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lunedì 24 agosto 2015

I vulcani Marsili, Campi Flegrei e Ischia: terre per il geotermico? Intanto il Vesuvio… ” di MalKo



La zona dei Campi Flegrei: quartieri Bagnoli e Fuorigrotta.
L’uomo ha sempre avuto sete di energia. Per produrla ha iniziato a bruciare legna, poi ha continuato col carbone ed ancora il petrolio che rimane la fonte energetica principale, anche se non pochi e già da tempo sfruttano il nucleare per produrre elettricità, ad eccezione dell’Italia che lo ha bandito e che punta sulle risorse rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico e il geotermico.  

In realtà l’eolico e il fotovoltaico sembrano energie più da propensione ambientale che da straordinario ed effettivo rendimento elettrico, atteso che una lattina di benzina (oggi) ha una capacità energetica di gran lunga superiore a un concentrato eolico o di radiazioni solari: elementi quest’ultimi inesorabilmente legati alle condizioni atmosferiche e alla rotazione terrestre.

Neanche l’energia prodotta dalle biomasse vegetali attraverso processi termochimici, biologici e fisici risultano (oggi) particolarmente convenienti per le non semplici modalità di trasformazione del prodotto e per una serie di implicazione anche morali a proposito dell’agricoltura che dovrebbe avere il principale ruolo di sfamare il Pianeta e non quello di produrre energia. Il metano pare sia allora la risorsa su cui puntare nel medio futuro, perché per quantità stimate nei giacimenti, potrebbe essere un sostituto energeticamente valido rispetto all’aborrito nucleare: un gas su cui molto probabilmente bisognerà puntare… 

Oltre all’idroelettrico, nel nostro Paese sta prendendo vigore lo sfruttamento delle risorse geotermiche di cui l’Italia vanta una primogenitura con gli impianti industriali di Larderello. Attraverso una serie di liberalizzazioni e concetti discutibili a proposito dell’interesse nazionale, sono nate numerose società che hanno avanzato richiesta di sfruttamento geotermico con alcune proposte attualmente al vaglio del Ministero dell’Ambiente che dovrà pronunciarsi sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente quasi tutti i luoghi della Terra possono attingere a questa risorsa energetica da raggiungere con le perforazioni, che sarà tanto più conveniente quanto minori saranno le profondità di captazione dei fluidi caldi, che saranno giudicati ottimali non solo in ragione delle elevate temperature ma anche delle concentrazioni saline che dovranno essere veramente minime. Fluidi ricchi di sostanze corrosive infatti, costituirebbero un serio problema per tubazioni e impianti di produzione.

D’altra parte il geotermico richiede generalmente operazione di trivellazione che anche nelle zone calde necessitano di profondità di diverse centinaia di metri. Le trivellazioni (oggi) sono invise a buona parte dell’opinione pubblica, probabilmente per la proliferazione della pratica che si sta intensificando sia in mare che sulla terra ferma. Le perforazioni a prescindere dall’uso eccessivo e successivo non avvengono di solito in un corpo omogeneo e monolitico, bensì in un sottosuolo fatto a strati in cui coesistono spessori liquidi e intermedi e disomogenei e rocciosi che si interallacciano e si scambiano elementi, chimismi e calore con interazioni raramente conosciute in anticipo.  In altre parole le operazioni di trivellazione contengono quasi sempre alcuni elementi di rischio ambientale difficili da valutare in partenza come i benefici, per cui si ricorre a impianti pilota. Rischi che si accentuano enormemente in aree sismiche e vulcaniche perché il sottosuolo in questo caso potrebbe essere particolarmente stressato e anche un piccolo elemento perturbante dovuto alla perforazione o alla reiniezione dei fluidi captati, potrebbero indurre subsidenze o eventi sismici e altro. Una quantificazione generale del rischio che potrebbe assurgere a valori inaccettabili qualora le trivellazioni dovessero realizzarsi in zone densamente abitate con infrastrutture di rilievo e nel nostro caso metropolitane.

In prima battuta un interessante progetto di sfruttamento geotermico era stato predisposto per il seamount Marsili; vulcano addormentato nelle profondità del mare Tirreno Meridionale. Tra l’altro il progetto non prevedeva neanche una valutazione d’impatto ambientale. Probabilmente perché il Marsili poggia sul fondo del mare a oltre 80 chilometri dalla costa più vicina; forse, in assenza di valore esposto si riteneva erroneamente che il progetto potesse conformarsi come esente da rischi… Ma il mare non è un elemento statico, e in realtà allarmi erano stati già lanciati in precedenza da emeriti studiosi, a proposito del rischio frane insito sui versanti scoscesi e flaccidi del poderoso vulcano sottomarino. Frane che avrebbero potuto innescare terribili onde di maremoto si ripeté… Senza dilungarci oltre, bene ha fatto il Ministero dell’Ambiente a pretendere una valutazione d’impatto ambientale (VIA) anche per il rischio frane e tsunami. Il progetto quindi, se sarà ripresentato dovrà contenere gli elementi valutativi sui pericoli non chiariti in precedenza.

Nella zona dei Campi Flegrei e di Ischia invece, sono in corso valutazioni d’impatto ambientale (VIA) per i progetti di sfruttamento geotermico denominati Scarfoglio e Serrara Fontana. Il primo prevede trivellazioni e captazione e reiniezione dei fluidi nella zona del vulcano Solfatara, e il secondo nei contrafforti del Monte Epomeo. Tra l’altro nella zona di Bagnoli, sempre nei Campi Flegrei, nel corso del 2012 si è dato il via a un altro progetto di perforazione in questo caso profondo finanziato da un consorzio internazionale (ICDP): il famoso Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP).

Schema del Campi Flegrei Deep Drilling Project

Uno scavo quest'ultimo che, come tutti gli scavi di questo mondo, ha sempre una valenza scientifica, ma il progetto mirava e mira soprattutto a braccare i fluidi supercritici (500°-600°) onde valutarne il potenziale geotermico di sfruttamento. L’opera, dichiarata di valenza internazionale, prevede una trivellazione da 4000 metri nel cuore caldo della caldera flegrea. E’ di questi giorni la notizia che è stato scoperto sempre dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) attraverso l'utilizzo di strumenti e tecniche satellitari, la causa del sollevamento dei suoli nell’area di Pozzuoli e zone limitrofe. Un bradisismo dovuto a uno strato intrusivo, una sorta di iniezione compulsiva che ha spinto il magma da circa 8 - 10 chilometri ad appena 3 chilometri dalla superficie.  Praticamente se la trivellazione prevista dal progetto CFDDP oggi ferma a 520 metri di profondità dovesse continuare come annunciato fino a toccare i 4 chilometri, si raggiungerebbe e si perforerebbe e si supererebbe (tecnologia permettendo), lo strato magmatico appena scoperto. 

La notizia che circola sui media in queste ore e che ha avuto una forte presa sul pubblico, ha posto erroneamente il Vesuvio al centro dell’attenzione perché si accennava in una intervista e come premessa alla risalita del magma da un’unica grande camera magmatica comune ai due complessi vulcanici napoletani : il Vesuvio e i Campi Flegrei.

In realtà la vera notizia l'abbiamo accennato in precedenza riguarda una recentissima pubblicazione del ricercatore Luca D’Auria dell’INGV, in cui si mette in luce che le deformazioni bradisismiche del suolo nell’area flegrea, soprattutto dagli inizi del 2012 e fino al mese di giugno del 2013, sono dovute come detto a una iniezione di magma dal profondo. Questo magma si è mosso nel giro di qualche anno e senza particolari dirompenze. Il dato è scientificamente interessante ma non tranquillizzante soprattutto in assenza di piani di evacuazione.

I piani di evacuazione sono oggi una misura fondamentale di salvaguardia perché i vulcani hanno complessivamente ancora elementi di indeterminatezza anche sui tempi di risalita del magma. La previsione è ancora un traguardo da raggiungere  e quindi la prevenzione delle catastrofi deve essere la disciplina su cui bisogna puntare per la sicurezza delle popolazioni esposte. La statistica deve essere utilizzata come riferimento privilegiando alternative più garantiste, così come bisogna evitare alchimie nella classificazione delle zone rosse con linee deterministiche che valgono per un comune e non per l'altro: generano disorientamento...  La ricerca nel campo della vulcanologia va sostenuta, così come la formazione e l'informazione delle popolazioni a rischio. Puntare su uno solo di questi elementi potrebbe essere riduttivo se non un grosso azzardo...



Il litorale vesuviano verso Napoli
Il Dipartimento della Protezione Civile ha ribadito con forza che i piani d’emergenza a fronte del rischio Vesuvio esistono eccome. Senza dubbi esistono... Contengono scenari, livelli di allerta, fasi operative, classificazione delle zone rosse e gialle, atti ufficiali a firma del presidente del Consiglio, coperture economiche per gli sfollati, accordo sui gemellaggi regionali, ecc. C’è tutto! Quelli che mancano sono i piani di evacuazione, per i quali sono stati stanziati fondi soprattutto a favore delle municipalità che ricadono in aree vulcaniche e che hanno l’obbligo di completare i lavori di pianificazione entro la data limite del  31 dicembre 2015, dopodiché gli inadempienti non dovrebbero ricevere alcun rimborso. Allora, corregga il tiro il dipartimento: un piano d'emergenza che prevede una sola ipotesi di rischio - l'eruzione -  con un solo comportamento - l'evacuazione -  può considerarsi sostanzialmente inutile o inesistente se mancano appunto i piani di evacuazione. Quando pronti questi strumenti di protezione attiva, dovranno essere sintetizzati e illustrati e assemblati sotto forma di vademecum che dovranno essere consegnati a ogni famiglia residente nei distretti vulcanici napoletani. Piaccia o non piaccia quindi, l'importante dicastero romano ha la responsabilità di un piano che si fregia unico nel suo genere del titolo di nazionale. Contiamo  purtroppo oltre  20 anni di gestazione ma il documento sembra ancora prematuro e le doglie  lungi dal venire... Ringraziamo quindi il buon Dio per la clemenza geologica accordataci fino ad (oggi), e un pò meno chi avrebbe dovuto garantire ai cittadini a rischio l'imprescindibile diritto alla sicurezza.


sabato 18 gennaio 2014

Rischio Vesuvio: Trecase e il ponte dei miracoli...di Malko



“Rischio Vesuvio, piano di evacuazione, Trecase e lo strategico ponte sull’A3…” di MalKo

L’assessore regionale alla protezione civile, Prof. Edoardo Cosenza, il 13 gennaio 2014, come si evince dal sito dei lavori pubblici, ha tenuto una riunione di coordinamento operativo sul ponte di via Vesuvio che sovrappassa l’autostrada (A3) collegando Torre Annunziata a Trecase. Questa struttura in corso di ultimazione, si legge, è un’importante via di fuga ritenuta molto strategica per i piani di evacuazione della zona rossa Vesuvio. L’assessore Cosenza vista l’importanza dell’opera, tiene costantemente informato sull’andamento dei lavori il capo dipartimento della protezione civile, il Pref. Franco Gabrielli

Questa nota giornalistica è stata presentata molto bene ed ha dalla sua la particolarità di offrire ai lettori una sensazione di rara e secca mobilitazione operativa da parte della Regione Campania, deputata insieme al dipartimento della protezione civile a elaborare un piano di evacuazione per la zona rossa Vesuvio. Dopo venti anni di commissioni e sottocommissioni, il cittadino apprendendo la bellissima notizia ha pensato che questa volta è stata imbroccata la strada giusta per raggiungere il famoso traguardo dell’ultimazione del piano di evacuazione Vesuvio. Bisognerà solo attendere un altro poco… dopodiché il postino busserà alla porta e ci consegnerà il plico contenente il vademecum comunale recante le istruzioni operative per evacuare la zona quando i prodromi indicheranno una dinamica pre eruttiva con valori al rialzo.

D’altro canto però, la stessa notizia cambiando semplicemente inquadratura, si presta bene per comprendere come funziona il sistema mediatico delle favole. I giornali in questo caso accogliendo lo spunto editoriale dall’ufficio regionale, accennano al ponte di via Vesuvio con titoli da strategico manufatto che salta fuori come geniale operazione dell’ufficio regionale, per assicurare ai trecasesi una risorsa stradale di fondamentale importanza da utilizzare come sentiero per l’evacuazione in caso di emergenza.

La realtà invece è ben diversa. Innanzitutto perché trattasi di un ponte sovra stradale che ha sostituito semplicemente quello preesistente rimosso in seguito ai lavori di ampliamento per la realizzazione della terza corsia sull’autostrada A3 Napoli – Salerno.  Il Vesuvio e i piani di evacuazione quindi, non c’entrano proprio niente. C’entrano invece i disagi per i cittadini costretti a impegnare lunghe deviazioni per superare poche diecine di metri.
Nell’immagine di copertina potete notare l’asfalto nuovo e la segnaletica orizzontale regolamentare. A parte l’odore di fresco però, il breve tracciato non ha stravolto il preesistente, e come tale adduce a una strada strettissima attraversata da un passaggio a livello che, una volta superato, porta a un successivo e classico e squadrato incrocio a quattro vie, particolarmente stretto nelle dimensioni, al punto da richiedere cautela nella svolta a destra per non invadere il marciapiede laterale. Un incrocio minimo nelle dimensioni, nevralgico e tra l’altro trafficatissimo. 

La stradina su cui aggetta e ci s’immette dal ponte, la potete vedere nella figura sottostante. E’ stretta al punto da rendere necessario una deviazione a destra all’altezza della segnaletica verticale costituita dal divieto di accesso e dalla direzione obbligatoria. Questo sarebbe in caso di emergenza il tracciato strategico evacuativo? Speriamo di no!



Quello dei giornali che decidono cosa riferire e con quale enfasi comunicare la notizia con il potere di indirizzare poi l’opinione pubblica, rassicuarandola o agitandola o schierandola, è un problema vecchio ed evincibile nel campo della protezione civile, già nella questione del terremoto dell’Aquila e della condanna subita dalla commissione grandi rischi (CGR). In quel caso la natura sconfessò le rassicurazioni che diedero cinque giorni prima del micidiale sisma gli esperti che sono stati tutti condannati dal Tribunale dell’Aquila a sei anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici.
In quell’occasione ci fu una buona parte della stampa che diede corpo a un fuoco difensivo a titoli cubitali contro i giudici tacciati e ritenuti cacciatori di streghe, per l’assurda sentenza di condanna della scienza e la sua impossibilità a prevedere i terremoti.  Addirittura l’ex ministro Corrado Clini parlò di processo alla stregua di quello che subì l’eretico Galileo Galilei… Dimenticando che il grande scienziato fu dimessa vittima del potere, e non servile complice…
L’INGV difese ovviamente a spada tratta gli scienziati “giustiziati”, preparando un appello firmato da molti luminari che chiedevano un passo indietro della magistratura e una revisione del processo.
La sfortuna dei detrattori del giudice Marco Billi sono state le intercettazioni telefoniche che hanno dimostrato che la riunione della commissione grandi rischi del 31 marzo 2009, non fu altro che un’operazione mediatica organizzata e gestita dal capo dipartimento della protezione civile, Guido Bertolaso, che inviò sul posto anche il suo fido Bernardo De Bernardinis, per stroncare il tecnico Giuliani e i suoi allarmismi al radon. Altro che valutare scientificamente la situazione…

Che la stampa, generalizzando, debba darsi una rivisitata lo apprendiamo anche dalla notizia recente che circola a fatica sul web, e che riguarda la rivista Nature e il suo ostracismo nel pubblicare una replica di un certo numero di scienziati anche italiani come risposta alla lettera aperta di Enzo Boschi, ex componente della CGR,  in cui ancora una volta parla di incredibile processo alla scienza e di una condanna ingiusta.
Dalle pagine del quotidiano britannico Guardian, il premio nobel Randy Sheckman, ha criticato pesantemente le riviste scientifiche Nature e Science perché pubblicano notizie in linea con il potere scientifico dominante del momento, sostanzialmente denunciando che si pubblicano solo notizie gradite all’èlite o alla massa, trascurando quel manipolo di oppositori che pure avrebbe tanto da dire o da replicare.
Enzo Boschi è quello cui la sentenza di condanna indubbiamente va particolarmente stretta. Si difende male però, perché continua ad affermare che è stato condannato perché non ha previsto il terremoto e non perché consapevolmente o inconsapevolmente è stato coinvolto in un gioco cinico, dettato da uno stizzito potentucolo che ha organizzato una sceneggiata trasformatasi in tragedia solo per stroncare un caparbio tecnico…
Le notizie oramai se le pubblicano quelli che le confezionano attraverso un web replicante. Dalle nostre note di testa si capisce che l’affaire Vesuvio incomincia a scottare con tutte le inadempienze che lo accompagnano: c’è bisogno di qualche risposta… ma non si risolve il problema con notizie edulcorate  utili solo ad anestetizzare l’opinione pubblica. Il ponte di Trecase necessitava l’urgente riapertura per motivi di disagio, e non perché è una strategica via di fuga, vista anche la striminzita larghezza delle corsie che sono un chiaro segno di un'opera realizzata al risparmio. 
Dopo il Vesuvio la cronaca rilancia gli allarmi per il Marsili… Occorrerebbe monitorarlo dicono gli esperti, perché potrebbe eruttare. Il progetto dell’Eurobuiding prevede la perforazione del vulcano sommerso per uso geotermico. La sicurezza dell’operazione è affidata a un nutrito gruppo di scienziati dell’INGV che fanno parte del comitato di sicurezza. Chissà se faranno il pozzo pilota anche lì alla stregua di quello fatto ai Campi Flegrei (CFDDP). Abbiamo chiesto all’INGV che occupa ruoli di primo piano nel Marsili project, se la perforazione del vulcano sommerso potrebbe cagionare sollecitazioni pericolose per la formazione di frane portatrici di onde anomale. Attendiamo ancora una risposta, ma sono passati solo cinque mesi.