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domenica 26 maggio 2013

Rischio Vesuvio e meteoriti





"Rischio Vesuvio e meteoriti" di MalKo

Cosa c’entra il Vesuvio con un meteorite? In realtà ben poco. Il corpo celeste fu tirato in ballo da un funzionario del dipartimento della protezione civile, quando fu paventata in alcune interviste la necessità di non eludere il rischio di una ripresa eruttiva del Vesuvio con fenomeni e scenari tipo Avellino. Questo invito indirettamente metteva in discussione i piani d’emergenza perché, accettando un livello di rischio superiore, mutavano gli scenari ipotizzati a iniziare dai limiti della zona rossa. Questa possibilità in definitiva fu accreditata all’uno per cento. Tant’è che il funzionario in questione profferì la frase:<<… Non possiamo però tenere conto di qualsiasi eventualità: io non ho un piano di emergenza in caso di caduta di un meteorite su Roma  anche se in teoria potrebbe succedere».

NOE (Near Earth Objects), cioè oggetti vicino alla Terra che orbitano dalle parti del Sole, non sono proprio un rischio statistico avvicinabile in termini di percentuale a quello di un’eruzione vulcanica. I NOE con raggio di circa un chilometro (asteroidi), diciamo subito che sono fortunatamente in numero esiguo. Quelli più piccoli invece (meteoroidi), sono in una quantità maggiore e, quindi, statisticamente con qualche possibilità in più di colpire la Terra. I danni da impatto con asteroide potrebbero essere incommensurabili. Quelli da meteoroide sarebbero proporzionati al loro volume, alla loro composizione, e ancora alla velocità e al punto d’impatto.  Generalmente l’atmosfera ci protegge in modo utile, almeno dai frammenti più piccoli che sono anche i più numerosi.
Mediamente la probabilità che un NOE dal diametro di un chilometro impatti la Terra è bassissima:  due per ogni milione di anni. Un meteorite lungo circa 75 metri, statisticamente potrebbe colpirci ogni mille anni.  Questo rischio così basso, non può comunque definirsi definitivo nella sua valutazione perché è legato al numero di oggetti vaganti, non tutti scoperti, o alla loro orbita che potrebbe mutare nel tempo per effetto ad esempio di collisioni con altri elementi alla deriva.

Nella stima statistica sopra riportata però, il rischio impatto è stato calcolato in danno del pianeta Terra; parliamo quindi di collisioni con la massa globale terrestre. La già bassa percentuale a questo punto, si ridurrebbe ulteriormente e di molto se volessimo ipotizzare l’impatto di un meteorite (pochi metri) su di una località precisa del pianeta, come ad esempio la città di Roma, tanto per rimanere sui nomi tirati in ballo (facciamo gli scongiuri!).


I piani d’emergenza per i meteoriti di solito non si preparano perché non abbiamo cognizione né del pericolo, né del punto d’impatto.
In queste condizioni d’incertezza estrema, a voler fare dei piani di emergenza preventiva per ogni comune d’Italia ne occorrerebbero 8100. Calcolando almeno tre scenari di pericolo facente capo a tre diversi livelli energetici, i piani passerebbero a 24.300 con difficoltà crescenti perché si passerebbe da ipotesi di danno locale, provinciali e regionali ad altri ancora di livello nazionale e oltre che neanche prendiamo in esame.


Avendo nei cassetti 24.330 piani, sarebbe indispensabile per la loro efficacia avere un buon livello di previsione. Cioè individuare in tempo il pericolo e mettere in atto le difese previste per la popolazione esposta che consisterebbero in una rapida fuga fuori dalla zona soggetta all’onda d’urto o al maremoto.
Sempre rimanendo a tema con input da altri settori dell’informazione scientifica, leggiamo che Apophis è un asteroide lungo circa 300 metri che nel 2004 destò molta preoccupazione perché da una stima iniziale fatta sulla sua orbita,  fu ricavato una possibilità d’impatto con il pianeta Terra nell’anno 2029.


In seguito e grazie a calcoli sempre più precisi, la data per questo che al momento rimane solo un remotissimo rischio, fu fissata per il  13 aprile 2036, tra l’altro domenica di Pasqua. I calcoli comunque sono in continuo aggiornamento. La probabilità di collisione di quest’asteroide col nostro pianeta è slittata in termini percentuali (ottobre  2009) a su 250.000.  Si attendono rilievi radar nel 2013 per poter definire ancora meglio l’orbita di Apophis e fino al 2070 . Elemento utile perché nel 2068 è previsto un nuovo passaggio ravvicinato del masso vagante nello spazio, ma con una possibilità d’impatto questa volta di su300.000. Saranno quindi probabilmente tutte occasioni (speriamo) importanti per studiare il vecchio asteroide da “vicino” senza per questo preoccuparsi.


Nonostante il rischio sia veramente minimo (1/250.000), si paventa velatamente la possibilità d’intervenire con tecniche di deflessione che sembrano quelle maggiormente efficaci per il caso Apophis. Si attendono comunque misurazioni ancora più precise per vagliare la situazione che al momento in termini di rischio concreto neanche si pone.


Diciamo che gli asteroidi che sono avvistati e presi in considerazione sono quelli che hanno una certa larghezza. Quelli più piccoli (meteoroidi) difficilmente si riescono a individuare con largo anticipo. Attraverso la tecnologia dei razzi e delle armi nucleari, un qualche elemento di difesa incomincia a intravedersi all’orizzonte per questo rischio che ci proviene direttamente dalle profondità dello spazio e che comunque non ha posto fine alla vita sul pianeta nel procedere dei millenni.


L’Italia non ha tecnologie spaziali e nucleari che possano in qualche modo consentire una difesa attiva da questi apocalittici pericoli (almeno per il momento). Di conseguenza non abbiamo valutazione del rischio anzidetto innanzitutto perché non abbiamo alternative. Siamo soggetti alle superpotenze.  D’altro canto però, così com’è successo per Apophis, non è da escludere che, con largo anticipo, si possano individuare i corpi celesti in avvicinamento; si tenterebbe quindi di deviarli e, soprattutto, se sono di modeste dimensioni, organizzare in poco tempo un piano d’evacuazione areale e regionale che, per le statistiche in gioco e le incertezze, non è possibile predisporre in anticipo.


Ovvio quindi, che anche se non è da escludere matematicamente un meteorite sul colosseo, va da se che se non c’è certezza del pericolo e della zona dove il pericolo potenziale  potrebbe abbattersi, alla stregua non  è neanche possibile tarare in anticipo alcun piano d’emergenza anti meteorite.

Per la questione iniziale all’origine della disquisizione, cioè il rischio Vesuvio e le nuove ipotesi eruttive, ci ha pensato Bertolaso a spazzare via ogni dubbio, dichiarando che bisogna allargare la zona rossa anche alla città di Napoli, perché non si può escludere un’eruzione dai livelli energetici sostenuti, esattamente come prospettato sulla rivista National Geographic nel 2007.
Evidentemente Il Capo Dipartimento, almeno lui, è ancora con i piedi per terra…
 
 

Rischio Vesuvio: intervista al Prof. Giuseppe Mastrolorenzo.



"Rischio Vesuvio: intervista al Professor Giuseppe Mastrolorenzo"

di MalKo
Nel nostro parlare di  Vesuvio abbiamo fin da subito chiarito che il rischio è la possibilità che un determinato evento pericoloso possa cagionare danno a persone e cose. Diciamo che il mondo scientifico assegna dei valori   statistici al rischio in genere ed anche a quello vulcanico, stabilendo delle percentuali pure su basi matematiche che non sono, generalizzando,  particolarmente apprezzate o comprese dalla popolazione. Infatti, dire a un cittadino del vesuviano che una tipologia eruttiva  potrebbe statisticamente presentarsi in un certo range percentuale  piuttosto che in un altro, non conforta e non deprime.
Parlando della statistica riferita al rischio Vesuvio e, nel merito di  alcune tipologie eruttive, abbiamo nel tempo ascoltato varie opinioni.  Tra queste diverse che invitavano a trascurare i fenomeni vulcanici a bassa percentuale di accadimento.
Il ricercatore Prof. Giuseppe Mastrolorenzo nel 2007 avanzò nuove ipotesi dalle pagine della rivista National Geografhic, su quelli che potrebbero essere gli scenari eruttivi futuri del Vesuvio (chissà quando), tirando in ballo eruzioni del passato a forte valore energetico e a diversa distribuzione sul territorio in termini di effetti distruttivi. Gli abbiamo posto alcune domande per entrare nel merito di un dibattito che sarebbe  bene rimanesse  sempre aperto e senza preclusioni.   Nessuno di noi infatti, apprezzerebbe una sorta di oscurantismo su faccende che richiedono invece scientismo e chiarezza estrema.  Ogni scienziato deve avere la possibilità di illustrare le sue tesi così come ad altri è concesso di confutarle o condividerle. Oseremmo aggiungere democraticamente…
Professore Mastrolorenzo, che differenza c’è tra un’eruzione pliniana tipo Pompei 79 d.C. e quella delle pomici di Avellino?
In realtà l’eruzione delle Pomici di Avellino non differisce sostanzialmente da quella di Pompei in termini di classificazione vulcanologia. Si tratta infatti in entrambi i casi di eruzioni esplosive di tipo pliniano, secondo la classificazione attuale di VEI (Volcanic Explosivity Index) =5.  Anche la successione degli eventi è simile, essendo caratterizzata dall’evoluzione nel corso dell’eruzione, dalla fase di colonna sostenuta che produceva la pioggia di ceneri e lapilli, a quella da collasso della colonna, con generazione di flussi piroclastici.
Le differenze sostanziali tra le due eruzioni riguardano la distribuzione al suolo dei prodotti eruttivi. La caduta di lapilli interessava prevalentemente i settori a Sud Est del Vesuvio nel caso dell’eruzione di Pompei, mentre interessava quelli di Nord Est nel caso dell’eruzione delle Pomici di Avellino. I flussi piroclastici, nubi ad alta velocità di avanzamento al suolo e temperatura di centinaia di gradi, interessavano prevalentemente i settori meridionali ed orientali, nel caso dell’eruzione
di Pompei, mentre in prevalenza quelli settentrionali  nel caso delle Pomici di Avellino. Per questo motivo, a parità di volumi eruttati e tipologia di eventi, uno scenario futuro del tipo delle Pomici di Avellino esporrebbe a grave rischio l’intera popolazione della provincia di Napoli per un totale di almeno 3 milioni di persone.
L’evento massimo atteso (EMA) preso ad esame per abbozzare i piani d’emergenza è quello del 1631.  E’ una mediazione scientifica o un dato di fatto numerico incontrovertibile in termini statistici  ?
La scelta di un evento analogo a quello del 1631 come scenario di riferimento è a mio avviso solo una soluzione ottimistica alla questione del rischio vulcanico. Lo scenario fu scelto circa venti anni fa, in assenza di rigorose valutazioni probabilistiche o simulazioni di eventi.
Da allora è rimasto sostanzialmente immutato a fronte di notevoli progressi nella ricerca vulcanologia che hanno dimostrato l’elevata probabilità di un evento pliniano e l’estrema pericolosità di un tale evento. Purtroppo, benché da anni io e  altri vulcanologi abbiamo dimostrato l’assoluta necessità di adottare uno scenario pliniano, o in alternativa di dichiarare l’impossibilità di mettere in salvo la popolazione esposta al rischio connesso con tale tipo di eventi, la Protezione Civile e la Commissione Grandi Rischi non hanno effettuato modifiche in tal senso al Piano di emergenza: questo è rimasto sostanzialmente invariato da oltre quindici anni.
La camera magmatica è un qualcosa di quantificabile con precisione in termini di estensione e profondità ?
Dai nostri studi magmatologici, basati su complesse analisi delle rocce eruttate nel corso della storia vulcanologia del Somma-Vesuvio, abbiamo potuto determinare che il bacino magmatico si trova ad una profondità probabile di circa 8 km. Tale profondità è  anche in accordo con gli esperimenti di tomografia sismica, effettuati negli anni novanta, che hanno indicato una analoga profondità. Le stesse ricerche indicano che l’estensione della camera dovrebbe aggirarsi sui 400 kmq . Non è noto il
volume totale di magma attualmente disponibile, ma certamente è disponibile abbastanza magma per alimentare decine o centinaia di eruzioni esplosive di volume comparabile con quella del 79 A.D.
La previsione di prevedere tre giorni prima l’imminenza di un’eruzione è in linea con le conoscenze attuali  sul Vesuvio?
Sulla previsione di eruzioni al Vesuvio esiste un notevole livello di confusione. La realtà è purtroppo poco rassicurante. Infatti, non è assolutamente possibile prevedere quando si verificherà la prossima eruzione  così come non è possibile definire la possibile entità dell’evento: L’approssimarsi di un evento eruttivo sarà con grande probabilità preceduto da una crisi  pre-eruttiva caratterizzata da terremoti, deformazioni del suolo e modificazioni geochimiche. Una tale crisi potrebbe iniziare tra un secolo così come tra una settimana. Purtroppo, dall’inizio della crisi non  sarà possibile alcuna previsione sul momento di eventuale inizio della fase eruttiva, che potrebbe richiedere da ore ad anni. La scelta dei tre giorni per l’evacuazione, ammesso che sia realistica, benché abbastanza rapida non fornisce in assoluto garanzia di successo.

La redazione di Hyde Park ringrazia il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo per la cortese intervista che ci ha rilasciato.
Un ulteriore domanda rivolta all’esperto inerente la distruzione degli aerei americani ubicati a Terzigno nel 1944, sarà oggetto di un articolo che verrà pubblicato nei prossimi giorni corredato da fotografie d’epoca.