Per poter meglio rappresentare i concetti ad oggetto la
prevenzione della catastrofe vulcanica legata a una possibile eruzione del
Vesuvio, una premessa che spieghi in che modo è stato suddiviso il territorio della plaga
vesuviana, è necessaria per la
comprensione della diversificazione del pericolo, e quindi di quelle che possono
essere le misure di tutela della popolazione. Lo spaccato proposto in basso ci
sembra adatto allo scopo.
La zona rossa 1 (R1) circoscrive il territorio
invadibile da qualsiasi fenomenologia vulcanica, ma soprattutto dalle micidiali
colate piroclastiche che andrebbero a formarsi prevalentemente in seno ad eruzioni esplosive di tipo VEI 4 e
VEI 5, rispettivamente di tipo sub pliniana e pliniana. Tale dirompente fenomeno
è susseguente al collasso della colonna eruttiva che può raggiungere altezze
stratosferiche, per poi precipitare sui pendii del vulcano scivolando e avanzando
con violenza distruttiva sul terreno, ma anche sul mare per chilometri, a una
temperatura di diverse centinaia di gradi Celsius. Per poter stabilire a che
distanza dal Vesuvio ci si può sentire al sicuro da siffatta fenomenologia travolgente, è stato
necessario per gli strateghi acquisire dall’autorità scientifica la cosiddetta eruzione
di riferimento su cui concentrare gli sforzi pianificatori di emergenza.
Per il Vesuvio gli esperti hanno indicato uno scenario medio,
sub pliniano, con indice di esplosività VEI 4, l’evento massimo
futuro su cui incentrare i piani di emergenza e soprattutto quelli evacuativi. Con
queste premesse corroborate pure da indagini campali volte a stabilire i limiti
di massimo scorrimento dei flussi piroclastici del passato, è stata
circoscritta quella che oggi viene chiamata zona rossa 1.
La zona rossa 2 (R2) invece, è quella dove il sistema
di protezione civile ritiene pericolosi non già i flussi piroclastici che
secondo le autorità scientifiche non supereranno i limiti della zona rossa 1
(R1), bensì la notevole pioggia di cenere e lapilli che renderebbe nel giro di
pochissimo tempo la vivibilità in zona rossa 2 alquanto problematica se non
impossibile. Gli accumuli dei prodotti piroclastici sui tetti piani poi,
causerebbero il crollo delle coperture meno resistenti e a seguire dei solai
sottostanti. Le ceneri sottili asperse in aria comporterebbero con il loro
contenuto di silicio, seri problemi alla respirazione e agli occhi. Il contesto
sarebbe di oscurità, con disturbi alle telecomunicazioni e il blocco dei
motori.
La zona gialla è quella dove la ricaduta di cenere e lapilli dovrebbe essere di minore intensità. In ogni caso il fenomeno potrebbe interessare non senza disagi, spicchi radiali di territorio, ovvero quelli posti sottovento al vulcano e in linea con la direzione di provenienza dei venti che spirano generalmente verso est. Il piano di emergenza nazionale, prevede di evacuare, ma solo in corso d’eruzione, i settori gialli maggiormente colpiti.
C’è poi una zona blu a nord del vulcano, poco pubblicizzata dai media, che interessa la superficie depressa del nolano. I problemi in questo settore sono quelli propri della zona gialla, a cui si sommano quelli alluvionali dettati dalla gran quantità d’acqua espulsa dall’eruzione, in un contesto di terreni impermeabilizzati dalle ceneri fini. In passato il livello delle acque che si accumularono nella conca superarono i due metri di altezza.
Gli eventi estremi.
Sembrerà strano, ma grazie a stazioni di osservazioni astronomiche
anche amatoriali, in genere si riesce a cogliere in anticipo il rischio di un
impatto con un meteorite, pure mesi prima, stabilendo l’entità del pericolo
dalle dimensioni dell’oggetto, dalla composizione chimica del corpo astrale,
dalla sua velocità e dalle coordinate stimate di contatto con una precisione a
mano a mano crescente. Purtroppo, essendo il sottosuolo terrestre precluso alle
indagini dirette, se non in un modo puntiforme e con profondità massime fin qui
raggiunte di 12 chilometri, l’analisi dei dinamismi che agitano la litosfera, sono affidate alle prospezioni indirette, e quindi
inevitabilmente nella loro complessità sono generiche, e almeno per il momento senza
una particolare utilità deterministica, necessaria per la previsione delle
catastrofi naturali ascrivibili ai terremoti e alle eruzioni vulcaniche.
In altre parole, non è possibile prevedere quando si manifesterà un’eruzione vulcanica, e neanche con quale tipologia eruttiva le energie irromperanno in superficie. Questi due elementi di incertezza sono la spina nel fianco delle pianificazioni di emergenza a fronte del rischio vulcanico, tanto nel flegreo quanto nel vesuviano. Nella tavola sottostante si riportano le possibili tipologie eruttive che potrebbero caratterizzare una futura attività del Vesuvio. Gli scienziati, occorre dirlo, propendono (2012) sulla tesi che nel medio termine, semmai dovesse manifestarsi un'eruzione, probabilmente il carattere eruttivo sarebbe di taglia ultra stromboliana (VEI3). Cosa s'intende per medio termine però, non è stato specificato.
Nella plaga vesuviana gli scienziati hanno deciso, come
detto, di pianificare tenendo conto di uno scenario eruttivo di tipo sub
pliniano (VEI4), che accorperebbe anche le esigenze protettive legate a un
evento VEI3. Rimane il fatto che assumendo un’eruzione (VEI4) come
scenario di riferimento per i piani di emergenza, escludendo così l’eruzione
pliniana dal novero delle possibilità, la scelta assume caratteristiche deterministiche, proprio perché non è stato
elaborato alcun piano capace di fronteggiare eruzioni maggiori. Questo potrebbe porre grossi problemi anche se si dovesse cogliere il successo previsionale.
Gli eventi come un’eruzione pliniana sono quelli da cigno
nero, cioè sono quelli estremi che sfuggono in linea preventiva ai modelli di
pericolo maggiormente trattati, tant’è che poco o per niente se ne parla in
pubblico, perché subentra un certo imbarazzo a sostenere quello che quasi tutti
giudicano accadimenti esagerati e molto difficilmente verificabili. D’altro
canto è difficile mettere in guardia a fronte di un evento calamitoso di
grandissima portata quando non c’è esperienza diretta o ravvicinata del
fenomeno peggiore. Se si verificasse un’eruzione pliniana, possibilità non
escludibile matematicamente, sarebbe un evento che porterebbe la Campania a una
condizione materiale di difficoltà esistenziale, con grave e perdurante compromissione
di tutti gli aspetti sociali che salterebbero inesorabilmente.
Un famoso assessore alla protezione civile che ha cambiato
casacca amministrativa ma non ruolo, ha sempre sostenuto che le matrici di pericolo devono
fare i conti con i tempi di ritorno, tanto dei terremoti quanto delle eruzioni,
e una pliniana a suo dire per calcolo delle probabilità è da escludere. Tant’è…
Nella fattispecie del discorso, chiedemmo a un ex direttore dell’osservatorio
vesuviano, quali sono i tempi di ritorno di un’eruzione pliniana. Questi
rispose: per rispondere alla sua domanda, devo dirle che, purtroppo, non
è possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione,
per tutti i vulcani in generale ma in particolare riguardo alle eruzioni
pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una
regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione
vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a
noi note sono in numero talmente esiguo che qualunque analisi statistica ha una
significatività estremamente bassa.
Proteggere un territorio che potrebbe essere colpito dai
flussi piroclastici è inconciliabile con una conurbazione serrata: in linea di
principio non c’è possibilità di ripararsi da quegli effetti meccanici e
termici che accompagnano il dilagare delle valanghe ardenti nel loro
incedere distruttivo.
L’altro fenomeno che può minare la vivibilità in una plaga
vulcanica come già accennato è la pioggia di cenere e lapilli. Fenomeno
quest’ultimo che si presenta già nelle prime fasi dell’eruzione, ed ha una sua pericolosità
in ragione della distanza dal cratere e dalla collocazione geografica delle
case rispetto alla direzione dei venti.
Nel territorio della provincia di Napoli l’urbanizzazione
parte da lontano ancorchè favorita dai vantaggi offerti dal territorio fertile e
dalla contiguità col mare che è una importante risorsa. L’urbanizzazione non è
stata evitata in passato perché non si conoscevano gli aspetti geologici
vulcanologici, e poi perché non s’intendeva rinunciare alle proprietà terriere,
e più di recente perché nessun politico o amministratore o istituzione ha
inteso ricordare al popolo amministrato, che in questi territori belli e ricchi
di storia, la pericolosità eruttiva è immanente e senza possibilità di
disinnesco…
Nel vesuviano si è costruito intorno al cratere vulcanico
fino alla fascia pedemontana; nei Campi Flegrei si è addirittura proceduto a
insediare nella vasta caldera oltre mezzo milione di abitanti. Per capire la
complessità di questi luoghi e più in generale della provincia napoletana,
basta ricordarsi che, con un biglietto da meno di due euro, si può utilizzare
la linea metropolitana per passare in circa 50 minuti dalla caldera dei Campi
Flegrei al distretto vulcanico del Vesuvio: cioè da zona rossa a zona rossa…
Nei Campi Flegrei di recente si è fatto sentire il ministro
Musumeci, che ha classificato come criminale l’edificazione serrata intra
calderica che è andata avanti per non pochi decenni, senza che alcuno ponesse
il problema del rischio vulcanico. D’altra parte valga il detto che: si bada
più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce… Lo dimostrano alcuni
parlamentari di estrazione campana, che hanno proposto un emendamento alla
legge regionale per stralciare il sito della colmata di Bagnoli dai disposti che
impongono lo stop al cemento ad uso residenziale. Costoro nella zona rossa vulcanica
e poi celeste bradisismica, vorrebbero che si creasse una sorta di enclave
bianca a Bagnoli. Nell’enclave bianca i parlamentari vogliono che non debba
vigere lo stop al cemento residenziale, consentendo così la realizzazione di
appartamenti di pregio vista mare. D’altra parte nulla vieta poi, e gli
scienziati dovrebbero evidenziarlo, che l’accennata enclave bianca di Bagnoli,
possa divenire a sua volta e alla stregua del Rione Terra, un punto di
accentuato sollevamento dei suoli. Le intrusioni magmatiche, infatti, col loro
dinamismo non seguono le ragioni del consenso politico, ma solo quelle della
natura…
Nel vesuviano la minaccia eruttiva incombe su una fitta
conurbazione nei territori che circondano il Vesuvio e che comprendono anche la
fascia pedemontana che non risulta indenne dal cemento e dalle discariche.
Comuni come San Giorgio a Cremano o Portici poi, si distinguono per una densità
abitativa superiore ai 10.000 residenti per Kmq. con un indice di
urbanizzazione prossimo alla soglia della totale saturazione del territorio.
Molti sindaci del vesuviano vorrebbero che la regione tenesse
in debito conto le loro doglianze, volte ad allentare le briglie
dell’inedificabilità, accontentandosi pure di misure generalizzate atte a consentire
il rilascio di migliaia di condoni edilizi, che oggi per numero inusitato
caratterizzano territori come Boscoreale e Terzigno per dirne alcuni. Lo Stato però in tutte le
sue diramazioni amministrative e giuridiche, non può derogare dal principio di
precauzione su di un pericolo che non prevede ripari ma solo mitigazione all'occorrenza, attraverso la precipitosa delocalizzazione dei vesuviani altrove. Diversamente, il condono semmai
concesso, nei fatti sarebbe da interpretare come un permesso che autorizza
l’abusivo ad esporsi a un rischio grave sancito dallo Stato e non preventivabile con certezza.
Il dramma consiste nel fatto che si sta esautorando in assenza di regole urbanistiche, il territorio oltre zona rossa sub pliniana (VEI4), e quindi per
avere un margine di controllo preventivo su quella che sarà classificata se non
da subito come zona rossa pliniana, dovrebbero sancirsi se non divieti almeno regole
di urbanizzazione, e per un raggio di 7/8 chilometri oltre i limiti
dell’attuale zona rossa 1. Bisognerebbe partire dal principio che la pianificazione
territoriale in area vulcanica, deve adeguarsi alle
necessità dei piani di emergenza e di evacuazione. Allo stato dei fatti invece, si sta verificando
esattamente il contrario, cioè che i
piani di evacuazione devono e dovranno correre dietro alle modificazioni non controllate del territorio...