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martedì 15 aprile 2014

Rischio Vesuvio e piani di emergenza: la corte europea di Strasburgo indaga.,, di Malko




“Rischio Vesuvio e piani di emergenza: la corte europea
 di Strasburgo indaga...” di MalKo

La corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, ha preso in seria considerazione la denuncia presentata da dodici cittadini della zona rossa Vesuvio, contro lo Stato italiano che non garantirebbe adeguatamente la sicurezza dei vesuviani. La corte ha reso agibile una corsia preferenziale per trattare l’argomento con urgenza, e inoltre ha deliberato che entro il 12 maggio 2014 l’Italia dovrà presentare prove che dimostrino con certezza che i cittadini sono realmente protetti da seri strumenti organizzativi, come il piano di evacuazione. Aspettiamo… Sarà d’oltralpe un pronunciamento o forse un anelito di giustizia su una questione delicata, che in Italia purtroppo non trova sponde.

Il piano di evacuazione a oggi non esiste.  In seguito all’ultimatum imposto da Strasburgo, molto probabilmente gli enti competenti, primi fra tutti il Dipartimento della Protezione Civile, recupereranno dai famosi cassetti un po’ di carte, probabilmente con una netta prevalenza  di fogli dattiloscritti contenenti disquisizioni scientifiche che si accavallano da oltre venti anni, e le mappe della nuova perimetrazione della zona rossa. Per i vertici dipartimentali, infatti, il piano d’emergenza è soprattutto quello…
I giornali non hanno dato grande enfasi alle notizie provenienti da Strasburgo: d’altra parte e in alcuni casi, sono gli stessi giornali che in assenza di un giornalismo investigativo, per decenni ci hanno propinato efficienza e pietre miliari a proposito della sicurezza in area vesuviana. Gli amici sono amici… D’altra parte bastava riflettere sulla incredibile campagna stampa che fu orchestrata contro il Tribunale dell’Aquila all’indomani del tragico terremoto del 6 aprile 2009. Se ne scrissero di tutti i colori a proposito dell’inquisizione e di martiri e di processi alle streghe e di una brutta pagina da medioevo per una condanna che era pronunciata contro gli scienziati rei di non aver previsto il terremoto. I giudici di quella sentenza storica dimostrarono e dimostrano con il prosieguo delle indagini, spalle forti, competenza e soprattutto tanto coraggio.

In rete invece, fino a qualche giorno fa le notizie giornalistiche hanno profuso articoli che trattavano l’argomento piani d’emergenza, sulla scorta di un piccolo gruzzoletto che la Regione Campania si appresta a versare nelle asfittiche casse dei comuni campani, affinché questi siano invogliati a stilare i piani di emergenza comunali. Ovviamente nell’area vesuviana e flegrea è previsto qualche soldo in più per l’oggettiva complessità dei rischi da prendere in esame.

Questa pioggerellina di denari che conta soprattutto contributi della comunità europea, purtroppo servirà poco. Il problema principale delle politiche di sicurezza, infatti, è che per loro stessa natura dovrebbero avere una connotazione multidisciplinare. La protezione civile invece e in genere, è relegata a ultimo ufficio comunale che deve starsene buono e non deve impicciarsi delle cose che transitano e stazionano negli uffici che contano, soprattutto in quello tecnico.
In molti casi allora, l’addetto alla protezione è costretto ad arrovellarsi il cervello per trovare stimoli a un’attività di fatto dormiente, che si estrinseca nella noiosa e inutile compilazione di questionari inviati da altri uffici amministrativi sovra comunali, che hanno gli stessi problemi di irrilevanza funzionale. Nella migliore delle ipotesi allora, si gestisce con alterne fortune il volontariato…

In una zona a rischio colate piroclastiche, torrenti di fango e pioggia di cenere  e lapilli e ancora bombe vulcaniche e sommovimenti sismici, senza certezze previsionali, lo sviluppo sostenibile che tutti inquadrano sempre e solo nel cemento, doveva adeguarsi alle necessità dei piani di evacuazione, e non viceversa. Invece, si è sempre pensato a quello che si costruiva piuttosto che al dove si costruiva. Il piano di emergenza ha tentato appena di correre dietro al cemento, ma ha subito desistito com’è successo nel più affollato dei comuni vesuviani.
Gli amministratori comunali e provinciali e regionali dall’orecchio prevenzione non ci sentono proprio. Velina, vetrina e propaganda, hanno caratterizzato fin qui il loro operato  di mitigatori del rischio Vesuvio ed elaboratori di piani d’emergenza e di evacuazione.  Che ci siano migliaia e migliaia di domande di condono da vagliare in area vulcanica poi, francamente è inconcepibile e opacizza l’operato di chi per ruolo avrebbe dovuto controllare il territorio per evitare una crescita esponenziale del valore esposto...
Alla Regione Campania c’è stata battaglia sul finire di marzo di quest’anno, dettata dall’approvazione del nuovo regolamento paesaggistico e in particolar modo dal contestatissimo articolo 15. Un disposto che potrebbe aprire le porte a un po’ di cemento anche nella zona rossa Vesuvio, attraverso la possibilità di ampliare le cubature delle residenze da ristrutturare in nome della sicurezza.
Chissà se l’assessore Edoardo Cosenza era presente su quelle barricate e da quale parte gravava il suo peso di responsabile della protezione civile. Il professore inoltre, ci fa sapere che per il rischio eruttivo dei Campi Flegrei bisognerà valutare anche una possibile evacuazione totale o parziale, della zona di Chiaia e Posillipo.

Per quanto riguarda i chiarimenti richiesti da Strasburgo, Edoardo Cosenza esprime soddisfazione perché finalmente alcuni cittadini hanno chiesto il piano d’evacuazione (nessuno lo chiedeva prima), dimostrando un sano interesse civile. Poco importa che la richiesta è pervenuta per la strada più lunga e in lingua francese col suggello di una corte di giustizia per i diritti dell’uomo… 

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