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domenica 19 giugno 2016

Rischio Vesuvio: politica, vulcani e vulcanologia... di MalKo


Vesuvio da Torre del Greco


Il disegno di legge S.580-B approdato dalla Camera al Senato della Repubblica, contiene disposizioni in materia di criteri per l'esecuzione delle demolizioni dei fabbricati abusivi posti al vaglio della magistratura. In sintesi, il singolare disposto legislativo che porta la firma del senatore Falanga, parlamentare di Torre del Greco, si prefigge di stabilire l’ordine di priorità per procedere agli abbattimenti delle case fuorilegge. Non essendoci soldi a sufficienza per ingaggiare le ruspe, questo astuto provvedimento servirà ad abbattere solo le costruzioni abusive ricadenti in zone particolarmente vulnerabili o di rilevanza ambientale, culturale, paesaggistica e archeologica o, con un'impronta del malaffare. 

Non sanare e non abbattere almeno quelle non poche magioni cosiddette di necessità, mandando le relative pratiche nel dimenticatoio burocratico, viene intravisto come un efficace espediente da realpolitik.

Il canovaccio che potrebbe allora diventare legge a breve, indica quindi cosa smantellare per primo, con un ordine prioritario che dovrebbe consentire alle costruzioni senza licenza, fatte dai poveri cristi, come li definisce in un articolo giornalistico il governatore campano, di cavarsela per il rotto della cuffia addirittura sanando il sanabile. Che sia un problema serio l’abusivismo edilizio ce lo conferma lo stesso governatore De Luca, quando afferma sulla stampa che se si procedesse a tutti gli abbattimenti abusivi in Campania (70.000), non ci sarebbero cave a sufficienza per smaltire le camionate di calcinacci… Non una parola però sugli eclatanti omessi controlli…

Al primo punto, si legge nel disposto 580-B, dovranno essere demolite le costruzioni di rilevante impatto ambientale o costruite su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico. A seguire poi, l’edificato che porta lo zampino della delinquenza, del business irregolare e in ultimo gli abusi edilizi riconducibili a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa, con contestuale comunicazione alle competenti amministrazioni comunali in caso di immobili in possesso di soggetti in stato di indigenza. Fin qui quindi, il massimo e il minimo su cui potrebbero accanirsi i mezzi cingolati.

Nella formulazione del disposto numero uno manca completamente il vincolo vulcanico. La zona rossa Vesuvio, anche fuori dai tenimenti del Parco Nazionale Vesuvio, annovera centinaia e centinaia di case abusive che gli accaparratori del voto tentano di sanare come promesso elettoralmente. Voto non olet!

Tecnicamente parlando allora, o anche per serietà se volete, per una sua completezza logica questo articolo di legge doveva così essere formulato: dovranno essere demolite prioritariamente le costruzioni di rilevante impatto ambientale o costruite su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale o ad alto rischio vulcanico o a vincolo paesaggistico o a vincolo sismico o vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico. Con siffatta e più completa enunciazione, avremmo dato senso compiuto al concetto che i grandi eventi naturali proprio per l’ingerenza e la sopraffazione antropica del territorio, sovente si trasformano in catastrofi.

Entrando dentro la faccenda, ricordiamo che la nostra Penisola raggruppa tre grandi problematiche di ordine naturale: i Terremoti, i Vulcani e il Dissesto Idrogeologico.

I terremoti come sapete sono legati ai movimenti litosferici delle zolle grandi e piccole che si scontrano, e si sfregano e si insinuano una sotto l’altra. Il rilascio istantaneo delle energie assimilate dagli immani blocchi, cagionano dei sussulti anche violenti che si trasmettono tanto ai manufatti dell’uomo che rovinano, quanto alle masse d’acqua marina adagiate sulla crosta. In quest’ultimo caso, le possenti energie in gioco possono a volte formare le terribili e devastanti onde di maremoto.
L’Italia è certamente un Paese soggetto ai fenomeni sismici, soprattutto lungo la catena alpina e appenninica e nella zona estrema peninsulare e insulare della Calabria e della Sicilia. I terremoti come sapete non si riescono ancora a prevedere e quindi ad escludere. Di conseguenza la difesa che le popolazioni devono attuare contro questo fenomeno non localizzato, è indubbiamente di ordine preventivo, con case che andrebbero realizzate o rinforzate con un indice di resistenza sismica adeguato alle sollecitazioni massime che solitamente in quel determinato luogo gli archivi storici ci consegnano.

Classificazione sismica Regione Campania

Il dissesto idrogeologico invece, è frutto degli elementi esogeni che hanno il compito di demolire i rilievi sfruttando tra l’altro le acque correnti e la forza di gravità. Se si abita al di sotto di un rilievo grande o piccolo che sia, o sulla groppa di un terreno instabile, bisogna valutare bene se sussistono gli estremi per realizzare opere di difesa o di contenimento, perché le frane sono repentine e difficilmente prevedibili.
I vulcani invece, portano in serbo energie di tutto rispetto non valutabili in anteprima. Nei 1171 Km2 della provincia di Napoli, oggi città metropolitana, sono ben tre (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia) i distretti vulcanici che caratterizzano il territorio partenopeo, con i suoi oltre tre milioni di abitanti.
Il Vesuvio  venne definito dalla rivista Nature come la bomba a orologeria d’Europa: una bomba che nessun artificiere è in grado di disinnescare. Il timer geologico di questo vulcano, rimanendo nel campo delle analogie, non è tarato su giorni e ore bensì su una quantità imponderabile di anni, e mesi, giorni, ore e minuti e secondi. Un tempo forse con moltissime cifre, come i granelli di una clessidra che alla fine però, scorreranno tutti dalla strozzatura vitrea.
Dall’ultima eruzione sono passati 72 anni. Il problema del Vesuvio è che non solo non si conosce esattamente l’eruzione zero da cui contabilizzare il tempo che passa, (scarni elementi statistici a disposizione), ma non si conoscono neanche nell’attualità le quantità di tritolo equivalenti che potrebbero essere messe in gioco dall’eruzione e che per il passato sono state tra le più impensabili ed espresse in megatoni.
D’altra parte non si conosce neanche la consistenza dell’involucro che costipa e tiene a freno le energie sotterranee e il suo livello di fratturazione, così come la composizione della miscela eruttiva. Insomma, il Vesuvio è uno scrigno di incognite per molti, mentre per pochi stranamente racchiude certezze statistiche inoppugnabili…
Dal terremoto ci si difende strutturalmente dimorando in edifici robusti abbastanza da resistere alle sollecitazioni sismiche preventivate per quella zona. Diversamente proiettandosi all’esterno dell’abitazione alle prime avvisaglie del sisma: cosa impossibile però, per chi abita luoghi diversi dal piano terra. Questo significa poi, che c’è una maggiore vulnerabilità per i dimoranti nelle ore notturne, perché si dorme e si è al buio. In siffatte condizioni, occorrono secondi per destarsi, comprendere e reagire. Per una serie di variabili dunque, la fuga non può essere la mossa vincente decisiva.
In teoria vivendo in zona sismica, possiamo fissare una parete o un solaio e chiederci con quanta violenza potranno essere scossi dal prossimo terremoto e se resisteranno e si manterranno integri. In altre parole il danno potrebbe derivarci da quello che già osserviamo, e la nostra difesa è racchiusa e legata idealmente alla struttura cementizia che ci circonda e su cui potremmo esercitare un’azione difensiva preventiva.
Nel caso delle eruzioni esplosive invece, tra i fenomeni maggiormente preoccupanti le colate piroclastiche occupano un posto da primo piano. Parliamo di qualcosa che può materializzarsi sopra il monte e che potrebbe collassare, rotolare e raggiungerci. Non c’è riparo dalle colate, non solo perché queste valanghe ardenti hanno un’azione meccanica di sradicamento e abbattimento dei manufatti di tutto rispetto, ma anche perché i flussi piroclastici hanno una temperatura d’esercizio di diverse centinaia di gradi Celsius.
L’ospedale del mare ubicato in zona rossa (Ponticelli), è additato come cattivo esempio di prevenzione, perché pur essendo largamente antisismico, non garantirebbe alcuna protezione a fronte delle nubi ardenti che in caso di eruzione potrebbero avvolgerlo e penetrarlo con materia e materiali che possono anche superare i 500° Celsius. Su questi depositi piroclastici roventi, tanto per dare l’idea, è impossibile camminarci  per un certo numero di giorni…
Le nubi ardenti di una pliniana possono scorrere e raggiungere anche i 20 chilometri di distanza dall’apparato vulcanico, e la parte aerea pure oltre come ci narrano le lettere di Plinio il giovane da Miseno... Questo significa che le procedure di difesa della popolazione dovranno comprendere giocoforza e all’occorrenza, esclusivamente l’evacuazione preventiva dalla zona vulcanica in 4320 minuti… Questo è il tempo che gli esperti regionali hanno calcolato per allontanare circa 800.000 abitanti e, quindi, il margine di dubbio entro cui le operazioni di allontanamento dovranno concludersi a prescindere se l’eruzione poi ci sarà (successo) o meno (insuccesso). Si badi però, il termine delle 72 ore per evacuare non è dettato solo dalla matematica evacuativa, bensì dalla necessità tutta vulcanologica di arrivare “sotto” abbastanza a una condizione di parametri del vulcano sufficientemente indicativi, e che vadano nella direzione dell’evento eruttivo che comunque e alla fine potrebbe non esserci.
La politica supportata dalla scienza statistica dell’INGV, lo ricordiamo ancora una volta, ha definito l’ampiezza della zona rossa basandosi con un piglio deterministico sulla proiezione statistica che la futura eruzione del Vesuvio sarà di bassa-media entità: una VEI 3 o al massimo una sub pliniana VEI 4. In questo caso i territori interessati dai fenomeni più deleteri sarebbero circoscritti nell’ambito dei circa dieci chilometri dalla bocca eruttiva.
Questa mediazione sull’intensità della prossima eruzione (VEI 4) non suffragata da dati matematici, porta all’assurda situazione che, anche se riesce il colpaccio della precisa previsione dell’evento vulcanico, e, quindi, le 72 ore sono rispettate e gli 800.000 abitanti vengono evacuati dall’attuale zona rossa prima dell’eruzione, in caso di evento con indice di esplosività VEI 5, cioè pliniana, nonostante il successo della previsione vulcanica assisteremmo a una catastrofe epocale dovuto alla sottostima dell’area da evacuare, che non comprende una corona di cerchio con superficie tripla rispetto a quella effettivamente evacuata.  Fatevi un po’ i conti… 


Schematizzazione concettuale delle aree soggette a invasione dei flussi piroclastici
Il mondo politico e istituzionale ribadisce continuamente che siamo protetti perché i vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano sono in grado di cogliere mesi prima l’eventuale variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano tendenti all’allarme.  Alcune analogie con i fatti dell’Aquila e delle risultanze della commissione grandi rischi a proposito del terremoto escluso, suggerirebbe una maggiore accortezza in questa che detta così è una formulazione di previsione. Si chiarisca meglio il concetto. Bisogna spiegare bene che mesi e anni prima possiamo anche cogliere una variazione dei parametri controllati del vulcano, ma dobbiamo attendere comunque gli ultimi giorni magari realmente pre eruttivi per avere una modica certezza che si sta andando davvero verso l’eruzione. Bisogna allora avere la onestà intellettuale di ribadire nell’opera informativa alla cittadinanza, ma soprattutto alle istituzioni di protezione civile e soprattutto agli enti territoriali che nicchiano, che tutte le più sofisticate attrezzature del mondo e congegni super elettronici e di derivazione spaziale satellitari messi in campo per il monitoraggio dei vulcani, in realtà riescono solo ad anticipare i tempi della crisi, ma non portano un solo grammo in più di previsione dell’evento eruttivo. Il bradisismo degli anni ’80 docet

Nel frattempo dedichiamo questo articolo ai vulcanologi forse troppo presi dai loro studi e modelli matematici per accorgersi che nel frattempo e sulla base delle loro considerazioni preventive e statistiche, a un metro dalla linea nera Gurioli o se volete ai limiti della zona rossa VEI 4, si costruisce con regolare licenza edilizia come succede nei comuni di Poggiomarino e Scafati. Parliamo di due municipalità new entry di una certa superficie e importanza, che tra l’altro con pari dignità e cautela, sono  inserite nella zona rossa da evacuare in caso di allarme, come recita un provvedimento governativo a firma del presidente Letta.

La statistica risicata offerta dall’INGV che ha azzerato opzioni diverse dalla sub pliniana come eruzione di riferimento, non viene quindi usata per correre qualche rischio in più in nome del tempo necessario per riordinare i territori vesuviani con politiche viarie e di delocalizzazione degli abitati in nome della prevenzione. Tutt’altro: la buona novella è stata manovrata per urbanizzare a tutta forza quei territori con case tra l’altro ambite e comprate proprio dalla popolazione della zona rossa 1 (R1), che non potendo più edificare nel senso residenziale per effetto della legge regionale 21 del 2003, compra abitazioni nella zona rossa 2 (R2).



Qualcuno potrebbero chiedersi perché se la zona rossa è pericolosa e tutta da evacuare in caso di allarme o pre allarme vulcanico che potrebbe durare anni, nella zona R2 si costruisce a larga manica con licenza edilizia e nella zona R1 è impossibile edificare e secondo logica sanare gli abusi? Ve lo spieghiamo subito…


Vesuvio: zona rossa e gialla

La zona rossa Vesuvio come vedete dal disegno soprastante, è stata suddivisa dalla politica e da una certa scienza, in zona rossa una e zona rossa due. La zona rossa 1 è stata definita dai vulcanologi ad alta pericolosità vulcanica. La zona rossa 2 invece, solamente a pericolosità vulcanica. La mancanza del termine alta consente il rilascio di licenze edilizie… Eppure la commissione grandi rischi ha stabilito che la zona ad est del Vesuvio, a prescindere dal tipo di eruzione, e quindi dall’indice di esplosività vulcanica, sarà comunque soggetta alla pericolosa pioggia di cenere e lapilli…
Sarebbe stato particolarmente utile poi, che qualcuno avesse corretto l’ex assessore Edoardo Cosenza quando declamava che una sola eruzione pliniana aveva colpito negli ultimi 23000 anni la plaga vesuviana. La mappa Gurioli in realtà porta questa dicitura (1) intendendo i territori colpiti dalla tipologia pliniana.  Infatti, l’area gialla che vedete in figura, si estende verso nord facendo riferimento all’eruzione pliniana di circa 3800 anni fa, e quella che si estende verso sud, e la cui espansione è bloccata dai Monti Lattari, è relativa alla pliniana di Pompei.  Quattromila anni fa una pliniana, duemila anni fa un’altra…

Mappa redatta dalla ricercatrice Lucia Gurioli - In evidenza anche la linea nera

Non vorremmo che si sia cercato di obliare il concetto che una pliniana come quella tipo delle pomici di Avellino possa investire la città di Napoli e per un largo comprensorio e tra l’altro con un’incidenza verso nord diversamente dal baricentro dei fenomeni eruttivi attualmente sbilanciato ad est…

Visto che questo articolo è indirizzato ai vulcanologi, occorre anche precisare che ad oggi non esiste alcun piano di evacuazione per l’area vesuviana e flegrea mentre per l’isola d’Ischia mancano addirittura gli scenari di rischio. Com’è possibile che dopo 21 anni di annunci e supponenza interventistica si scopre che non c’è il piano d’evacuazione almeno per il Vesuvio? Semplice… il piano d’emergenza è un documento che racchiude praticamente tutto: gli scenari relativi all’eruzione di riferimento, i livelli di allerta, le fasi operative, l’organizzazione da mettere in campo, i gemellaggi, la catena di comando, ecc. Il problema è che in questo compendio manca il piano di evacuazione. E’ molto grave questa mancanza, perché non ci sono più scenari di rischio analizzati e con cui cimentarsi, e quindi comportamenti difensivi diversi. Il piano d’emergenza nazionale rischio Vesuvio tratta un unico grande pericolo: l’eruzione. Se malauguratamente dovesse manifestarsi questo evento di grande pericolo, l’unica operazione di tutela possibile è la totale evacuazione della zona rossa Vesuvio. Stampa e televisione hanno sempre e solo parlato di piano d'emergenza... e quello c'è!
Considerato che la politica non riesce a innescare alcuna opera di prevenzione, leggasi rinunce e impegno intellettuale di pianificazione basato su molti decenni, preferisce non rinunciare all’orocemento, affidandosi così a tutti coloro che giurano che la previsione vulcanica è possibile e con largo anticipo. In questo caso non occorre un piano di evacuazione che intanto non c’è, ma basta un programma di mobilitazione extraurbano del tipo grandi eventi…
Il lavoro degli scienziati allora non può essere di neutralità totale se vuole essere anche utile per l'umanità; anche gli scienziati dovrebbero sporcarsi le mani negando alla politica quella spalla, ovvero quell’enunciazione ad hoc per andare avanti verso una spregiudicatezza che poi può trasformarsi in catastrofe magari in danno ai posteri… Una eruzione pliniana diventerà un fattore possibile, tra alcune manciate di anni, anche per coloro che amano la statistica dei pochi dati tra le mani. Nel frattempo sappiate che i territori che un giorno saranno della pliniana, si stanno impinguendo di case. Sarà interessante la collocazione che il senatore Falanga e il presidente regionale Vincenzo De Luca daranno alla zona rossa Vesuvio, a proposito della priorità negli abbattimenti ovvero alla sussurrata sanatoria edilizia che, riferisce il governatore e con convinzione, dovrà essere attuata necessariamente ma con esclusione delle zone rosse in genere… Nel frattempo però, giudichiamo ancora più interessante l'atteggiamento dell'Osservatorio Vesuviano, dell'INGV e della scienza in generale...
La zona rossa Vesuvio da evacuare totalmente in caso di allarme vulcanico



  







 








venerdì 22 aprile 2016

Rischio Vesuvio: impianti a rischio rilevante... di MalKo




Come sanno i nostri lettori, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che non ci sembra stia vivendo un periodo di massimo fulgore istituzionale, ha fornito gli scenari eruttivi su cui basare le pianificazioni di emergenza per il Vesuvio e per i Campi Flegrei, con il placet della famosa commissione grandi rischi.  Per l’isola d’Ischia invece, questi scenari sono praticamente inesistenti…


Nonostante la lacuna conoscitiva del sottosuolo isolano che pure comprende energie sismiche e vulcaniche sopite, intanto è stato presentato un progetto di sfruttamento geotermico da realizzarsi attraverso un impianto pilota che prevede la trivellazione dei contrafforti del Monte Epomeo a Serrara Fontana. Questo sito è nelle vicinanze di una zona dove non di rado si odono boati imputabili in qualche caso a un repentino degassamento di vapore in superficie. Su questo versante del Montagnone poi, non pochi massi in bilico caratterizzano e costellano pericolosamente pendii particolarmente scoscesi…
Il Monte Epomeo visto da sud


Non meno rassicurante è l’altro progetto geotermico da realizzarsi sui suoli di Scarfoglio (Campi Flegrei), dove l’anidride carbonica già oggi balza in superficie a tonnellate da un sottosuolo nervoso e in enigmatica ascesa. Il Ministero dell’Ambiente ha ancora in esame i due progetti, e forse ha temporeggiato in attesa degli esiti del referendum del 17 aprile 2016. Infatti, al di là della domanda specifica sui termini di scadenza delle attività di estrazione degli idrocarburi nelle acque territoriali, tutto sommato il referendum poteva considerarsi come un sondaggio su quanto erano invise alle popolazioni queste attività invasive a mezzo trivelle. Una tecnica quella della perforazione, certamente pervasiva e per niente esente dal rischio inquinamento, soprattutto perché al seguito degli idrocarburi o dei liquidi geotermici si emungono anche sostanze imbarazzanti per la salute pubblica e che molto spesso vengono reiniettate nel sottosuolo con la speranza che non si sia nel frattempo innescata una inter comunicabilità tra gli strati crostali perforati e le superfici di falda. Un fattore che le società dedite agli scalpelli litosferici puntualmente escludono, come se la loro attività fosse eseguita col laser chirurgico...

Comunque, né ad Ischia e né nei comuni flegrei, la partecipazione al referendum ha lasciato registrare un afflusso massivo, anzi: la Campania è stata la regione che ha annoverato il minor numero di votanti. Dicono che gli scrutatori si siano annoiati a morte in quelle strutture scolastiche deputate a consentire al popolo sovrano di esprimere il proprio parere nei seggi; ma locali e cortili erano praticamente e malinconicamente vuoti con grave nocumento per la democrazia diretta... 
Il Ministero dell’Ambiente avrà capito da questa défaillance elettorale che le trivelle non sono poi viste come il male assoluto, soprattutto se la propaganda governativa pronostica il miracolo economico foriera di una massiccia occupazione lavorativa soprattutto nei comprensori perforati, tanto in mare quanto in terra.

A questo punto i due progetti geotermici, quello ischitano e flegreo, visto questa tollerabilità pubblica alle torri perforanti, saranno valutati in base alla valutazione di pericolosità dettata dal territorio vulcanico quale luogo di scavo, e non da altre logiche come la preservazione dei suoli, dell'aria e dell'acqua. Le valutazioni  verranno fatte allora secondo logiche da costi benefici: un concetto in auge nelle politiche e nel modus operandi della nostra società consumistica la cui bandiera è il biglietto verde.  In sintesi significa che potremmo anche correre un po' di rischio in più, purchè l’economia respiri a pieni polmoni anche se con mascherina protettiva ffP3...

Diversamente, invece, se il geotermico vulcanico sarà bocciato, il motivo dovrà ricercarsi probabilmente in fattori di insostenibilità del rischio dettato dalla particolarità delle zone dove s’intende trivellare. Il giudizio della commissione che dovrà pronunciarsi sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA) quindi, sarà particolarmente interessante, perché lascia spazio a congetture e collegamenti di non poco conto.
Anche sul rischio Vesuvio le logiche che si portano avanti sono quelle sui costi benefici acclarati dall’adozione di uno scenario eruttivo a bassa-media intensità invece del massimo conosciuto come da prassi ordinaria nelle pianificazioni d’emergenza. Purtroppo l’orientamento politico dicevamo, verte su questa filosofia meno garantista (costi-benefici) che si è fatta legge non scritta.

Diversamente, lasciatecelo dire,  non si sarebbe mai collocata una mega discarica di rifiuti solidi urbani (cava Sari), con impianto di valorizzazione del biogas in quel di Terzigno in piena e totale zona rossa Vesuvio. Infatti, come molti sanno, le discariche producono oltre alla frazione liquida (percolato), anche gas metano a volte da purificare, che non può essere immesso in atmosfera, perché oltre ad essere un gas altamente infiammabile, è anche un potente inquinante annoverato tra i maggiori responsabili dell’effetto serra e del riscaldamento globale. In sintesi, deve essere bruciato o in un motore termico o attraverso una torcia in sommità di una condotta.
Una mega discarica sepolta da lava, colata piroclastica o lahar, avrà lo stesso effetto sull'ambiente di quello che oggi si riscontra nella terra dei fuochi coi rifiuti interrati...
Non molti sanno invece, che durante la fase di preallarme vulcanico, occorre mettere in sicurezza gli impianti a rischio che potrebbero essere abbandonati dalla popolazione. Ebbene, questa discarica (ex Sari) non ha una pianificazione di emergenza a fronte del rischio Vesuvio…  Gli uffici preposti della Città Metropolitana di Napoli che abbiamo interpellato nel merito, visto il mancato adempimento ha dato disposizione alla società di gestione dell’impianto di stoccaggio e valorizzazione dei rifiuti (Sapna), di provvedere a stilare tale documento in accordo con il comune di Terzigno. Abbiamo ricordato alla medesima che quell’impianto è stato dichiarato strategico, e quindi potrebbe rientrare nelle competenze dei militari a cui dovrebbe spettare questo compito di sorveglianza.

La stessa cosa vale per altri impianti come quelli di imbottigliamento del GPL (Gas Petrolio Liquefatto), ubicati in alcuni comuni anche della zona rossa, come Terzigno, Boscotrecase, Torre Annunziata, Pompei, Ottaviano, ecc.… compreso Napoli che lascia registrare la massima concentrazione industriale a rischio rilevante e anche alcune strutture non meno pericolose come la darsena petroli e l’oleodotto, tutte ubicate proprio nella parte orientale della città ai confini col Vesuvio.

Comuni su cui gravano impianti a rischio rilevante


Ebbene, queste industrie e aziende, devono indicare le procedure d’emergenza ovvero di messa in sicurezza degli impianti durante la fase di preallarme eruttivo. Indicazioni che dovrebbero far parte del piano di dettaglio del famoso piano d’emergenza nazionale Vesuvio, e prim’ancora delle attività di prevenzione che ogni singolo comune dovrebbe ordinariamente attendere in nome dell’imprescindibile diritto alla sicurezza...pardon! In nome della sicurezza sostenibile




 
 
 
 

domenica 27 marzo 2016

Rischio Vesuvio: Vesuvio vulcano gettonatissimo... di MalKo


L'impareggiabile Golfo di Napoli


Generalmente abbiamo la tendenza a ritenere che tutte le cose subiscano un invecchiamento.  Non sono pochi quelli che inquadrano il Vesuvio come un soggetto che abbia perso molte delle sue energie diciamo giovanili dopo tanti anni d’infuocata esistenza. In realtà i tempi geologici sono molto differenti da quelli umani… I rimescolamenti che avvengono nella parte superiore del mantello, tra l’altro in tempi insondabili e con meccanismi irregolari e variabili e forse compulsivi, provvedono a rinvigorire con nuovi fluidi a diversa composizione le sacche magmatiche da cui prendono linfa vitale i vulcani, che così si rigenerano, come le nostre cellule…

Un vulcano viene classificato estinto quando non si verifica un’eruzione da migliaia di anni… non è il caso del Vesuvio che sul panorama mondiale detiene ancora il primato mondiale del rischio vulcanico a causa della sua tempra esplosiva e della selvaggia conurbazione che lo avvolge e che ne fa una sorta di parco cittadino svettante tra i palazzi metropolitani.

Alcuni turisti non considerano saggio pernottare e soggiornare nella zona rossa Vesuvio neanche per qualche notte. Tant’è che il viaggiatore più timoroso preferisce allocarsi in quel di Sorrento, godendosi le forme del gigante che dorme dalle terrazze protese sul mare, omaggiato da odorose brezze dove primeggia il profumo dei fiori d’arancio.

La nostra caratteristica è quella di dare molta importanza alle cose materiali che possediamo e che non vogliamo perdere; diamo un senso all’attualità e al tangibile, al punto da ritardare qualsiasi valutazione in merito alle ipotesi di rischio che ci riguardano. Purtuttavia quando il pericolo si manifesta, generalmente ci sorprende sempre, e vorremmo privarci, ma solo nel momento della resa dei conti, di ogni cosa pur di salvare la pelle.

L’informazione allora non è sufficiente da sola a produrre scelte sensate senza l’aiuto di uno dei cinque sensi. La percezione del pericolo da parte dei sensi è la molla necessaria a farci produrre massicce dosi di adrenalina. Più sensi vengono stimolati tanto maggiore risulterà l’allerta.  Ad esempio, un sistema valido per ridurre il fenomeno dell’abusivismo edilizio potrebbe consistere nel mettere un apparecchio che produca volute di fumo all’interno della bocca eruttiva del Vesuvio. Nonostante l’artificiosità del meccanismo fumoso, il risultato in termini di deterrenza verrebbe comunque colto. Un altro esempio ci proviene dai consumatori di tabacco. Occorre la bronchite o l’affanno o peggio ancora una radiografia sospetta per farci gettare via il pacchetto di sigarette. In assenza di percezione diretta scrivere sulla confezione che il fumo uccide è quasi inutile…

Il secondo elemento che rema contro i principi di delocalizzazione della popolazione per sottrarsi dalla condizione di rischio vulcanico, sono gli opinionisti di verso contrario agli allarmisti. Sono quelli che decantano il Vesuvio alla stregua della beltà della natura che ci ha donato questo monte ricco di frutti e di storia e di suoli fertili da cui trarre pregiate albicocche e vino e pomodorini col pizzetto. La montagna non è solo rischio dicono, è anche opportunità, cultura, panorama, usanze, folklore: lasciate perdere i profeti di sventura che per qualche click in più sparano titoloni da sciagura imminente sul web, che vanno dalle trivellazioni spauracchio ai vulcani prossimi a divampare. Occorre più rispetto per il Vesuvio, affermano con sicumera… Tutto condivisibile, ma chiudere i discorsi secondo le regole del taralluccio e vino non porta un solo grammo di utilità alla prevenzione delle catastrofi.

Il Vesuvio allora viene tirato per la giacca dai catastrofisti e dai minimisti, dagli allarmisti e dagli imbonitori… e quando ci sono due fronti contrapposti, generalmente al centro rimane l’inerzia e l’indifferenza di un popolo che sonnecchia, un popolo di cicale.

Il nostro modus operandi di cittadino medio ci porta a prendere in considerazione tutte le cose che non vanno solo quando le tocchiamo con mano. Della sanità e delle sue disfunzioni ne prendiamo atto solo quando giungiamo nel nosocomio inefficiente per essere curati. I trasporti li scopriamo orribili solo quando prendiamo il treno di una linea ferroviaria che scopriamo avvezza alle soppressione delle corse (non solo la circumvesuviana…). Le ingiustizie istituzionali le riteniamo intollerabili solo quando ci riguardano. La burocrazia avvilente solo se chiediamo una licenza.  La commissione grandi rischi e i fatti dell’Aquila con lo strascico giudiziario che ancora persiste ci cala poco perché pensiamo erroneamente che sia un problema tutto locale… Praticamente il nostro agire verte sulla scorta dello stimolo che ci riguarda direttamente da vicino e in una misura dipendente dalla impellente necessità: diversamente, la nostra azione è tutta un pour parler

Prendete il caso dei Campi Flegrei. Il suolo si solleva; nella zona della Solfatara fuoriescono 3000 tonnellate al giorno di anidride carbonica; la temperatura dell’acqua ribollente è aumentata; in alcuni punti il magma si è intrufolato fino a 3 chilometri dalla superficie. Su tutta l’area vulcanica flegrea grava lo stato di attenzione in termini di allerta vulcanica. Elementi che possono essere indizi di pericolo o semplice ordinarietà per una terra vulcanica.  Non siamo in grado di dare un significato a questi fattori di vitalità di un sottosuolo ribollente, ovvero dei processi fisici e chimici che si intrecciano, si esaltano e poi com’è successo finora si acchetano nelle profondità, secondo logiche che nulla apportano alla previsione delle eruzioni.

Nel frattempo sappiamo che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica grande camera magmatica. Ci dicono poi che alcuni chilometri al largo del porto di Napoli il fondo marino si è ingobbito a causa della pressione dell’anidride carbonica (anche qui!) che preme e sfugge dai fondali portandosi in superficie sotto forma di bollicine. I ricercatori ora dovranno scoprire cosa c’è al di sotto della sabbia inseguendo a ritroso proprio quelle bollicine di CO2 indubbiamente appartenenti a un magma insito a un’ignota profondità… Tutto questo cambia qualcosa?

La realtà che può piacere o non piacere è che viviamo su un lago di magma sotterraneo dai contorni indefiniti. Sappiamo pochissimo dei processi che regolano i moti ascendenti e discendenti del magma e delle sue chimiche e delle sue densità che evidentemente cambiano con l’apporto di lingotti litosferici da fondere e nuova crosta che emerge espandendosi dalle dorsali. Non sappiamo l’incidenza delle spinte delle zolle che sgomitano così come non sappiamo in concreto la rotazione terrestre in che modo partecipa nel complesso degli equilibri che plasmano il nostro Pianeta con sollecitazioni anche esterne ad esso come l’attrazione lunisolare e magari le tempeste spaziali. La nostra personale convinzione è che indubbiamente i distretti vulcanici campani hanno una loro storia geologica che rappresenta nel complesso un semplice e breve canovaccio su cui si formulano ipotesi sull’andamento futuro del sistema. Bisogna considerare una certa percentuale di indeterminatezza da assegnare a questi processi. Questo significa che dobbiamo approcciare il problema della sicurezza vulcanica tenendo presente il fatto che così come la Terra non passa mai per lo stesso punto, anche le eruzioni non saranno mai una pedissequa ripetizione di quelle passate, e non solo perché cambiano gli scenari ambientali di superficie…

Senza aggravare i concetti di pericolo esistenti e senza voler introdurre nuove logiche, teniamo presente che l’eruzione pliniana è la massima conosciuta (VEI5), cosa ben diversa dalla massima attesa (VEI4) che gli scienziati pronosticano nel breve e medio termine; bisognerebbe anche dire che le due eruzioni non inquadrano la massima possibile (VEI?), in quanto in ragione delle incognite esistenti, il valore massimo di un’eruzione è ancora oggi un’incognita matematica.


Queste congetture sulla tipologia eruttiva servono solo a far capire che l’argomento è ancora un campo apertissimo dove non esistono determinismi. Così come bisogna leggere bene le nostre considerazioni finali che sono semplicemente di imponderabilità tant’è che non scartiamo affatto la possibilità che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere simile a quella del 1906 se non inferiore, e non necessariamente una pliniana o una sub pliniana.
I ragionamenti fatti finora portano allora a una sola ed unica conclusione. L’accettazione di un rischio deve essere un fattore di miglioramento della nostra società. Poniamoci pure nelle logiche non dichiarate dei costi benefici, purché si riordini il territorio e si impostino condizioni migliori di vita per le generazioni future. Non sfidiamo oltremodo la natura… Accettare il rischio bovinamente come stiamo facendo è un insulto all’intelligenza, e un crimine contro noi stessi prima ancora che contro la nostra stessa società, tra l'altro oggi più che mai caratterizzata da piccoli e grandi egoismi...

martedì 15 marzo 2016

Rischio Vesuvio FAQ 3. Piano di evacuazione assente! di MalKo




Vesuvio visto da sud


Nel 1986 una relazione dell’Osservatorio Vesuviano mise in guardia la Prefettura di Napoli circa la necessità che si approntasse un piano di evacuazione per proteggere gli abitanti della plaga vesuviana dal pericolo vulcanico dettato dall’arcinoto Vesuvio.
La Prefettura inviò alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’Interno una nota in cui si caldeggiava la necessità di istituire una commissione che a tempo pieno si dedicasse alla problematica del rischio vulcanico. Diciamo che nel 1986 iniziò ufficialmente l’iter burocratico istituzionale per tentare di mettere in sicurezza i circa settecentomila cittadini del vesuviano.
La Protezione Civile supportata per la parte scientifica dalla Commissione Grandi Rischi, nel 1988 chiese al Gruppo Nazionale per la Vulcanologia (GNV) del CNR, di indicare i possibili scenari eruttivi che bisognava attendersi se il Vesuvio avesse posto fino alla sua quiescenza nel breve-medio termine.  Una prima relazione giunse nel 1990
Nel 1989 fu effettuata un’esercitazione di protezione civile ipotizzando un evento sismico di origine vulcanica con epicentro nell’abitato di Ercolano. L’esercitazione fu un disastro, al punto che la Prefettura di Napoli scrisse il 07.12.1989 ai competenti Ministeri, che in assenza di programmazione e interventi tecnicamente validi, le 700.000 mila persone dimoranti nell’area vesuviana, in caso di eruzione vulcanica non avrebbero avuto alcuna via di scampo.
Il 05.09.1991 il Ministero per il coordinamento della Protezione Civile istituì una commissione incaricata di stabilire le linee guida per la valutazione del rischio connesso a un’eventuale eruzione del Vesuvio: linee sostanzialmente finalizzate alla pianificazione d’emergenza. Il rapporto finale di detta commissione giungerà al Ministero il 04.10.1992.
Con nota del 29.06.1993, la Prefettura di Napoli sollecitò le autorità di Protezione Civile acché si formasse una commissione incaricata di redigere nel più breve tempo possibile un piano di evacuazione dell’area vesuviana.
Il 09.08.1993 il Sottosegretario di Stato alla Protezione Civile istituì la commissione incaricata di redigere un piano d’emergenza a fronte di una possibile eruzione del Vesuvio. Il folto consesso tecnico scientifico si insediò il 24.09.1993 stabilendo quelle famose linee guida su cui procedere.
Visto la complessità delle operazioni di pianificazione dell’emergenza vulcanica, il Sottosegretario in data 09.03.1994 emanò un decreto di proroga dei lavori fino al 30.04.1995, approvando il 13.06.1994 un ulteriore finanziamento per le varie attività della commissione per un totale di 1.303.469.870 di vecchie lire. Al 1995 si ascrive la prima bozza di piano d’emergenza.
La commissione incaricata di redigere il piano adottò come scenari di riferimento quelli indicati nella relazione scritta dal gruppo vulcanologico (199o), successivamente integrata da un aggiornamento datato febbraio 1998 a firma del Prof. Roberto Santacroce.
Il piano d’emergenza dicono che fu riassemblato nel 2001 e aggiornato nel 2007 dopo la sopravvalutata esercitazione MESIMEX (2006). In realtà decreti e aggiornamenti vari si succederanno nel tempo, e dal piano di emergenza si strappano e si aggiungono pagine ma sempre all’interno delle strutture di competenza, cioè nei cassetti delle scrivanie, rendendo evidente l’unico dato certo per quanto sconcertante e inoppugnabile, cioè che a 30 anni di distanza dalle prime segnalazioni di rischio incombente, il piano di evacuazione invocato dall’Osservatorio Vesuviano nel 1986, a tutt’oggi (marzo 2016), è ancora in itinere…

·        Cos’è il piano di emergenza?
Il piano d’emergenza è un documento che generalmente viene redatto dall’autorità preposta alla salvaguardia dei cittadini che, nel caso di una scuola s’identifica nel direttore didattico, in una fabbrica col datore di lavoro e in un comprensorio comunale con il Sindaco. Nel nostro ordinamento quando i rischi e gli scenari prospettati travalicano i territori comunali o comunque si prospetta la necessità di una mobilitazione nazionale per rispondere all’emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile assume un ruolo leader d’indirizzo e coordinamento delle varie strutture e amministrazioni dello Stato che a diverso titolo sono coinvolte o coinvolgibili. Quella del Vesuvio, come abbiamo avuto modo di dire più volte, è l’unica pianificazione che in Italia si fregia del titolo di piano nazionale.
Il primo elemento che funge da premessa al piano d’emergenza, è l’individuazione dei pericoli. Nel caso del Vesuvio, il piano d’emergenza prende in considerazione un solo ed unico e grande fattore di rischio: l’eruzione. Non valuta altri rischi! Se la scienza avesse la possibilità di prevedere con certezza il tipo di eruzione, probabilmente il piano d’emergenza conterrebbe più scenari di rischio e, quindi, più soluzioni tecniche per difendere la popolazione dal pericolo vulcanico. Se avessimo la possibilità di prevedere il tipo di eruzione, probabilmente riusciremmo a prevedere anche quando avverrà l’eruzione: purtroppo questo traguardo che attiene le sconosciute profondità terrestri, non è stato ancora raggiunto…
I livelli di allerta vulcanica contenuti nel piano di emergenza.
In assenza di qualsivoglia previsione, il piano d’emergenza dovrebbe svilupparsi sull’evento massimo conosciuto, nel nostro caso invece, è stato elaborato sulla scorta della massima eruzione statisticamente preventivabile nel breve-medio termine che, come abbiamo visto nella FAQ numero 1, è un’eruzione d’intensità VEI 4 similmente sub pliniana.
Attraverso le energie ipotizzabili per un’eruzione VEI 4, è stata determinata la zona (rossa) su cui si abbatterebbero le fenomenologie vulcaniche peggiori, costituite in primis dai flussi piroclastici. Dalle nubi ardenti non c’è difesa che tenga, e l’unica possibilità di salvezza consiste nell’abbandonare, nel nostro caso attraverso una massiccia evacuazione, la zona a rischio prima dell’eruzione.
I tipi di eruzione rapportati al fenomeno dei flussi piroclastici
Quindi, il piano di emergenza Vesuvio doveva essere un tutt’uno con questo fondamentale annesso chiamato piano di evacuazione. Se mancano le istruzioni per evacuare, il piano di emergenza rimane un’accozzaglia di notizie anche tecnicamente interessanti ma senza senso, o se volete, senza alcuna utilità operativa.
Nelle scuole, negli ospedali, sulle navi e aerei e fabbriche e musei e tribunali, sono affisse piantine a colori in cui sono evidenziati i percorsi di fuga per raggiungere un luogo sicuro. Quelle piantine in realtà sono il piano di evacuazione sintetizzato a tutto vantaggio degli ospiti, gli utenti, i degenti, i visitatori o i viaggiatori occasionali a cui non interessa il piano di emergenza (un malloppo di carte), bensì semplicemente il percorso evacuativo per mettersi in salvo all’occorrenza. Navi e aerei  prima della partenza, devono spiegare ai passeggeri in che modo si evacua l’aeromobile o il transatlantico e non l’organizzazione di bordo…
Classico schema di piano d'evacuazione
Vedete questa piantina affissa ad oggetto lo schema d’evacuazione forse di uno studio professionale? Ebbene, sotto forma di stradario dovrebbe essere posta parimenti all’ingresso dei comuni vesuviani, perché anche il visitatore occasionale o il turista deve sapere quali sono i percorsi da seguire all’occorrenza a piedi o in auto per allontanarsi dal pericolo.
Nell’area vesuviana non c’è mai stato un piano di evacuazione, ma solo un piano di emergenza che racchiude come più volte detto tutte le notizie scientifiche e organizzative e tecniche. Per anni l’equivoco tra piano di emergenza e piano di evacuazione ha tratto in inganno tutti, anche se tra questi tutti bisognerebbe distinguere quelli che hanno rassicurato in buona fede e quelli che sull’equivoco ci hanno marciato e campato a lungo e altri ancora, anche di ruolo istituzionale, che sull’argomento hanno mantenuto uno stretto e rigoroso riserbo.
Le istituzioni competenti ancora nell’odierno giustificano questi ritardi  incolpando l’inerzia dei predecessori secondo il collaudato sistema dello scaricabarile.
L’attuale consulente della protezione civile regionale, Dott. Nello Di Nardo, ha affermato in una conferenza stampa che non bisogna far polemiche con le passate gestioni, ma dobbiamo impegnarci al massimo per recuperare il tempo perduto e ammodernare adeguatamente la complessa macchina della Protezione Civile campana. Cominceremo in primavera, dopo oltre dieci anni di paralisi, con le esercitazioni intercomunali da effettuarsi nelle zone vulcaniche a rischio …
Un’altra redditizia giustifica agli inadempimenti istituzionali l’hanno individuata negli scenari eruttivi che cambiano, mentre in realtà nessuna rivoluzione ha percorso gli atti scientifici, tanto più se la zona rossa ad alta pericolosità vulcanica è addirittura risultata meno vasta della precedente, con l’eruzione di riferimento che rimane come prima una sub pliniana.
La struttura nazionale di coordinamento, leggasi Dipartimento della Protezione Civile, non si capisce perché di fronte all’annosa inadempienza dei municipi troppo impegnati con le pratiche di condono edilizio, non abbia operato in surroga o commissariando, atteso che il diritto alla sicurezza è imprescindibile e inalienabile.
Nel 2014 grazie ad alcuni fondi europei, sono stati elargiti ai 550 comuni della Regione Campania 14 milioni di euro per finanziare la messa a punto del piano di protezione civile comunale. La massima cifra è stata destinata ai comuni ricadenti in zone vulcaniche.
Entro il 31 dicembre 2015 ogni municipio campano avrebbe dovuto presentare il piano di protezione civile comunale e, quindi, quelli in area vesuviana anche i piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio. La nota stonata in questa faccenda dei piani che ci lascia molto perplessi, è il ricorso di alcune municipalità a gare pubbliche per affidare a professionisti e studi associati esterni, il gravoso compito della stesura di tale documento che andava soffertamente elaborato dai manager comunali. Eppure qualche anno fa sono stati pubblicizzati e tenuti corsi di formazione per i tecnici comunali addetti alla protezione civile in area vulcanica proprio per la compilazione dei piani d'emergenza. Abbiamo provato a chiedere maggiori ragguagli al dirigente regionale alla protezione civile Ing.  Italo Giulivo, purtroppo non ha mai ritenuto doveroso rispondere…
Intanto bisogna pure dire che anche importantissime trasmissioni televisive e radiofoniche di punta, così come alcune note riviste scientifiche, hanno celebrato e celebrano ancora oggi la bontà del piano d’emergenza quale strumento di tutela dei cittadini vesuviani.
Ad ogni buon conto, anche il migliore dei piani di evacuazione non esiste se non è conosciuto dagli utenti cittadini. Occorrono quindi vademecum che dovranno essere consegnati ad ogni famiglia del vesuviano. Senza informazione capillare la bontà del piano di evacuazione potrebbe essere compromessa, perché basta un solo autoveicolo che marcia nella direzione sbagliata a far saltare la delicata e stretta viabilità che caratterizza i comuni vesuviani.
Mappa di classificazione dei bisogni dei cittadini
Nel vademecum dovranno essere riportate oltre alla strategia evacuativa, ovvero mappe a colori indicanti percorsi e aree d'interesse, anche quelle notizie di prima utilità, tipo:
  • In che modo saprò a quale livello di allerta vulcanica ci troviamo?
  •  Nella fase di preallarme le scuole saranno aperte?
  •  Se vado via durante il preallarme sarò giustificato al posto di lavoro?
  • Nella fase di preallarme se decido di andare via a quanto ammonta il contributo    di autonoma sistemazione?
  • Dove deve portarsi chi non ha un mezzo di locomozione?
  • Se si passa dal preallarme all’allarme durante la notte chi mi avverte?
  • Se vado via a quale numero telefonico posso segnalare la mia partenza o richiedere informazioni?
  •  Ecc.…
La strategia informativa è determinante e dovrà basarsi sicuramente sulle possibilità offerte dal web, ma soprattutto è di vitale importanza la collaborazione di volontari selezionati e formati che distribuiranno i vademecum porta a porta e risponderanno alle domande dei cittadini. Già: i cittadini, non dovrebbero essere sudditi ma titolari di qualche diritto, come quello di essere informati. Ovviamente come sempre succede, i primi canali informativi dovranno essere i luoghi di aggregazione ad iniziare dalle scuole, dove fino ad oggi esperti di rischio vulcanico hanno raccontato... cos'hanno raccontato?