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domenica 23 marzo 2025

Il super vulcano dei Campi Flegrei: le nuove fasi operative e i nuovi livelli di allerta vulcanica... di MalKo

 

Il vulcano Solfatara - Le stufe - Pozzuoli


La problematica delle emanazioni gassose dal sottosuolo è ben presente nei territori vulcanici dei Campi Flegrei, e si registra soprattutto nell’area puteolana e nei territori viciniori. Il lago d’Averno (Avernus) per esempio,  era noto fin dall’antichità storica per il fatto che gli uccelli evitavano quel luogo per le notevoli e nocive esalazioni pestilenziali che si liberavano dal lago insieme all’anidride carbonica che però è inodore. 

I pesci, hai loro, non potendo evitare la permanenza in questo luogo mitico oramai chiuso al mare, purtroppo e non raramente capita, oggi come ieri, che muoiano in una certa quantità, per effetto delle esalazioni di idrogeno solforato: prodotto quest'ultimo altamente tossico per gli organismi acquatici, che si libera dal profondo del lago, soprattutto dopo  sussulti sismici. Le emanazioni gassose in terra flegrea erano un fenomeno conosciuto da tempo immemore, e sono tuttora una caratteristica della zona. 

Nel comprensorio dei Campi Flegrei, e soprattutto nel puteolano e nel napoletano occidentale, succede che l’anidride carbonica rilasciata dalla massa magmatica si fissa alle rocce porose e si mescola all’acqua circolante nel sottosuolo per effetto delle pressioni. Con lo shakeraggio crostale assicurato dagli sciami sismici poi, si verifica un aumento della quantità di prodotto gassoso che riesce a liberarsi dai fluidi e dalle sacche di accumulo, che alcuni lavori scientifici posizionano prevalentemente a circa 4 km. Da qui i gas confluiscono fino in atmosfera, attraverso le macro e micro fratturazioni crostali, sospinti dalla notevole pressione di giacimento. Una volta all’aperto, in assenza di ulteriore spinta motrice, l'anidride carbonica residua ristagna al suolo, visto che il peso specifico di questo gas è superiore a quello dell’aria soprattutto se è freddo.

Il rilascio di anidride carbonica è una costante in questi territori flegrei, che registrano emanazioni gassose nell'aria molto accentuate, addirittura in aumento negli ultimi decenni, secondo parametri che sarebbero più affini a un vulcano attivo piuttosto che quiescente. La preoccupazione sussiste non solo per le intrusioni dei gas che si liberano dal terreno e trapelano nell'aria, ma soprattutto quando riescono a infiltrarsi in ambienti confinati, come possono esserlo cantine, e sottoscala, garage e seminterrati, soprattutto in quelli che presentano pavimenti in terra battuta, oppure con spessori minimi di copertura del suolo realizzato con cemento ancorché segnato da lesioni o dotato di fughe perimetrali evidentemente dilatate. Anche i vespai a pietre possono diventare vie di propagazione per questo gas, che è pericoloso anche in ambienti confinati per il solo perimetro laterale pur in assenza di una copertura. I pozzi scavati in zona poi, possono essere il luogo ideale per la concentrazione di questo gas.

Per motivi di sicurezza il pericolo rappresentato dall’anidride carbonica stagnante non può essere sottovalutato ma neanche drammatizzato, soprattutto se si conosce la problematica e si dimora lontano dalle sorgenti di emissione più importanti, come può essere la zona di Pisciarelli e della Solfatara e in alcuni punti della conca di Agnano. Ci sembra poi che sussista una certa corrispondenza tra il perdurare degli sciami sismici che scuotono la crosta chilometrica, cosa che reca seco nuove fratture, e la dispersione del prodotto gassoso in superficie. Quindi l'attenzione deve essere massima in questi frangenti, anche perché il problema può presentarsi pure dove prima non c'era, atteso che la crosta della caldera è lesionata, sfibrata e ammollita. 

L’anidride carbonica trattandosi come detto, di un gas più pesante dell’aria, tende a stagnare sul fondo del "contenitore", depositandosi con altezze crescenti, soprattutto quando sul punto di immissione c'è ancora pressione residua e il gas non riesce a trovare vie di fuga dall'ambiente in cui è penetrato. Se le emanazioni gassose defluiscono all’interno di un avvallamento del terreno, o comunque in una palese depressione del piano campagna, il rischio asfissia potrebbe estendersi a tutta la superficie concava in assenza di ventilazione. 

Presumibilmente il maggior deflusso dell’anidride carbonica dal terreno o dalle polle o dalle fessurazioni, si dovrebbe riscontrare e per i motivi addotti in precedenza, in concomitanza con i fenomeni sismici maggiormente energetici. Ricordiamo alla stregua la bottiglia di acqua frizzante sbatacchiata: il gas contenuto nel liquido tenderebbe a dissociarsi generando pressione tra lo strato d’acqua e il tappo. In questo caso la resistenza della bottiglia conterrebbe la pressione del gas: se aprissimo il tappo o lesionassimo l’involucro però, ci sarebbe una repentina fuoriuscita dell’anidride carbonica al punto da generare un effetto dirompente e adescante che richiamerebbe anche liquido verso l’esterno…

Intanto occorre precisare che l’anidride carbonica non è un gas infiammabile e neanche tossico, tant’è che lo gradiamo nelle bibite e lo si usa pure nell’antincendio. La sua azione deleteria è rapportata al fatto che, occupando uno spazio confinato anche, come detto, solo perimetralmente, il gas si sostituisce progressivamente e per accumulo all’aria scacciandola da quell’ambiente. In questo caso tutti gli esseri viventi che generalmente utilizzano l’ossigeno presente nell’aria per respirare, avrebbero difficoltà crescenti a sopravvivere, se lo spazio entro cui si sono introdotti è appunto pieno di gas asfissiante, che in tutti i casi in condizioni di  abundantiam  potrebbe legarsi al sangue per difetto di circolo respiratorio.

Non molti anni fa perì una famiglia di turisti in visita alla Solfatara, perché si calarono in un misurato anfratto del terreno per porre in salvo il figlio che era accidentalmente caduto nel fosso. Morirono tutti e tre  velocemente secondo alcune disastrose logiche (like a stroke of lightining), che vedono i soccorritori soccombere a catena se non intuiscono subito la natura del pericolo gassoso: in quel buco l’anidride carbonica era a un livello di totale saturazione, e quindi non ci fu scampo. Sembrerà strano, ma il 50% delle morti per accesso in ambienti invasi da gas riguarda proprio i soccorritori improvvisati che agiscono d'istinto per nobile altruismo, mentre il rimanente 50% dei decessi è in capo alle vittime.

In caso di forti concentrazioni di questo gas poi, neanche con le maschere a filtri specifici ci si può garantire la sopravvivenza, perché la carenza di ossigeno sotto il 16% darebbe origine in ogni caso a problemi respiratori crescenti. Probabilmente utilizzando un estrattore assiale con tubo aspirante posizionato a pochi centimetri dal suolo, capace di convogliare all'esterno dei locali sottoposti alla strada gli inquinanti contenuti nel vano, potrebbe essere una soluzione per mitigare il problema. Ancora meglio se l'accensione del dispositivo sia automatica e quindi azionato da un rilevatore di gas con allarme sonoro.

L’anidride carbonica oltre ad essere un gas asfissiante, ha anche prerogative di attacco alle strutture in calcestruzzo, attraverso fenomeni di degradazione di malte e ferri dovuti anche al fenomeno della  carbonatazione e pure della solfatazione che accelera processi di espansione dirompenti e fessurazioni che deteriorano malte e tondini acciaiosi che attraversano travi e pilastri. Un processo di degradazione che può avere una certa importanza, soprattutto se i manufatti sono ubicati nelle zone prossime alle sorgenti vulcaniche che rilasciano appunto anidride carbonica e idrogeno solforato. Sul litorale poi, concorre anche l’opera di degradazione dettata dalla salsedine, soprattutto se sono carenti le manutenzioni protettive delle superfici ferrose e in cemento armato. Questo vuol dire che nei Campi Flegrei l’attenzione a queste problematiche dovrebbe essere puntuale e doverosa attraverso la realizzazione di opere di buona qualità.

La commissione grandi rischi d’intesa col dipartimento della protezione civile, ha in corso di elaborazione i nuovi livelli di allerta vulcanica, che contemplano in primis tra i pericoli naturali presenti nei Campi Flegrei, quello vulcanico, ma anche il fenomeno delle emanazioni gassose dal sottosuolo, il sollevamento del suolo e gli eventi simici. La novità di questa tabella dei quattro colori che si diversificano nel giallo e nell'arancione per due caselle aggiunte, riporta pure lo stato del vulcano. Un metodo per definire pur rimanendo nell'ambito delle incertezze, una pericolosità a scalare, utilizzando degli intermedi riferibili alla intensità dei fenomeni registrati, le cui tendenze non sono preventivabili.


I nuovi livelli di allerta vulcanica

Questi nuovi livelli di allerta hanno un pregio: dimostrano intanto una cosa determinante e che fino a ieri era considerata impronunciabile soprattutto dal comitato partenoflegreo. La sismicità, il sollevamento del suolo e quindi il rilascio più o meno massivo di gas di origine magmatica come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato, vengono interpretati di fatto come possibili precursori di un’eruzione vulcanica, e non di fenomeni a sé stanti che esulano dal rischio eruttivo. D'altro canto il piano elaborato per fronteggiare il bradisismo coi suoi 3 livelli d'intervento, è un piano post evento, che si rifà ai danni strutturali e infrastrutturali inflitti all'edificato dalle inclemenze geologiche, leggasi sismicità indotta dal bradisismo, senza per questo chiamare in causa alcun rapporto o nesso col rischio vulcanico, in quanto i bradosostenitori non contemplano alcuna implicazione del magma, che lo collocano più o meno staticamente localizzato a oltre 8 chilometri di profondità. L'ultimo lavoro scientifico invece (Tracking the 2007–2023 magma-driven unrest at Campi Flegrei caldera (Italy)), chiarisce tra le ipotesi, che non è possibile escludere la presenza di magma a circa 4 chilometri di profondità.  Il confronto scientifico sulla profondità del magma e sulle cause del bradisismo è tutt'ora aperto.

Tra i colori è stata aggiunta pure la colonna:<< Tempo di persistenza previsto nel livello (grado di incertezza)>>, che nelle vecchie tabelle dei primi anni novanta veniva chiamato tempo attesa eruzione. Non si riportano soglie ben definite oltre la quale far scattare il gradino successivo di allerta, anche perché il Prof. Coccia, presidente della commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, ha chiarito che ci sono ancora molte incertezze da dissipare. 

Questa nuova tabella potrebbe rispondere meglio alle esigenze informative da garantire alla popolazione, perchè ricorda a molti che l'area flegrea è multi rischi. Diciamo subito che nonostante l’ampliamento della legenda all’interno dei colori, in realtà da una prima lettura ci sembra di capire che la condizione di disequilibrio medio (giallo II), e quella di disequilibrio forte (Arancione I), in una qualche misura  quasi si equivalgano, e quindi sono comprensibili i timori dei cittadini.

La sensazione che si riceve è quella che l’autorità scientifica nella sua massima conformazione che è appunto quella della commissione grandi rischi, voglia sottolineare tutte le problematiche esistenti nei Campi Flegrei senza nascondere una certa incertezza sulla valutazione dei fenomeni potenziali o in atto, dovuta alla mancanza di soglie strumentali da comparare agli episodi eruttivi precedenti che vanno molto indietro nel tempo. Nella riunione di presentazione dei nuovi livelli, non sono state palesate certezze e  rassicurazioni, perché in esame c'è un'area che si caratterizza per un sottosuolo sub calderico dinamico e complesso. In tutti i casi le autorità confermano la vigilanza scientifica diuturna dell'area, effettuata con strumenti all'avanguardia. Sembrerà strano, ma questa è la prima volta che si inizia a scrivere la prima pagina del registro delle dinamiche dei disequilibri geologici che caratterizzano il sottosuolo dei Campi Flegrei, utilizzando precisi dati strumentali..  

Il dipartimento della protezione civile invece, vuole soprattutto condividere con le amministrazioni locali e con le popolazioni insediate nella caldera, tutti gli aspetti che accompagnano la stesura di questi nuovi livelli e con essi le indicazioni contenute nelle fasi operative: certamente come atto dovuto, ma anche per evitare critiche a posteriori raccogliendo magari e nel contempo pure qualche  suggerimento utile.    

Nell'insieme il quadro istituzionale potrebbe essere riassunto come segue: le autorità scientifiche e dipartimentali sono consapevoli di tutta la fenomenologia che caratterizza la caldera flegrea. In assenza di soglie strumentali però, una certa e importante discrezionalità valutativa per stabilire il passaggio tra i vari livelli di allerta vulcanica, come sempre rimane necessariamente manuale e a cura degli esperti della commissione grandi rischi… Sulla scorta di questi nuovi livelli, è stata pure abbozzato il prospetto delle fasi operative strettamente legate all’evoluzione dei livelli di allerta vulcanica.

Nuove Fasi operative

Un dato che emerge è quello che la direzione comando e controllo (DICOMAC), si riunirebbe in misura ridotta nella fase di primo preallarme arancione, che andrebbe a caratterizzarsi per un forte disequilibrio geochimico e geofisico del vulcano. In questo caso l'operatività della DICOMAC, sarebbe finalizzata a gestire le attività di messa in sicurezza dei beni culturali, e lo sfollamento di ospedali e carceri, ma anche della popolazione che decide di allontanarsi per utilizzare il CAS, cioè il contributo di autonoma sistemazione, che si attiverebbe appunto nel primo livello arancione.
Nel secondo livello arancione invece, cioè di disequilibrio molto forte del vulcano, la DICOMAC sarebbe al completo, e in questa fase si allontanerebbero le popolazioni gravanti nelle zone a maggior rischio a fronte di tutti i fenomeni menzionati nei nuovi livelli. Con l'allontanamento spontaneo della popolazione al raggiungimento del primo livello arancione, e a seguire col secondo livello arancione, di tutti i residenti dimoranti nelle zone a maggior pericolo previsto nella fase successiva, si ridurrebbe di molto il numero complessivo degli abitanti da evacuare allo scattare di una possibile fase di allarme geberale.

Secondo il dipartimento della protezione e la commissione grandi rischi, lo stato attuale del super vulcano Campi Flegrei, caratterizzato da una serie di fenomeni accentuati, naturali perduranti, è più correttamente classificabile come una condizione di disequilibrio medio; in altre parole, il livello di allerta vulcanica attuale, ha raggiunto pur permanendo nel giallo, il massimo livello di attenzione.

Interessante pure il dato riferito dal capo dipartimento della protezione civile, circa una interlocuzione congiunta del dipartimento, con la commissione e con i sindaci flegrei, in modo da condividere il work in progress scientifico e tecnico con gli amministratori deputati alla gestione del territorio, che purtroppo ancora non prendono provvedimenti per limitare l’urbanizzazione anche fuori dall’area bradisismica… 

Nel paesi vesuviani, quando fu varata la legge (21/2003) che proibiva la realizzazione di nuove opere ad uso residenziale nella istituita zona rossa, subentrò il boom cementizio nei paesi immediatamente confinanti con essa. Comuni come Scafati, Poggiomarino e Volla ad esempio, hanno scoperto l'oro grigio grazie ai vesuviani che cercavano casa in luoghi prossimi ai nuclei familiari storici, oramai ricadenti nella zona a massima pericolosità vulcanica. Questi cittadini si accontentarono e si accontentano di acquistare residenze in zone soggette, in caso di eruzione, a massiccia pioggia di cenere e lapilli, senza contare la beffa, semmai e come si presume, che si debba allargare la zona rossa per una rivalutazione del rischio pliniano: in tal caso non pochi si ritroverebbero di nuovo al punto di partenza. 

Nel flegreo, in assenza di un decreto regionale simile a quello vesuviano che dovrebbe riguardare l'intera zona rossa vulcanica, si tenterà di acquistare o costruire o ricostruire abitazioni appena fuori dalla zona rossa bradisismica, perché negli ultimi anni è passato il concetto che tutti i problemi geologici nei Campi Flegrei ruotano per intero  intorno al Rione Terra di Pozzuoli e zone limitrofe. 

La logica vorrebbe che se le autorità scientifiche e amministrative abbiano certezze in tal senso, così come sulla portata dell'eruzione futura, indicata da alcuni autorevoli personaggi come simile a quella del 1538, sarebbe il caso di procedere al ridimensionamento della zona rossa vulcanica flegrea, per evitare palesi contrasti tra la vigente classificazione della zona come ad alta pericolosità, senza provvedimenti amministrativi e conseguenziali capaci di mitigare attraverso la prevenzione il rischio eruttivo. 

In realtà non è possibile aspettare che prima si abbattano e si costruiscano in zone contigue i palazzi inabitabili della zona bradisismica, o che si accendano tutte le betoniere in quel di Bagnoli prima di imporre divieti al cemento residenziale per dare spazio al progetto di riqualificazione dell'ex area industriale, che rimane e fino a prova contraria, ad alta pericolosità vulcanica. D'altro canto e spiace dirlo, servono a poco pure i sit-in di protesta o le occupazioni delle sedi comunali, perché il problema è scientificamente irrisolvibile, in quanto i fattori naturali non possono essere piegati alle necessità della collettività stanziale. Quindi non è possibile dare certezze assolute in quest'area che appartiene al super vulcano: non ci sono garanzie, e quindi neanche l'apertura del portafoglio governativo con un sisma bonus rinforzato  può assicurare quella auspicata resilienza al riparo dai molteplici rischi insiti in questi territori ballerini...

Da un punto di vista della prevenzione strutturale del bradisismo, e solo del bradisismo, alcuni ricercatori suggeriscono la realizzazioni di pozzi e similari, da realizzare nel sottosuolo flegreo, più o meno a una quota d’interfaccia tra magma e spazio occupato dai gas ( 3 - 4 Km.), in modo da degassare il sistema, riducendo così la spinta crostale verso l'alto. In altri casi si propone il prosciugamento in alcuni siti delle acque che caratterizzano la circolazione sotterranea, in modo da togliere, più o meno e concettualmente, acqua alla caldaia magmatica che la trasforma in vapore surriscaldato. 

Nel primo caso riteniamo, e solo come opinione, che sarebbe un po' rischioso realizzare strutture degassificanti, classificabili come una sorta di sfiatatoi, magari perché i luoghi in questione sono fortemente urbanizzati e disequilibrati e già sottoposti a rischio alto di eruzioni freatiche. D’altro canto poi, il prelievo delle acque calde e fredde circolanti nel primo sottosuolo chilometrico, proposta questa fortemente innovativa, forse potrebbe presentare delle criticità ambientali, perché le acque emunte potrebbero modificare equilibri, e in tutti i casi potrebbero non essere idonee all'aspersione sui terreni o nel mare in quanto inquinate.  







mercoledì 26 febbraio 2025

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il bradisismo e la radice magmatica.. di MalKo

 

Il Golfo di Pozzuoli visto da Monte Nuovo.


I Campi Flegrei continuano a preoccupare i cinquecentomila cittadini che negli anni si sono insediati nella turbolenta caldera. La vita qui procede tra uno sciame sismico e l’altro, e la maggior parte dei puteolani vorrebbe certezze per poter decidere come vivere e dove vivere, senza subire il condizionamento delle possenti forze endogene che sembrano però, almeno e fino ad adesso, che si manifestino più per avvisare che per distruggere.

Il 18 febbraio 2025 presso le strutture comunali di Pozzuoli si è tenuto un dibattito pubblico sul bradisismo. Il direttore dell’osservatorio vesuviano ha aperto il confronto con una premessa tendente a sottolineare pure l’impegno indefesso del personale INGV ubicato negli uffici di Bagnoli. Un’attività di sorveglianza strumentale, precisa il dirigente, che si sviluppa anche nella parte calderica sottomarina che ha dinamiche simili a quella terrestre. Il sindaco di Pozzuoli invece, incalzato dai partecipanti, a un certo punto  ha sbottato chiamando in causa l’inerzia delle istituzioni che per quarant’anni non hanno fatto niente: osservatorio vesuviano compreso…

Il nuovo capo dipartimento della protezione civile ha tentato di mantenere il dibattito a un livello accettabile, riferendo in un impeto di verità e sotto la spinta incalzante di una domanda, che se i terremoti dovessero arrivare o superare la soglia del 5° Richter, cadono i palazzi e conto i morti: funziona così!

L’assessore alla protezione civile del comune di Napoli invece, successivamente e a proposito del bradisismo, ha dichiarato che:<< la natura del problema è una degassificazione della massa di magma. Questa massa è ferma ma c’è un gas che sale e spinge, questa è la genesi del bradisismo che esiste da molte migliaia di anni>>.  Se l’assessore ci assicura che il magma è fermo, l’osservatorio vesuviano da tempo ribadisce che grazie alle strumentazioni multi parametriche disseminate nella caldera a mare e in terra, ai loro strumenti non sfuggirebbe una eventuale ascesa del magma, consentendo così di allertare per tempo il dipartimento della protezione civile...

Notizie rassicuranti... d’altra parte invece, occorre aggiungere che nessuno è in grado di sancire con certezza quale sia la genesi del bradisismo, anche se il fenomeno in modo diretto o indiretto è inequivocabilmente legato alla presenza del magma nel sottosuolo, che forse, e per la parte intrusiva, sembra che giaccia a pochi chilometri di profondità. Secondo teorie che vanno per la maggiore, da questo ammasso rovente vengono rilasciate enormi quantità di gas, che diffondono calore attraversando gli acquiferi che si trasformano in vapore surriscaldato, producendo rigonfiamenti crostali fino ai limiti di rottura degli ammassi litoidi sovrastanti, generando così terremoti. 

Zona bradisismica e zona bradisismica ristretta (colore lilla).

L’incertezza c’è, perché in assenza di teorie deterministiche non si può escludere che il magma invece di trovarsi in una condizione statica si muova, magari periodicamente, magari lentamente e compulsivamente per effetto degli attriti, in tutti i casi spaccando e fessurando gli strati rocciosi, favorendo così il rilascio di calore per irraggiamento e convezione, generando nelle interfacce tra fluidi e rocce fuse sovrappressioni importanti. Non si può neanche escludere una via di mezzo tra le due teorie che prevedono un magma statico  ma a tratti anche dinamico. 

In sintesi, l’incertezza scientifica circa le cause del bradisismo nei Campi Flegrei continua ad essere tale: un po’ più certa invece, è la constatazione che i tempi d’intervallo tra una crisi bradisismica e l’atra sembra si siano accorciati. Gli ipocentri dei terremoti rimangono superficiali e racchiusi in un ambito calderico puteolano e poco oltre, così come le emanazioni gassose lasciano registrare portate volumetriche più da vulcano attivo che quiescente. Quanto possano essere preoccupanti questi segnali d’irrequietezza del vulcano, ce lo potrà dire solo la commissione grandi rischi.

In assenza di uno studio che metta fine alle perplessità scientifiche, dovrà essere compito precipuo delle maestranze istituzionali, lavorare in termini di prevenzione sui pericoli insiti in questo territorio, senza affezionarsi a quello sismico sminuendo quello vulcanico magari perchè portatore di deterrenza all'edilizia residenziale. Ricordiamo la profonda differenza che sussiste tra i due pericoli entrambi di origine naturale. Quello sismico comporta all’occorrenza l’allontanamento di poche decine di metri dal fabbricato per mettersi al sicuro: una misura prudenziale soprattutto se lo stabile non è integro o antisismico.  Per il pericolo vulcanico invece, è necessario allontanarsi dalla zona rossa flegrea a prescindere dalla resistenza strutturale dei palazzi, delle ville, delle abitazioni, che rimane un dato totalmente ininfluente.

Anche sui tempi di comparsa del pericolo c’è differenza: quello sismico ancorchè imprevedibile è di subitanea percezione fisica. Il pericolo vulcanico invece, nella sua forma massima dettata dall’innalzamento della colonna eruttiva, è un evento che forse e auspicabilmente potrebbe essere previsto ore prima dal centro di monitoraggio preposto a vagliare tutti i sintomi preeruttivi. L'analisi dei dati verrebbero condivisi con la commissione grandi rischi, che dovrà all'occorrenza esprimere un parere finale sull'allerta vulcanica. L’allarme in tutti i casi potrà essere diramato solo dalla presidenza del consiglio dei ministri.

Alla fine parliamo di due condizioni di rischio, quello sismico e quello vulcanico, a cui si aggiunge il pericolo insidioso delle eruzioni freatiche che potrebbero accompagnarsi a notevoli emissioni gassose che pure non vanno sottovalutate. Ci si può sottrarre definitivamente da questi rischi potenziali, solo andando a risiedere fuori dalla zona rossa dei Campi Flegrei. Con questi presupposti, francamente le politiche di resilienza gridate a vessillo di autodeterminazione del popolo puteolano, sono di difficile comprensione, diremmo di non senso, perché dei fenomeni che stiamo discutendo non v'è alcun indice di durata conosciuto. Quindi non si tratta di resistere qualche anno, bensì per chissà quante generazioni. D’altro canto sono gli stessi esperti che, discutendo del bradisismo, lo definiscono un fenomeno ultra millenario… Allora quella sulla resilienza è una propaganda non innocua, perché questo pourparler potrebbe non fare gli interessi delle popolazioni esposte, ma neanche di quelle future, visto che erediteranno manufatti e bel panorama, ma con tanto di rischio annesso.

C'è poi l'idea avanzata dall’intergruppo Sviluppo Sud, Aree Fragili e Isole Minori, di utilizzare il patrimonio edilizio dell'entroterra campano che, per una serie di motivi è stato abbandonato, e che secondo le loro valutazioni può essere utilmente riutilizzato dai cittadini che all'occorrenza devono evacuare i territori vulcanici napoletani. Occorre dire nel merito, che se certi territori si sono spopolati sicuramente la motivazione dovrebbe essere ricercata nella mancanza di servizi, di lavoro e di moderni ed efficaci sistemi di collegamento ferroviario e viario senza contare la denatalità incalzante. E poi queste dimore come verrebbero assegnate e a che titolo agli evacuati: comodato d'uso? Vendita? Affitto? E chi dovrebbe provvedere intanto alla loro manutenzione e riqualificazione  antisismica straordinaria e periodica? Lo Stato non può assegnare strutture fatiscenti e vulnerabili sismicamente o peggio ancora soggette a frane e alluvioni a cittadini in fuga dall'eruzione. E in linea di principio non può neanche assegnare una abitazione a chi una casa già ce l'ha... Diverso sarebbe il discorso post eruzione, ma siamo sicuri che in questo caso buona parte dei cittadini allontanati pretenderebbero una dimora a ridosso delle grandi città campane, col fine di rinascere dalla catastrofe.

Da un punto di vista tecnico, la criticità attuale della caldera flegrea è racchiusa negli intervalli delle crisi bradisismiche che sono sempre più brevi mentre i sismi più intensi e l'insieme è accompagnato da incertezza interpretativa sul rischio vulcanico. In prima battuta bisogna fare i conti con i terremoti proprio in ragione della loro frequenza. Per assicurare protezione, è possibile stanziarsi in via provvisoria in tende, roulotte o container possibilmente non particolarmente in vista per motivi di privacy. L’utilizzo di strutture temporanee che dovrebbero sorgere secondo alcune logiche fuori dalla zona bradisismica, risolverebbe in una certa misura il problema dell’incolumità fisica, senza che si occupino strutture di pubblica utilità come le scuole. A proposito delle scuole, sarà sempre il capo d'istituto a decidere l'eventuale abbandono dell'edificio scolastico susseguentemente a una scossa di terremoto. La percezione del pericolo infatti, è in capo a chi sta sul posto e ha un ruolo decisionale.

La qualificazione sismica di tutti i fabbricati a partire da quelli pubblici e strategici ubicati all'interno della zona bradisismica, potrebbe essere l’unica strada percorribile nella direzione della prevenzione strutturale di difesa dai terremoti. Purtroppo neanche il più nervato dei fabbricati, pubblico o privato o strategico che sia, ancorché ricco di acciaio e cemento,  può fronteggiare la minaccia vulcanica, che racchiude in sé fenomeni altamente distruttivi e incompatibili con la vita umana.


Nella circonferenza rossa la zona a rischio vulcanico. In quella celeste si circoscrive 
la zona a rischio bradisismico, in quella lilla la zona bradisismica ristretta.

Volendo fare un discorso completo e magari impopolare, occorre dire che nel puteolano si potrebbe concretizzare un paradosso, un caso limite, cioè di edifici destinatari di risorse economiche importanti, e quindi abbattuti e ricostruiti o ristrutturati e riqualificati e resi antisismici che, per manifesto pericolo vulcanico, dovrebbero essere immediatamente abbandonati per dare corso all'evacuazione dalla zona rossa. 

E allora questa premessa chiama in causa le responsabilità politiche, perché la riqualificazione antisismica degli edifici se avverrà a spese dello Stato, sarà merito di tutti gli italiani chiamati a collaborare per la parte economica attraverso le tasse. Allora il buon amministratore della cosa pubblica, non può consentire di abbattere un fabbricato nella zona bradisismica ristretta destinataria di 3 livelli d’intervento d'emergenza, per poi ricostruire il manufatto nei dintorni e in ogni caso in zona rossa, cioè  quell’area che può essere flagellata dai flussi e dalle ondate piroclastiche…

Se dovesse manifestarsi un’eruzione esplosiva, il comprensorio che ne subirebbe le conseguenze sarebbe ben più ampio del solo bacino bradisismico, addirittura  potrebbe essere minacciata la stessa città di Napoli, quella storica, quella gialla, i cui contrafforti collinari di Posillipo potrebbero non essere sufficienti a proteggerla.

zona rossa e gialla Campi Flegrei


La possibilità che la prossima eruzione sia una fotocopia di quella che si manifestò nel 1538 con la nascita del Monte Nuovo, è una ipotesi in ogni caso non scevra da problematiche importanti, come quelle connesse all'applicazione del piano di evacuazione nella sua interezza, atteso che la zona è pesantemente urbanizzata. In tutti i casi, questa ipotesi sussurrata nei corridoi scientifici, non è una certezza asseverata da elementi probatori importanti, e quindi pur auspicandola nella peggiore delle ipotesi come male minore, non bisogna smettere di indicare l’intera caldera come settore a rischio. D’altra parte come più volte è stato detto, non si conosce neppure il punto eruttivo della futura eruzione, e neanche se la bocca sarà una sola.

Nel frattempo la politica dovrebbe perseguire il perseguibile, mettendo a punto i piani di emergenza e di evacuazione con profondo senso pratico tenendo in debito conto quelli che potrebbero essere i comportamenti delle persone a fronte di allarmi vulcanici, bradisismici, sismici, da eruzioni freatiche e da rilascio massivo di gas magmatici. Poi, un'evacuazione con l’eruzione alle spalle fu seccamente esclusa dal dipartimento della protezione civile. Purtuttavia una siffatta condizione è una probabilità remota ma non fantascientifica da valutare attentamente...



lunedì 2 dicembre 2024

Rischio Vesuvio: la prevenzione al ribasso...di Malko

Le zone pericolose al Vesuvio

Per poter meglio rappresentare i concetti ad oggetto la prevenzione della catastrofe vulcanica legata a una possibile eruzione del Vesuvio, una premessa che spieghi in che modo  è stato suddiviso il territorio della plaga vesuviana è necessaria per la comprensione della diversificazione del pericolo. Lo spaccato proposto in basso ci sembra adatto allo scopo.



La zona rossa 1 (R1) circoscrive il territorio invadibile da qualsiasi fenomenologia vulcanica, ma soprattutto dalle micidiali colate piroclastiche che andrebbero a formarsi prevalentemente  in seno ad eruzioni esplosive di tipo sub pliniane (VEI 4) e pliniane (VEI 5). Tale dirompente fenomeno in genere si presenta susseguentemente al collasso della colonna eruttiva, che può raggiungere altezze stratosferiche, per poi collassare sui pendii del vulcano scivolando e avanzando con violenza distruttiva sul terreno, ma anche sul mare, a una temperatura di diverse centinaia di gradi Celsius, sufficiente e in pochi secondi, a vaporizzare i liquidi corporei di chiunque venisse raggiunto dai flussi ardenti.

Per poter stabilire a che distanza dal Vesuvio ci si possa ritenere sufficientemente al sicuro da siffatta micidiale fenomenologia, occorre adottare un’eruzione di riferimento indagandone il passato rappresentato dai limiti di deposito del materiale veicolato dai flussi nella loro avanzata.

Nel merito del problema, gli strateghi hanno ritenuto di non pianificare sull’eruzione massima conosciuta al Vesuvio, bensì su quella che loro considerano l’evento massimo probabile. Con siffatta premessa, l’autorità scientifica ha indicato come eruzione di riferimento una sub pliniana, evento medio con indice di esplosività VEI 4. Con questo incipit è stata individuata la zona rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica.



La zona rossa 2 (R2) invece, individuata a est del vulcano, è quella dove il sistema di protezione civile ritiene pericolose non già le colate piroclastiche, bensì la notevole pioggia di cenere e lapilli che renderebbe nel giro di qualche ora, la vivibilità anche in zona rossa 2 pericolosa o quantomeno problematica. Gli accumuli poi dei prodotti piroclastici sui tetti piani, causerebbero il crollo delle coperture meno resistenti, e a seguire dei solai sottostanti. Le ceneri sottili asperse in aria comporterebbero con il loro contenuto di silicio seri problemi alla respirazione e agli occhi. Il contesto sarebbe di oscurità, con disturbi alle telecomunicazioni e il blocco dei motori. Le zone rossa 1 e 2 hanno caratteristiche diverse, anche se il colore identifica e accomuna la stessa necessità dell’evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo. Stranamente, in zona rossa 1 sussiste l’inedificabilità ad uso abitativo (legge regionale 21/2003), mentre non ci sono limiti residenziali in zona rossa 2. 

La zona gialla è quella dove la ricaduta di cenere e lapilli dovrebbe essere di minore intensità. In ogni caso il fenomeno potrebbe cagionare molti disagi agli abitati che si trovano allineati  col cratere e col vento che generalmente spira verso est. Il piano di emergenza nazionale prevede di evacuare in corso d’eruzione quei settori gialli maggiormente colpiti.

C’è poi una zona blu a nord del vulcano, poco pubblicizzata dai media, che interessa la superficie depressa del nolano. I problemi in questo settore sarebbero quelli propri della zona gialla, a cui si aggiungerebbero quelli alluvionali dettati dalla gran quantità d’acqua espulsa dall’eruzione, in un contesto di terreni impermeabilizzati dalle ceneri fini. In passato il livello delle acque che si accumularono nella conca nolana, superarono largamente i due metri di altezza.



 Gli eventi estremi.

Sembrerà strano, ma grazie a stazioni di osservazioni astronomiche anche amatoriali, in genere si riesce a cogliere in anticipo il rischio di un impatto con un meteorite, pure mesi prima, stabilendo l’entità del pericolo dalle dimensioni dell’oggetto, dalla composizione chimica del corpo astrale, dalla sua velocità e dalle coordinate stimate di contatto con una precisione a mano a mano crescente.

Purtroppo, essendo il sottosuolo terrestre precluso alle indagini dirette, se non in un modo puntiforme e con profondità massime fin qui raggiunte di circa 12 chilometri, l’analisi dei dinamismi che agitano la litosfera, sono  affidate alle prospezioni indirette, e quindi inevitabilmente nella loro complessità sono generiche, e almeno per il momento senza una particolare utilità deterministica necessaria per la previsione delle catastrofi naturali ascrivibili ai terremoti e alle eruzioni vulcaniche.

In altre parole, non è possibile prevedere quando si manifesterà la prossima eruzione del Vesuvio, anche se molti esperti sono sicuri che l’eventuale progredire dei prodromi pre-eruttivi, fornirebbero elementi utili per definire in tempi corti e con buona approssimazione il momento dell’eruzione.

I piani di emergenza e di evacuazione sono tarati su settantadue ore, quale tempo che gli strateghi ritengono necessario per il rapido allontanamento dei settecentomila abitanti dalla plaga vesuviana. Quindi, una previsione per essere utile deve comprendere un allarme rosso diramato con sufficiente anticipo sull'evento, calcolando pure il tempo necessario per lanciare e rilanciare il segnale di rapido allertamento (it-alert) alla popolazione. I tempi dell'azione si abbreviano se ogni cittadino conosce bene il da farsi all'occorrenza, muovendosi secondo i dettami del piano di emergenza, e senza alcun tentennamento nell'assunzione delle decisioni che comprendono l’impossibilità di salvare i beni materiali.

L’espediente evacuativo consentirebbe di interporre entro 72 ore una distanza (d) tra il pericolo eruttivo (P) e il Valore esposto (VE). 


 

Le modalità evacuative sono state diversificate e sono state formalizzate secondo logiche aritmetiche come da palline sul pallottoliere, e quindi l’efficacia delle procedure di allontanamento rapido non sono matematicamente assicurate, così come non c'è certezza del disciplinato comportamento della popolazione, che è strettamente commisurato alla percezione fisica del pericolo. A tal proposito le autorità sperano in un massiccio allontanamento della popolazione già nella fase di preallarme, per avere numeri ridotti da mobilitare se si arriva al livello successivo di allarme. Tecnicamente però, anche qui non c’è certezza che si riesca a cogliere la soglia del preallarme, così come non c’è certezza sui tempi di durata di questa condizione geologica, se la si coglie, e che può dilungarsi oltre misura, o al contrario essere immediatamente surclassata o addirittura saltata dall’allarme generale rosso.

Il vulnus non è solo nella previsione d'eruzione assolutamente incerta, ma è anche sulla incognita della tipologia eruttiva. Infatti, non è dato sapere in anticipo quando e con quali caratteristiche le energie irromperanno in superficie, perché eventuali prodromi possono forse annunciare in tempo utile il momento eruttivo, ma non la tipologia dell’eruzione che rimane un dato qualificabile solo dopo l’eruzione. 

Questi due elementi di incertezza sono la spina nel fianco delle pianificazioni di emergenza, tanto nel vesuviano quanto nel flegreo. Quindi, nella formula semplificata del Rischio (R) R= P x VE che prima abbiamo schematizzato graficamente, occorre evidenziare che il rischio aumenta se aumentano uno o entrambi i fattori in formula. Il Pericolo (P), cioè la pericolosità vulcanica, è destinata ad aumentare col passare dei decenni, dei lustri e dei secoli. Purtroppo anche il valore esposto (VE), in assenza di regole urbanistiche che vietino gli insediamenti residenziali leciti o illeciti, è un dato destinato a crescere. L’aumento dei due fattori provoca l'aumento del rischio vulcanico, che già oggi ha raggiunto livelli di inaccettabilità, perché il territorio non è strutturato e la popolazione non è preparata al meglio per una possibile evacuazione massiva.

Nella plaga vesuviana gli scienziati e i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania, hanno deciso, come detto, di pianificare tenendo conto di uno scenario eruttivo medio di tipo sub pliniano (VEI4), che accorperebbe anche le esigenze protettive legate a un evento VEI3 al Vesuvio, che gli esperti dell'osservatorio vesuviano tra l’altro reputano il più probabile. Rimane il fatto che assumendo un’eruzione media (VEI4) come scenario di riferimento per i piani di emergenza, si esclude di fatto l’eruzione pliniana dal novero delle possibilità  di accadimento, assegnando alle decisioni così assunte forzate caratteristiche  deterministiche che deterministiche non sono. Lo dimostra il fatto che non è stato elaborato alcun piano d’emergenza capace di fronteggiare eruzioni a maggiore energia. Questo modus operandi legato all’assunzione del pericolo medio e non quello massimo conosciuto negli scenari eruttivi di riferimento, certamente agevola la stesura dei piani di emergenza perché riduce il territorio d’intervento, ma con esso si riducono pure le superfici che dovrebbero essere inedificabili o regolamentate per assicurare politiche strutturali di prevenzione della catastrofe vulcanica, soprattutto a favore dei posteri...

Lo schema sottostante riporta le tre tipologie eruttive che possono interessare il Vesuvio, partendo dal principio che esiste un valore probabilistico che diminuisce marcatamente in rapporto all'aumento dell'indice di esplosività vulcanica. Nel merito della pericolosità, occorre ricordare che qualsiasi di queste tre tipologie eruttive produce la pioggia di cenere e lapilli. Le eruzioni sub pliniane e pliniane invece, si caratterizzano per la formazione anche di colate piroclastiche oltre a tutti gli altri fenomeni che caratterizzano un'eruzione esplosiva.



Gli eventi come un’eruzione pliniana sono quelli da cigno nero, cioè sono quelli estremi che sfuggono in linea preventiva ai modelli teorici di pericolo ancorché esclusi e marginalizzati dalla chiave probabilistica, tant’è che poco o per niente se ne parla in pubblico, perché subentra un certo imbarazzo a sostenere quello che quasi tutti giudicano una vera iattura da esorcizzare… D’altro canto è difficile mettere in guardia da un evento calamitoso di grandissima portata, quando non c’è esperienza diretta o ravvicinata di questi scenari peggiori, sia da parte degli scienziati che della popolazione.

Il pericolo vulcanico al Vesuvio contiene in sé tre possibilità  che possono caratterizzare operativamente lo sviluppo del fenomeno eruttivo con grandissime differenze per la salvaguardia della vita umana. Infatti, le condizioni  operative che possono segnare il momento preeruttivo, possono essere diverse:

-        mancato allarme;

-        falso allarme;

-        successo previsionale con relativa evacuazione.

Una quarta possibilità che non viene mai citata o presa in considerazione, il famoso vulnus di fondo, è insita proprio nella tipologia eruttiva, perché qualora l’eruzione dovesse assurgere a dimensioni da pliniana o simil pliniana, cosa che nessuno può escludere, si verificherebbe nella migliore delle ipotesi un successo previsionale accompagnato da catastrofe vulcanica. Per quanto rara questa possibilità, il surplus energetico fuori piano andrebbe a interessare e invadere con i flussi piroclastici anche la zona contigua alla rossa 1 e 2, che noi chiamiamo zona rossa VEI5. In questa corona circolare schematizzata nel grafico sottostante, non c’è alcuna prevenzione strutturale e sussiste l’impreparazione totale della popolazione che non è destinataria di procedure evacuative e né tantomeno pone attenzione al problema del rischio vulcanico. In altre parole, i residenti della zona rossa VEI5, in caso di eruzione rimarrebbero fermi o si muoverebbero tardi e caoticamente per sfuggire alle ostilità vulcaniche lì mai previste.  



Nel territorio della provincia di Napoli e a ridosso delle plaghe vulcaniche, l’urbanizzazione è partita da lontano ancorché favorita dai vantaggi offerti dal territorio fertile e dalla contiguità col mare che è una importantissima risorsa economica e commerciale. L’urbanizzazione non è stata evitata in passato perché le eruzioni, almeno nel nostro caso,  non sono eventi annuali come i monsoni, e poi perché nessuno voleva rinunciare alle sue proprietà terriere: la terra non è traslocabile... Più di recente perché nessun politico o amministratore o istituzione ha inteso ricordare al popolo amministrato e che di fatto non vuole politiche di ansia e di rinunce, che in questi territori ameni e ricchi di storia, la pericolosità eruttiva è immanente e senza possibilità di disinnesco. La notizia che alleggerisce l’ansia di vivere in un territorio a rischio, è stata offerta dalla scienza che palesa la possibilità di prevedere per tempo un’eruzione, così come riportato nelle FAQ dell’osservatorio vesuviano che recita: Non è possibile prevedere a lungo termine quando ci sarà la prossima eruzione. Tuttavia, grazie alla sorveglianza del vulcano è possibile rilevare con ampio anticipo l'insorgenza di fenomeni precursori, che generalmente precedono un'eruzione, e procedere all'evacuazione prima che avvenga l'eruzione.

Con questa ottimistica premessa, i problemi di tutela vitale automaticamente risultano tutti risolti, al punto da non doversi prevedere necessariamente sostanziali e drastiche politiche di prevenzione.

Rimane il dato tutt’altro che incoraggiante però, che anche le moderne stazioni multi parametriche esibite dall'osservatorio vesuviano come la chiave di volta tecnologica della previsione d’eruzione e quindi della sicurezza areale, forniscono in realtà solo dati che dovranno essere analizzati “manualmente” dalla commissione grandi rischi,  perché la previsione è ancora oggi una procedura ricca di dati da interpretare, che dovranno scontrarsi inesorabilmente con  le incognite dettate da un sottosuolo inesplorato, le cui dinamiche sono parti di sistemi complessi che dovranno essere sottoposti nel nostro caso al vaglio di esperti e poi della commissione grandi rischi, ovvero tutti scienziati che non hanno mai vissuto l’esperienza eruttiva o pre eruttiva dei vulcani napoletani.

Bisognerebbe partire dal principio che la pianificazione urbanistica territoriale in area vulcanica vesuviana, dovrebbe includere anche la zona di massima estensione del pericolo (VEI5), magari attraverso regolamentazioni, secondo logiche preventive volte all'adeguamento strutturale del territorio alle necessità dei piani di emergenza… Allo stato dei fatti invece, si sta verificando esattamente  il contrario, cioè che i piani di emergenza e di evacuazione devono e dovranno correre dietro alle irrefrenabili modificazioni del territorio dettate dalla speculazione edilizia, dall'abusivismo, e prima ancora dalla miopia politica di cui abbiamo un fulgido esempio nel flegreo. Infatti, il recentissimo disposto regionale assevera rischio sismico e vulcanico nella zona d'intervento, lasciando il grosso della zona rossa senza regole di prevenzione della catastrofe vulcanica... 


Zona d'intervento (celeste e viola) dove vige
l'inedificabilità a uso residenziale











mercoledì 21 agosto 2024

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: siamo solo all'inizio... di Malko

Pozzuoli. Rione Terra

 

             

Il pensiero della commissione grandi rischi, riunitasi alcune settimane fa su invito del dipartimento della protezione civile, è quello che nella zona rossa dei Campi Flegrei, ovvero quella ad alta pericolosità vulcanica, l'allerta codificata per il momento rimane sui livelli di attenzione (gialla).

Per le zone bradisismiche invece (figura in basso), soggette a sollevamento dei suoli quale conseguenza del vulcanesimo locale che induce sismicità a volte incalzante con ipocentri poco profondi, non si utilizzano colori per classificare lo stato di pericolosità zonale, perché questo dipende da molti fattori anche imponderabili in via preventiva, come la magnitudo e la profondità ipocentrale dei terremoti. I sismi sopraggiungono improvvisi abbattendosi su fabbricati di diversissima fattura costruttiva, e quindi con una risposta statica e dinamica alle sollecitazioni crostali molto differente. A evento sismico avvenuto, si andrebbero a valutare gli eventuali danni subiti dall’edificato, dalle infrastrutture e dai sottoservizi nell’area colpita, classificando le criticità secondo una scala crescente da 1 a 3.



Probabilmente sarà proprio la notevole fratturazione degli ammassi litoidi che caratterizzano i primi chilometri di profondità della caldera flegrea, ad evitare accumuli di energia oltre misura. In ogni caso trattasi di una considerazione non deterministica, che può essere di minimo  conforto solo per chi vive in fabbricati robusti o antisismici, e che ad oggi non hanno presentato cenni di cedimento statico, nonostante le numerose sollecitazioni bradisismiche e sismiche.

Per coloro che dimorano in alloggi strutturalmente fatiscenti invece, occorre che tengano in debita considerazione anche livelli di sismicità modesti.  La magnitudo massima che potrebbe colpire le zone soggette al bradisismo, per le ragioni addotte in precedenza, difficilmente dovrebbe assurgere a livelli catastrofici; purtuttavia a fare la differenza è la bassa profondità degli ipocentri, che renderebbe temibile qualsiasi sussulto crostale. Quindi, ai Campi Flegrei non ci sono consolidate e definitive conclusioni geologiche da offrire al pubblico, tanto per il fenomeno del bradisismo quanto per i terremoti e per la pericolosità vulcanica in tutte le sue forme. Quest’area geografica è sede di rischi naturali, e anche se la crisi bradisismica attuale dovesse scemare o concludersi come del resto è successo pure nel recente passato, non è difficile ipotizzare che il fenomeno si ripresenterebbe col tempo, portando seco gli stessi fenomeni bradisismici e sismici con il pericolo vulcanico tra l’altro, permanentemente immanente.

Le popolazioni flegree cercano dai dettami della scienza e della tecnica, ma soprattutto dalla politica, elementi utili per corroborare la loro volontà di resilienza. Generalizzando, il cinismo o la sprovvedutezza  degli amministratori locali e regionali, che hanno negli anni consentito la nascita della calderopoli flegrea, si è rivelato un danno in termini di vivibilità non solo per la comunità  attuale, ma anche per i posteri. Questi ultimi tra l’altro, non hanno la possibilità di votare come gli italiani all’estero, e quindi, sono meri destinatari delle decisioni popolari o impopolari del nostro tempo.

Nei Campi Flegrei, a fronte dei multiformi pericoli naturali insiti nel vulcanesimo dell’area, sussiste un overbooking edilizio che espone a tutt’oggi gli oltre 500.000 residenti a un rischio serio ancorchè non limitato temporalmente, neanche col passare di decine di generazioni. Se l’antica cittadina romana di Baia era meta ambita dalle famiglie in vista dell’Urbe, ebbene ora l’abitato coi suoi peristili e mura e mosaici è sott'acqua. Questo vuol dire che nonostante siano passati decine di secoli, il fenomeno vulcanico è sempre in auge, e quindi nessuno può escludere che la Baia romana magari risorga dal mare nel corso degli anni... Il comprensorio ardente potrebbe essere dichiarato vulcanicamente estinto, se da qui all’anno 11.538 non dovesse verificarsi alcuna eruzione…

Come si vede dalla cartina sottostante, le due zone bradisismiche, quelle a colori celeste e viola, ricadono interamente all’interno della caldera flegrea, e quindi nella zona rossa ad elevato rischio vulcanico, occupando addirittura un posto centrale. Questo significa che in tutti i casi i settori bradisismici, fanno parte del più vasto distretto dove il rischio vulcanico è una costante e non una variabile ancorchè residuale del territorio.



Con queste premesse di multirischio infra calderico, non si capisce di quale resilienza parlano gli amministratori locali. Ogni  nuova casa che si aggiunge alla conurbazione esistente, comporta un aumento del rischio e una rendita negativa per lo Stato, ma soprattutto è un lascito ereditario ai posteri fatto di pericoli, incertezze del quotidiano, con la minaccia eruttiva che incombe a permanenza su proprietà e vite umane, a prescindere dalla qualità antisismica delle costruzioni che non incidono sulla sopravvivenza da eruzione esplosiva.

L’antropizzazione serrata della caldera flegrea, ha portato quest’area ad essere tra le più pericolose del mondo, alla stregua del distretto vulcanico vesuviano che non è da meno. Al Vesuvio, sono oltre venti anni che vige la legge regionale 21/2003, che vieta qualsiasi realizzazione di opere edilizie di taglio residenziale, anche se di recente gli stessi uffici regionali pertinenti per la programmazione urbanistica, pare che vogliano aprire spiragli per ridimensionare i divieti tuttora vigenti nella zona rossa Vesuvio.  

Il dato che ci sembra emergere a proposito della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica, è quello di un mondo politico, generalizzando, miope o disattento. Un j’accuse che bisogna forse estenderlo pure al mondo scientifico, che poteva fare meglio la sua parte informativa, magari omettendo di lasciar trapelare a favore di telecamera, la quasi certezza della previsione del momento eruttivo, grazie a stazioni di monitoraggio multi parametriche, che in realtà ci sembra che siano multi strumenti ficcati all’interno di stazioni ubicate in vari punti della caldera flegrea. Certamente strumentazioni di buon livello tecnologico aiutano a monitorare il vulcano, ma non a garantire una previsione dell’eruzione che rimane ancora un procedimento “manuale” a cura della commissione grandi rischi e non dell’osservatorio vesuviano. Tra l’altro in una terra avvezza ai sommovimenti percepibili e visibili  addirittura a occhio nudo, coi fondali marini all'asciutto, con emanazioni gassose contate a tonnellate e deformazioni dei suoli decimetriche, un dato micrometrico sarebbe forse di difficile interpretazione previsionistica, soprattutto in assenza di dati pregressi preeruttivi…

Può darsi che non è stato neanche del tutto proficuo per la sicurezza, infondere l’idea che si possa monitorare con precisione l’ascesa del magma. Nel merito della previsione dell’evento vulcanico quindi, sembra che siamo ancora in una fase d’impasse, che forse andava sottolineata senza mitigazione, fornendo così elementi di deterrenza per quanti volevano sulla scorta della disinformazione, investire nel mattone nella calderopoli, 

Tra le tante cose da dire sull’argomento, c’è anche quella ad oggetto la pianificazione d’emergenza, che è nata su uno scenario eruttivo di riferimento di tipo sub pliniano dall’indice di esplosività vulcanica VEI4. Questo per dire che forse è stato ed è controproducente, che referenti scientifici istituzionali indichino l’eruzione tipo Montenuovo 1538, come quella attesa e più probabile. Innanzitutto perché ciò che si dice sullo stile eruttivo della futura eruzione è un pourparler tendente alla rassicurazione ma senza l’onere della responsabilità dell’affermazione. E lo si dice in presenza di una pianificazione VEI4, dalla quale sono derivati i limiti territoriali della zona rossa vulcanica, che comprende totalmente tutta l'area calderica. Bisognerebbe quindi evitare tutte quelle affermazioni che possono essere fuorvianti per l’opinione pubblica, anche perché non c’è un piano differenziato d’intervento basato sull’indice di esplosività vulcanica, che rimane, purtroppo, un dato appurabile solo dopo l’eruzione. Quindi, gli enti di monitoraggio si attengano ai fatti anche perché nei contratti di vigilanza e monitoraggio sussiste un certo dovere condivisibile o non condivisibile alla riservatezza, piuttosto che alle rassicurazioni. Se c’è da rassicurare rimandiamo l’onere a chi stabilisce le fasi operative e non i livelli di allerta. D’altra parte anche un’eruzione di bassa intensità rappresenta un problema serio se non si specifica il punto o i punti eruttivi dove possono presentarsi le dirompenze vulcaniche, che non è detto che debbano coincidere col punto di massimo sollevamento del suolo…

Un deputato pochi giorni fa ha avanzato la necessità di finanziare l’osservatorio vesuviano in modo da poter far assumere due tecnici e due ricercatori. Riteniamo che l’osservatorio vesuviano debba essere finanziato innanzitutto per spostare la sede di sorveglianza e ricerca fuori dalla zona rosse vulcanica e bradisismica dei Campi Flegrei, in modo da avere all’occorrenza e nei momenti topici, una struttura pienamente operativa e non impegnata a caricare i materassi sui camion.

Gli amministratori regionali della Campania, su input legislativo del Ministro della protezione civile, dovranno adottare strumenti legislativi assolutamente inibitori alla realizzazione di ulteriore edificato ad uso residenziale nell’area calderica dei Campi Flegrei.  In tempi brevi tra l’altro, per non rischiare la procedura di surroga da parte dello Stato. Ecco allora che questa importantissima iniziativa strutturale di prevenzione favorita dal Ministro, sta suscitando mugugni che si trasformeranno molto presto in serrato confronto, se non verranno trovate in sede regionale soluzioni, meglio dire escamotage, per estrapolare con alchimie amministrative almeno la spianata di Bagnoli dai vincoli inedificatori…

Già… la spianata di Bagnoli. Quelli bipartisan, generalizzando, studiano la mossa del cavallo in ambito regionale, e non è da escludere che faranno sentire la loro voce con tutte le armi disponibili, a iniziare dalla acclarata capacità tecnica di buttare giù super pilastri armati da poter essere utili addirittura al gigante Atlante nel sostentamento del suo fardello planetario. Gli astuti politici metropolitani e regionali, in sintonia con una certa componente politica nazionale d’estrazione campana,  da anni si coccolano la spianata di Bagnoli, specialmente ora che verrà finanziato a cura dello Stato, il risanamento ambientale dell’ex area industriale litorale compreso.

Con l’approssimarsi delle scadenze imposte dal decreto bis Campi Flegrei, che ha formalizzato la necessità di non costruire oltre nella zona rossa, è probabile che assisteremo a strenue battaglie politiche, popolari, sindacali, associative, laiche e religiose. Non è da escludere la formazione di un fronte di opposizione con bandiere e slogan anti governativi, che in barba a qualsiasi criterio di prevenzione del rischio vulcanico, chiederà che non sia frenato il piano di urbanizzazione di Bagnoli, comprendente pure appartamenti di pregio con vista mare. Per noi la migliore riconversione della spianata di Bagnoli è quella di destinarla ad  area strategica di protezione civile, con tanto di elisuperficie e di approdo rapido dei natanti veloci…

Tra le strutture che iniziano a sentirsi a disagio con le iniziative anti cemento del Ministro Musumeci, si annovera l’assessorato all’urbanistica regionale: ufficio mai depositario o ispiratore di iniziative volte alla prevenzione del rischio vulcanico. Siamo altresì sicuri che faranno sentire i loro borbottii pure taluni amministratori metropolitani, membri di rilievo del comitato partenoflegreo, in quanto particolarmente inclini a ritenere il rischio vulcanico neanche nominabile. Una legge anti cemento, piaccia o non piaccia invece, è l’unica misura di prevenzione seria per evitare il disastro vulcanico, anche in capo ai posteri, a cui non dobbiamo o non dovremmo tramandare un territorio trasformato in una calderopoli asfittica multirischio, la cui programmazione urbanistica è stata lasciata sotto varie forme in mano ai businessmen.

Pare che siano due parlamentari campani, quelli che hanno proposto lecitamente un emendamento al decreto Campi Flegrei bis, acchè la spianata di Bagnoli fosse estrapolata dai divieti di urbanizzazione. L’appello doveva essere rivolto alla natura e non a Musumeci, che non ha il potere di abolire i pericoli in modo puntiforme e per decreto… Del resto questa infelice proposta forse era nell’aria, come dimostra la prima cartina pubblicata sul web (in basso):  le zone bradisismiche stranamente aggirano la spianata di Bagnoli che non ha colorazioni di merito… 



La condizione per operare di prevenzione a fronte del pericolo vulcanico (P), è quella di tenere strutturalmente separato il valore esposto (VE), rappresentato dalla vita umana, a una distanza di sicurezza (d) dal distretto vulcanico che potrebbe dirompere con fenomeni molto pericolosi come le colate piroclastiche o eventi similari. Ecco: il limite della zona rossa vulcanica è dettato proprio dalle eruzioni passate e dai limiti di scorrimento dei flussi piroclastici rilevati sul campo dai geologi.

Il piano di evacuazione è una misura di ripiego dettata da due impossibilità: la prima è quella di spostare o ingabbiare il vulcano, cioè il pericolo; l’altra è quella di spostare dalla zona pericolosa e da subito gli oltre 500.000 abitanti della zona rossa flegrea per proteggerli preventivamente: il numero dei residenti è pari a quelli che si contano nella città di Genova…


Nella formula del rischio semplificata, è evidente che all’aumentare di uno dei due fattori (P e VE) il rischio aumenta. Se aumentano entrambi il rischio diventa insostenibile. In una tavola rotonda organizzata alla Regione Campania alcuni anni fa, presente il sistema di protezione civile, fu affermato che la pericolosità vulcanica non aumenta col passare dei secoli. Affermazione buttata lì per stroncare ogni critica che avanzavamo sull’operato del sistema in tema di prevenzione, quale disciplina che ritenevamo profondamente disattesa. Intanto e per inciso, le pubblicazioni scientifiche dicono tutt’altro sui tempi di quiescenza e sulla pericolosità vulcanica che aumenta... Continuando, in assenza di leggi anti cemento aumenta anche il valore esposto. Ne consegue che non potendo agire sul pericolo vulcanico, occorre concentrarsi necessariamente e strutturalmente sul valore esposto (residenti), che non deve più crescere numericamente, anzi deve diminuire col tempo, azzerandosi repentinamente nei momenti di estremo pericolo vulcanico, grazie a un piano di evacuazione susseguente la previsione d’evento, che al momento non è certa, pur essendo la chiave di volta attuale della sicurezza areale. Purtroppo e alla luce delle odierne conoscenze, la previsione d’eruzione potrà essere solo probabilistica e non deterministica. Ne consegue che non si potranno escludere  anche situazioni da falso allarme o peggio ancora di mancato allarme. Il mancato allarme è una probabilità catastrofica da evitare a ogni costo. Il falso allarme che in tutti i casi comprende l’evacuazione, sarebbe un problema, perché per dichiarare il cessato allarme poi, occorrerebbero tempi lungi di osservazione e monitoraggio geologico, fino a quando qualcuno non si assumerà la responsabilità del rientro dei cittadini nel flegreo. 

Nel 2003 il presidente regionale Antonio Bassolino, riuscì a far approvare la legge 21 che proibiva nella zona rossa Vesuvio, zona ad altissima pericolosità vulcanica, qualsiasi ulteriore urbanizzazione a scopo residenziale. Qualcuno ironizzò chiamando in causa anche la necessità allora di regolamentare le nascite...il mattacchione non calcolò che le morti superano le nascite. Qualcun altro chiamò in causa il TAR, per vedersi riconosciuto in ogni caso il diritto ad edificare in zona rossa, in forza del possesso di autorizzazioni e licenze antecedenti rispetto alla data d’instaurazione del divieto 21/2003. Il Tribunale regionale respinse questa tesi, perché nel momento in cui si appura un pericolo, questi prevale su qualsiasi retrodatazione degli atti amministrativi autorizzativi. Diversamente, sarebbe come dire faccio il pergolato con lastre di amianto perché ho l’autorizzazione a farlo con data antecedente ai disposti di legge che hanno sancito il pericolo cancerogeno del prodotto (asbesto)…

Il Ministro Musumeci si sta spendendo per arrivare a serie e logiche proposte di prevenzione del rischio vulcanico. Proibire la realizzazione di residenze nelle zone ad alta pericolosità vulcanica è una misura inoppugnabile di civiltà, che sarà riconosciuta da tutti, posteri compresi. Per quanto riguarda gli abusi edilizi perpetrati in area ad alta pericolosità vulcanica, abbiamo maturato l’idea che non dovrebbero essere condonati  perché il condono rende vendibile il manufatto, e con esso pure il fardello del rischio che dovrebbe  rimanere unicamente  in capo all’incauto costruttore.