferito un atteggiamento da Ponzio Pilato, lavandosi le mani da ogni indicazione di perimetrazione precauzionale. Quella sotto invece, indica la mancata prevenzione dettata dalla possibilità di continuare a edificare nei territori a ridosso del vulcano, senza tener conto che gli anni passano e la possibilità anche statistica di una pliniana aumenta. Il Consiglio di Stato poi, con una  sentenza poco nota, ha deciso che per Boscoreale anche per la parte eccedente la linea nera vale la legge regionale 21/2003 sull'inedificabilità, mentre implicitamente per Scafati e Poggiomarino il concetto di equivalenza non vale. Quale logica?

Limitazione della zona rossa e possibilità di edilizia residenziale (vedi legenda)

La protezione civile è una materia di facciata che viene cavalcata dalla politica a seconda delle necessità di propaganda, con uffici che generalmente vengono relegati all’ultimo posto nell’interesse dell’ente di volta in volta chiamato in causa. Le strutture tranne poche eccezioni  assorbono spesso defatigati, altre volte scomodi pensatori o freschi assunti o gente sulla soglia della pensione o anche brillanti figure che con l’andar del tempo e in un clima di accidia diffusa e abbandonati dal contesto generale in cui operano, tirano alfine i remi in barca, limitando tutte le attività  alla sterile compilazione di stressanti e periodici quanto inutili questionari, o gestendo al massimo un manipolo di volontari non sempre motivati dal ruolo di partecipata funzione pubblica…

La politica, mai come in questo caso, dovrebbe essere fondamentale per dettare i giusti indirizzi ai dirigenti, soprattutto comunali, col fine di dare corso e impulso a tutte le tematiche insite nel concetto stesso di protezione civile, che comprende innanzitutto la previsione e poi la prevenzione che ingloba l'informazione e in ultimo l’interventistica. Vi sembrerà strano, ma la parte più agognata e su cui si concentrano risorse umane e materiali è proprio l'interventistica a mezzo volontari, che dovrebbe essere di primo intervento in attesa dei Vigili del Fuoco quali titolari del soccorso tecnico urgente, o di supporto operativo nelle calamità che andrebbero innanzitutto scongiurate...

La popolazione in genere non è competente del rischio vulcanico: non fatevi ingannare quindi dalle interviste televisive realizzate nel vesuviano, dove molta gente paventa fatalità a fronte del pericolo eruttivo, oppure cristiana rassegnazione al volere di Dio o facile filosofare sulla morte come destino ineluttabile…Non è così, perchè si può accettare con virile fatalismo la propria di morte ma non quella dei cari che ci circondano. Parlano con nonchalance alcuni intervistati, perché non c’è il pericolo evidente ovvero quello percepibile dai sensi; non odono boati, non vibrano e tremano le finestre; non cade cenere intorno, l’oscurità non avvolge un mezzodì soleggiato, e allora in assenza di queste fenomenologie tutt’altro che rassicuranti, siamo tutti eroi. E questo spiega perché nella pace geologica il Vesuvio è una mite montagna e i Campi Flegrei una piana intervallata da feconde collinette dai bordi stranamente rotondeggianti e circolari, che a volte emanano fetido odore di zolfo. Quale prevenzione applicare in questo contesto di sottovalutazione? In uno dei comuni più popolosi del vesuviano, un ingegnere capo (ufficio tecnico), ebbe a dire ai suoi dipendenti: ragazzi, se volete dedicarvi alla protezione civile lo dovete fare fuori dall'orario di lavoro e magari dall'ufficio... 
Vedremo dalla redazione dei piani di protezione civile comunale se è cambiato qualcosa. Ne abbiamo visionato uno, e il dato francamente non è confortante.

In Italia abbiamo tutti gli elementi e le risorse operative per intervenire quando la frana o la nube ardente si è abbattuta sui paesi, ma non riusciamo ad adoperarci adeguatamente quando l’ammasso di pietre è ancora attaccato alla parete o il vulcano ancora trattiene nel suo ventre le dirompenze che ha in serbo. Il Vesuvio è lì quieto e in bella mostra, ma ovviamente e nei fatti, sono pochi quelli che danno peso  al suo curriculum tridimensionale visibile anche sotto forma di calchi da Ercolano a Pompei...



venerdì 1 gennaio 2016

Rischio Vesuvio: piano vince piano perde... di Malko

 Vesuvio



Una delle maggiori perplessità che riguardano le misure di protezione dei cittadini dell’area vesuviana, è la straordinaria capacità che hanno le amministrazioni pertinenti nel continuare a rassicurare e pubblicizzare l’esistenza del piano di emergenza Vesuvio, omettendo di riferire che l’elegante malloppo cartaceo non contiene il piano di evacuazione, perché ancora in itinere…
In queste condizioni parlare del piano di emergenza e del piano di evacuazione come se fossero automaticamente la stessa cosa non è corretto, ma nel caso del Vesuvio è la regola che funziona da tempo... Su questo argomento abbiamo disquisito più volte, constatando tra l’altro come certa stampa disattenta (?) non abbia mai sollevato il velo sul refuso terminologico, svelando che l’annesso più importante del piano di emergenza Vesuvio, cioè il piano di evacuazione, ancora non è una realtà consegnata agli archivi delle garanzie e delle tutele dei sonnolenti vesuviani...

Nei testi sulla sicurezza non è raro imbattersi nel concetto che se bisogna dare attuazione al piano di evacuazione, il significato che immediatamente se ne ricava e il fallimento o l’impraticabilità delle politiche di prevenzione. Il ragionamento sostanzialmente fila, anche se nel vesuviano ovviamente ci ritroviamo con una storia pregressa di mancata prevenzione che parte da molto lontano, dal 79 d.C. e nessuno, in nome del progresso e delle necessità economiche della fertile area, ha mai ritenuto di spezzare questa spirale contorta del rischio, proibendo l’urbanizzazione selvaggia e senza nessuna regola prudenziale, come quella assolutamente necessaria di costruire ampie vie di allontanamento tangenziali e radiali all’apparato vulcanico. 
Nel 2003 ci fu finalmente il varo di una legge regionale, la numero  21, che proibisce l’edificazione residenziale in zona rossa Vesuvio; pratica che in realtà continua a est, lì dove si protende la zona rossa 2, grazie a una foglia di fico offerta qualche anno fa dalla Regione Campania e dall’assessorato pertinente. La legge 21/03 voluta dall'allora assessore regionale Di Lello, è continuamente oggetto di tentativi di scardinamento da parte di quelle forze politiche che vedono nel cemento e nel consumo del territorio l’unico sviluppo possibile. Speriamo che il bastione legislativo regga all’azione dei magli del liberismo cementizio, sotto sotto portato avanti dagli stessi paladini politici che senza distinzione di dottrine inneggiavano al condono edilizio. Voto non olet...

Il piano di emergenza Vesuvio è monotematico e ha nelle premesse l’analisi dell’unico e micidiale fattore di rischio che il pianificatore pone in evidenza e prende in esame per quell’area: l’eruzione vulcanica esplosiva.  Nel documento scientifico di premessa, è indicata statisticamente l’intensità eruttiva da cui bisognerà difendersi (VEI 4) nel medio e breve termine e i territori (zona rossa) su cui gli indesiderati fenomeni, a iniziare dai flussi piroclastici, si andrebbero a spalmare in modo particolarmente deleterio per la popolazione.

Nel piano di emergenza sono stati individuati gli indicatori di rischio consistenti nei parametri geofisici e geochimici del vulcano che vengono permanentemente monitorati dall’Osservatorio Vesuviano. Infatti, la famosa struttura di sorveglianza dell’INGV, attraverso una procedura di segretezza gira i dati raccolti al Dipartimento della Protezione Civile, che in caso di anomalia convoca la Commissione Grandi Rischi (CGR-SRV) per valutare l’eventuale necessità di variare lo stato di allerta vulcanica.   Al Presidente del Consiglio spetta la decisione finale di dichiarare lo stato di pre allarme e allarme con evacuazione totale dell’area, se i dati e il parere degli esperti dovessero indicare una condizione pre eruttiva dell’apparato vulcanico…


i 4 livelli di allerta vulcanica 


Per le fasi operative corrispondenti c’è un’organizzazione da mettere in campo quale frutto di strategie e sinergie ancora da diffondere, ma che sostanzialmente dovranno convergere tutte ed esclusivamente sulla necessità di evacuare l’area vesuviana, possibilmente prima dell’eruzione e possibilmente non senza eruzione.
Agli utenti del piano di evacuazione prima o poi bisognerà impartire istruzioni semplici quanto precise sul come raggiungere all’occorrenza un luogo sicuro.  Con il termine luogo sicuro intendiamo non la regione di destinazione finale, ma il primo punto adatto a proteggersi dall’elemento più pericoloso, in primis le nubi ardenti, da cui vogliamo difenderci mettendo magari sufficiente distanza tra noi e la valanga di fuoco, anche se ci hanno assicurato in termini deterministici che le colate piroclastiche non supereranno la linea nera Gurioli e il preavviso eruttivo avrà un margine di almeno  72 ore.

La linea nera Gurioli è indicata forse impropriamente  come limite di pericolo per i flussi piroclastici
perchè non prende in esame l'eruzione massima conosciuta ma quella media dall'indice VEI 4 

Per poter raggiungere un luogo sicuro, la natura, prima ancora della norma tecnica, ha previsto per l’uomo l’istinto irrefrenabile della fuga. La fuga è l’abbandono precipitoso e disordinato e angoscioso e spesso irrazionale del luogo pericoloso verso una direzione il più delle volte non definita. La parola evacuare sottintende invece l’abbandono un po’ più ragionato di un certo numero di persone da un luogo teatro di un’emergenza, che può essere un edificio, una nave, un aereo, o anche una zona, un quartiere, un comune, una regione, una nazione o finanche il Pianeta se avessimo la capacità tecnologica per farlo e una meta da raggiungere.  
Per non lasciare nulla al caso ed evitare la contrapposizione delle direzioni di allontanamento, gli strateghi delle emergenze, in base alle risorse viarie e ai mezzi di locomozione a disposizione, pianificano l’evacuazione dell’area vesuviana da attuare in caso di emergenza vulcanica. Il piano evacuativo di dettaglio quando sarà pronto conterrà istruzioni precise circa la direzione e i mezzi autonomi o collettivi da utilizzare per portarsi in luogo sicuro. Chi governerà l’esodo sarà una regia locale, e regionale e statale e le operazioni coinvolgeranno l’intero Paese (Piano Nazionale). A livello comunale si renderà operativo un centro di coordinamento dei soccorsi chiamato COM, con a capo il sindaco quale autorità locale di protezione civile, e che teoricamente dovrebbe essere l’ultimo a lasciare il comune.

Tutti i passaggi tecnici, scientifici e burocratici concernenti il piano di emergenza Vesuvio, pur con alcune incongruenze e inadempienze sono stati quasi ultimati e quindi si può dire che la fase di pianificazione generale è prossima al traguardo. Mancano però i piani di protezione civile comunali che conterranno anche i piani di evacuazione che ogni singola amministrazione campana dovrebbe aver consegnato entro il 31 dicembre 2015, e quindi siamo in attesa della pubblicazione online e delle considerazioni finali a cura del dirigente regionale, ing. Italo Giulivo, responsabile di questa pluri pianificazione economicamente onerosa per la comunità europea.

I piani di evacuazione probabilmente necessiteranno di un coordinamento regionale e dipartimentale perché dovranno incastrarsi l’un l’altro nel senso della continuità rotabile, esattamente come i binari dei trenini.  Rimanendo nell’esempio, se un binario salta, tutti i treni incolonnati a monte dell’interruzione rimarranno fermi nel nostro caso nella zona rossa e nessun locomotore riuscirà a superare l’ostacolo rappresentato dal binario divelto o tranciato...
Il piano d’emergenza nazionale Vesuvio è una pianificazione che dovrà rendersi attuativa quando il pericolo eruttivo ancora non è manifesto. Cioè l’unica garanzia possibile per la popolazione è proprio quella di andare via prima dell’eruzione e non durante l’eruzione… Questo significa che al mondo scientifico e politico è demandata una responsabilità enorme e purtroppo senza esperienze pregresse, sia in termini di valutazioni scientifiche che di gestione di un piano (evacuazione) che obiettivamente per indice di difficoltà e numeri in gioco è senza dubbio il più complesso a livello mondiale. 
La nota stonata è che il problema piano è stato messo sul tavolo istituzionale nel lontano 1993 e solo 10 anni dopo si sono accorti che forse bisognava porre un freno all’edilizia abitativa che proliferava in zona rossa; dopo il varo della legge 21/03, il proibizionismo edilizio ha scatenato l'abusivismo edilizio, per il quale, grazie a un'inerzia istituzionale e a un finto buonismo politico che chiede clemenza per gli abusi di necessità,  ancora oggi il fenomeno è  una piaga aperta 

Rispetto al passato, qualche voce di protesta scientifica, tecnica e giuridica sulle omissioni di tutela di un’intera popolazione purtroppo poco attenta a questi argomenti: c’è!  Il piano di emergenza è prossimo alla conclusione mentre i piani di evacuazione di ogni singolo comune che dovranno essere assemblati secondo logiche di coerenza direzionale, sono forse in una fase conclusiva ma non ancora operativi. L’operatività è garantita solo dalla consegna casa per casa di un vademecum illustrato contenente le regole evacuative che il comune deve imporre…

Da un punto di vista prettamente tecnico, a prescindere da quello che argomentano Dipartimento della Protezione Civile e Regione Campania, ad oggi non ci sono ancora strumenti di tutela della popolazione vesuviana. I piani d’evacuazione (Vesuvio e Campi Flegrei) non vedono ancora la luce mentre per l’isola d’Ischia mancano addirittura gli scenari di rischio…

Quello fin qui fatto in termini legislativi e organizzativi non rappresenta nell'attualità una soluzione nella gestione di una possibile emergenza vulcanica. La crisi sismica del 7 ottobre 2015 che si è registrata  nel distretto vulcanico dei Campi Flegrei, con 33 scosse di terremoto a bassa intensità ma superficiali, e le scuole opportunamente evacuate, ha dato un assaggio di quelli che sono i timori della popolazione. 
Il sindaco di Pozzuoli, Vincenzo Figliolia, pare non abbia gradito l’iniziativa dei direttori didattici di far evacuare le scuole. Viceversa crediamo che i dirigenti scolastici abbiano ben operato, in quanto si sono mossi secondo quella che era la percezione del pericolo in quel momento. Sancire l’evacuazione del plesso è una cosa in linea con il ruolo e le decisioni assunte dai direttori, e non possono essere censurate dal sindaco che non ha nessuna autorità gestionale delle scolaresche e degli insegnanti in frangenti d'emergenza. Siamo sicuri che il piano d'emergenza scolastico infatti,  non menzioni il sindaco alla voce terremoto ed eruzione vulcanica se non per l'evacuazione della cittadina che è un'altra faccenda...


mercoledì 2 dicembre 2015

Rischio Vesuvio e crisi vulcanica... di Malko



Il Vesuvio visto dal Torre del Greco


Non pochi navigatori inseriscono nella finestra di ricerca di Google, i termini Vesuvio e previsione... Migliaia di titoli escono così dal fondo della rete. Dalle varie pagine visualizzate emergono titoli classici dell’informazione giornalistica, istituzionale, governativa e scientifica, e poi tanti blog con le più svariate analisi del rischio vulcanico, che vanno dalla congiura del silenzio alle profezie di Nostradamus.
Purtroppo da nessun sito si riesce a estrapolare quando il vulcano più famoso del mondo metterà fine alla sua quiescenza e con quanta energia. Gli equilibri che regolano i moti del magma astenosferico infatti, giostrano su differenti valori come temperature e densità e viscosità in un contesto di interazioni continue e di mescola e metamorfosi dei prodotti incandescenti all’interno del grande e inarrestabile giroscopio terrestre: in siffatte condizioni, si riesce ben poco a prevedere.   

Gli scienziati ripetono continuamente che le eruzioni diversamente dai terremoti generalmente presentano una serie di fenomeni pre eruttivi che consentono un margine utile di previsione dell’eruzione: nel caso del Vesuvio questo margine è stato certificato in tre giorni. Questo non è un dato buttato lì tanto per dire qualcosa: è il preavviso ufficiale di 72 ore su cui dovranno ruotare e concludersi le operazioni di evacuazione dell’area vesuviana in caso di necessità. Circa 10.000 persone da evacuare diuturnamente ogni ora…

D’altra parte gli esperti affermano che il problema che potrebbe presentarsi è inverso, cioè le fenomenologie vulcaniche che indicherebbero un cambiamento dello stato di quiete del Vesuvio, comparirebbero molto tempo prima dell’eruzione. In tal caso avremmo una crisi vulcanica dalla durata imponderabile e aperta a tutte le forme di risoluzione.

Una crisi vulcanica può essere lunghissima e snervante, comportando col passare del tempo una condizione di stallo, di rilassamento dei servizi di soccorso e dell’attenzione della popolazione, ma anche un nervosismo crescente dei cittadini vesuviani che rimarrebbero ingessati in una situazione di incertezza che si ripercuoterebbe negativamente e in modo crescente sulla vita quotidiana sociale e lavorativa.
Viceversa, la crisi potrebbe essere talmente corta nella sua escalation, da rendere problematiche le operazioni di evacuazione, soprattutto col crescere della percezione fisica del fenomeno che condurrebbe molto rapidamente a una condizione pericolosissima di panico diffuso. Sarebbe il caos…
Un’altra possibilità ancora,è che una crisi vulcanica anche acuta si ridimensioni presto o tardi per poi riposizionarsi su valori strumentali di assoluta quiete vulcanica. In questo caso, il ritorno a un livello base di allerta non sarebbe automatico ma richiederebbe comunque un bel po’ di tempo di permanenza nella fase di attenzione, che è una sorta di quarantena scientifica…

Livelli di allerta vulcanica e l'autorità che lo dichiara.

Con questo excursus vogliamo dire che pure con le più importanti e sofisticate tecnologie atte a carpire con un anticipo straordinario tutti i micro segnali che inducono a ritenere che ci sia una variazione di uno o più parametri controllati del Vesuvio, bisognerà necessariamente attendere un certo  tempo per avere ragionevoli evidenze scientifiche circa il fatto che le variazione geofisiche e geochimiche osservate e registrate siano avvisaglie pre eruttive, piuttosto che segnali innocui di riequilibrio del sistema vulcanico.

Quindi, in un certo qual senso l’eccezionale sensibilità delle strumentazioni di monitoraggio vulcanico, potranno solo anticipare i tempi della crisi vulcanica ma non potranno offrire la previsione dell’evento vulcanico che richiede i suoi imprevedibili tempi. Per arrivare a una diagnosi di previsione dell’evento vulcanico, ovvero che siamo prossimi all’eruzione, bisognerà attendere il trend al rialzo dei valori, così come le riflessioni e i confronti scientifici degli scienziati che affolleranno le camere del dipartimento, il cui referente dovrà aggiornare e avvertire il presidente del consiglio a cui spetta l’onere politico di dichiarare lo stato di allarme vulcanico e il via alle operazioni di evacuazione della popolazione.

In realtà la certezza eruttiva la può dare solo l’eruzione che ovviamente non possiamo aspettare come segnale incontrovertibile per evacuare il vesuviano. Ecco perché bisogna comprendere che esiste la possibilità che si dia corso a un’evacuazione senza eruzione…e anche su questa eventualità che sembra innocua bisogna andarci coi piedi di piombo, perché sarebbe un evento tutt’altro che privo di conseguenze.

La cautela sull’evacuazione è data dall’eccessivo numero di abitanti della zona rossa, specialmente della fascia costiera che conta i due terzi del totale con densità abitative di tipo asiatico, tra l’altro in una condizione di costipazione tra mare e vulcano con un’unica via di esodo a disposizione.
Un’evacuazione non seguita da un’eruzione allora, potrebbe comportare danni anche fisici agli evacuati non giustificati dall’imminenza di un pericolo, e quindi, l’operazione sarebbe fortemente criticata dalle masse e dai media con ripercussioni future sull’obbedienza civile.

Per questo motivo la capacità della scienza dovrà essere particolarmente equilibrata in modo da diffondere un pre allarme nel momento in cui i parametri controllati del vulcano lasceranno ritenere un’eruzione probabile magari prossima al 25%. L’allarme invece, secondo le nostre congetture, dovrebbe essere diramato non oltre una percentuale di probabilità eruttiva vicina o uguale al 50%. Attendere oltre sarebbe un vero azzardo… Ovviamente queste percentuali possono oscillare in modo inversamente proporzionale ai tempi di evacuazione. Le nostre però, sono solo congetture argomentative e analitiche che servono per far notare che oggi sussiste sia l’incognita percentuale sulla probabilità eruttiva (incognita naturale), sia l’incognita sui tempi di evacuazione (incognita antropica), perché non ci sono piani specifici. In queste condizioni il rischio è tecnicamente inaccettabile…

Il piano di emergenza messo a punto dalle autorità competenti (Dipartimento Protezione Civile; Regione Campania) sulla scorta di scenari offerti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) con il placet della Commissione Grandi Rischi (CGR-RV), contiene tutti gli elementi per gestire la crisi vulcanica, come ad esempio l’organizzazione da mettere in campo, la catena di comando, gli enti coinvolti nelle varie fasi operative e le strutture di coordinamento e controllo di quello che potrebbe essere il più grande piano di evacuazione del mondo in tempo di pace. Un piano di evacuazione che oggi ancora non c'è, nonostante siano passati dall'instaurazione di apposite commissioni e gruppi di lavoro, un numero di anni superiori a quelli che caratterizzarono il mito omerico della tela di Penelope…

L’unico modo per mitigare un po’ la situazione è quello di favorire l’allontanamento spontaneo del maggior numero possibile di persone nella fase di preallarme: prevalentemente di chi ha seconde case a disposizione. In tal caso le famiglie che si trasferirebbero altrove riceverebbero il contributo di autonoma sistemazione (C.A.S). Occorre quindi che questa possibilità sia assicurata attraverso atti governativi anche ai cittadini dei Campi Flegrei e di Ischia.

Le disquisizioni  fatte in questo articolo circa la difficile interpretazione da dare a una possibile crisi vulcanica che non racchiude con certezza l’ineluttabilità di un’eruzione, serve a mettere in evidenza quanto siano importanti le politiche di prevenzione e i piani di evacuazione e tutte le opere capaci di favorire il flusso veicolare degli sfollati che sarebbe particolarmente utile sfoltire come numero all’origine, attraverso politiche serie di delocalizzazione e di vincoli di inedificabilità residenziale in tutti quei territori che una legge dello Stato, e non noi, ha classificato zona rossa da evacuare.

Anche sulla zona rossa la politica comunque è stata capace di incredibili interpretazioni: nella figura sottostante si vede appunto la red zone nella sua interezza. In alcuni di questi comuni (a est) ricadenti nel perimetro a rischio, si può ancora costruire con licenza edilizia sulla scorta di una logica offerta dalla Regione: è vero che devono scappare anche loro in caso di eruzione, ma per fenomenologie gravi e non gravissime…

La zona rossa da evacuare in caso di allarme vulcanico.


Al dirigente della protezione civile regionale campana, ing. Italo Giulivo, era stato chiesto quanti comuni hanno utilizzato i fondi europei per appaltare a professionisti esterni la redazione del piano comunale di protezione civile, notoriamente da consegnare entro il 31 dicembre 2015: nessuna risposta. 
Secondo il nostro punto di vista, se la Regione Campania insieme al Dipartimento della Protezione Civile e all’Osservatorio Vesuviano ha varato qualche anno fa corsi ad hoc per la formazione del personale comunale anche dell'area flegrea e vesuviana da impiegare nella redazione dei piani di protezione civile, sarebbe intollerabile che alcune di queste municipalità destinasse soldi a privati o a società o a Enti terzi, per ottenere  la compilazione  di piani per i quali hanno ricevuto fondi europei e sapere nazionale...


Tabella dei comuni ricadenti in zone rosse vulcaniche che hanno ricevuto i finanziamenti
rispetto ad altri maggiorati del 25% per la stesura dei piani comunali di protezione civile . Tutti i comuni campani sono stati comunque finanziati per un importo complessivo di 14.milioni e 624 mila euro.

domenica 22 novembre 2015

Rischio Vesuvio, terremoto dell’Aquila e commissione grandi rischi: un unicum?... di MalKo



 


La cassazione il 20 novembre 2015 ha completamente e definitivamente scagionato non già la commissione grandi rischi, bensì il gruppo di accademici composto da Franco Barberi, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Mauro Dolce. Nella sostanza parliamo dell’equipe che si presentò all’Aquila il 31 marzo 2009 per discutere di rischio sismico e forse dell’indice di pericolosità incombente sulla cittadina abruzzese. Pur firmando in tempi diversi un verbale di riunione che sembrava da commissione, in realtà per il tribunale lo staff inviato da Guido Bertolaso era una cosa diversa dalla commissione grandi rischi, e quindi, probabilmente non aveva un particolare titolo giuridico responsabilizzante.

Gli scienziati escursionisti furono catapultati nel capoluogo abruzzese per rassicurare con la loro presenza e curriculum, gli abitanti in apprensione per gli incessanti eventi sismici a bassa intensità che da mesi toglievano il sonno. Non pochi invece pensarono e pensano ancora oggi, che forse gli esperti erano giunti fin lì anche e soprattutto per zittire un ricercatore locale, Giampaolo Giuliani, che profetizzava con previsioni al radon, l’imminenza di un terremoto distruttivo. In quel momento e in quel contesto politico, col dipartimento in tutt’altre faccende affaccendato, gli allarmi di Giuliani risultavano intollerabili per tutti gli uomini del presidente…

Bernardo De Bernardinis, vice capo Dipartimento della Protezione Civile, all’epoca dei fatti comandante di questa spedizione primaverile quale fido indiscusso del navigato Bertolaso, andò oltre nella missione elargitrice di sopore, offrendo alla stampa mediatici ottavini e tesi stupefacenti sugli scarichi energetici che a suo dire alleggerivano la tensione litosferica che non avrebbe così dato vita al micidiale colpo sismico che invece giunse puntuale una settimana dopo… le vittime furono 309.  Portavoce del gruppo, De Bernardinis si beccò la condanna senza menzione poi confermata nei vari gradi di giudizio a due anni di reclusione per negligenza e imprudenza. Parlò troppo e fu troppo in vista… Non sappiamo con quanta buona fede, ma riscatterebbe interamente la sua posizione di colpevole offrendo qualche verità recuperata dagli armadi delle quinte del potere.

La cassazione con la sentenza del 20 novembre 2015 ha allora prosciolto definitivamente da qualsiasi responsabilità il gruppo di esperti dichiaratosi tra l’altro ignaro delle rassicurazioni che improvvidamente il capo cordata dette alla popolazione aquilana quel giorno…

La faccenda non può ritenersi ancora conclusa però, perché rimane un appiglio giudiziario in danno a Guido Bertolaso in merito ad un’altra previsione che non ha nulla a che fare con la geologia, ma è tutta racchiusa in un’intercettazione telefonica in cui il potente Capo Dipartimento anticipa all’assessore regionale alla protezione civile, Daniela Stasi, che da quella riunione di esperti del 31 marzo 2009 usciranno solo rassicurazioni. Semplice preveggenza?

Da notare che nella settimana successiva al 31 marzo 2009, gli eventi sismici incominciarono a intensificarsi come le richieste di verifica statica ai fabbricati presentate ai Vigili del Fuoco. I pompieri in assenza di rassicurazioni avrebbero probabilmente accorpato i turni in modo da raddoppiare il personale disponibile in caso di necessità. Quando il terremoto colpì il 6 aprile 2009, il comando provinciale purtroppo era presidiato da un esiguo numero di soccorritori…

Questo processo, ma in realtà l’intera faccenda ha insegnato qualcosa: innanzitutto se a fronte di un rischio si riunisce la commissione grandi rischi in una qualsiasi delle sue branche specialistiche, bisogna chiedere il visto di certificazione istituzionale dell’adunata, per evitare che successivamente e a posteriori, si sancisca che non era affatto una riunione commissariale ufficiale. Chiedere sempre al portavoce poi, se le sue affermazioni sono state condivise con la commissione grandi rischi magari in quel momento distratta.
Il secondo elemento da cui trarre insegnamento è il ruolo di una certa parte della stampa particolarmente sbilanciata sulla difesa nel nostro caso degli imputati, al punto da creare ad arte la ridicola storia della scienza sotto processo. Si è gridato allo scandalo inquisitorio perché il tribunale dell’Aquila si permetteva, come i più classici tribunali dell’inquisizione, di processare la pseudo commissione grandi rischi per non aver previsto il terremoto. Il quarto potere in questo caso non è stato equidistante, forse per aiutare gli amici degli amici in un momento di difficoltà processuale: buttarla sul ridicolo funziona sempre.

Dopo questa storia aquilana, chi abita alle falde del Vesuvio dove il destino delle popolazioni potrebbe essere affidato come da programma a una decisione della commissione grandi rischi (ramo rischio vulcanico) che passerebbe poi alla politica la bandierina dello start evacuativo, quanto seguito avranno nei settecentomila abitanti le decisioni che si prenderanno? C’è ancora chi pensa sul serio di mandare i lettori vesuviani beatamente a letto sulla scorta dell’editoriale del direttore? Un dubbio amletico grava oramai sulla credibilità di una scienza forse concupiscente con la politica in un contesto di totale assenza di giornalismo investigativo…

Una scienza che ha applicato al Vesuvio la statistica nella definizione dell’eruzione massima da cui difenderci ridimensionandola *(VEI 4), in modo da mantenere fuori da una pliniana (VEI 5) dei territori su cui si costruiscono, ohibò, ancora case con licenza edilizia. I cittadini sono quindi alla mercé della probabilità statistica e delle politiche non dichiarate dei costi-benefici. L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, ing. Edoardo Cosenza, amava ripetere che nel vesuviano possiamo avere solo 4 matrici di possibilità: un’eruzione (VEI 4) senza evacuazione; un’eruzione (VEI 4) con evacuazione; un’evacuazione senza eruzione (VEI 4); un’evacuazione con eruzione (VEI 4). Il successo a suo dire era del 50%, concentrato sulle due possibilità favorevoli alla tutela, cioè eruzione con evacuazione e l’evacuazione con eruzione.

Già oggi e ancora di più col passare del tempo, stante la situazione attuale bisognerà aggiungere altre due matrici di probabilità: eruzione (VEI 5) con evacuazione; evacuazione con eruzione (VEI 5). Questo significa che se si dovesse verificare un’eruzione pliniana che nessun scienziato al mondo può escludere, anche in caso di successo evacuativo potremmo arrivare a settecentomila salvati e a un milione di morti.
Schema non in scala e semplicemente concettuale dei territori invadibili dai fenomeni 
eruttivi con differenti VEI. La linea nera è quella Gurioli...
Potrebbe anche essere un discorso drammaticamente valido quello dei costi benefici, cinicamente ineluttabile in un mondo dove il business ha il sopravvento su tutto, esseri umani compresi… Bisogna però dichiararlo questo cinismo, perché il cittadino non è un suddito e quindi bisogna dargli una possibilità di scelta attraverso l'informazione. D’altro canto non c’è nessuna moralità in queste criteri di realpolitik circa l’accettazione dell’ineluttabilità statistica…nessuna, se ancora oggi la politica si ostina e consente di costruire in quelle zone che potrebbero subire tutti gli effetti di un’eruzione pliniana, che può essere esclusa solo dalla politica ma non dalla scienza che avrebbe dovuto puntare il dito sulle facili costruzioni in zona rossa.

Per fronteggiare e sul serio il rischio vulcanico in Campania, bisogna sostenere le iniziative in corso circa la necessità di costituire una commissione d’inchiesta parlamentare, che faccia luce sui rapporti tra scienza e politica, a iniziare dai fatti legati al terremoto dell’Aquila, alla riunione del 31 marzo 2009, e anche e soprattutto cosa è successo e cosa si è fatto nella settimana che ha preceduto il sisma del 6 aprile 2009. Da queste risultanze bisognerà capire quale virata dare alle politiche di sicurezza nel loro insieme, ai compiti istituzionali dei vari corpi dello Stato comprensivi dei Prefetti, forse troppo sbilanciati sulle ragioni di Stato e sul principio di non allarmare… 

Terzigno-Poggiomarino : eruzione del Vesuvio 1944. I bombardieri americani non fecero 
in tempo  ad alzarsi in volo e furono "bombardati" dalla pioggia di cenere e lapillo.

Bisognerà rimettere il rischio Vesuvio e Campi Flegrei e anche Ischia di nuovo al centro dell’attenzione mediatica per varare delle serie politiche di prevenzione. Si proceda poi con l’analisi dei progetti di edilizia che gravano nel settore orientale e occidentale della città di Napoli, e sul piano urbanistico ischitano, onde evitare di accrescere il rischio vulcanico in queste aree già fortemente compromesse da una spiccata urbanizzazione mangia spazio. Lo sviluppo non è nelle pratiche cementizie di edilizia residenziale di cui non se ne sente francamente il bisogno in certi luoghi, esattamente come le trivellazioni in terreni che si gonfiano per la circolazione di fluidi caldi o per il magma che sale o da entrambe le cause all'origine di fenomeni bradisismici tutt'altro che rassicuranti...


* VEI: indice di esplosività vulcanica




sabato 24 ottobre 2015

Rischio Vesuvio: zona blu e lahar... di Malko

Colata di fango (1980) - Mount St. Helens - (fonte USGS)


lahar sono delle colate di fango che si formano soprattutto lungo i fianchi dei vulcani, quando le piogge intense che accompagnano di solito le eruzioni esplosive lasciano cadere molta acqua sui rilievi acclivi. Il prezioso liquido scorrendo prevalentemente lungo i valloni di erosione, si mischia ai prodotti piroclastici che incontra sul suo cammino formando una sorta di fiumara fangosa.
Le colate di fango diventano sovente inarrestabili ed hanno una densità sufficiente a trascinare verso il basso anche pietre e massi che hanno un effetto particolarmente abrasivo e distruttivo sulla vegetazione e sui manufatti che non rappresentano un ostacolo insormontabile al loro dilagare. 

Mount St. Helens - la corsa del fango ha segnato gli alberi

Le eruzioni vulcaniche esplosive che riguardano apparati montuosi ricoperti in cima da neve o ghiacciai, sono ancora più pericolose, perché i flussi piroclastici o anche altre fenomenologie vulcaniche roventi, liquefano velocemente la neve che diventa immediatamente una riserva idrica disponibile e dal grande potenziale energetico per effetto della quota.
Durante le eruzioni, cenere e lapilli possono essere depositati anche sui rilievi montuosi posti a distanza dal vulcano in attività: quindi, in presenza di piogge intense le colate di fango o detritiche torrentizie, possono prodursi pure altrove e dopo molti anni dal deposito. 

Colata di Sarno - Fonte Corriere mezzogiorno
Le colate rapide di fango che sconvolsero i territori del sarnese il 5 maggio del 1998 sono un esempio di lahar posdatati rispetto alle eruzioni del Vesuvio. Infatti, le persistenti piogge impregnarono totalmente le coltri di cenere e lapillo e pomici che giacevano da centinaia di anni su un sub strato calcareo nella zona montuosa di Pizzo D’Alvano (a est del Vesuvio), al punto che l’ammasso perse aderenza e fluidificò con furia nei valloni d’erosione e poi nelle strade di Sarno (Salerno) seminando morte e distruzione soprattutto nella frazione di Episcopio. Morirono 159 persone: nella sola Sarno se ne contarono 137, tra cui un vigile del fuoco, Marco Mattiucci, che rimase imprigionato durante le operazioni di soccorso all’interno del veicolo di servizio investito dal fango.

I lahar, sono il fenomeno vulcanico che ha prodotto il maggior numero di vittime nel mondo. Una delle colate di fango più micidiale che si annovera negli annali a tema, fu quella che caratterizzò l’eruzione del Nevado del Ruiz (Colombia) il 13 novembre del 1985. In questo caso i flussi piroclastici sciolsero il nevaio in cima al vulcano (5400 mt.), e tanta acqua si riversò verso il basso inglobando i prodotti piroclastici che intanto si erano accumulati al suolo. In poco tempo si animò un’enorme colata di fango che si abbatté inaspettata ancorché di notte sulla cittadina di Armero. Fu una strage…

L’immagine che vedete in basso fu scattata dal fotografo Frank Fournier è mostra una delle 23.000 vittime di quella notte: la piccola Omayra Sanchez travolta e poi imprigionata dal fango e dai detriti in una situazione apocalittica che durò sessanta ore. Minuti che segnarono l’impotenza dei soccorritori che nulla poterono fare per trarla in salvo da quella trappola mortale.
La foto fece il giro del mondo e tra mille polemiche perché si disse che non si poteva mostrare l’agonia di una bambina... L’autore dello scatto ha sempre affermato che Omayra è una vittima del Nevado del Ruiz, ma è soprattutto un simbolo di condanna del pressapochismo con cui il governo colombiano gestì quell’emergenza vulcanica…

La piccola Amyra Sanchez - Armero Guayabal 1985 - Foto F. Fournier
Il Vesuvio è uno strato vulcano che durante le eruzioni esplosive produce una gran quantità di ceneri e molto vapore acqueo che legandosi a corpuscoli di condensazione si trasforma in pioggia battente. Questo significa che anche da noi il problema dei lahar non è trascurabile in caso di eruzione. Le zone a maggior rischio sono quelle riportate nella figura sottostante corrispondente grosso modo alla zona rossa Vesuvio.

 
Apron Vesuvio - fonte INGV
Una delle caratteristiche della cenere vulcanica è quella di produrre un effetto di semi sigillatura dei suoli che diventano cattivi recettori dell’acqua piovana, che ristagna o si accumula e scorre in superficie in direzione delle depressioni plano altimetriche. 
Le cronache dell’eruzione del Vesuvio del 1631 (VEI4), riportano fenomeni alluvionali soprattutto per le acque corrive provenienti dal Monte Somma e che si riversarono nella piana di Nola, allagando cittadine come Saviano ed altre località ancora quali Marigliano, Cicciano e Cisterna, con altezza delle acque che raggiunsero e superarono largamente i 3 metri dal piano campagna.

Gli alluvionamenti possono presentarsi prevalentemente nei territori settentrionali dell’area vesuviana, nel settore tra Acerra e Nola, soprattutto, come dicevamo, se i terreni sono stati soggetti in ragione della direzione dei venti alla ricaduta di cenere vulcanica.

La conca di Nola è un settore geografico che per una serie di motivi di ordine altimetrico non è in grado di convogliare le acque meteoriche verso il mare secondo direttrici di percorso minimo (sud) come invece succede nel caso del fiume Sarno. La zona ove è ubicato il centro commerciale definito vulcano buono (Nola), dovrebbe corrispondere alla massima depressione areale. La morfologia dei luoghi costringe quindi le acque meteoriche a scorrere in direzione ovest passando sommessamente tra i comuni di Pomigliano d’Arco e Acerra.
  
Nel vesuviano settentrionale si potrebbero riversare torrenti di acqua e fango anche dalle valli del Clanio e di Quindici. Una situazione eruttiva con caduta di piroclastici concentrati a nord, indurrebbe velocemente un consistente alluvionamento non solo per l’effetto cenere sui terreni, ma anche per l’ostruzione dei canali e del sistema fognario dovuto ai detriti precipitati e mobilitati dalle acque.
L’eruzione massima di riferimento adottata dal dipartimento della protezione civile per la stesura dei piani d’emergenza e di quelli d’evacuazione ancora in itinere, è simile a quella del 1631 (VEI4). Quest’ultima cagionò oltre ai fenomeni dei flussi piroclastici e della pioggia di cenere e lapilli, anche inondazioni diffuse in alcune cittadine tra cui Marigliano e Cicciano che lamentarono vittime a causa dei circa tre metri d’acqua dilagante.

Zone Vesuvio (rossa,gialla e blu)
La zona blu che è una sovra perimetrazione di un settore già ricadente in zona gialla, ha quindi una sua correlazione con le ceneri e i lapilli aspersi dal vulcano, ma ha anche un ulteriore fattore di vulnerabilità rappresentato dalle alture circostanti che prevedono linee d’impluvio che scaricano anche indirettamente in direzione di Nola. Il fenomeno delle inondazioni dicevamo è particolarmente concentrato nella parte a nord, nord est del Somma - Vesuvio, ma nessun luogo del territorio che contorna il vulcano e per 360° può ritenersi esente dal fenomeno dei torrenti di fango (lahar), che andrebbero a caratterizzare soprattutto i canali d’impluvio (lave d’acqua) e i valloni erosivi attuali soprattutto del Somma. Anche alcune strade e tratturi possono essere portatori di fango, e tra l’altro possono essere già oggi rilevati perché spesso in caso di pioggia intensa si trasformano in alvei detritici.


Per avere qualche dettaglio in più sul fenomeno delle colate di fango, chiediamo al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), quali eruzioni del Vesuvio hanno prodotto lahar e quali sono state le zone o i paesi particolarmente colpiti.

Come in quasi tutti i vulcani esplosivi, anche al Somma-Vesuvio gli eventi eruttivi sono spesso associati a fenomeni particolari, quali precipitazioni eccezionali e generalmente colate, la cui definizione precisa è in funzione della concentrazione di particelle solide e dei processi di trasporto. In genere si parla di colate di fango o lahar, ma questi fenomeni spaziano in un più ampio spettro di proprietà fisiche e meccanismi di genesi, trasporto e deposizione dei materiali. I due estremi comprendono fenomenologie simili alle frane con prevalenza di materiale solido accumulato sui fianchi del vulcano e mobilizzato a causa di instabilità, sollecitazioni sismiche e riduzione dell'attrito interno per effetto di precipitazioni, ecc. C’è poi una tipologia di flussi simili a sovralluvionamenti, nella quale abbonda l'acqua, mentre il materiale solido trasportato è fortemente subordinato: in questo caso generalmente si parla di mass flow.

Molte eruzioni esplosive del Vesuvio sono state accompagnate e seguite da mass flow, talvolta devastanti, anche se in genere questi sono più frequenti in eruzioni di tipo pliniano o subpliniano.  Le aree interessate comprendono tutti i versanti del vulcano, con particolare concentrazione nelle aree di maggior accumulo di materiale piroclastico. I lahar, possono raggiungere distanze notevoli dal vulcano, e possono accumularsi con spessori anche superiori ai 10 metri in canali o pianure perivulcaniche; così come possono originarsi pure da altri rilievi montuosi sottovento e interessati da notevoli accumuli di materiale vulcanico, poi mobilizzato per effetto di instabilità legata ad elevata pendenza dei versanti e precipitazioni.
Ugualmente eruzioni di minore portata, quali stromboliane o vulcaniane, occasionalmente hanno generato lahar, per lo più localizzati sui versanti del Somma-Vesuvio con modesta mobilità.

L’eruzione del Vesuvio del 472 si caratterizzò tra l’altro anche per le colate di fango. Ma quest’eruzione è da ritenersi una pliniana, una sub pliniana o, energeticamente parlando, mediana tra le due?

L'eruzione del 472 A.D è una eruzione molto particolare che meriterebbe una più ampia trattazione. In base agli attuali criteri di classificazione è una sub-pliniana, ma per l'estensione degli effetti associati può essere considerata e alla stregua una pliniana. Le ricerche che ho condotto alla fine degli anni '90 hanno consentito di evidenziare proprio gli effetti secondari (lahar e mass flow), che in generale hanno conferito all'eruzione del 472 uno straordinario potere di devastazione e modificazione del territorio in un raggio di decine di km dal vulcano. L'eruzione avvenne quasi alla fine dell'Impero Romano, quando il territorio vesuviano era in progressivo abbandono. L'effetto combinato del carattere freatomagmatico di alcune fasi dell'eruzione e del degrado degli insediamenti umani, fecero sì che l'eruzione seppellendo le pianure intorno al Vesuvio sotto metri di pomici, ceneri e fango poi consolidato, assestasse un duro colpo in termini di vivibilità all'area nolana e sarnese in particolare.


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per le risposte che ha assicurato ai nostri lettori su questo tema delle colate di fango spesso sottovalutato come fenomeno vulcanico complementare e dirompente.

Nelle conclusioni dobbiamo sottolineare che il fango composto da acqua e cenere vulcanica è una vera trappola mortale, perché pur riuscendo a respirare, un eventuale malcapitato sarebbe sottoposto suo malgrado a problemi di ipotermia e probabilmente da sindrome da schiacciamento soprattutto col progredire del processo di disseccamento.

In alcuni casi sono stati fatti esperimenti per valutare lo sforzo necessario a un uomo per liberarsi dal fango viscoso: ebbene, occorrerebbero centinai di chilogrammi... D’altra parte è anche il caso di ricordare che mentre sull’acqua si galleggia e sulle macerie si cammina, sul fango non si galleggia e non si cammina, e questo per un soccorritore è un grosso limite operativo.