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domenica 26 maggio 2013

Rischio Vesuvio e Osservatorio Vesuviano




Il Vesuvio
"Rischio Vesuvio e Osservatorio Vesuviano" di MalKo
Agli inizi degli anni novanta, non ricordiamo bene, ci fu un clamoroso caso di allarme tra la popolazione del vesuviano per un fax mal compilato. Che cosa successe: l’Osservatorio Vesuviano inoltrò alla Prefettura di Napoli una notifica contenente i dettagli tecnici di un terremoto vulcano-tettonico che si era da poco verificato e che tra l’altro non era stato avvertito dalla popolazione. Nel bollettino erano stati precisati, oltre all’ora dell’evento, l’ipocentro e l’intensità del sisma.
La Prefettura a sua volta preparò una nota informativa indirizzata ai comuni dell’area rossa. Per un lapsus calami, fu scritto: si verificherà un terremoto invece di… << si è verificato un terremoto >>…e  il fax venne così inoltrato.
Scattò l’allarme. Alcuni comuni organizzarono subito un’incauta informativa alla popolazione che prese d’assalto l’autostrada per allontanarsi dall’area vesuviana, bloccando così il traffico ai caselli con automobilisti che di lì a poco avrebbero trasformato la loro ansia in panico collettivo.
La calma incominciò a ripristinarsi solo dopo le dovute e frettolose rettifiche date soprattutto dall’edizione serale del TG3.
I bollettini informativi successivamente, non sappiamo se in seguito a quell’inconveniente, furono diramati direttamente dall’Osservatorio Vesuviano ai comuni dell’area rossa, ogni qualvolta l’istituto di sorveglianza registrava eventi sismici di magnitudo superiore a 2,5 della scala Richter.
Nei comuni, queste note che giungevano periodicamente, costrinsero i sindaci a incaricare qualcuno della raccolta dei bollettini e questi addetti a loro volta incominciarono a preoccuparsi per dare un senso, un valore a quelle notizie ricevute. Si nominarono quindi referenti di protezione civile che molto spesso telefonavano all’Osservatorio Vesuviano per avere conferme e chiarimenti tessendo un utile rapporto interistituzionale con il prestigioso Ente preposto alla sorveglianza vulcanica.
Un piccolo scambio di battute oggi e una disquisizione domani, gli addetti alla protezione civile alla fine incominciarono a realizzare il fatto tutt’altro che secondario, che vivere all’ombra di un vulcano richiede ogni possibile sforzo organizzativo di tutela, partendo proprio dal livello locale.  Ovviamente cozzando spesso con la parte politica orientata ad obliare il rischio…
Il 9 ottobre 1999 alle ore 7,31 l’area vesuviana fu scossa da un terremoto di magnitudo 3,6. Fu l’evento più intenso dal 1944. Segno premonitore? Come abbiamo già chiarito in altri articoli, ci fu sconcerto nel mondo scientifico e istituzionale, e ansia mal celata tra la popolazione. Molti cittadini si spostarono precauzionalmente in altre residenze fuori dall’area rossa. Qualche scuola fu chiusa ed altre risultarono semideserte.
In quella che fu una settimana di tensioni, ogni più piccolo sussulto era accompagnato da ratifiche via fax.  Gli addetti alla protezione civile, cosa che ricordiamo bene, andarono letteralmente in fibrillazione, frastornati dalle notizie in arrivo, soprattutto quelle inerenti all’epicentro delle micro scosse che in alcuni casi erano localizzate a poche centinaia di metri dalla superficie e direttamente nel camino vulcanico. Il concetto cui costoro attingevano la loro apprensione, era che il magma risalendo nel condotto produceva sismi sempre più focali verso l’alto… Secondo questa pseudo tesi quindi, eravamo a un passo dall’eruzione. Se ricordiamo bene un noto vulcanologo, aprì una polemica con l’Osservatorio Vesuviano, perché quel terremoto doveva indurre a suo dire un passaggio nel sistema di allerta vulcanica, da base ad attenzione(vedi rischio Vesuvio parte settima). Secondo il nostro più che modesto parere, aveva perfettamente ragione. D’altro canto abbiamo difeso, pure la tesi avversa , cioè la decisione un po’ politica dell’Osservatorio Vesuviano (commissione grandi rischi ?) di mantenere ufficialmente il livello base, esclusivamente perché in quel periodo parlare di livelli di allerta a una platea di “ignoranti”, nel senso proprio di mancata conoscenza, avrebbe gettato l’intera popolazione nel panico assoluto con amministrazioni comunali che si sarebbero “imballate” non sapendo  come affrontare la crisi. Perché di crisi si trattò…
La Procura della Repubblica di Torre Annunziata forse un giorno dovrà pronunciarsi su questa storia. Consiglieremmo una salomonica archiviazione…
Andiamo all’attualità. Per evitare problemi ma anche per gestire l’informazione secondo criteri francamente discutibili , le ratifiche di terremoto arrivano adesso esclusivamente al dipartimento della protezione civile, dicastero guidato da Bertolaso, e alla Prefettura di Napoli. I comuni, sembra, sono tenuti all’oscuro di tutto.
Le nostre conoscenze ci portano ad affermare che inviare quelle notizie ai comuni era un sistema fondamentale per indurre i comuni stessi a organizzarsi da un punto di vista della protezione civile. Ad esempio, la sala operativa della città di Portici, presidiata ventiquattro ore su ventiquattro, nacque proprio dalla necessità di assicurare un terminale informativo permanente sul territorio a rischio. Tant’è che tutti i cittadini che telefonavano alla struttura comunale per qualche sussulto litosferico, ricevevano, grazie ai famosi bollettini, informazioni dettagliate sul terremoto eventualmente avvertito, intanto per discriminare la scossa circa la sua origine tettonica o vulcano tettonica. Poche ma fondamentali notizie portatrici di calma che producevano effetti psicologici di tutto rispetto e fiducia nelle istituzioni.
D’altro canto vorremmo ricordare che secondo una più recente legislazione il sindaco non solo è autorità di protezione civile, ma è anche chi dovrà assicurare ai cittadini amministrati l’informazione precisa e puntuale soprattutto su temi che afferiscono al mai sopito bisogno sociale di sicurezza. L’oscurantismo quindi, in danno ai comuni, non produce nulla di utile, atteso che, i sussulti superiori a 2,5 non possono essere emarginati nella burocrazia perché la popolazione li percepisce direttamente attraverso i sensi. Vorremmo appena ricordare che pochi mesi fa, si diffuse un nuovo allarme terremoto per l’opera di buontemponi che tirarono in ballo fittiziamente il noto tecnico Giuliani dell’Aquila. Furono necessarie anche in quel caso smentite e precisazioni. Questo significa che se non si produce uno sforzo efficace nella formazione e nell’informazione e nei collegamenti interistituzionali (soprattutto con i comuni), i disguidi anche gravi sono all’ordine del giorno.
Un invito quindi, all’Osservatorio Vesuviano, acchè ripristini quella buona pratica dei bollettini di ratifica terremoti. Lo sappiamo: c’è l’ottimo e curatissimo sito “sismografi in diretta”. Non basta. Quando i comuni ricevono una nota da un ente scientifico è quasi un promemoria che ricorda ai destinatari dove si vive e con quale rischio si ha a che fare.  Gli addetti è bene che leggano il bollettino e su quello organizzino come dire… scambi di vedute possibilmente con persone fisiche. Una mediazione? Invio delle ratifiche tramite E-Mail e riporto costante del livello di allerta vulcanico, secondo meccanizzazione del sistema e note aggiuntive in calce se necessarie. Ovviamente il tutto è un nostro parere…


 

Rischio Vesuvio e Protezione Civile



"Rischio Vesuvio e Protezione Civile" di MalKo
Una certa bufera si è abbattuta sul dipartimento della protezione civile e sul suo capo Guido Bertolaso, a proposito di poteri straordinari, grandi eventi, appalti, ecc… Nulla di nuovo sotto il cielo della corruzione dilagante, squarciato ogni tanto da indagini giudiziarie che mettono in luce reati o quantomeno un diffuso malcostume.
C’è un aspetto che riguarda la protezione civile però, che non ci convince e non già da adesso. Abbiamo l’impressione che sul rischio più grande che abbiamo in Italia, quello vulcanico afferente all’arcinoto Vesuvio, si mantenga una qualche sostanziale omissione sulla famigerata pianificazione d’emergenza e vi spieghiamo il perché.
Il piano d’emergenza nazionale Vesuvio intanto porta quest’aggiunta nazionale perché una possibile ripresa eruttiva verrebbe identificata come un evento di tipo (C ), classificazione evincibile all’art.2 della L.225/1992 che istituisce il servizio nazionale della protezione civile. Cioè, …eventi che, per intensità ed estensionedebbano essere fronteggiati con l’impiego di mezzi e poteri straordinari. Appare del tutto evidente quindi, che, questo famoso elaborato rientri a pieno titolo nelle strette competenze e, oseremmo aggiungere, responsabilità, del dipartimento della protezione civile.
Il motivo di questa gestione centralistica è da ricercarsi non solo nell’elevato rischio in esame che coinvolgerebbe immediatamente 600.000 mila persone, ma nel fatto tutt’altro secondario che, in caso di emergenza, sarebbero implicate direttamente e indirettamente, molte regioni e strutture e mezzi e organizzazioni statali e no. Un ambito così vasto insomma,  da richiedere un coordinamento di livello nazionale.
Il piano d’emergenza Vesuvio quindi, a ragione è possibile inquadrarlo come un immediato strumento di prevenzione.  Proprio quella famosa prevenzione di cui parla con enfasi  Bertolaso, quando rimprovera e bacchetta taluni comuni inadempienti su altri rischi come quello idrogeologico
Il piano d’emergenza nazionale Vesuvio, nella sostanza dovrebbe contenere il piano d’evacuazione, cioè l’atto di prevenzione ultima (fuga), da adottare per porsi in salvo da un pericolo non arginabile come un’eruzione  esplosiva. Possiamo quindi affermare che la pianificazione e l’attuazione di un piano d’evacuazione, da un certo punto di vista rappresenta il fallimento di tutte le tecniche di prevenzione che, nel nostro caso, potevano consistere unicamente nell’assicurare un’adeguata distanza fra popolazione (Valore esposto) e vulcano (Pericolo). Una distanza che inevitabilmente e all’occorrenza, dovrà rendersi concreta nel giro di alcuni giorni attraverso una titanica operazione di trasferimento della popolazione. Il piano d’emergenza allora, ha un’importanza non certo residuale ma addirittura maledettamente vitale.
Il dramma di questa straordinaria pianificazione “invidiataci” da tutto il mondo, è che non esiste.  Nella bozza depositata abbiamo le disquisizioni geologiche, la suddivisione delle zone, i quattro livelli di allerta, ma nessuna pagina contiene alcunché di istruzioni utili  per andarsene dall’area a rischio in caso di necessità, in modo ordinato o quantomeno con una logica direzionale condivisa.
Il dipartimento, pensiamo, ripeterà che il loro compito è di tracciare le linee guida… è che quindi la colpa è dei comuni che sono inadempienti. I comuni diranno che aspettano l’aggiornamento del piano e così via…. Nel frattempo entrambi si dedicano ad altro… Deontologicamente parlando riteniamo ingiusto spacciare per piano d’evacuazione delle semplici linee guida. Così come ci sembra naturale che, chi ha la responsabilità di una pianificazione d’emergenza, abbia anche il diritto dovere di assicurarsi che tutti gli attori coinvolti si impegnino nei tempi previsti.
Vorremmo appena ricordare che se si destituiscono sindaci perché non effettuano la raccolta differenziata, a giusta ragione potrebbero commissariarsi comuni se inadempienti sui grandi temi della sicurezza.
Di questo piano avremo, così dicono, l’aggiornamento a breve. Le novità contemplerebbero tempi d’evacuazione misurati in tre giorni e un uso massiccio di autovetture private per allontanarsi dall’area vulcanica, rinunciando a treni e bus indicati genericamente in un primo momento.
Il comune di Portici nella bozza di piano d’emergenza comunale, redatto a fronte del rischio Vesuvio nel 1999, scrisse a pagina 15 :
… impossibilitati a trasportare masserizie o altri beni ingombranti, molto probabilmente i cittadini che dovranno sfollare tenteranno nella maggior parte dei casi di sfruttare l’unica unità mobile da carico a loro disposizione : l’autovettura.
L’autovettura ha una serie di funzioni molto importanti; innanzitutto è il primo modulo abitativo che consente di permanere all’asciutto e in strada per un tempo anche prossimo alle 48 ore; l’autoveicolo inoltre, garantisce una sufficiente ed autonoma mobilità pure in un momento successivo all’emergenza e fuori dal perimetro a rischio.
Non è assurdo ipotizzare che la maggior parte delle famiglie utilizzerà questo vettore per spostarsi dall’area vesuviana in caso di emergenza,molto verosimilmente alla stregua di quanto avviene in occasione degli esodi estivi.
Ed ancora a pagina 20 del testo porticese leggiamo : analizzando quello che potrebbe essere il comportamento della popolazione in seno ad una emergenza vulcanica, possiamo ritenere probabile un esodo :
1) prevalentemente a mezzo autovettura privata;
2) minimo a mezzo treno o traghetto veloce;
3) presumibilmente in maniera continuativa 24 ore su 24 dal momento in cui scatta la fase di allarme;
4) spontaneo già durante le fasi I e II se dovessero incalzare gli eventi sismici;
5) mediamente massivo a mezzo treni o traghetti in caso di perdurante e totale blocco del traffico.
L’aggiornamento come detto al piano nazionale ancora non è stato pubblicizzato o pubblicato.  Possiamo solo desumere, quindi, e dalle anticipazioni, che il dipartimento e chi con esso, forse è arrivato alle stesse conclusioni di Portici ma con qualche anno di ritardo… al momento undici. Diciassette in totale … e non è ancora finita.