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giovedì 24 maggio 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: un vulcano nuovo? ...di MalKo






Rione terra - Pozzuoli (Campi Flegrei)


I Campi Flegrei rappresentano un rebus geologico molto preoccupante per la plaga napoletana, al punto da destare l’interesse scientifico della comunità nazionale e internazionale, con quest’ultima che non riesce a comprendere come possa essersi concretizzata una cotale commistione tra uomo e super vulcano: nel catino calderico infatti, sono immerse circa 550.000 persone… Intanto i segnali geofisici e geochimici che provengono dall’insondabile sottosuolo, non danno spazio alle certezze previsionali ma ai supposti, che difficilmente possono offrire garanzie di totale salvaguardia.


L’allarme nel flegreo in realtà ha avuto inizio negli anni 70’ col bradisismo, fenomeno di abbassamento e sollevamento del terreno, accompagnato da sismicità persistente, che ovviamente incise sulla statica dei palazzi e specialmente di quelli più vecchi.  Gli elementi di preoccupazione quindi, si focalizzarono sulla stabilità degli edifici e sulle scosse sismiche, piuttosto che sul potenziale rischio eruttivo che pure c’era. 

Il 2 marzo 1970 ci fu l’evacuazione della popolazione dal Rione Terra di Pozzuoli, che venne poi allocata in quello che oggi è il Rione Toiano, cioè appena a ridosso del Lago D’Averno.  Monterusciello con i suoi 16.000 vani è un’ulteriore quartiere nato anch’esso dalle problematiche bradisismiche questa volta degli anni ’80, con punte di totale allarmismo raggiunte il primo aprile del 1984. Ciò comportò ancora una volta lo spopolamento del centro storico puteolano; Toiano e Monteruscello quindi, sono due insediamenti residenziali nati dai problemi bradisismici e sismici che comportarono una ricollocazione di un gran numero di cittadini da una zona molto sismica a una zona molto vulcanica…


Rione Toiano - Pozzuoli 
Tra le polemiche striscianti post emergenza, ci fu pure chi profferì che il bradisismo aveva fatto da spalla a una colossale speculazione edilizia, in un contesto di disorientamento della classe scientifica colta di sorpresa e senza strumentazioni di monitoraggio installate nell’area. Il sismografo più vicino al super vulcano flegreo infatti, pare che fosse quello installato all’interno della facoltà di geologia a largo San Marcellino nel centro storico di Napoli…

Quartiere Monterusciello - Pozzuoli (Campi Flegrei)
La défaillance scientifica e strumentale in quei frangenti di totale azzardo, ebbe pure una parentesi polemica per l’arrivo del vulcanologo Haroun Tazieff, decisamente snobbato, mentre uno scienziato giapponese fu invitato per una consulenza, non si sa quanto utile, perché in assenza di dati e di una pregressa storia di monitoraggio della caldera, si dissertava su di un illustre quanto sconosciuto sottosuolo. John Guest, vulcanologo inglese invece, pare sia stato lo scienziato che più di ogni altro temeva un evento eruttivo: un allarmista sfegatato, secondo le cronache di quei momenti.


La scelta di reinsediare i 30.000 sfollati dal centro storico e dal rione Terra (Pozzuoli), nella zona periferica di Monte Rusciello, fu frutto della logica che sul piccolo rilievo (110 mt.) il rischio sismico era minore rispetto alla zona portuale puteolana  Questa scelta ovviamente lascia pochi dubbi sul fatto che l’eruzione vulcanica non era contemplata tra le ipotesi di maggiore pericolosità; oppure che una tale evenienza veniva circoscritta ad un evento molto misurato, alla stregua dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Questo fu l’evento più piccolo in assoluto avutosi nel flegreo, sopraggiunto dopo circa 3000 anni di pace vulcanica, ancorchè introdotto da un rigonfiamento dei suoli. 

In altre parole e sempre generalizzando, i Campi Flegrei politicamente, tecnicamente e scientificamente, furono “scoperti” come distretto vulcanico appena negli anni ’70 – ‘80. In pochi decenni si è passati dalla sottostima iniziale del pericolo eruttivo, alla consapevolezza che i Campi Flegrei col “fratello” Vesuvio, sono il problema più grande di protezione civile che abbiamo in Italia e in Europa.

Col tempo abbiamo appreso pure che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica grande camera magmatica, su cui galleggia la città di Napoli con buona parte della sua estensione metropolitana.  Il trasporto ferroviario, la metro, tra l’altro passa nelle gallerie realizzate interamente nel corpo tufaceo che borda la caldera flegrea, e poi sul basalto vulcanico del Vesuvio: un collegamento tout court tra la zona rossa flegrea e la zona rossa Vesuvio con poche analogie nel mondo.

La caldera dei Campi Flegrei oggi è in una condizione di attenzione vulcanica, e in caso di allarme le popolazioni non sarebbero ridistribuite all’interno dello stesso territorio comunale, tanto di Pozzuoli che di Quarto o Bagnoli o Fuorigrotta, bensì in altre regioni italiane. Del resto pure l’Osservatorio Vesuviano cerca una sede fuori dalla zona rossa flegrea, perché in caso di allarme il personale tecnico e scientifico sarebbe costretto ad abbandonare la struttura, in un momento particolarmente importante per l’interpretazione dei dati di monitoraggio del vulcano.

Oggi abbiamo una tabella che enuncia i 4 livelli di allerta vulcanica, che introducono a loro volta un corrispettivo operativo. Se questa tabella fosse stata vigente negli anni ’80 c’è da chiedersi quale livello di allerta sarebbe stato dichiarato, e quale fase operativa sarebbe stata promossa.  Il primo aprile 1984, con picchi nel sollevamento e sciami sismici incalzanti, con le logiche dell’attualità sarebbe stato impossibile non dichiarare almeno lo stato di pre allarme vulcanico. In realtà lo si fece con un manifesto sindacale che consigliava alla popolazione di lasciare il centro storico, quello coi fabbricati meno resistenti al martellio sismico. In molti accettarono l’invito…



Oggi siamo in attesa di una legge dello Stato che oltre a classificare l’area flegrea ad alta pericolosità vulcanica, favorisca un disposto regionale che vieti qualsiasi costruzione finalizzata ad incrementare il numero di abitanti nella caldera, alla stregua di quanto è stato già fatto sui pendii del Vesuvio. Trentaquattro anni fa, tecnici scienziati e politici furono catapultati in un incubo: qualche errore fu commesso e non risaltarono meriti particolari nella gestione dell’emergenza. La doppia esperienza del bradisismo puteolano non è servita a catturare fino in fondo l’attenzione delle istituzioni politiche che passano… Manca ancora un sistema di evacuazione, una informazione veritiera e non soporifera, così come si sente l’assenza di pratiche integrate di prevenzione delle catastrofi.


L’assenza di una classificazione ad alta pericolosità vulcanica così come la mancanza di una legge che ponesse fine all’insediamento residenziale nella caldera flegrea, ha fatto sì che dal 1971 al 2011 la popolazione di Pozzuoli aumentasse di circa 23.000 abitanti, grazie anche ai nuovi insediamenti prima accennati.



Intanto l’incubo bradi/eruttivo è ritornato. Le temperature aumentano e i suoli seppur minimamente montano, e dal vulcano Solfatara sbuffa via anidride carbonica in quantità industriale. L’autorità scientifica macina monografie e intanto teme che possa arrivare il momento assolutamente cruciale di dover esprimere un parere sulla pericolosità vulcanica in un contesto operativo caratterizzato da piani di evacuazione in itinere. Con questa crisi attuale modicamente bradisismica e vulcanica da quantificare, non ci possiamo permettere titubanze, disorganizzazioni, conflitti di competenza e soprattutto non possiamo neanche accettare l’allineamento acritico delle istituzioni.

Concludiamo con una piccola nota che pretende riflessioni: 240 cattedratici in rappresentanza di otto Facoltà universitarie napoletane, guidati dal rettore di architettura, negli anni ’80 presero in mano e studiarono la faccenda del reinsediamento degli sfollati, poi risolto con la realizzazione degli alloggi a Monterusciello (Pozzuoli), in piena zona rossa vulcanica flegrea. A leggere le cronache di allora, la cosa più sensata la dissero quelli del WWF (World Wide Fund for Nature), contrari al progetto Monte Rusciello perché troppo vicino ai pericoli del bradisismo. L’emerita associazione insisteva per la realizzazione degli alloggi a Villa Literno. Occorre dire che tecnicamente sarebbe stata una scelta di prevenzione ineccepibile, perché lontana dai flussi piroclastici, dalla pioggia di cenere e lapilli, in un contesto territoriale già servito da una metropolitana di superficie…


domenica 22 aprile 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il dovere di interrogarsi... di MalKo


Lago d'Averno - Campi Flegrei


Alcuni lettori manifestano la loro paura nel vivere all’interno della caldera flegrea, il distretto vulcanico che caratterizza l’area occidentale della metropoli napoletana. Una paura dettata dall’acuirsi di segnali poco rassicuranti provenienti dal profondo… 
In questa zona le recenti teorie ipotizzano che sussiste uno stress nella crosta calderica, dovuto prevalentemente all’azione del calore diffuso dalla circolazione di fluidi caldissimi e da quella meccanica dettata dai processi di innalzamento e abbassamento dei suoli. A immettere calore e acque juvenili nel sottosuolo flegreo, sarebbero state intrusioni magmatiche spintesi fino ad alcuni chilometri dalla superficie…


Qualora le dinamiche nel sottosuolo dovessero eccedere la resistenza statica della coltre litoidea, non è possibile definire in anticipo quale punto o punti della caldera flegrea, dall’Averno ai contrafforti di Posillipo, potrebbero cedere e dar vita a bocche eruttive. Tutta la zona rossa flegrea da questo punto di vista è a rischio, anche se il comune di Pozzuoli per estensione e centralità e numero di abitanti e fragilità del centro storico agli eventi sismici, presenta forse qualche indice di vulnerabilità più ampio. Tant’è che ancora oggi la cittadina puteolana è associata per antonomasia ai movimenti bradisismici, platealmente evidenti sulle colonne del macellum, un sito archeologico che finisce sott’acqua o al di sopra a seconda delle ascese o discese dei suoli rispetto al livello medio del mare.

il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Che prima o poi ci sarà un’eruzione nei Campi Flegrei purtroppo è indiscutibile, ma occorre precisare che nessuno è in grado di prevedere quando questa manifestazione dirompente ci sarà: potrebbero passare giorni, anni o secoli… Occorre poi aggiungere nel quadro delle incertezze, che la previsione dell’evento vulcanico non è una scienza deterministica, soprattutto perché bisogna mettere insieme una serie di dati offerti dal monitoraggio continuo, congiuntamente a osservazioni sul campo ma anche satellitari, che gli scienziati dovranno interpretare e confrontare con le esperienze più varie e senza grandi database a disposizione. I Campi Flegrei non eruttano dal 1538, e ogni eruzione non è mai un clone di quella precedente…  A dirla tutta quindi, non ci sono degli automatismi legati a valori di soglia strumentale, da carpire e validare per pigiare senza indugi il pulsante arancione o quello rosso di allarme.

Quindi non c’è certezza matematica sui tempi di preavviso eruttivo. Purtuttavia la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che difficilmente un tale evento ultra dinamico, foriero di dirompenze, possa manifestarsi all’improvviso. Qualcuno intuisce però, che forse il coperchio magmatico flegreo stressato dal calore e dai movimenti verticali alternati, è un po’ meno resistente staticamente, più vulnerabile e forse con una maggiore cedevolezza anche alle eruzioni freatiche (vapore) che potrebbero scatenare il panico. Che qualche cittadino manifesti paura, riteniamo che sia una risposta comprensibile e tutta umana a questa sequela di incertezze.

Non ci sono molte alternative per sottrarsi al risiko eruttivo finché si dimora in un distretto vulcanico esplosivo attivo, e questo a prescindere dal nome del comune o della municipalità: quello che vale è l’ubicazione interna alla caldera flegrea, dove la resilienza comporta, e gioco forza, a vivere bene o male su una depressione che grava sul calore magmatico.

L’alternativa alla delocalizzazione preventiva, cioè all’andarsene per motivi di sicurezza personale già da adesso, consiste unicamente nell’accettare il brivido di essere utenti di un piano di evacuazione che dovrebbe avere la potenzialità strategica di spostare 550.000 abitanti dalla zona rossa flegrea verso mete più sicure nel giro di 72 ore. Uno spostamento massivo che si renderebbe necessario alla diramazione dell’allarme, per anteporre un congruo numero di chilometri tra la vita umana e il fuoco astenosferico, che potrebbe intrufolarsi fino alla superficie per poi dilatarsi sotto forma di colate piroclastiche e caduta di  cenere e lapilli.

Campi Flegrei: zona rossa e gialla.

Un problema serio quello della previsione dell’evento eruttivo, in quanto c’è la necessità tutta operativa di evitare un falso allarme ma più ancora un mancato allarme. Quindi non si può né anticipare e né ritardare lo start evacuativo: bisognerà muoversi al momento giusto… Questo significa che l’ente di sorveglianza, l’Osservatorio Vesuviano, deve operare in chiave sì scientifica ma con un management di taglio operativo, spiccatamente operativo, cioè senza défaillance o incertezze come è successo con la localizzazione del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017. Quattro giorni sono un tempo insopportabile per avere la giusta localizzazione dell’epicentro di un sisma… Che questa sezione periferica dell’INGV cerchi casa per sloggiare dalla zona rossa flegrea e un prima segnale di management operativo ma non basta. Si auspica che la prossima sede abbia una ubicazione maggiormente consona alle funzioni dell’ente e soprattutto alla carta di pericolosità regionale che è necessario valutare in anticipo. 

Nell’area flegrea attualmente vige la fase di attenzione. Un’attenzione che riguarda il mondo scientifico ma anche i cittadini che dovrebbero organizzarsi in senso familiare qualora gli eventi dovessero rendere necessario il passaggio alla fase di preallarme. Una fase operativa dove i cittadini sono i protagonisti ma non lo sanno…

I livelli di allerta vulcanica

Durante il preallarme infatti, la zona rossa verrebbe progressivamente presidiata dai soccorritori. Si provvederebbe poi alla evacuazione degli ospedali, delle case di cura, delle case circondariali e delle opere d’arti che verrebbero trasportate in luogo sicuro. In questa fase le famiglie che dispongono di una casa altrove e fuori dal perimetro a rischio, possono allontanarsi volontariamente, dopo aver comunicato alle autorità comunali il luogo di destinazione. In questo caso dovrebbero poter usufruire di un contributo di autonoma sistemazione. Chi va via però, non può ritornare nella zona rossa flegrea finché il livello di allerta non ritorni su attenzione. Questo vuol dire che potrebbero passare giorni, mesi se non anni: elemento non di poco conto da tenere in debita considerazione se ci si appoggia a parenti o amici.

Le uscite dalla zona rossa verrebbero regolamentate dai cancelli, che sono una sorta di posti di blocco. Lo stesso dicasi per gli ingressi, che sarebbero consentiti agli evacuati del preallarme solo in casi di effettiva necessità, avallati presumibilmente e in anticipo dagli uffici prefettizi in seno alla direzione di comando.

Chi all'occorrenza gradirà allontanarsi dalla zona rossa già nella fase arancione di preallarme, nel comune di domiciliazione dovrebbe poter ricevere tutta l’assistenza necessaria per gli adempimenti scolastici e anche sanitari e amministrativi e anagrafici e bancari o postali in ragione delle incertezze temporali legate proprio alla fase di preallarme. Per questo motivo si parla di opzione riservata soprattutto a chi ha la seconda casa… Tutto risolto? No! C’è un altro problema: cinque mesi fa il sindaco di Pozzuoli, Figliolia, organizzò una riunione con il capo dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli. Tutti si aspettavano le solite rassicurazioni e le prese di distanza dagli allarmisti. Ebbene, Borrelli prese le distanze questa volta dai rassicuratori di professione… In merito all’incontro informativo sullo stato di attività dei Campi Flegrei, avvenuto martedì scorso, 15 novembre, a Pozzuoli presso la sede del Centro Operativo di protezione civile del Comune, è necessario sottolineare che i messaggi chiave emersi dalla riunione sono lontani dalla semplificazione “non ci sono rischi, rassicurata la popolazione”, così come riportato da alcuni organi di stampa. Perché questa precisazione? Lo si capisce al termine del comunicato: A questo proposito è utile sottolineare che, per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste.

Che significano queste parole? Intanto che la previsione dell’evento vulcanico nel flegreo come nel vesuviano e come a Ischia non ha certezze deterministiche nonostante che si dica che queste zone siano le più monitorate del mondo. Una teoria che è innanzitutto una verità, ed è anche la tesi sostenuta dal Prof. Mastrolorenzo (INGV-OV), che da anni sposa la linea di informare correttamente i cittadini pure se sussiste il blando rischio di allarmare. E poi con quest’affermazione cambiano i termini di responsabilità circa la tutela dei cittadini, responsabilità che passano dal mondo scientifico a quello amministrativo, e soprattutto in capo ai Sindaci che sono autorità locali di protezione civile.

Il Sindaco Figliolia ma anche De Magistris, dovrebbero confrontarsi con i cittadini nell’ambito di tavole rotonde sulla bontà dei piani di evacuazione, senza bisogno di interventi da parte di terzi, che servono poco fino a quando non ci saranno novità di ordine scientifico sulla previsione degli eventi vulcanici o sulle variazioni delle zone rosse.
In assenza di previsione infatti, la sicurezza a fronte delle catastrofi ricade in capo alle competenze dei primi cittadini, perché il pericolo eruttivo è ben localizzato e conosciuto negli effetti, come le zone rosse dove potrebbero abbattersi le fenomenologie vulcaniche più devastanti. La ricetta è andarsene via all’occorrenza gambe in spalla: siamo pronti con i piani di emergenza e di evacuazione? No! Con i gemellaggi? Neanche...
Zona rossa Campi Flegrei: carta dei gemellaggi



giovedì 22 febbraio 2018

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: il rischio vulcanico... di MalKo





Il rischio vulcanico è la possibilità potenziale in un arco di tempo probabilistico ma non deterministico, che possa manifestarsi un’eruzione capace di dare origine a fenomeni magari molto energetici e violenti e incontenibili che possano in una certa misura investire e danneggiare i valori esposti all’eruzione. Questi ultimi sono innanzitutto rappresentati dalla vita umana e poi da tutti i beni materiali che si trovano nel raggio d’azione del vulcano. Tale tipologia di rischio non esclude possibili ripercussioni anche sull’ambiente e sul clima.

Il rischio vulcanico dipende dall’ubicazione geografica del vulcano e dal tipo di eruzione da attendersi e che generalmente è possibile stimare analizzando la storia geologica dell’apparato in questione. Alcuni vulcani si caratterizzano per un'attività prevalentemente effusiva. Altri ancora potrebbero rompere la quiescenza con uno stile esplosivo, così come in altri casi l'attività vulcanica potrebbe avere un indirizzo intermedio tra l'effusivo e l'esplosivo (misto). I più pericolosi probabilmente sono quelli che nella loro storia eruttiva hanno prodotto imprevedibilmente tutti i tipi di eruzione, rimanendo così intatta la necessità della doppia previsione, cioè quando accadrà l’evento e con quale energia.

Le fenomenologie vulcaniche generalmente hanno una virulenza legata all’intensità eruttiva (VEI), con fenomeni energetici che si manifesterebbero con una diversa velocità di propagazione, e che andrebbero ad investire un territorio tecnicamente indicato come zona rossa.

Una lava ad esempio, pur essendo sostanzialmente inarrestabile, è poco pericolosa per la vita umana perché ha un incedere molto lento. I roventi flussi piroclastici invece, hanno una tale velocità di propagazione da essere annoverati tra i fenomeni vulcanici quelli più pericolosi in assoluto.

Nel concetto di rischio vulcanico ci sembra che ad occupare un posto di assoluta rilevanza sia la città di Napoli. Infatti, non ce ne sono moltissime di metropoli nel mondo, dove prendendo la classica ferrovia metropolitana si può passare da un distretto vulcanico all’altro, ovvero da una zona rossa come quella del super vulcano dei Campi Flegrei a un’altra famosissima zona rossa, non meno importante e pericolosa come quella che caratterizza il comprensorio dominato dal mitico Vesuvio. Da vulcano a super vulcano insomma, e viceversa…

La metro di Napoli per assicurare questo collegamento dal flegreo al vesuviano, attraversa in trentacinque minuti una tratta che si snoda in superficie e nel sottosuolo, in un territorio nelle cui profondità chilometriche si estende una unica ed enorme camera magmatica

Il metrò passa in gallerie o trincee che costeggiano estesi banchi di tufo giallo che rappresentano l’ossatura del sottosuolo napoletano prevalentemente di origine vulcanica. Un prodotto lapideo il tufo, generato circa 15.000 anni fa dall’attività esplosiva dei Campi Flegrei, che emisero colate piroclastiche trasformatesi in depositi sciolti poi diagenizzati, che hanno favorito col tempo la litificazione dei materiali. Questi prodotti litoidi sono stati carpiti a piene mani in tutte le epoche storiche per fini edilizi, così come i banchi di tufo sono stati spesso sottoposti a perforazioni ed estrazioni per realizzare cisterne e acquedotti.

Napoli: sottosuolo. Cavità tufacea adibita a cisterna. Si noti l'intonaco di base impermeabilizzante
Nel tufo giallo sferraglia quindi la metropolitana di Napoli, fino a raggiungere il grigio scuro dei lapilli e del basalto vesuviano: un percorso tutto vulcanico al modico prezzo di 1,30 euro… Il metrò comprende nella sua corsa anche una fermata a ridosso di via Diocleziano dove ha sede l’Osservatorio Vesuviano. Per ubicazione quindi, In caso di allarme vulcanico anche i vulcanologi e i tecnici dell’INGV dovranno lasciare la zona rossa flegrea per riparare altrove.
Boscotrecase - Blu Marlin - una colata basaltica  penetrò in questo casolare poi restaurato
Non si capisce la filosofia se non la strategia utilizzata per posizionare la struttura scientifica di sorveglianza (Osservatorio Vesuviano), in piena zona rossa flegrea. Intanto e alla stregua, ad est di Napoli nel vesuviano, si è realizzato l’Ospedale del Mare. Trattasi del più importante nosocomio del sud Italia che dovrà essere anch’esso evacuato qualora dovessero presentarsi le condizioni di preallarme vulcanico. In tal caso costituendo zavorra operativa piuttosto che risorsa strategica in frangenti emergenziali.

Non si capisce neanche a quale genere di prevenzione appartenga la preveggenza politica e scientifica appena descritta, che già negli anni ’80 e in seguito ai fenomeni bradisismici, favorì lo spostamento di parte della popolazione da Pozzuoli a… Monteruscello, cioè dalla zona centrale dell’abitato a quella periferica: in altre parole da zona rossa a zona rossa.

I Campi Flegrei dal 2012, stanno attraversando un periodo di irrequietezza che ha fatto innalzare il livello di allerta vulcanica da base ad attenzione. D’altra parte trattandosi di una zona dove permane una quiescenza quantificabile in circa mezzo millennio, non si può escludere una certa ricarica del sistema magmatico utile per qualsiasi colpo eruttivo. La blanda eruzione del Monte Nuovo nel 1538, avvenne dopo una quiescenza di 3000 anni. Un evento che forse difficilmente avrà riportato le condizioni di volumi e pressioni nella camera magmatica ai valori preesistenti tre millenni prima. La logica porterebbe quindi a ritenere l’evento del 1538 come un episodio di cedevolezza puntiforme rispetto a un bacino magmatico forse molto più esteso e sanguigno.

Nel flegreo intanto si registra una moderata fenomenologia di innalzamento dei suoli (bradisismo), dovuta forse agli effetti del calore sugli acquiferi dettati da intrusioni magmatiche insinuatesi fino a tre chilometri dalla superficie. In un trattato degli anni '60, alcuni scienziati già sancirono che nei Campi Flegrei c'era stata una corposa intrusione dalla notevole incidenza verticale...

A ridosso del vulcano Solfatara in località Pisciarelli, sono intanto aumentate pure le emanazioni gassose di anidride carbonica che hanno raggiunto la cifra record di 3000 tonnellate al giorno. Anche la temperatura delle fumarole ha toccato picchi massimi di tutto rilievo. E poi una certa attività sismica a tutt’oggi persiste anche a livello di sciami, con  la popolazione che non sempre avverte i moderati sussulti. 

Una caldera quella flegrea, così estesa da determinare una serie di problemi in ordine sia alla previsione utile del fenomeno eruttivo, sia alla bocca eruttiva che potrebbe non essere l’unica ad attivarsi nel recinto calderico.

Recentemente il mondo scientifico è diventato prudente a proposito della certezza del preavviso eruttivo, tant’è che l’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano il Dott. Giuseppe De Natale, ha sottolineato che gestire un’emergenza nel flegreo è problematico, perché gli aspetti geologici da valutare sono tanti e particolarmente complessi al punto da poter richiedere tempi di responso sul pericolo, superiori alle necessità operative di tutela delle popolazioni. Nulla da obiettare...

Dall'altro lato invece, il Vesuvio pare sonnecchi con una certa tranquillità: l’allarme più rilevante si ebbe il 9 ottobre del 1999, per una scossa di terremoto con una magnitudo 3,6 (Md), localizzata nell’area craterica del Vesuvio a 3,8 chilometri di profondità.

L’evento fu chiaramente avvertito dalla popolazione vesuviana che rimase sgomenta, non solo per la diretta percezione dei sussulti, ma soprattutto perché l’energia proveniva dal ventre del temuto monte. L'11 ottobre alle 4.35 ci fu una replica sismica da M 2.9 della scala Richter...

In seguito a questa spallata sismica, non furono poche le persone che si allontanarono prudenzialmente dall’area vesuviana. In quel periodo ricordiamo che ci fu una diatriba scientifica fra l’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano Giuseppe Luongo e la direttrice Lucia Civetta. Il primo ribadiva la necessità di dichiarare lo stato di attenzione vulcanica. La seconda tirava ad aspettare per decidere... Si finì a querele presso la procura della repubblica di Torre Annunziata. Trattandosi dell’evento sismico più potente dal 1944, qualche precauzione era forse più che giustificabile. La faccenda alla fine ebbe un risvolto salomonico: de facto si passò allo stato di attenzione vulcanica, ma senza dichiararla…

I recenti comunicati rilasciati dal dipartimento della protezione civile hanno fatto sapere molto garbatamente che per ogni vulcano il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste. 

Certamente in una condizione sociale dove persistono problematiche di ogni tipo, il rischio vulcanico a torto o a ragione in assenza di segnali percepibili di allarme non rientra nelle immediate attenzioni della popolazione esposta: figuriamoci nelle altre frange ubicate altrove. Ce ne rendiamo perfettamente conto...

Mentre possiamo trovare soluzioni alle nostre necessità giornaliere, il rischio vulcanico intanto non declasserà mai, se non in tempi geologici ma non per scomparire ma per ripresentarsi altrove. Come sapete, nonostante per il futuro si faranno passi in avanti nelle tecniche di previsione dell’evento eruttivo, bisogna cogliere il dato che la natura non ha pietà per alcuno, perchè non deve averne, e i suoi meccanismi energetici sono una incessante macchina da riciclo per garantire ovunque e comunque la vita sul Pianeta. C'è da chiedersi: per l'uomo o senza l'uomo?

L’inestricabile connubio tra uomo e vulcano nel napoletano, ha assunto valori di ineluttabilità e senza farci tante illusioni, piani di prevenzione non ce ne sono, ma in ogni caso difficilmente si riuscirebbero ad attuare, perché la percezione ingannevole non lascia intravedere e soppesare la reale pericolosità di vivere a ridosso di vulcani esplosivi.

L’unico strumento che oggi abbiamo per difenderci dalle eruzioni, è un ragionato piano di evacuazione. Un piano che serve ad azzerare il valore esposto prima che il fuoco magmatico irrompa in superficie. Forse con qualche legge che inibisca l’incremento abitativo in zona rossa insieme al varo e alla costruzione di qualche carreggiata dedicata all’evacuazione, si potrebbe tentare di migliorare all'occorrenza la gestione della fuga dal vulcano. Purtroppo cattura più attenzione il dibattito sul condono edilizio.

Uno dei principali temi su cui dover riflettere, è che l’intera organizzazione dell’evacuazione si basa su un semplice quanto enigmatico presupposto tutto sbilanciato sulla previsione della previsione dell’evento eruttivo…cioè della serie prevediamo di prevedere l'eruzione un certo tempo prima. Statisticamente non è confortante...

La situazione più drammatica che potrebbe prefigurarsi un domani? Il varo dello stato di attenzione anche per il Vesuvio: per Napoli sarebbe un thriller alla Hitchcock.




lunedì 15 gennaio 2018

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: livelli di allerta e fasi operative... di MalKo




Il Vesuvio


I livelli di allerta vulcanica servono a sintetizzare attraverso un colore o un termine, lo stato di “agitazione” del distretto vulcanico in esame. Il monitoraggio continuo dei valori geochimici e geofisici viene attuato da una struttura generalmente scientifica che ha anche le competenze specialistiche necessarie per vagliare, analizzare, valutare e infine esprimere un parere sullo stato di unrest del vulcano. E’ prassi nel nostro Paese, che la valutazione finale circa la pericolosità di un apparato spetti poi alla Commissione Grandi Rischi sezione rischio vulcanico, tra l’altro e di recente rinnovata. Il referente di questo settore è ora il prof.  Pierfrancesco Dellino, ordinario di   Geochimica e vulcanologia presso l’università di Bari.
Il livello di allerta base - verde - indica che non si denotano variazioni significative dei parametri geochimici e geofisici monitorati. Ciò non toglie che il rischio eruttivo anche al livello base non è mai totalmente assente ma solo basso.

Il livello di allerta attenzionegiallo - indica che uno o più parametri legati ai dinamismi del vulcano sono cambiati e, quindi, si richiede un potenziamento di tutte quelle attività tecnico scientifiche atte a meglio inquadrare i processi endogeni in corso.
Il livello di allerta pre allarme - arancione - indica che le variazioni geochimiche e geofisiche presentano incrementi preoccupanti che potrebbero richiedere il passaggio successivo al livello di massimo pericolo.

Il livello di allerta allarme - rosso - indica che tutti i parametri fino a quel momento monitorati, lasciano ritenere molto probabile un’eruzione.

Livelli di allerta vulcanica

Il dato rilevante ai fini della tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo è che bisogna tenere in debito conto, è la progressione dei tempi di attesa tra un livello di allerta e un altro: purtroppo non c'è proporzionalità aritmetica. Questo significa che si potrebbe passare da un colore all’altro in tempi molto differenti tra loro, magari con estrema lentezza o con una rapidità tale, da rendere possibile addirittura il salto di un livello. Viceversa la regressione sarebbe generalmente piuttosto lenta…

D’altro canto ricordiamo pure che tutte le stime sul momento esatto dell'eruzione sono di taglio probabilistico, e anche se possono essere statisticamente molto alte, non potranno mai raggiungere la certezza deterministica del 100% che può essere data solo e tangibilmente dalla ripresa eruttiva.   

I piani di evacuazione prevedono che dall’atto della dichiarazione dello stato di allarme le operazioni di allontanamento rapido della popolazione debbano durare complessivamente al massimo tre giorni (72 ore). La Regione Campania ha così diviso questo tempo: 12 ore per organizzare la macchina evacuativa; 48 ore per evacuare tutti i cittadini dal vesuviano o dal flegreo e le ultime 12 ore rimanenti sono intese come grasso che cola, cioè un surplus di tempo disponibile per recuperare eventuali disfunzioni che dovessero manifestarsi durante le operazioni di allontanamento.

E’ interessante altresì segnalare che burocraticamente il passaggio allo stato di attenzione vulcanica viene sancito dal dipartimento della protezione civile sentito il presidente della regione interessata. I livelli di allerta di pre allarme e allarme invece, vengono dichiarati dalla presidenza del consiglio dei ministri previa consultazione col presidente della regione interessata.

livelli di allerta e fasi operative

Nella tabella appena proposta, si nota come ad ogni passaggio di livello deve, ovvero, dovrebbe corrispondere una fase operativa di pari importanza. Nessuna di queste 4 fasi in ogni caso può sopportare l’assenza di un piano di evacuazione.

Molto riassuntivamente ricordiamo che nella fase di attenzione bisogna rodare a cura del Comune, il piano di evacuazione messo a punto precedentemente, e verificare ed eliminare tutte le criticità eventualmente esistenti nella viabilità e nel sistema locale di protezione civile. La fase di attenzione inoltre, richiede e si caratterizza per l’informazione da dare ai cittadini, che dovrà essere chiara, puntuale e a cura del sindaco o degli organi dipartimentali. Anche l’Osservatorio Vesuviano ad esempio, stante lo stato di attenzione vigente tuttora ai Campi Flegrei, emana un bollettino informativo settimanale oltre a quello mensile. Non bisogna confondere però, il bollettino scientifico da quello tecnico e amministrativo emanato dal sindaco, che dovrà contenere notizie utili all’organizzazione sociale e operativa del territorio in emergenza.

La fase operativa di pre allarme, comporta l’evacuazione preventiva degli ospedali e delle case di cura e delle carceri, così come sarà necessario mettere in sicurezza i beni culturali trasportandoli altrove ove possibile, o comunque tentare di metterli al riparo. In questo contesto è anche possibile che, quella parte di popolazione che lo desidera e che ha una residenza alternativa in luogo sicuro, possa allontanarsi autonomamente dalla zona a rischio vulcanico, magari segnalando lo spostamento all’autorità locale. In questo caso è previsto per chi va via un contributo di autonoma assistenza.

La fase di allarme prevede la totale e obbligatoria evacuazione delle popolazioni dalla zona rossa secondo le modalità previste dai piani di evacuazione che in verità ancora non si ufficializzano e quindi non sono vigenti. L’uscita dalla zona dichiarata pericolosa è consentita attraverso percorsi prestabiliti e da punti prestabiliti (cancelli). L'allontanamento riguarda anche il personale di tutte le forze istituzionali e volontari intervenuti. 
Ovviamente l’evacuazione può avvenire con autovetture private o con mezzi collettivi (Bus), con esigenze di alloggio diversificate secondo le necessità previste dallo schema riassuntivo che vi segnaliamo in basso, che classifica in A, B e C, le varie condizioni delle famiglie e dei singoli.

Le tre classi di assistenza

Le pianificazioni d’emergenza ad oggetto il Vesuvio e i Campi Flegrei, sono di carattere nazionale perché coinvolgono non solo la regione Campania ma anche tutte le altre  deputate all’accoglienza degli sfollati.

La Regione Campania è stata individuata dal dipartimento come ente referente per alcuni piani di settore: il più importante è quello ad oggetto le procedure e i mezzi e quant’altro necessita per l’allontanamento della popolazione dalla zona rossa; ed ancora tutto ciò che richiede e investe la Sanità e le telecomunicazioni di emergenza.
La strategia del piano di emergenza ad oggetto il rischio Vesuvio ma similmente anche per i Campi Flegrei, prevede come detto che nella fase di allarme la popolazione lasci la zona rossa usando i percorsi predefiniti nei piani locali armonizzati con le municipalità limitrofe.  Coloro che sono appiedati devono recarsi nelle aree di attesa (comunali) secondo le modalità e i mezzi previsti dal piano comunale di protezione civile.

Dalle aree di attesa alle aree di incontro (fuori zona rossa), il trasporto è assicurato da un servizio autobus/navetta a cura della Regione Campania.
Dalle aree di incontro ai punti di prima accoglienza, il trasferimento è garantito dalla regione ospitante (individuabile nella carta dei gemellaggi), e fino alle strutture di accoglienza.
Strategia del piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio

Le regioni italiane dovrebbero garantire trasporto intermedio e ospitalità alla comunità vesuviana o flegrea, secondo questo modello di gemellaggi Regioni/Comuni:
la mappa dei gemellaggi previsti per l'area vesuviana
Gemellaggi previsti per l'area flegrea


In conclusione dobbiamo ricordare che generalmente i livelli di allerta vulcanica, possono prevedere risposte operative molto diverse fra di loro, in ragione delle caratteristiche del vulcano da cui bisogna difendersi. Un apparato prevalentemente effusivo  potrebbe non richiedere un'evacuazione totale e preventiva della zona vulcanica, come invece è previsto e necessario quando il vulcano potrebbe caratterizzarsi per manifestazioni eruttive di tipo esplosivo, come ad esempio il Vesuvio o i Campi Flegrei.



 

giovedì 11 gennaio 2018

Il rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il super vulcano minaccia la metropoli napoletana? ...di MalKo



Solfatara di Pozzuoli - immagine sullo spettro visibile e agli infrarossi (G. Chiodini)

Alcuni ricercatori hanno valutato in termini probabilistici le varie tipologie eruttive che possono interessare, chissà quando, il Vesuvio e i Campi Flegrei. Un’eruzione dall’indice di esplosività VEI 4 viene quotata nel flegreo al 23,8%, mentre una pliniana (VEI5) al 4,0%.

Per il Vesuvio un’eruzione dallo stile eruttivo VEI 4 è ritenuta probabile al 27%, mentre una pliniana VEI5 viene letteralmente obliata perché assoggettata alla risibile percentuale dell’1%. E’ necessario chiarire però, che le indicazioni ad oggetto il Vesuvio sono frutto di una scelta fra due percorsi statistici disponibili e differenziati da archi di tempo diversi. Diversamente, un’eruzione pliniana al Vesuvio avrebbe vantato nel percorso tralasciato un 11% di probabilità condizionata di accadimento. Una bella differenza… 

Per i Campi Flegrei non c’è differenziazione statistica basata sui tempi di quiescenza, in quanto l’area calderica si caratterizza per un mezzo millennio di pace geologica, che è un tempo, presumiamo, ampio abbastanza da ipotizzare una discreta ricarica volumetrica della camera magmatica che può sostenere a questo punto tutti gli stili eruttivi menzionati.

E’ inutile aggiungervi che tanto per il Vesuvio quanto per i Campi Flegrei, il mondo scientifico ha adottato per entrambi i distretti vulcanici l’eruzione VEI4 come quella di riferimento, per definire zone rosse e piani di emergenza.

Le eruzioni VEI 4 lo ricordiamo ancora una volta, possono produrre le famigerate nubi ardenti che sono un fenomeno particolarmente distruttivo e da cui non ci si può difendere se non con l’evacuazione preventiva del territorio a rischio.
In ogni caso Napoli è l’unica metropoli mondiale che annovera ben tre vulcani quiescenti e differenti ed esplosivi, su di una superficie di 1171 chilometri quadrati, affollata da 3.107.000 abitanti che campano e dormono su un’unica grande camera magmatica…
Le politiche di sicurezza in assenza di prevenzione, sono tutte indirizzate sulla necessità di produrre dei buoni piani di evacuazione che, come sapete, sono ancora in itinere. Il problema grosso è che per la riuscita operativa di questi piani è indispensabile che i segnali eruttivi che un domani dovranno cogliersi dal profondo sottosuolo, dovranno essere individuati in tempo utile per la completa evacuazione della zona rossa flegrea, vesuviana o ischitana che sia.
Quindi, gli scienziati saranno costretti a pronunciarsi interpretando dei segnali che giungono o non giungono o che giungono in ritardo in superficie, onde stabilire con logiche a volte da Risiko, se i prodromi pre eruttivi ci sono tutti e se il magma è in ascesa. La caldera flegrea è forse oggi il rebus geologico tra i più interessanti al mondo, e su cui convergono preoccupazioni di non poco conto, atteso che parliamo di un super vulcano in stato di attenzione all’interno di una affollata metropoli.  
Il Dott. Giovanni Chiodini è un dirigente di ricerca dell’INGV. Qualificatissimo esperto della geochimica dei vulcani, è autore di non pochi lavori scientifici pubblicati su importanti riviste internazionali ad oggetto proprio la caldera flegrea.
Dott. Chiodini, di recente ad alcuni visitatori della Solfatara è capitato un bruttissimo e fatale incidente dovuto all’anidride carbonica accumulatasi in alcune sacche nel terreno. E’ proprio tanta l’anidride carbonica che si diffonde dalla Solfatara?
<< Su questo sta indagando la procura che mi ha sentito come persona informata sui fatti a causa anche (credo), dei numerosi studi che ho fatto basandomi sui dati raccolti alla Solfatara. Rispetto a quanto mi chiede mi sembra che una precisazione sia necessaria: credo che l'ipotesi al momento più accreditata sia che il gas risultato fatale sia l'H2S (idrogeno solforato, o acido solfidrico).
Quello che penso è che comunque, sia che si tratti di CO2 o H2S, la causa principale dell'incidente sia stata l'apertura di una 'voragine' profonda un paio di metri. Credo che il tetto dell'anfratto, di poche decine di cm o meno, sia crollato al passaggio delle persone. La Solfatara è interessata da un diffuso processo d'emissione di gas vulcanici-idrotermali che arrivati in superficie vengono diluiti dall'aria ma che nel sottosuolo raggiungono concentrazioni molto elevate e letali.
Nell'ambito di progetti di ricerca sono state fatte numerose campagne di misura dei flussi di CO2 emessi dalla Solfatara e dintorni a partire dal 1998 fino al 2016 (forse una campagna anche ad inizio 2017). I dati mostravano un aumento nel tempo con flussi che nel 2015 sono arrivati fino a 2-3000 tonnellate di CO2 al giorno. Purtroppo al momento non esistono progetti finanziati per proseguire queste campagne ne per sperimentare nuove tecniche per la misura dei flussi di gas delle fumarole (es. Pisciarelli)>>.
Pozzuoli. Solfatara. Le nuove fumarole di Pisciarelli. Foto: Carmine Minopoli 
Quali altri gas fuoriescono dalle fumarole e dalle fenditure nel terreno mare compreso?
<< I gas principali emessi dalle fumarole della Solfatara sono il vapor d'acqua (H2O) e il biossido di carbonio (CO2). Le rispettive concentrazioni sono cambiate nel tempo ed ora, rispetto ad altri vulcani, le fumarole sono particolarmente ricche in CO2 (fino al 28%). Poi, come le ho detto prima, un gas tipico della Solfatara, ma anche di quasi tutte le emissioni gassose dei vulcani, è l'H2S che è in un rapporto con il CO2 di circa 1/200. In concentrazioni minori, escono sia gas tipicamente idrotermali quali idrogeno (H2), monossido di carbonio (CO) e metano (CH4) sia gas poco o non reattivi (e non pericolosi) quali Azoto (N2), Elio (He), Argon (Ar). Purtroppo da quando è successo l'incidente a cui faceva riferimento l'area della Solfatara è chiusa non solo al pubblico ma anche ai ricercatori che fanno sorveglianza vulcanica. Da Settembre non sappiamo più niente della composizione delle fumarole>>.

I valori di monossido di carbonio perché sono ritenuti indizi importanti della risalita del magma verso la superficie?

<< Il monossido di carbonio (CO nel seguito), non è necessariamente indicatore di risalita di magma. Il CO è un importante indicatore della temperatura del sistema. Il CO infatti si forma per dissociazione della molecola della CO2 (uno dei componenti principali dei fluidi idrotermali), e l'aumento della temperatura favorisce la sua formazione. Quindi nelle nostre interpretazioni l'aumento della concentrazione del CO è interpretato come indicatore d'aumento di temperatura nel sottosuolo e non di risalita di magma >>.
Stefano Caliro e Giovanni Chiodini - Bocca Grande - Solfatara

 Una teoria suffragata da elementi di analisi strumentali sembra stabilire in un'unica grande camera magmatica quella che caratterizza le profondità della caldera e del Vesuvio e forse di Ischia. Notandosi fenomeni estremamente differente fra i tre distretti, è lecito ritenere che la differenza a proposito di certi fenomeni (bradisismo; fumarole; emissioni;) la faccia innanzitutto la profondità del magma o le caratteristiche del soprassuolo o entrambi i fattori?
<< Diciamo che esistono delle ipotesi sull'esistenza ad una certa profondità (>10-12 km) di un livello, contenente materiale fuso o parzialmente fuso, fra i Campi Flegrei e il Vesuvio (non Ischia). Assumendo per vera questa ipotesi, quanto dice è ragionevole: il differente comportamento dei due vulcani è condizionato dalle caratteristiche delle rocce, dei terreni che separano il magma dalla superficie e possibilmente dalla profondità del magma. E' chiaro comunque che si tratta di due vulcani differenti: i Campi Flegrei sono una caldera, il Vesuvio uno strato vulcano. Ai Campi Flegrei le eruzioni non si sono mai ripetute dallo stesso centro eruttivo, al Vesuvio molte delle eruzioni si originano nel cratere omonimo ecc. >>.
 
Le Sue teorie sulla chimica delle caldissime acque termali flegree che hanno inficiato la resistenza della coltre rocciosa e tufacea che ricopre la camera magmatica ci sembra molto convincente. Questa teoria trova equivalenze e condivisioni in altre parti del mondo?

<<Il ragionamento, a cui fa riferimento, riguarda la separazione differenziata di H2O e CO2 da un corpo magmatico che si depressurizza. Il primo gas a essere rilasciato è il CO2 e, a mano a mano che la depressurizzazione prosegue, vengono emesse quantità crescenti di H2O. Questa, condensando, scalda le rocce oltre a formare un liquido che può essere molto acido e agire come fattore additivo nel processo di indebolimento della matrice rocciosa. Che i fluidi magmatici possano scaldare il sistema è cosa ben risaputa (molti sistemi geotermici si trovano presso vulcani attivi), e soluzioni acide calde vengono spesso rinvenute nei sistemi vulcanici. Quello che è poco conosciuto, e che abbiamo provato ad affrontare nel lavoro a cui fa riferimento, è la dinamica di questi sistemi idrotermali in parte ricaricati da fluidi magmatici. Abbiamo prospettato che esiste una pressione critica durante la depressurizzazione, in cui il magma può emettere quantità di fluidi molto elevate. Abbiamo poi ipotizzato che tale dinamica stia caratterizzando l'attuale momento dei Campi Flegrei, e nello stesso lavoro abbiamo teorizzato che una dinamica simile potrebbe aver caratterizzato periodi di crisi di altri vulcani>>.
La Solfatara di Pozzuoli - Emissioni gassose

Un’altra teoria ancora parla di un certo snervamento e quindi indebolimento della coltre che ricopre la camera magmatica flegrea, dovuto al bradisismo negativo e positivo. In questo caso la cedevolezza degli strati che ricoprono la camera magmatica dovrebbe favorire una più rapida ascesa del magma?
<<Immagino che si stia riferendo al lavoro recente di un collega inglese e di 2 colleghi dell'Osservatorio Vesuviano. Se così, il lavoro segnala come il ripetersi di crisi sismiche ai Campi Flegrei (iniziate 40-50 anni fa), abbiano causato un indebolimento delle rocce che perdono elasticità e si comportano in modo 'fragile' a causa delle numerose fratture aperte dai terremoti. Secondo gli autori questo comportamento può favorire la risalita del magma>>.

 In termini antincendio e protezione delle sovrappressioni, in alcuni fabbricati o depositi di esplosivi, una parete viene realizzata molto più cedevole delle altre per indirizzare le eventuali sovrappressioni in quella direzione. Se sapessimo quale parte dell’area flegrea è più sottile o più cedevole ci darebbe il punto stimato della futura eruzione? Se sì, Il dato è possibile evincerlo strumentalmente?
 
<<Il calcolo non è certo facile! La natura è molto più complessa delle nostre costruzioni. Un dato di fatto inoppugnabile è quello che prevedere il luogo di un'eruzione in una caldera è molto difficile. Alcuni colleghi hanno tentato questa strada attraverso metodi statistici basati su quanto successo durante la storia eruttiva della caldera flegrea…>>.

Le osservazioni fin qui fatte a proposito della cedevolezza dei terreni in un contesto di magma a bassa profondità, dovrebbero essere implicitamente un ostacolo alle perforazioni profonde. E’ così?
<< Su questo punto è difficile esprimersi. Sono stato contrario al progetto Scarfoglio che prevedeva perforazioni a scopo industriale in un’area centro della fenomenologia (terremoti e emissione di gas) che sta caratterizzando ora la zona Flegrea. Un pozzo a fini scientifici e di monitoraggio del vulcano è differente: ci sono aspetti negativi e aspetti positivi. Fra gli aspetti negativi il più rilevante è che un eventuale incidente durante la perforazione andrebbe comunque a impattare in un territorio molto abitato. Fra gli aspetti positivi, la possibilità di un monitoraggio più efficiente del vulcano attraverso misure dirette della temperatura, pressione, caratteristiche meccaniche delle rocce, composizione dei fluidi (ecc.) e delle loro variazioni nel tempo. Forse la decisione non dovrebbe essere lasciata ad un unico ricercatore ma ad una commissione di esperti che possa valutare nel complesso tutti gli aspetti>>.
Le Sue interessantissime teorie come altre ad oggetto la caldera flegrea ci rimandano a quale situazione di pericolo attuale?
<< Credo che il colore giallo attuale nello stato del vulcano (cioè attenzione scientifica) sia quello che meglio esprime lo stato del vulcano>>.
L’Osservatorio Vesuviano a proposito del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, ha impiegato alcuni giorni per dare il giusto epicentro del terremoto. In queste condizioni operative è giusto puntare le chance della sicurezza interamente sulla previsione dell’evento vulcanico?

 <<Premetto che da qualche anno non lavoro più all'Osservatorio Vesuviano; comunque credo che la rete dei sismometri (e degli altri sensori geofisici) dei Campi Flegrei sia molto efficiente. Le faccio io ora una domanda, ci sono alternative alla previsione tempestiva di un eventuale eruzione?>>.
Campi Flegrei - La Solfatara di Pozzuoli

La sala di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano è ubicata nella caldera flegrea. Non Le sembra una collocazione particolarmente esposta in caso di preallarme e allarme vulcanico?

<< Non mi esprimo. Noto comunque che l'Osservatorio Vesuviano sta cercando una sede differente. Forse il comune di Napoli o altri enti pubblici dovrebbero aiutare l'OV in questa ricerca (è possibile che il Comune di Napoli non abbia edifici adatti al di fuori della caldera?) >>.

Perché ancora non viene ripetuta un’analisi strumentale indiretta per calcolare con una sufficiente precisione lo stato intrusivo del magma nel flegreo, al Vesuvio o ad Ischia?

<< Purtroppo in questo momento le attività di ricerca (dico 'ricerca' e non routine di monitoraggio), per meglio capire cosa sta succedendo ai Campi Flegrei, sono praticamente ferme e senza finanziamenti>>.

Gli elementi che ci ha fornito in quest’intervista il Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell’INGV, sono di grandissimo interesse, anche da un punto di vista della conoscenza degli aspetti vulcanici che caratterizzano oggi la caldera flegrea. Ringraziamo per l’importante disponibilità.

 Nel concludere questo articolo, dobbiamo ahimè confermare che la sicurezza dei cittadini metropolitani del napoletano a fronte del rischio vulcanico, è oggi affidata prevalentemente alla previsione dell’evento. Non una previsione generalizzata della serie i vulcani prima o poi erutteranno, che potremmo fare lapalissianamente già adesso, ma una previsione oculata diremmo mediata tra il falso allarme e il mancato allarme, con una preferenza a scegliere riconducibile ovviamente e sicuramente al primo caso…

Mentre mancano certezze assolute sulla previsione utile dell’evento vulcanico, potremmo intanto e di contro e con assoluta scioltezza e risolutezza redigere i piani di evacuazione che invece ancora non ci sono e quello che c’è è strategicamente discutibile.

D’altra parte è anche vero che per la previsione delle eruzioni aiuta molto la messa in campo di strumenti ipertecnologici, ma riteniamo ancora di più la ricerca, che nell’attualità e a fronte di uno stato di allerta giallo, ci sembra di capire che sia stata messa all’angolo dalla mancanza di fondi: un dato su cui riflettere e agire.

D’altro canto, un altro elemento che è senz’altro da perorare, è il trasferimento dell’Osservatorio Vesuviano presso una sede diversa dall’attuale perché ubicata in piena zona rossa flegrea. Le autorità metropolitane e regionali potrebbero istituzionalmente farsi carico di questo problema, magari proponendo a livello comunitario qualche interessante progetto di ricollocazione della sede altrove. L’Osservatorio Vesuviano nel flegreo e l’Ospedale del Mare nel Vesuviano, diciamola tutta, non sono un esempio lampante di lungimiranza operativa.

Quello che oggi si può fare in termini di prevenzione, è operare attraverso un grande piano urbano metropolitano di riqualificazione e rimodellamento dell’esistente, prediligendo la realizzazione di nuove opere viarie piuttosto che di edifici residenziali, con un occhio di riguardo alla pratica di delocalizzazione e non di deportazione del maggior numero possibile di abitanti dalle zone rosse alle zone sicure.

Il vincolo vulcano urbanistico per i Campi Flegrei e per Ischia è di fondamentale importanza che venga instaurato al più presto, anche se sarà osteggiato ferocemente dai divoratori di territorio di ogni ordine, grado e appartenenza politica. Occorre prendere decisioni impopolari ce ne rendiamo conto, ma assolutamente necessarie, se vogliamo dare una chances di vivibilità minimamente accettabile, ai nostri ignari posteri.

Un particolare ringraziamento al Dott. Giovanni Chiodini, dirigente di ricerca dell'INGV, per l'intervista che ci ha concesso.