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giovedì 26 gennaio 2017

Campi Flegrei 2017: controllare il super vulcano... di MalKo



Pozzuoli. Solfatara. Le nuove fumarole di Pisciarelli. Foto: Carmine Minopoli 

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza i territori ubicati nella parte occidentale della metropoli napoletana. Circoscrizioni popolose come Fuorigrotta, Bagnoli, Soccavo e Pianura, così come i territori di altre municipalità quali Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli e Quarto, comportano l’esposizione di oltre mezzo milione di persone al rischio vulcanico a causa della totale promiscuità con il quiescente super vulcano flegreo…
Il vulcano flegreo da un po’ di anni dà segnali geofisici e geochimici di una crescente vivacità geologica ancora tutta da decifrare. L’alito rovente del vulcano comunque si percepisce… La zona calderica in un certo qual senso ribolle, con emissioni notevoli di anidride carbonica che si diffondono nell’area della Solfatara, così come le temperature delle manifestazioni idrotermali che in alcuni punti pare siano significativamente aumentate.
Qualche evento sismico a sciami, altri isolati, e il bradisismo che ha ripreso seppur lentamente a deformare il fondo calderico, sono tutti sintomi che lasciano aperta anche l’ipotesi dell’ingressione di magma fino a pochi chilometri dalla superficie. Tutti questi elementi che sono l’ordinario per un distretto vulcanico attivo, hanno destato non poca apprensione in chi istituzionalmente è preposto alla sorveglianza del vulcano flegreo.
Il Dott. Giovanni Chiodini è un dirigente di ricerca dell’INGV, e per molto tempo ha monitorato la geochimica dei fluidi del super vulcano flegreo, evidenziando e pubblicando anche recentemente su Nature Communications, i risultati di alcune interessantissime ricerche.
Dott. Chiodini, un magma cosa trascina e rilascia raggiungendo la superficie?
I magmi muovendosi verso la superficie si depressurizzano e rilasciano le sostanze volatili, quali acqua e anidride carbonica, originariamente disciolte nel prodotto fuso.
Dalla qualità e quantità delle emissioni rilevabili in superficie, è possibile capire se il magma in profondità è acido o basico?
Non è semplice, perché le emissioni che si colgono in superficie, spesso non sono totalmente rappresentative della qualità del magma sottostante, le cui emanazioni gassose possono essere soggette a contaminazione trapelando tra rocce e acquiferi. Questi ultimi ricevendo calore, possono bollire anche con una certa intensità producendo vapori che si mescolano ai fluidi gassosi in ascesa dal sottosuolo, per poi sfociare in superficie a volte anche con una certa dirompenza.
Nonostante queste difficoltà, nel caso delle fumarole della Solfatara un tentativo di riconoscere il tipo di magma dai vapori che raggiungono la superficie è stato fatto un paio di anni fa. I risultati sono stati pubblicati nella rivista di riferimento per la comunità internazionale dei geochimici (Geochimica et Cosmochimica Acta), e indicano che parte dei gas che formano le fumarole della Solfatara potrebbero essere emessi da un magma di tipo basico.
Nei Campi Flegrei, pare accertato la presenza di intrusioni magmatiche fino a tre chilometri dalla superficie. E’ così?
Non proprio: la vulcanologia purtroppo non è una scienza esatta e spesso gli stessi dati vengono interpretati in modo differente dai vari ricercatori che li studiano. Nel caso dei Campi Flegrei, molti degli episodi di deformazione sono stati intesi come dovuti a processi d’aumento di pressione del sistema idrotermale che si trova sopra una non meglio localizzata camera magmatica. Fa eccezione la crisi bradisismica del 1983/1984 che è stata interpretata da più autori come dovuta all’arrivo di magma a profondità relativamente basse (3-4 km). Più recentemente si è pensato al coinvolgimento diretto del magma in un altro episodio di deformazione intensa, quello registrato nel 2012/2013. Penso però, e nel merito ho pubblicato anche diversi lavori, che comunque c’è coinvolgimento di gas magmatici, e quindi a una qualche profondità non iper chilometrica c’è magma.

Questi gas magmatici risalendo verso la superficie pressurizzano il sistema idrotermale e in parte causano la deformazione del terreno quale manifestazione poi rilevabile in superficie. Quello che ipotizziamo nel lavoro su Nature Communications, è che i gas emessi dal magma si stanno arricchendo nel tempo in vapore acqueo. Il vapore condensando al contatto con le rocce rilascia calore e le scalda. Questo processo a sua volta causa una deformazione perché, ad esempio, le rocce in profondità aumentano di volume per espansione termica. L’aumento di volume di una parte delle rocce causa a sua volta uno stress nelle rocce circostanti che possono fratturarsi generando un po’ di quei “micro” terremoti che recentemente avvengono in modo più frequente rispetto agli anni precedenti (ad eccezione ovviamente della crisi bradisismica del 1983-84).
Stefano Caliro e Giovanni Chiodini - Bocca Grande - Solfatara

Il fratturarsi delle rocce causa a sua volta un aumento della loro permeabilità favorendo quindi un’ulteriore risalita dei fluidi dal profondo. Tali processi, legati allo scambio termico, avvengono in tempi più lunghi di quelli ad esempio legati ad una eventuale intrusione di magma o al semplice aumento di pressione del sistema idrotermale. E i tempi lunghi stanno caratterizzando l’attuale deformazione dei Campi Flegrei: a tal proposito voglio ricordare che il processo è iniziato più di 10 anni fa.
Secondo alcuni autori, ci sono state recentemente intrusioni di magma nel sottosuolo dei Flegrei ed io non ho elementi esaustivi per confermare o smentire attraverso l’analisi geochimica queste conclusioni. I miei studi indicano comunque, che ci sono gas magmatici in abbondanza, e che la loro risalita sta scaldando il sottosuolo dell’area flegrea…
Nel corso degli anni, anche rispetto agli archivi storici, le emissioni di anidride carbonica nell’area flegrea come sono cambiate in termini quantitativi?
Dagli archivi storici purtroppo non abbiamo nessuna informazione quantitativa, perché le tecniche per misurare i flussi di CO2 rilasciata dal suolo sono state messe a punto solo recentemente (alla fine degli anni ’90). Dal 1998 ad ora, in collaborazione con colleghi dell’Università di Perugia, abbiamo fatto una trentina di campagne di misura che includono il cratere della Solfatara e le zone circostanti (Pisciarelli ecc.).
Una prima elaborazione dei dati acquisiti fino al 2008 è stata pubblicata nel 2011 sulla rivista Journal of Geophysical Research. Lo studio mostrava che l’area vulcanica che emette CO2 si è espansa (in pratica era raddoppiata in pochi anni), a partire dal 2003: ora stiamo lavorando per aggiornare quelle elaborazioni. Le posso anticipare che il processo di espansione è continuato anche dopo il 2008, e che i flussi totali di CO2 emessa dai suoli dell’area indagata (circa 1.4 km2), sono approssimativamente raddoppiati dal 2003 ad oggi. Si parla di quantità notevoli di gas, dell’ordine di 2000 tonnellate al giorno: in altri vulcani flussi simili caratterizzano crateri attivi, mentre ai Campi Flegrei vengono emessi in modo diffuso da un'area superficiale molto estesa.
Nella zona di Oliveto Citra (Salerno), da alcuni pertugi nel terreno fuoriesce anidride carbonica e idrogeno solforato probabilmente all’origine di una moria di animali di taglia bassa. La zona di Pisciarelli potrebbe alla stregua essere pericolosa? 
Ho studiato in dettaglio questo tipo di emissioni di CO2 fredda (l’H2S compresa), e qualche anno fa abbiamo pubblicato un catalogo online di quelle presenti nel territorio italiano (http://googas.ov.ingv.it/). In Italia ce ne sono qualche centinaio, e gli incidenti purtroppo spesso interessano anche le persone e non solo gli animali.
Oliveto Citra (Salerno). Emanazioni gassose dal sottosuolo. Foto MalKo
Una delle emissioni più famose che nel tempo ha causato numerosi incidenti mortali, è quella delle Mefite d’Ansanto, in Irpinia. Il problema con queste emissioni fredde è che l'anidride carbonica è più densa dell’aria e tende ad accumularsi nelle depressioni topografiche formando, in condizioni di assenza di vento, fiumi e laghi di gas invisibili, che diventano a volte delle vere trappole mortali. Dove le emissioni sono calde, come alle fumarole della Solfatara e di Pisciarelli, il gas è più leggero dell’aria e si disperde con maggiore facilità senza formare accumuli pericolosi. Problemi potrebbero esserci nelle zone periferiche flegree dove il gas esce magari da suoli freddi.
I laghi vulcanici flegrei potrebbero essere all’origine di un’eruzione di tipo limnico?
Al lago Averno episodicamente succede una sorta di mini eruzione limnica con prodotti gassosi che si liberano dal fondo e rimangono confinati all’interno delle acque lacuali per poi disperdersi lentamente in superficie. Il dato visibile del fenomeno è la diffusa moria di pesci com’è successo nei primi dieci giorni di gennaio di quest’anno.
Sull’argomento avemmo a scrivere già nel 2008. In pratica il lago normalmente presenta delle stratificazioni dettate da acque più ricche in sali e in gas, fra cui l'idrogeno solforato concentrato negli strati più profondi. Nella parte superiore invece, ristagnano acque normali, meno saline e con una sufficiente concentrazione di ossigeno dove i pesci possono vivere. Quando la temperatura esterna diventa molto bassa, le acque superficiali diventano più dense (l'acqua ha il massimo di densità a 4°C), quindi più pesanti delle sottostanti e invivibili acque saline ricche in idrogeno solforato e senza ossigeno. Questa differenza di densità genera l’inversione di posizione delle masse d’acqua stratificate, e quindi la moria di pesci nei primi dieci metri di profondità è un fatto ineluttabile.  Possiamo concludere che a parità di condizioni, il processo d’inversione di posizione delle masse d’acqua lacuali, sono il frutto delle variazioni climatiche prima ancora che di quelle vulcaniche.
La più catastrofica eruzione limnica si verificò nel 1986 in Camerun, quando nel 1986 dal lago Nyos si sprigionò una nube di CO2 che uccise 1800 persone che abitavano nelle valli adiacenti. Anche in quel caso il processo fu innescato dalla risalita in superficie delle acque profonde molto ricche in CO2. Fortunatamente il lago Averno è poco profondo e non ci possono essere accumuli rilevanti di gas. Purtuttavia come abbiamo chiarito precedentemente, nel nostro caso il processo causa la morte dei pesci ma non la fuoriuscita di quantità pericolose di gas dalle sponde del lago.
Solo nella zona di Pisciarelli si nota un incremento di CO2? Se sì questo significa che il vulcano Solfatara potrebbe essere il punto superficiale d’ascesa di una vena magmatica?
L’incremento nei flussi di CO2 interessa tutta la zona che indaghiamo (Solfatara e Pisciarelli inclusi). Nelle zone orientali del cono della Solfatara (Pisciarelli, via Scarfoglio) gli incrementi sono stati più elevati. Questo non significa necessariamente che ci sia del magma sotto la Solfatara e Pisciarelli. Le emissioni della Solfatara nel loro complesso potrebbero essere immaginate come quelle di un camino dove vengono convogliati i gas presenti in una porzione più grande del sottosuolo, che noi chiamiamo il sistema idrotermale della Solfatara.
Generalmente nel campo degli incendi le forti temperature indeboliscono talmente le strutture metalliche e lo stesso calcestruzzo al punto che si piegano travi e pilastri e con essi cedono strutturalmente interi palazzi. Ci sembra di capire che un fenomeno simile di perdita di resistenza statica dovuto all’ascesa del magma e al calore che esso diffonde tramite i fluidi caldi, indeboliscano particolarmente la struttura crostale superficiale al punto da consentire al magma di vincere le resistenze ed eruttare.  E’ così? 
Questo potrebbe essere il pericolo della crisi attuale dei Flegrei.
Il magma flegreo genera intrusioni perché è particolarmente ricco di fluidi o, viceversa, le intrusioni sono frutto di una particolare e labile e iper fratturata struttura crostale?
Tutti i magmi tendono ad introdursi nella crosta terrestre, anche quelli meno ricchi di fluidi rispetto ai magmi Flegrei. Sicuramente la presenza di fratture e discontinuità preesistenti facilita il processo d’intrusione magmatica.
Ci sembra altresì di capire che le intrusioni magmatiche fermano la loro ascesa in superficie quando diventano troppo dense per la perdita di gas e vapori. Quindi sono di modestissime proporzioni?
I volumi coinvolti non sono conosciuti (come le dicevo sopra, non c’è nemmeno accordo sulla presenza di intrusioni superficiali recenti…). In ogni caso gli indizi fanno pensare eventualmente a intrusioni “piccole”, anche considerando che le eruzioni flegree degli ultimi 10 mila anni sono state in genere di modesta taglia…
Il bradisismo puteolano ha origini diverse legato al calore di fondo o ha strette correlazioni con le intrusioni magmatiche?
Le ripeto che su questo punto c’è dibattito scientifico. Secondo il mio parere, le cause sono differenti e probabilmente comprendono anche piccole intrusioni magmatiche. Penso tuttavia che la pressurizzazione del sistema idrotermale e il suo riscaldamento ad opera di gas magmatici, abbiano attualmente un ruolo importante.
Allo stato dei fatti i Campi Flegrei sono il distretto vulcanico da temere maggiormente?
Posso esprimere solo la mia opinione: penso di sì.
Esistono studi simili a quelli da Lei condotti nel flegreo anche per il Vesuvio e Ischia?
Il nostro gruppo ha pubblicato nel passato lavori sui sistemi idrotermali di Ischia e del Vesuvio, ma senza riferimenti ai risultati e metodologie utilizzate nel lavoro recentemente pubblicato su Nature Communications, perché questi sono per molti aspetti nuovi. Mi auguro che i risultati ottenuti possano servire in futuro per meglio interpretare i segnali di altri vulcani quiescenti (non solo Ischia e il Vesuvio ma in generale di tutti quei sistemi dove queste nuove metodologie sono applicabili). Il nostro obiettivo finale è quello di capire meglio i processi che controllano la dinamica dei vulcani dormienti, in modo da poterne prevedere l’evoluzione futura …
Il confronto internazionale è importante per la previsione del rischio vulcanico?
Come le accennavo in precedenza, la vulcanologia non è una scienza esatta. Il confronto internazionale fra differenti ricercatori è fondamentale per progredire e per meglio interpretare le fasi potenzialmente pre-eruttive dei vulcani.
Ringraziamo il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, per l’interessante intervista che ci ha rilasciato,  che ha il pregio della chiarezza e dell’attualità sulla ricerca geochimica legata ai vulcani.
Il nostro punto di vista conclusivo è certamente orientato sulla necessità di dare spazio e risorse alla ricerca scientifica che si occupa anche di vulcani, perché il meridione della nostra stupenda Penisola è costellato da terre vulcaniche che si caratterizzano per un’antropizzazione senza precedenti.
La recente emergenza che ha segnato in terra d’Abruzzo una sovrapposizione di eventi tragici, dal terremoto alle inclemenze meteorologiche, ha visto un territorio impreparato ad affrontare le calamità così come la resilienza dei cittadini che decade rapidamente con la perdita delle utilità quotidiane e la tecnologia.
Questo significa che l’uomo è più fragile rispetto al passato, anche se vive più a lungo e più comodamente, ma troppo spesso è distratto e sottovaluta gli eventi estremi che noi chiamiamo catastrofi, mentre da un punto di vista planetario non sono altro che fattori certamente energetici ma di assoluta normalità per un Pianeta in perenne evoluzione.
Per quanto riguarda i Campi Flegrei, l’area è soggetta al primo livello di attenzione vulcanica. I processi geofisici e geochimici seppur lentamente incalzano, e questo recente studio del Dott. Chiodini sembra rilevare crepe nella resistenza della cappa crostale flegrea. Ciò induce a ritenere che non si può escludere che l’aggiunta di qualche altro piccolo tassello fornisca elementi di preoccupazione sufficienti a consigliare il passaggio alla fase di preallarme vulcanico.
i livelli di allerta vulcanica
Una variazione che può essere sancita solo dal capo del governo, sentito il Presidente della Regione Campania, il Capo Dipartimento Protezione Civile, la Commissione Grandi Rischi - Sezione Rischio Vulcanico e l’Osservatorio Vesuviano quale centro di competenza per il rischio vulcanico.
Il passaggio al livello di allerta vulcanica tarata sul preallarme comporterebbe l’evacuazione preventiva di ospedali e case di cura e la possibilità per i cittadini che hanno autonoma sistemazione di allontanarsi dai Campi Flegrei.
E’ ovvio che i territori se non si sono organizzati con piani di evacuazione e con istruzioni dettagliate racchiuse in un vademecum da rilasciare ad ogni famiglia dei Campi Flegrei, il disorientamento potrebbe innescare reazioni di popolo incontrollate. Premere il bottone arancione, per molti versi, è più difficile a pigiare di quello rosso…






sabato 17 dicembre 2016

Isola d'Ischia. Progetto geotermico Forio a Serrara Fontana... di MalKo


Ischia
Tra le energie rinnovabili sicuramente il geotermico presenta aspetti molto interessanti perché rispetto all’energia eolica e marina che manca con le bonacce, o il solare che viene meno con l’orario notturno, il calore del cuore della Terra che s’irradia fino alla superficie lo si può sfruttare diuturnamente per tutto l’anno…

Tra l’altro, gli impianti geotermici chiamati binari, rispetto ad altri che hanno ammorbato e continuano ad ammorbare l’aria in alcune zone della Toscana, non prevedono il rilascio di acqua e vapori a cielo aperto.

Nell’impianto pilota ischitano di Serrara Fontana, tutto avverrebbe in tre condotte sigillate che si spingerebbero nella crosta terrestre a circa 1400 metri di profondità… due di queste tubazioni emungerebbero fluido geotermico a circa 200° C. per inviarlo poi in superficie a non meno di 140° C. all’interno di uno scambiatore di calore.

L’acqua calda si interfaccerebbe senza contatto con una sostanza organica col punto di ebollizione inferiore ai 90° C. Quest’ultima evaporando muoverebbe una turbina collegata a un generatore elettrico. Le acque minerali dopo aver ceduto calore verrebbero alfine reiniettate in profondità a circa un chilometro dal punto di prelievo.

Il sistema binario legato al geotermico, dicevamo, non comporta contatto diretto con l’ambiente esterno… Questa tecnica, almeno così dicono i promotori del progetto Forio, non dovrebbe neanche alterare la qualità degli acquiferi sotterranei, a tutto vantaggio delle rocce che dovrebbero mantenere senza particolari modifiche le loro caratteristiche chimiche e fisiche e di imbibimento, scongiurando quindi variazioni di volume.

I pozzi di emungimento (2) e reiniezione (1), dovrebbero raggiungere, come detto, più o meno una profondità di 1400 metri. Tre perforazioni in zona sismica e vulcanica… Secondo le relazioni scientifiche che accompagnano il progetto Forio (Ischia), tale attività industriale che andrebbe ad esplicarsi nella parte meno conosciuta del Pianeta, cioè il sottosuolo chilometrico, non dovrebbe in alcun modo costituire elemento di pericolo perché un monitoraggio continuo darebbe il polso della situazione estrattiva e reiniettiva, che può essere interrotta in qualsiasi momento, laddove dovessero presentarsi problemi di sicurezza ovvero di inquinamento.

Lo sfruttamento del calore geotermico in ultima analisi è un business, che per essere molto conveniente deve poter contare su acqua molto calda che circola per convezione all’interno degli strati della crosta terrestre ubicati a profondità per quanto variabili relativamente contenute, e quindi raggiungibili senza proibitivi investimenti economici.

Praticamente il sistema geotermico binario capta e trasforma una circolazione naturale dei fluidi caldi nel sottosuolo vulcanico, in una circolazione forzata all’interno di tubazioni che devono raggiungere il piano campagna per poi inabissarsi ancora nel sottosuolo a una profondità pari a quella estrattiva.  Una sorta di circuito chiuso senza interscambi a cielo aperto. Occorre precisare però, che tale circuitazione non può definirsi totalmente chiusa, perché l’ambiente sotterraneo di captazione e reiniezione, non è confinato e sigillato alla stregua di un radiatore in uso negli impianti di raffreddamento delle autovetture.

In linea generale queste energetiche temperature rinvenibili nelle acque circolanti negli strati crostali dei primi chilometri di profondità, sono generalmente presenti nelle aree vulcaniche a ovest dell’appennino, lungo quella linea di fratturazione che favorisce il vulcanesimo antico e recente che parte dal Monte Amiata fino a raggiungere la parte più meridionale e vulcanica della nostra Penisola mar Tirreno compreso.

Con questo si vuole dire che gioco forza la geotermia dedicata all’utilizzo di fluidi a media e soprattutto ad elevata temperatura, si concentrerà almeno su terra sulle due porzioni di territorio che la cartina a tema ci rimanda. La maggiore estensione geografica votata al geotermico, come vedete si trova in Toscana; di modestissime proporzioni quella corrispondente all'area provinciale di Napoli. In quest’ultimo caso segnatamente nella parte occidentale della città metropolitana di Napoli con i Campi Flegrei e l’isola d’Ischia. Altre aree dal gradiente termico molto interessante, sono ubicate in mare aperto, dove qualsiasi attività di sfruttamento dei fluidi geotermici richiede processi molto costosi e poco sicuri perché le distese marine non sono statiche e i seamount , non sono monolitici e pianeggianti. Pure il vulcano sottomarino Marsili fu oggetto di una richiesta di sfruttamento geotermico poi bocciata.

Anche i meno addentrati nelle problematiche del rischio vulcanico napoletano, sanno perfettamente che tutte le tematiche di protezione civile sussistono e persistono nell’area provinciale partenopea, perché nel tempo si è consentito il proliferare di un’urbanizzazione massiccia e serrata e asfissiante senza alcuna regola di prudenza in territori definiti fragili, ardenti e ballerini. Una condizione che analiticamente già dovrebbe sconsigliare a prescindere l’inserimento di una centrale geotermica nel tessuto provinciale napoletano, ancorchè perché una sola centrale non risolverebbe i problemi energetici e quella di Serrara Fontana sarebbe assurda ritenerla magari un battistrada foriero di altre strutture similari. Che le medie e grandi entalpie siano risorse energetiche d’interesse nazionale non possono eludere magari la volontà locale di essere artefice e partecipe dello sviluppo del proprio territorio secondo vocazioni antiche e moderne come il termalismo e il turismo.

acque termali ad Ischia

La società Ischia Geo Termia S.r.l., ritiene  che l’insediamento dell’impianto geotermico nel comune di Serrara Fontana con annesso impianto tecnologico di trasporto di corrente elettrica fino a Forio, non comporta rischi per la popolazione ancorché per l’ambiente naturale legato all’aria, all’acqua e ai suoli e ancora alla vegetazione e alla fauna e avifauna e alle industrie che campano di termalismo.

Potrebbe essere così, ma potrebbe essere invece l’opposto, cioè che le inevitabili trivellazioni e le pratiche di reiniezione dei fluidi in profondità, possano favorire sul serio l’insorgere di problematiche sismiche ed ancora di eruzione del pozzo o comunque di modifiche della circolazione delle acque termali, perché le condotte composite di prelievo e reiniezione non sono chiodi uniformi piantati in un tessuto parimenti uniforme e asciutto e asismico e senza stress e stabile magmaticamente parlando.

In realtà le tematiche dei rischi correlati alle trivellazioni non poggiano su elementi decisionali univoci, nel senso che non ci sono certezze assolute sui due fronti del pro e contro.

Il principio di precauzione dovrebbe essere nato proprio per fronteggiare le condizioni di incertezza. Cioè, se le ipotesi di rischio per le popolazioni e per l’ambiente non sono supportate da elementi certi in un senso o nell’altro, bisognerebbe muoversi come se quell’attività o quell’elemento o quel prodotto siano realmente e potenzialmente pericolosi.

Il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino nel 2012 non consentì alcuna trivellazione nei suoli di Bagnoli (Campi Flegrei) ex italsider, per dare corso e spazio al famoso progetto deep drilling project (CFDDP), nonostante questi fosse stato varato dall’INGV Osservatorio Vesuviano per fini dichiarati talora scientifici e altre volte di valutazione del potenziale geotermico della zona. Il deep drilling di Bagnoli escludeva tra l’altro la pratica della reiniezione. La Iervolino in assenza di certezze ma solo di rassicuranti probabilità, non autorizzò neanche la perforazione di appena 500 metri del cosiddetto pozzo pilota…

Qualora vi siano dubbi circa la pericolosità di un’attività che potrebbe pregiudicare la sicurezza della popolazione attraverso l’alterazione di equilibri naturali nel sottosuolo ischitano, si potrebbe chiedere un parere alla commissione grandi rischi senza togliere nulla alle prerogative decisionali del Ministero dell'Ambiente (VIA).
Avemmo a chiedere proprio al dipartimento della protezione civile un intervento della commissione grandi rischi a fronte dell’accennato progetto del deep drilling  che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità in area metropolitana, addirittura senza necessità di una Valutazione d’Impatto Ambientale, perché Il fine dichiarato era tutto scientifico…

In quell’occasione il prefetto Gabrielli, capo dipartimento della protezione civile, ci scrisse rimarcando la necessità che a chiedere l’intervento preventivo della commissione grandi rischi non poteva che essere un’autorità di protezione civile, ad esempio il sindaco ai sensi dell’art. 15 della legge 24 febbraio 1992 n° 225 e sue successive modifiche e integrazioni, e non un privato cittadino.

Il prefetto aggiunse: << …appare utile a tal proposito precisare che lo stesso INGV è, ai sensi di legge, componente del Servizio Nazionale della Protezione Civile, nonché Centro di Competenza dello scrivente Dipartimento in materia di valutazione di pericolosità sismica e vulcanica…>>.

La domanda che sorge spontanea è come fa l’INGV ad essere contemporaneamente componente nazionale del servizio di protezione civile ed ancora Centro di Competenza per gli affari sismici e vulcanici per poi comparire nel frontespizio della Ischia Geo Termia S.r.l. quale struttura associata di progettazione specialistica e di monitoraggio…

Secondo le teorie appena riportate, il sindaco di Serrara Fontana e di Forio e anche degli altri comuni, potrebbero congiuntamente produrre istanza al capo dipartimento per avere un parere dalla commissione grandi rischi sezione rischio sismico e vulcanico, circa la sicurezza degli ischitani a fronte delle tre perforazioni e della pratica di reiniezione del fluido geotermico captato. 

Per quanto riguarda la redazione dei piani comunali di protezione civile, i due sindaci menzionati per gli stessi disposti di legge accennati in precedenza, devono provvedere a stilare il piano d’emergenza chiedendo sempre al dipartimento della protezione civile gli scenari di rischio che l’autorità scientifica (INGV) avrebbe già dovuto determinare per l’isola d’Ischia.

Il nostro invito è rivolto alla competente Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale, acché sia rigettato questo progetto, perché ci sono dubbi sulla innocuità delle trivellazione e delle pratiche di reiniezione. Altresì si chiede che si desista dallo sfruttamento dell’energia geotermica a media e ad alte temperature nelle zone napoletane a rischio vulcanico come Ischia e i Campi Flegrei e il Vesuvio. Si privilegi invece lo sfruttamento del calore terrestre meno energetico ma più accessibile e superficiale, attraverso un’operazione più diffusa di captazione dei fluidi caldi con sistemi e impianti magari meno invasivi ma certamente capaci di rispondere a una miriade di necessità diverse dal geo elettrico che può essere integrato da altre fonti naturali. 
Se la fonte geotermica è una fonte di energia rinnovabile, per sua natura vuol dire che è nelle nostre disponibilità anche future. Una risorsa a cui potremmo attingere attraverso tecnologie del tutto innovative, oppure con operazioni di trivellazioni maggiormente gestibili in termini di rischio, grazie ad apparecchiature e studi che diano magari una esatta corrispondenza del sottosuolo che bisognerà violare.










venerdì 9 dicembre 2016

Rischio Vesuvio: Fidel Castro chiese... di MalKo


Vesuvio visto da Napoli

Il Presidente dell’Istituto di Cooperazione e Sviluppo Italia-Cuba, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha raccontato che nel 1998 fu tra i pochi fortunati selezionati dall’ambasciatore cubano a Roma per incontrare Fidel Castro. Il Lider Maximo nel cordialissimo colloquio, inaspettatamente manifestò particolare interesse per il Vesuvio formulando al riguardo domande e lasciando trapelare incredulità sul fatto che sulle pendici del vulcano vivessero tante persone… e quindi chiese se erano stati approntati i piani di evacuazione. Un leader molto pragmatico…

I cittadini del vesuviano non pensano a come sia stato possibile che intorno a un vulcano esplosivo abbiano incredibilmente consentito di costruire palazzi su palazzi, perché loro fanno parte della parola incredibile; invece molto più realisticamente si chiedono se la posizione in cui risiedono sia più o meno pericolosa rispetto ad altre.

Nel merito del livello di rischio a cui giocoforza sono sottoposti per precisa collocazione geografica, e quindi distanza delle loro abitazioni dal cratere sommitale del Vesuvio, indubbiamente a fare la differenza sarà la portata energetica della prossima e imprevedibile eruzione. C’è da dire che le eruzioni maggiormente dirompenti possono differenziarsi per indice di esplosività vulcanica. Tra una sub pliniana (VEI4) e una pliniana (VEI5) passa un solo punto di differenza che non è poca cosa, perché i flussi piroclastici potrebbero coprire distanze di quasi 10 chilometri nel caso di una VEI4, ma anche il doppio in seno a una pliniana, come successe circa 4000 anni fa e ancora quasi 2000 anni or sono con la nota eruzione di Pompei del 79 d.C.

Il quadro delle conseguenze, ovvero dei territori coinvolgibili dai due stili eruttivi appena citati, come si vede è notevolmente differente. Ad essere ancora più precisi, nel caso di un’eruzione VEI4, le colate piroclastiche potrebbero percorrere distanze forse non eccedenti la linea nera Gurioli, rappresentata qui nella figura sottostante.


Se invece e malauguratamente l’eruzione dovesse assumere un carattere prettamente pliniano, cioè con un indice di esplosività vulcanica VEI5, le nubi ardenti dilagherebbero ben oltre il limite Gurioli, spingendosi fino all’area urbana di Napoli o alla base dei contrafforti dei Monti Lattari.

L’orlo calderico del Monte Somma non è sufficiente a proteggere gli abitanti di quel versante da una colata piroclastica. Questo spiega perché e nel dubbio, su un arco di 360° centrando il cratere, l’evacuazione dovrà essere totale nel momento dell’allarme.

Come abbiamo più volte scritto, l’autorità scientifica made in INGV, in assenza di elementi validi per poter definire con certezza l’energia della prossima eruzione del Vesuvio, ha potuto produrre solo conclusioni statistiche condivise appieno dalla Commissione Grandi Rischi che si è assunta l’onere di sancire definitivamente e nel senso deterministico che la prossima eruzione del Vesuvio sarà una VEI3 o al massimo una VEI4… In altre parole per i prossimi 128 anni Napoli è salva ma c’è il grosso problema proveniente dai contigui Campi Flegrei, in quanto pare che l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, abbia aperto un ciclo eruttivo piuttosto che chiuderlo.

La statistica offerta dagli esperti (Vesuvio) è tutta racchiusa nella tavola sottostante:

Proviamo a chiarire meglio i concetti di fondo che trapelano dallo schema riassuntivo. Il primo nodo che bisognava sciogliere riguardava l’arco di tempo da prendere in considerazione per avere la proiezione statistica dell’eruzione di riferimento. La finestra da prendere in esame poteva essere quella circoscritta da 60 a 200 anni (A), oppure da 60 anni in poi (B) senza un limite superiore. Quale hanno preso in esame? Ovviamente la prima tabella, perchè è maggiormente governabile in termini politichese, in quanto il broker statistico offre una percentuale pliniana dell’1% e posticipa ai posteri l’11% con cui dovranno poi misurarsi i tecnici e i politici e gli scienziati nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi.

In realtà l’1% serve solo a ri-pararsi da un eventuale e imprevedibile fallimento prognostico, offrendo comunque agli ingegneri della politica la possibilità di consentire ai comuni di Scafati e Poggiomarino di impastare ancora cemento a uso residenziale, mettendo gente su gente, in quei luoghi che saranno spazzati via da una possibile eruzione pliniana, o anche da una VEI5 meno meno o da una VEI4 con lode.  Diceva Indro Montanelli, che noi siamo un popolo di contemporanei, che non teniamo in debito conto il passato e né tantomeno il futuro…

Gli ingegneri napoletani si sono riuniti qualche giorno fa alla mostra d’oltremare per discutere di rischio vulcanico, sancendo che se il Vesuvio dovesse scoppiare, in 300 secondi potrebbe fare anche seicentomila vittime, ma siamo certi che non accadrà nei prossimi mesi. Il “mago” che ha azzardato questa previsione ha anche detto che un’eruzione può essere prevista con un mese di anticipo...

Il Professor Edoardo Cosenza, anch’egli innanzitutto ingegnere ed ex assessore alla protezione civile regionale Campania, ha ricordato invece che nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanico è da alcuni anni sbilanciato sullo stato di attenzione (giallo): un primo gradino su quattro. Quando ci sarà l'eruzione ai flegrei però, è più probabile che sia piccola, riferisce… e in ogni caso ha aggiunto, le zone rosse per entrambe le aree, Vesuvio e Campi Flegrei, sono state preparate per i fenomeni più violenti (?).  Se l’ingegnere si riferisce ai piani di evacuazione, occorre che rettifichi immediatamente il dato perché è assolutamente inesatto.

L’assessore Cosenza è un tecnico molto preparato che alla base di qualsiasi discorso antepone i tempi di ritorno delle catastrofi. Da buon strutturista poi, da tempo tesse le lodi dell’Ospedale del Mare, un vero fortino bunker costruito in zona rossa Vesuvio (Ponticelli), capace di resistere ai sussulti simici estremi e ai depositi di prodotti piroclastici di ricaduta che si accumulerebbero in caso di eruzione sui tetti senza colpo ferire. Una grande resistenza statica comprovata da collaudi che in verità non serve molto alla sopravvivenza delle persone, visto che il grande nosocomio può essere investito dai flussi piroclastici che si caratterizzano in verità per un elevato potere distruttivo dinamico e termico, visto che avanzano con temperature che possono tranquillamente raggiungere e superare i 500°/600° gradi Celsius, ben oltre quindi i limiti di fusione dello stagno, dello zinco e anche dell’alluminio e del genere umano.

Sul versante dei Campi Flegrei invece, la notizia che campeggia sui giornali online, è la lettura stratigrafica che è stata fatta del carotaggio nel famoso pozzo del deep drilling project (CFDDP) a Bagnoli. Una perforazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità ma che si è fermata a 501 metri. Secondo il dirigente del progetto, Il Dott. Giuseppe De Natale, il dato interessante che è emerso al momento, riguarda l’analisi dei sedimenti che testimonierebbe per potenza, un’attività vulcanica modesta nel settore orientale flegreo rispetto a quella più intensa da ascrivere alla parte occidentale. Un dato che potrebbe consentire di ritrattare in parte la pericolosità vulcanica in danno al centro urbano di Napoli...

Intanto pare che alla stesura generale dei piani di evacuazione del vesuviano, pardon di allontanamento, gestiti dal dirigente regionale Ing. Italo Giulivo, manchino all’appello ancora quattro o cinque comuni inadempienti, che rendono l’operazione di mobilità extra urbana complessivamente ancora da definire e ultimare. Il titolo di viaggio però ed è certo, sarà gratuito…

Nel festeggiare i 175 anni di esistenza dell’Osservatorio Vesuviano, si è tenuto il 7 dicembre scorso un incontro commemorativo di una certa importanza. Il Dott. Augusto Neri, direttore della struttura vulcani dell’INGV, ha detto alcune cose fondamentali su cui riflettere e riflettere molto. Innanzitutto che la percezione comune che la previsione dell’evento vulcanico sia più facile da formulare non è vera, perché la maggior parte dei vulcani hanno sistemi molto complessi e non abbiamo al nostro attivo una documentazione sui precursori eruttivi. Il ricercatore chiama in causa proprio i tre distretti vulcanici napoletani, tutti ubicati su un solo territorio provinciale e purtuttavia tutti e tre molto dissimili tra loro. I segnali che ci giungono da questi vulcani - aggiunge - si colgono tutti, ma sostanzialmente bisogna mettere in evidenza che mancando una documentazione scientifica di base dei segnali pre-eruttivi dei medesimi, una previsione dell’evento eruttivo è un’operazione oltremodo difficile.
Un invito al confronto con il mondo scientifico mondiale - conclude - è quindi necessario, soprattutto con quegli esperti che studiano vulcani per caratteristiche molto simili a quelli campani. Un’occasione potrebbe essere il congresso internazionale Cities on Volcanoes che si terrà a Napoli nel 2018.

mercoledì 2 novembre 2016

Rischio Vesuvio: sopravvivere all'eruzione... di MalKo


Vesuvio visto da sud


I terremoti che stanno sconquassando l’edificato soprattutto datato che poggia sulla catena appenninica del centro Italia, riapre come periodicamente succede il discorso sicurezza. Se il terremoto è assolutamente imprevedibile, e pur vero che attraverso una saggia progettazione e del buon cemento armato e ancoraggi e serraggi, è possibile edificare o adeguare palazzi in modo che resistano alle potenti sollecitazioni litosferiche, consentendo quindi la permanenza e la sopravvivenza in zona sismica.

Nel caso del Vesuvio e della sua capacità tutt’altro che astratta di produrre eruzioni esplosive, non c’è invece possibilità di coesistenza con fenomeno in corso. Non c’è difesa preventiva che tenga per i dimoranti vesuviani, se non quella di sperare di cogliere quei segnali geochimici e geofisici quali prodromi di eruzione imminente, per allontanarsi velocemente dal vulcano. Diversamente e in caso di eruzione, la catastrofe potrebbe essere un avvenimento ineluttabile.
Il rischio, come ci suggerisce visivamente il disegno in alto, è dettato dall’eccessiva promiscuità esistente tra uomini e Vesuvio. Doveva definirsi una distanza di sicurezza già all’indomani della terribile eruzione di Pompei del 79 d.C., quando incominciarono nel volgere di pochi anni le pratiche di lenta riurbanizzazione rurale dell’area vesuviana. In assenza di politiche di prevenzione giustificabili nell’antichità ma non nell’attualità, il Vesuvio è diventato un vulcano metropolitano irrimediabilmente serrato e accerchiato da un edificato asfissiante, con una popolazione esposta al pericolo eruttivo che in zona rossa conta ben 700.000 abitanti… Il Vesuvio non è possibile spostarlo da quella sede. Non è possibile neanche imbrigliare o domare le sue manifestazioni eruttive, così come non è possibile difendersi da fenomeni particolarmente violenti come le colate piroclastiche.

Non è possibile azzardare neppure una previsione eruttiva a lungo termine, ma solo sul cortissimo periodo che può essere di alcuni giorni, e comunque non quantificabile con precisione in termini di ore a disposizione. Praticamente l’ordine di abbandonare la zona per non incorrere nei falsi allarmi che non sono indolori, o nelle casistiche dei mancati allarmi che sono catastrofici, deve potersi dare al momento giusto: cioè, quando gli elementi prodromici a disposizione lasciano ritenere probabile con una percentuale del 50% più uno che siamo prossimi all’eruzione.  

Per poter attendere il punto di non ritorno bisogna contare su una pianificazione di evacuazione che richieda, come pianificato, un massimo di 72 ore per allontanare a ritmo ininterrotto tutti i residenti vesuviani. Un sistema di allontanamento che, per poter funzionare, ha bisogno di essere rodato, così come è necessario che la catena decisionale tanto scientifica quanto politica, possa annoverare notevoli competenze in quello che dovrà essere uno staff esperto e allenato allo stress decisionale.

Quando si parla di piani di evacuazione, nelle premesse bisogna tenere fortemente in conto lo stato d’animo della platea da salvaguardare: gli elementi di pericolo che determineranno in futuro gli estremi per dichiarare lo stato di allarme vulcanico, saranno percepibili o non percepibili? Ebbene, se il risveglio del Vesuvio sarà fisicamente percepibile per brontolii o scosse sismiche o tremori, pensiamo che si possa scatenare il panico. Il panico a sua volta produrrà disobbedienza civile, ritardi e intoppi e soprusi e scontri tra le popolazioni in fuga; molti schemi salteranno con i più deboli che inesorabilmente saranno alla mercé della calca.

Avremo un minimo di contegno sociale delle masse, solo se l’ordine di evacuazione arriverà senza percezione fisica del pericolo. Secondo una certa letteratura, dopo lo scoppio della centrale nucleare di Cernobyl (1986), con radiazioni altissime riscontrabili in ogni loco soprattutto nelle zone prossime alla sorgente, l’evacuazione dei cittadini fu ordinata e non furono pochi quelli che decisero di rimanere in loco lasciandoci la pelle. Nonostante i silenzi di stato e la propaganda politica, le informazioni comunque circolarono sotto banco, ma non scatenarono panico perché le radiazioni pur essendo un subdolo elemento di pericolosità estrema, purtroppo non sono percepibili…

Il piano di evacuazione è uno strumento di difesa attiva, aggiungeremmo democratico, perché deve contemplare la salvaguardia di uomini donne e bambini, e tra questi vecchi e malati, senza alcuna distinzione e discriminazione in ordine alla sopravvivenza che è un diritto che va assicurato a tutti, a prescindere da razza, religione, ecc.

Avere un piano di evacuazione credibile a fronte del rischio Vesuvio, è il desiderio di molti abitanti del vesuviano che credono che un’eruzione del temibile vulcano sia un evento che bisogna necessariamente contemplare nella sfera dei possibili accadimenti, e quindi bisogna adoperarsi per la prevenzione delle catastrofi.

La notizia che i vesuviani non hanno ancora un piano di evacuazione per fronteggiare attraverso l’evacuazione preventiva il pericolo eruttivo, doveva essere uno scoop da prima pagina. I media nazionali e internazionali avrebbero dovuto incalzare per questo il Dipartimento della Protezione Civile, la Regione Campania e la pletora degli inadempienti comuni della zona rossa, alzando la voce e sbandierando la carta dei disattesi diritti dell’uomo, nonostante l’indifferenza pilatesca dimostrata per l’argomento dalla competente corte europea di Strasburgo (CEDU). 

La politica della precedente amministrazione regionale e dell’assessorato alla protezione civile, è stata tutta protesa alle discutibili logiche dei tempi di ritorno delle grandi catastrofi e delle eruzioni vulcaniche pliniane. Attraverso queste disquisizioni singolari è stato adottato come scenario eruttivo da cui difendersi, un’eruzione di media intensità (VEI4). Questo spiega lo scandalo dei comuni di Poggiomarino e Scafati che nicchiano e urbanizzano ancora con licenze edilizie un territorio che potrebbe essere in futuro travolto da un’eruzione pliniana (VEI5). 

A distanza di alcuni decenni il piano di emergenza Vesuvio corredato dall’appendice più importante, il piano di evacuazione, è prossimo a una fine progettuale. L’attuale pianificazione che tra poco dovrebbe vedere la luce nella sua interezza, si basa sulla ottimistica certezza dell’obbedienza civile e della svizzera organizzazione intermodale dei trasporti, con modalità ci sembra, più affini ai grandi eventi che alle grandi catastrofi. Di seguito i dati salienti pubblicati dalla Regione Campania.

Il piano che è stato approntato è pachidermico anche se abbastanza elementare e semplice nella struttura; è un piano di garanzia istituzionale e ricorda a tratti e per la parte aritmetica, la bozza di piano che fu varata nel 1995.

La tabella che vi proponiamo è abbastanza riassuntiva di alcuni disposti regionali da tenere in debito conto in caso di variazione dei livelli di allerta vulcanica.

Chi ha residenza alternativa e autovettura propria (C) può andarsene dal vesuviano già nella fase di pre allarme. Chi si riconosce nella condizione A o B deve attendere la fase di allarme per essere assistito dall’organizzazione di protezione civile comunale, regionale e nazionale. Chi si trova nelle condizioni C ed ha atteso la fase di allarme per andare via, può allontanarsi seguendo esclusivamente i percorsi prestabiliti.

Chi non è autonomo automobilisticamente parlando, dovrà portarsi nelle aree di attesa comunali. Chi non ha residenze alternative ma autovettura a disposizione può portarsi nelle aree di incontro ubicate fuori dalla zona rossa per avere informazioni, oppure direttamente nelle aree di prima accoglienza. L’ubicazione di questi spazi strategici fuori dalla zona rossa sono già stati individuati.

Perché dicevamo che qualcosa di questo piano non ci convince. Innanzitutto ci sembra, ripetiamo,  aritmetico e non affronta il problema panico. Forse che l’Osservatorio Vesuviano o la Commissione Grandi Rischi hanno dato certezze che non ci sarà percettibilità dell’approssimarsi dell’eruzione nella fase di allarme? Ma è soprattutto un elemento a lasciare profondamente perplessi: nell’articolazione dell’allontanamento che dovrà svilupparsi nelle fatidiche 72 ore, il documento ufficiale recita che sono previste 12 ore per organizzarsi e posizionarsi; 48 ore per l’allontanamento della popolazione, e le 12 ore rimanenti rappresentano un margine di sicurezza aggiuntivo. Praticamente grasso che cola…

Sempre nel documento si stimano 4365 corse di autobus al giorno per portare la popolazione non autonoma alle aree di incontro grazie all’impiego di 500 autobus. Facendo qualche calcolo 500 autobus corrispondono a una continuità di circa 6 chilometri. Praticamente oltre 6 chilometri di bus che entrano ed escono dalla zona rossa offrendo un servizio navetta in una condizione di allarme vulcanico. Analiticamente è possibile, ma pensate che sia una operazione praticamente fattibile?

I piani di garanzia istituzionale sono quelli che numericamente corrispondono a tutte le esigenze evacuative dettate dai numeri in gioco e dalle tipologie dei trasferimenti individuate. I piani di garanzia istituzionale in sostanza sono giuridicamente inattaccabili anche se un po' surreali, perché non contemplano quei fattori perturbanti che generalmente possono ampiamente prevedersi. 

Il problema è che il pianificatore non può non essersi chiesto che succede se saltano gli schemi da gita scolastica prefissati. Come abbiamo avuto modo di spiegare in altre occasioni, in caso di percezione fisica del pericolo vulcanico, a prescindere a che livello di allerta vulcanica ci troviamo, la zona rossa diventerà nel volgere di poco una pompa centrifuga con 25 fori di uscita che ben difficilmente consentiranno a qualcosa che sia un autobus o un veicolo di emergenza di entrare nell’area da abbandonare…

Nel documento ufficiale di Regione e Protezione Civile si evince una tipologia di evacuazione soft; tocca dire però, che le autorità hanno utilizzato in tutta onestà il termine piano di allontanamento e non piano di evacuazione. Un piano di allontanamento comprende lo spostamento della popolazione senza traumi e in assenza del pericolo manifesto.

Il piano di evacuazione invece, è la pratica ultima per sottrarsi al pericolo incombente. Quindi, i documenti sono tutti garantisti. La classe scientifica riferisce che sapremo mesi prima dell’incalzare di un evento eruttivo grazie alle sofisticatissime strumentazione anche spaziali che ci monitoreranno il suolo al millesimo di millimetro. L’ascesa del magma non passerà inosservata, così come la classe tecnica e politica ci garantisce la movimentazione della popolazione in 72 ore.

I gemellaggi sono stati fatti, anche se mancano le istruzioni operative, quindi possiamo concludere che la meta della sicurezza vulcanica entro il 31 dicembre 2016 dovrebbe essere raggiunta: almeno per il Vesuvio. Ai Campi Flegrei c’è un work in progress…

Nel prossimo articolo vi spiegheremo che significa produrre un piano d’emergenza…d’emergenza, perché molto spesso la realtà anche geologica, supera la fantasia.

giovedì 13 ottobre 2016

Rischio Vesuvio: Habemus piano?... di MalKo



livelli di allerta e fasi operative


Vorremmo tranquillizzare i nostri lettori. Il governatore della Campania De Luca, ha presentato (12/10/2016) il piano di emergenza a fronte del rischio Vesuvio, indicando anche la prassi operativa da rispettare per poter evacuare la zona rossa 1 e 2 nelle 72 ore previste.
Vesuvio: zona rossa 1 (R1) e zona rossa 2 (R2)

Tale presentazione non è un atto dettato dall’incombenza del pericolo eruttivo, ma più semplicemente è un modo per uscire dallo scacco matto delle intollerabili inadempienze comunali.

Il Vesuvio ad oggi permane in uno stato di quiete vulcanica, e nessun segnale lascia presagire che possa mutare la sua annosa e gradita quiescenza nel breve termine.

Per fine ottobre i comuni vesuviani che ancora non hanno stilato il piano di protezione civile comunale, sono stati richiamati dall’autorità regionale e con molta energia affinchè si adoperino per produrlo, o comunque a indicare almeno i punti strategici per accordarsi e raccordarsi al piano generale presentato al pubblico negli uffici regionali.

La bontà del piano così elaborato che prevede il trasporto della popolazione appiedata utilizzando 220 convogli ferroviari e 500 autobus, sarà oggetto del prossimo articolo che pubblicheremo a breve.
Il punto fondamentale che a nostro avviso farà la differenza, sarà la percezione fisica o meno dell'imminenza di un'eruzione... Un problema comunque, che oggi non c'è!