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sabato 12 ottobre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: rischio accettabile?... di MalKo

Il Vesuvio visto dal treno

Quando si affronta  discorsivamente un pericolo come quello vulcanico, imponderabile nei tempi e  nell’intensità  energetica  e  quindi nella prospettiva di danno, occorre inquadrare l’argomento e le differenze che lo caratterizzano nei suoi aspetti principali:
  1. Non tutti i vulcani sono uguali e quindi le caratteristiche geologiche di uno non valgono per l’altro;
  2. Ogni eruzione anche se scaturisce dallo stesso apparato è sempre diversa da qualsiasi altra eruzione precedente;
  3. I prodromi pre eruttivi si differenziano in ogni eruzione tanto per la diversificazione dei fenomeni, quanto per i tempi di insorgenza, intensità e durata;
  4.  I vulcani a condotto chiuso hanno generalmente caratteristiche diverse da quelli a condotto aperto;
  5. Le caldere vulcaniche hanno notevoli differenze rispetto ai distretti vulcanici caratterizzati da un rilievo montuoso quale centro eruttivo;
  6. I vulcani sottomarini hanno incidenze di pericolo diverse da quelli subaerei, perché di solito sott’acqua scema la pericolosità eruttiva ma può innescarsi quella delle frane che potrebbero scatenare  maremoti;
  7. I vulcani che coi loro prodotti eruttivi formano isole, hanno un potenziale di pericolo diverso da quelli basati sulla terraferma;
  8. In Campania ci sono tutte le tipologie di vulcani appena indicate compresi quelli sottomarini che caratterizzano i fondali al largo del Cilento.
   Come abbiamo scritto in altre occasioni, riusciamo a convivere con i vulcani perché le eruzioni,soprattutto quelle di un certo livello energetico sono un fatto piuttosto raro. Chi è nato nel vesuviano nel 1944, data dell’ultima eruzione, oggi ha 75 anni e quindi non dovrebbe essere testimone ricordevole di un’eruzione, tranne rari casi riferibili a soggetti con un’età prossima o superiore ai 90 anni. Chi abita il flegreo non può essere stato matematicamente spettatore di un evento eruttivo perché l’area dei Campi Flegrei vive il suo 481 esimo anno di quiete vulcanica. A Ischia la pace geologica è ancora più acclarata, visto che non si segnalano eruzioni da 781 anni.  

   In Italia ma anche in tante altre parti del mondo, quando si registrano condizioni di disequilibrio, di agitazione (unrest) nelle viscere o nell'apparato vulcanico, si utilizzano colori o termini per marcare il livello di criticità,cioè di allerta vulcanica. La scheda sottostante per quanto riduttiva è forse quella più chiara sull’argomento.
I livelli di allerta vulcanica
La variazione dei parametri controllati comporta un passaggio da un livello all’altro in tempi non quantificabili, perché la progressione al rialzo e talora al ribasso dell’allerta, che non ha un procedere temporale da moto uniforme o uniformemente accelerato, dipende da elementi fisici e chimici in contesti dinamici, poco conosciuti e non quantificabili in termini di energie e resistenze e accumuli.

D’altra parte lo stesso Dipartimento della Protezione Civile per il vulcano Stromboli ha precisato che bisogna tener presente:<<… anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Con queste premesse appare alquanto strano che nell’attualità il Dipartimento della Protezione Civile abbia mantenuto nelle sue pagine web e per il Vesuvio, i livelli di allerta vulcanica indicati nella bozza di piano del 2001, che riportano anche un ulteriore dato offerto in chiave deterministica: i tempi di attesa eruzione. 
Questi sono da considerarsi una vera previsione scientifica ad excludendum dell’evento vulcanico. Evidentemente il terremoto dell’Aquila e il susseguente processo alla commissione grandi rischi, sono un ricordo troppo lontano per avere una funzione pedagogica attuale. La tabella è quella sotto riportata:


Secondo queste indicazioni, un’eruzione può manifestarsi dopo un tempo di quiescenza indefinito e comunque non meno di diversi mesi dalla variazione dei parametri controllati. La proclamazione dello stato di allarme, secondo gli esperti del dicastero, verrebbe diffusa con un margine di settimane prima del verificarsi dell’evento eruttivo.
In realtà siamo di tutt’altro avviso. I tempi di eruzione sono indefiniti e indefinibili con le conoscenze attuali. I tempi di attesa eruzione indicati nella tabella soprastante non corrispondono all’attualità scientifica, e il Dipartimento si assume una grave responsabilità a declamarli, perché in realtà non ci sono parametri neanche per definire la soglia di inizio dello stato di allarme, cioè il punto da dove incominciare a contare le due settimane di attesa eruzione.

Possiamo solo dire che la sensibilità della strumentazione di monitoraggio, potrà anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma un’eventuale escalation dei parametri controllati non prevede una soglia minima di sicurezza o una soglia massima per introdurre il successivo livello di allerta vulcanica propedeutico alle fasi operative. Infatti, dalla condizione di attenzione in poi, tutte le decisioni di proclamazione dello stato di pre allarme e allarme, saranno in capo al potere politico.

Le nostre misure di salvaguardia sono racchiuse allora nei prodromi pre eruttivi: questi segnali che cambiano da eruzione a eruzione e da vulcano a vulcano, sono gli elementi su cui si basa la previsione corta di quelle che potrebbero essere delle dirompenze magmatiche in arrivo e che magari si arrestano a pochi chilometri dalla superficie (mancata eruzione). La capacità tecnologica di cogliere i micro segnali fisici e chimici che registrano sul nascere una variazione dei parametri di monitoraggio vulcanico, sono elementi che devono essere soppesati e valutati soprattutto dalla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico che, ponderando le notizie pervenute dai centri di competenza (Osservatorio Vesuviano), offrirà all’autorità politica un parere di pericolosità vulcanica, ma non la decisione ultima che spetta, almeno fino alle prossime elezioni, al premier Prof. Giuseppe Conte che detiene i poteri di ordinanza e una serie di funzioni vitali supportate dal Comitato Operativo della Protezione Civile e presumibilmente dai ministri competenti.  

Un'altra riflessione è che le proprietà immobiliari sono inamovibili, e quindi il danno economico non è scongiurabile neanche con la più infallibile delle previsioni eruttive: la collocazione geografica non perdona... Occorre dire che la perdita delle proprietà certamente ha ben poca importanza rispetto all’incolumità fisica, ma non si può non riflettere sul fatto che cambierebbe per ogni sfollato la qualità della vita. Ovviamente la regola vale soprattutto per chi non ha residenze alternative o mezzi economici consistenti. Calcolando 550.000 evacuati nel flegreo, ci sarebbe all’occorrenza la necessità di reperire oltre 180.000 case che non potrebbero essere ricollocate nelle zone attraversate dalle colate piroclastiche o reinsediabili magari ancora in area vulcanica inventandosi altrettanti rioni Toiano 2 e 3 e Monterusciello 2 e 3…

Ma c’è un altro aspetto della faccenda: quello degli abusi edilizi, perché oltre ad essere titolari di diritti, dovremmo essere anche titolari di doveri, come quello di non costruire abusivamente in barba a leggi e regolamenti, in modo da essere a pieno titolo contemplati e all’occorrenza, fra quelli che devono essere assegnatari di case erogate dal sistema di pubblica assistenza. Il nostro pensiero, a proposito delle case realizzate abusivamente nei settori a pericolosità vulcanica, è quella sì di sanare gli abusi per evitare un conflitto sociale, ma renderli senza valore commerciale, cioè invendibili per evitare la trasmissione del rischio vulcanico dall'autore dell'insediamento a terzi.

Il Dipartimento della Protezione Civile nella pagina dedicata all’aggiornamento del piano nazionale di protezione civile, per il Vesuvio riporta testualmente: <<La nuova zona rossa, a differenza di quella individuata nel Piano del 2001, comprende oltre a un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2). La ridefinizione di quest’area ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare>>.

In realtà la zona rossa 2, quella soggetta a elevato rischio di crollo delle coperture, in caso di allarme vulcanico deve essere totalmente evacuata senza alcun distinguo: lo dice la direttiva Vesuvio del 14 febbraio 2014 a firma del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Non ci risulta infatti, per la ridefinizione di quest’area (rossa 2), che alcuni Comuni siano stati coinvolti per decidere unitamente alla Regione Campania, quale parte dei loro territori far ricadere nella zona rossa da evacuare. Il Dipartimento forse ha fatto confusione, perché alcuni Comuni inzialmente hanno tentato di differenziarsi, ma la chiamata in causa è stata per stabilire quale parte del loro territorio doveva includersi cautelativamente nel perimetro della zona rossa 1 e quindi nella morsa della legge regionale 21/2003 che vieta la realizzazione di nuove residenze nella zona ad alta pericolosità vulcanica. Qualche porzione di territorio l’hanno ceduta i Comuni di Nola, San Gennaro Vesuviano e più ancora Palma Campania. Il Comune di Napoli invece, Poggiomarino e soprattutto Scafati, sostanzialmente non hanno ceduto il resto di niente, per dirla alla Eleonora Pimentel Fonseca…  

Forse il Dipartimento dovrebbe incominciare ad interessarsi seriamente al rischio vulcanico, analizzando i propri scritti dopo aver visionato bene i rapporti e i pareri scientifici, e poi quelli amministrativi prodotti dalla Regione, e per finire analizzare le carte compilate dalle amministrazioni comunali, tentando alla fine un'operazione di armonizzazione dei vari testi, senza per questo ledere il diritto alla conoscenza e alla sicurezza dei cittadini esposti.

In chiusura vorremmo chiarire al Dipartimento, che nella zona rossa 1 vige il divieto di edificare palazzi; nella zona rossa 2 invece, si possono ancora costruire fabbricati e case e ville e mansarde con regolare licenza edilizia, in quanto questa zona è classificata solo a pericolosità vulcanica, mentre la rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica… fermo restante che sia i cittadini della zona rossa 1 che quelli della zona rossa 2, alla diramazione dell’allarme devono scappare gambe in spalle senza alcuna distinzione di sorta.
Zona rossa totale soggetta all'evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo

Una situazione che dal punto di vista della prevenzione è paradossale… ma è figlia della cultura politica ingegnerizzata in auge qualche anno fa, che declamava, che se volessimo prendere in esame il peggio di ogni elemento di pericolo, per le alluvioni occorrerebbe prendere in esame il diluvio universale, soprattutto da tutti coloro che non si chiamano Noè

Il nostro sospetto è che il libro Il Vesuvio Universale della scrittrice Maria Pace Ottieri, abbia preso spunto dall’affermazione appena riportata, nel senso analogico dell’evento massimo conosciuto nella storia del Vesuvio...

Ci sono fondati motivi per ritenere il dott. geologo Italo Giulivo, dell’Ufficio III attività tecnico scientifiche Previsione e Prevenzione dei Rischi del Dipartimento della Protezione Civile, come il più competente a spiegare nella campagna io non rischio, com’è possibile che nella zona rossa 2 si costruisca alacremente e nei Campi Flegrei non è stata varata ancora alcuna norma anti cemento, se non impegni che vanno nel senso opposto in quel di Bagnoli. Ed ancora l’alto dirigente spieghi ai cittadini e alle scolaresche che si presenteranno ai gazebi di Pozzuoli o di Napoli durante l'esercitazione EXE 2019, come mai i livelli di allerta del Vesuvio riportano un elemento deterministico come quello sui tempi di attesa eruzione, e perchè nelle pagine web ad oggetto dossier Vesuvio,  la zona rossa 2 non è definita correttamente; ed ancora perchè da oltre un ventennio non si riescono a mettere a punto i piani di evacuazione per le aree vulcaniche campane...  Pompei, la patria per antonomasia delle eruzioni esplosive, non ha ancora un piano di evacuazione.


E' intuibile che, per chi non ha mai approfondito il rebus rischio Vesuvio e Campi Flegrei, in tutte le sue complicazioni e contraddizioni e tortuosità, come sia veramente difficile riuscire a discernere e operare un distinguo tra realtà e propaganda, e tra il mediatico e il pragmatico. 

Le giovani leve che un giorno saranno vesuviani e flegrei, forse dovrebbero mettersi un cartello sotto al braccio alla stregua di Greta Thunberg, magari per chiedere sicurezza preventiva e operativa, atteso che la loro vita e quella dei loro figli si svolge e si svolgerà sul groppone di un enorme e incontrollabile bacino magmatico, in un contesto sociale  dove la vita umana è soggetta anch'essa a pratiche accademiche e istituzionali di rischio accettabile, appena mitigato da pillole di papaverina esercitativa.








giovedì 3 ottobre 2019

Terremoto e Vesuvio: analogie da Tribunale...di MalKo


Terremoto dell'Aquila 6 aprile 2009

Nella città dell’Aquila, sul finire di marzo del 2009, un tecnico di laboratorio al Gran Sasso, Giampaolo Giuliani, in riferimento a eventi sismici a bassa energia che da alcuni mesi martellavano incessantemente l’aquilano, lanciò un allarme, affermando che il terremoto, quello violento, sarebbe arrivato da lì a poco. La poco rassicurante previsione pare sia stato frutto dei suoi originali strumenti che misurano, non si sa con quanta efficacia, le concentrazioni di radon provenienti dal sottosuolo.

Il Sindaco dell’Aquila Cialente, incalzato dai cittadini in ansia per l’estenuante percezione dei sussulti litosferici, decise di chiedere supporto alle istituzioni competenti, soprattutto al Dipartimento della Protezione Civile, che il 31 marzo 2009 inviò nel capoluogo abruzzese uno stuolo di scienziati per fare il punto della situazione.

Il responso degli accademici di quella che alla fine si rivelò come una informale commissione grandi rischi (CGR), fu incredibilmente rassicurante, in quanto costoro, pur con distingui e silenzi, indicarono nella ripetitività dei sismi un fattore addirittura positivo per evitare concentrazioni di energia che diversamente potevano essere rilasciate pericolosamente in un unico e catastrofico evento. Purtroppo, a distanza di pochi giorni, il 6 aprile 2009, una violenta scossa di terremoto colpì duramente gli aquilani che dovettero contare 309 morti e 1600 feriti.La commissione grandi rischi, ovvero gli scienziati che intervennero una settimana prima del rovinoso sisma, furono processati perché più cittadini in seguito alle inopportune rassicurazioni formulate soprattutto da uno di questi esperti, avevano abbandonato pratiche precauzionali consistenti nel ripararsi in luoghi all’aperto, o comunque non confinati da muratura sismicamente e visibilmente sofferente.

Nel processo di primo grado, i sette componenti della commissione grandi rischi, furono condannati per negligenza e superficialità, per poi essere assolti quasi tutti nei successivi due gradi di giudizio. Il presidente della commissione se la cavò per il rotto della cuffia perché le sue affermazioni pubbliche furono ritenute principalmente di contrapposizione alle tesi di Giampaolo Giuliani, quale personaggio che a torto o a ragione, da più parti si era deciso di ridimensionare se non stroncare dalla scena pubblica con una denuncia per procurato allarme.

Il vice capo dipartimento della protezione civile, invece, vantò subito un ruolo operativo e non accademico, dilungandosi in affermazioni eccessivamente rassicuranti, con chiari riferimenti acchè i cittadini se ne tornassero a casa e si ristorassero: fu condannato a meno di due anni di carcere, per negligenza e imprudenza. Pena lieve perché il nesso di causalità tra le confortanti esternazioni e il cambio di abitudini, fu ricollegato “solo” a 13 vittime…

Da notare, che la maggior parte della stampa e degli opinion leader di quei momenti, così come una folta schiera di ricercatori di ogni ordine e grado, si mossero con appelli a difesa degli scienziati italiani ritenuti vittime di un assurdo processo alla scienza, minacciando velatamente, in caso di condanna, la presentazione di dimissioni o di diserzioni da quelle situazioni che richiedevano un parere scientifico.

I sostenitori pro commissione gridarono allo scandalo, scomodando e forzando una discutibile analogia con il caso Galileo Galilei e la sua teoria eliocentrica che nel 1633 gli costò l’accusa di eresia… I terremoti non si possono prevedere, affermavano i simpatizzanti della commissione: quindi perché accusare chi non ha previsto l’imprevedibile? In realtà questa affermazione sbandierata come mantra a difesa del consesso di esperti incriminati è monca, perché se i terremoti non si possono prevedere, ovviamente non si possono neanche escludere…

Agli scienziati della commissione grande rischi è stato contestato di aver influito sulle abitudini della popolazione attraverso l’errata comunicazione, inducendo gli aquilani ad assumere un comportamento altamente lesivo per la propria incolumità fisica (responsabilità psichica), in quanto abbandonarono le pratiche di salvaguardia in un contesto di manifesto pericolo sismico.

Questa visione induttiva e ispiratrice di un cambio di abitudini è stata contestata da tesi opposte che ribadivano l’immutata facoltà delle vittime di permanere all’interno delle proprie abitazioni; un diritto che va inteso come autodeterminazione personale e non come imposizione o induzione della commissione grandi rischi, che tra l’altro formalmente non era neanche tale e non era quindi tenuta a dare indicazioni di ordine operativo ai cittadini. La corte decise di analizzare il caso di ogni vittima e non di conglobare la morte di tutti i caduti alla responsabilità di chi imprudentemente rassicurò.

È interessante notare che il tribunale ebbe a ricalcare il concetto che le decisioni operative, cioè il da farsi magari per salvarsi, e quindi le eventuali e necessarie informazione che devono essere rese alla cittadinanza in frangenti di pericolo o presunto tale, spettano al mondo politico e alle sue diramazioni amministrative. In tale condivisibile conclusione, l'ente responsabile s'inquadra in ragione della vastità dell'evento e del pericolo prospettato: il Dipartimento, la Regione e l'onnipresente Sindaco, sono i principali attori per far fronte insieme alle istituzioni operative, a tutte le problematiche di ordine naturale o indotte dall'uomo che generano rischi per le popolazioni.
Col senno del poi, ci vien da pensare che il sindaco dell’Aquila, Cialente, forse avrebbe potuto avere meno titubanze perché le sue valutazioni sul rischio sismico erano diverse da quelle dei luminari provenienti da Roma. Questi ultimi non avevano il polso diretto della situazione in città, a iniziare dalla vulnerabilità dei fabbricati e dall’allarme sociale che si stava generando. Da qui il sospetto che la presenza degli accademici era forse legata principalmente alla necessità di zittire l’imbecille Giuliani, le cui affermazioni allarmavano in un momento di impegni internazionali, scompigliando un po’ quel dicastero istituzionalmente legato alle calamità ma impropriamente pure ai grandi eventi.

La presenza di scienziati di fama nazionale, così come del vice capo dipartimento, ebbero una ridondanza eccessiva che portarono ad una sorta di declassamento del ruolo istituzionale del sindaco, in una condizione amministrativa anomala, perché di fatto, come dicevamo, non c’era un conclamato stato d’emergenza. La catena degli eventi in questo caso e inopportunamente, portò al risultato del ubi maior minor cessat

La corte di appello del capoluogo abruzzese, nel valutare le colpe e le innocenze della commissione grandi rischi, ebbe a individuare due diversi profili di responsabilità:
  1. una possibile responsabilità per il contenuto delle valutazioni scientifiche emerse durante la riunione tenutasi all'Aquila il pomeriggio del 31 marzo 2009. 
  2. Una possibile responsabilità per l'attività di informazione alla popolazione aquilana.
Nel primo caso, premesso che notoriamente i terremoti non si prevedono e quella zona era già classificata ad alto rischio sismico,e quindi esistevano di fatto già delle valutazioni citate in letteratura scientifica, c’era ben poco da aggiungere in termini di pericolosità. Non si capisce quindi il tentativo di mitigare a chiacchiere un pericolo sismico non prevedibile e purtroppo immanente in quell’area. In altre parole il paradosso: se non ci fosse stato l'intervento dello Stato con le sue diramazioni, le cose sarebbero andate meglio.

Per quanto riguarda invece l’attività di informazione alla popolazione, il dato importante che emerge nelle sentenze è che questa attività non competeva all’organo scientifico ma a quello operativo: nella fattispecie al sindaco, perché mancandoci la dichiarazione dello stato di emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile non poteva avere un ruolo presenzialista o agire per surroga.

I sindaci sono autorità locale di protezione civile ancorchè responsabili dell’informazione che una volta era in capo ai prefetti (Legge 3 agosto 1999, n. 265). Il vice capo dipartimento si assunse un onere che non gli competeva e per questo fu condannato. Il Sindaco Cialente in tutta franchezza fece quello che potè, cioè più di far arrivare la massima autorità scientifica sul posto che poteva fare: impartire disposizioni di senso opposto al gotha accademico e operativo nazionale?

Volendo usare un metro di paragone simile a quello adottato per l’Aquila calandolo sul Vesuvio, possiamo incominciare col dire che la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, nel 2012 concluse che lo scenario eruttivo (VEI4) è quello da cui doversi difendere obliando quello massimo pliniano (VEI5). Partendo da questa valutazione del pericolo, si definì l'estensione territoriale della zona rossa da evacuare all’occorrenza.

Statistica applicata alla tipologia eruttiva futura

Tali conclusioni prospettate al Dipartimento della Protezione Civile sono state da questi accettate e condivise procedendo con la realizzazione del piano di emergenza e di evacuazione (ancora in itinere), in quanto il Vesuvio è un problema tale da richiede un piano di tutela di rilevanza nazionale.

Il problema che pesa come un macigno sull’intera pianificazione, è legato alla eruzione che si è scelta come riferimento (VEI4), e che è frutto di un’analisi statistica e quindi è il convitato di pietra di tutte le riunioni operative.

Ergo, nell’attualità la protezione delle popolazioni vesuviane è assicurata da elementi probabilistici passati come deterministici. Orbene dalla taglia dell’eruzione, dicevamo, si definisce l’ampiezza della zona rossa da evacuare. È ovvio che adottando un’eruzione media (VEI4), la zona rossa sarà mediamente ampia e quindi è inevitabile l’introduzione per quanto remota di un ulteriore elemento di incertezza che lascia aumentare a tre le possibili matrici di una ipotetica fase di allarme vulcanico:
  1. mancato allarme eruttivo (l’allarme evacuativo viene diffuso in tempi non utili per l’evacuazione della popolazione).
  2. Falso allarme eruttivo (l’allarme eruttivo viene diffuso in tempi utili per l’evacuazione ma l’eruzione non si manifesta).
  3. Successo evacuativo con catastrofe vulcanica (l’allarme evacuativo viene lanciato in tempo utile per l’evacuazione della zona rossa, ma l’eruzione che si presenta è di taglia superiore a quella prevista nel piano o sbilanciata energeticamente, e quindi un certo numero di abitanti che si riterranno al sicuro e quindi immoti, possono essere travolti dalle dirompenze vulcaniche).

Ricordiamo pure che nella strategia difensiva della commissione grandi rischi all'Aquila, si tentò di dare ampio spazio alla inadeguata fattura dei fabbricati che non erano antisismici ancorchè gravanti su terreni dichiaratamente sismici. Quindi, se da un lato la natura ha la sua imprevedibilità specialmente per le cose che riguardano il sottosuolo, l’uomo, si è detto, poteva difendersi adeguando prevedibilmente i fabbricati con misure antisismiche.

Semmai dovesse presentarsi un evento eruttivo al Vesuvio di una taglia superiore a quella su cui si è pianificato, alla stregua, un tribunale potrebbe arrivare alle stesse conclusioni dell’Aquila, cioè non è colpa della comunità scientifica ma dell’autorità politica che ha accettato lo scenario eruttivo medio proposto. 

Poi si lascerebbe notare che il pericolo vulcanico è imponderabile e immanente. Ed ancora che le eruzioni, fatto anch'esso notorio, non sono deterministicamente prevedibili almeno con largo anticipo e che non è possibile stabilirne la taglia eruttiva se non dopo l'evento: quindi, la responsabilità di un eventuale disastro alla fine sarà di chi ha deciso di insediarsi nella zona rossa ad alta pericolosità vulcanica… 

Allora intuirete che c’è una grande discordanza tra le tesi giuridiche di colpa, e il fatto che lo Stato non emani una legge che vieti ad esempio nel super vulcano dei Campi Flegrei, di costruire ancora residenze sulla spianata di Bagnoli. Oppure è illogico che lo Stato non operi in surroga in quei comuni che ancora non mettono a punto il loro piani di evacuazione. Che dire poi della inesistente lotta all’abusivismo edilizio in zona rossa: con queste premesse lo Stato non può concedere sanatorie a chi volutamente e contravvenendo alle leggi ha edificato senza licenza.

Il fatto che a volte il libero pensiero guasti l’immagine di efficienza del Dipartimento della Protezione Civile, non dovrebbe essere motivo sufficiente per zittire o isolare i dissidenti, innanzitutto perché i confronti sono importanti, e poi perché, come i fatti dell’Aquila hanno ampiamente dimostrato, la scienza non è sempre cristallina e la politica a volte condiziona quella parte del mondo accademico, magari minima, che non rifugge dal fascino del potere...

A proposito della statistica che nelle aule giudiziarie è stata catalogata come sapere incerto, ecco cosa ebbe a scrivere un ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano qualche anno fa:
<<…purtroppo non è oggi possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione, per tutti i vulcani in generale ma in particolare riguardo alle eruzioni pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a noi note sono in numero talmente esiguo, che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa>>.

Per le conclusioni ci affidiamo ancora una volta allo spunto offertoci dalle sedi togate dell'Aquila: "L'organo della protezione civile, che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l'entità o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, esercita una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione, ed è a tal fine tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse, e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza, oggettiva comprensibilità e inequivocità espressiva".

In altre parole che dicano la verità fino in fondo per offrire al cittadino il diritto di conoscere per scegliere... 



lunedì 30 settembre 2019

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei e rischio Vesuvio: edilizia e abusi in zona rossa vulcanica...di MalKo



La spianata di Bagnoli - Campi Flegrei

Insediarsi nei territori vulcanici del vesuviano e del flegreo, significa accettare l’idea di una condizione di pericolo immanente non mitigabile con certezza matematica dalla previsione dell’evento eruttivo. Neanche col monitoraggio campale, iper strumentale e spaziale, è possibile dare una chiave di lettura incontrovertibile a quelli che sono i segnali chimici e fisici di un magma in evoluzione nel sottosuolo. Ne abbiamo già parlato...

Un ipotetico viaggio nel prodotto terra, a sopportare temperature e pressioni, sarebbe un volo solo strumentale nel mondo litosferico e astenosferico a differenza dell'acqua e dell'aria. Le perforazioni, quelle cosiddette carotaggi, procedono diversamente consentendo di mettere a giorno un campione del sottosuolo, ma non di quello profondo. La prospezione indiretta con onde sismiche allora, al momento è il metodo più utilizzato per decifrare gli strati chilometrici. I risultati non sono precisissimi soprattutto con l’aumentare della profondità, tant’è che non si riesce a dare un quadro tridimensionale alle camere magmatiche, e quindi una valutazione complessiva sulle quantità di magma stipate sottoterra. Le camere magmatiche superficiali sono più sondabili ma non attestano moltissimo in termini di previsione, visto che il magma può risalire direttamente dalle camere più profonde e meno investigate, come successe nell’eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C....

La previsione dell’evento eruttivo è la pietra filosofale a cui tendono tutti i ricercatori del mondo, ma al momento nessuno può vantare di averla scoperta per le troppe variabili che caratterizzano prodotti a diversa densità e diversa temperatura e chimismo e dinamismo. Quindi, anche per quanto riguarda la previsione corta del fenomeno eruttivo (72 ore), ci troveremo sempre di fronte a proiezioni probabilistiche sui tempi, che possono essere minimi nel mancato allarme e massimi nel falso allarme.

Solo la materializzazione dell’eruzione offrirà il dato statistico deterministico dell'evento, che raggiungerà il suo picco di alta pericolosità nel momento in cui la colonna eruttiva avrà toccato la massima quota. A eruzione in corso, dalla stima dell’altezza della colonna  si potrebbe azzardare analiticamente l’intensità eruttiva che in ogni caso potrà essere valorizzata con certezza solo dopo che sono terminati i fenomeni,che in coda potrebbero essere cattivi, e saranno chiare le ripercussioni e le implicazioni e gli sconvolgimenti che ha subito il territorio. Se noi riusciamo a vivere nei territori vulcanici con tutte queste premesse, è solo dovuto al fatto che le eruzioni mediamente catastrofiche hanno periodi di ritorno molto lunghi e la percezione del pericolo in assenza di elementi percepibili dai sensi è blanda.

Per evitare un falso allarme che dal punto di vista sociale è comunque un problema, occorre tentennare ai primi prodromi pre eruttivi e attendere segnali più duraturi e diversificati per far scattare l’evacuazione. La realizzazione di uno strumento di tutela, come può essere il piano di evacuazione, è l’unico sistema per consentire di ridurre al minimo e all’occorrenza i tempi di permanenza in area vulcanica. Le pratiche di prevenzioni invece, vertono sulla delocalizzazione della popolazione e sull’ampliamento delle strade come metodo strutturale per mitigare i fattori di rischio. In questo caso si otterrebbe una diminuzione del carico antropico e collateralmente una velocizzazione delle operazioni di evacuazione favorite da un minor numero di persone da allontanare.

A fronte del rischio vulcanico, nella zona rossa Vesuvio a est di Napoli, fu introdotta per logiche appunto di prevenzione, la legge regionale numero 21 del 2003, per bloccare nuovi insediamenti residenziali che, col loro conseguenziale carico umano, avrebbero lasciato crescere il valore esposto che già oggi conta 700.000 abitanti addossati a quello che a ben ragione è il vulcano più pericoloso del mondo.

I Campi Flegrei sono un’ulteriore area vulcanica che caratterizza il settore occidentale della metropoli partenopea. In realtà il parallelo geografico che unisce il Vesuvio ai Campi Flegrei, sembra seguire una linea di fuoco che vede nel sottosuolo profondo un’unica grande camera magmatica che unisce i due distretti vulcanici. Sede di un super vulcano che si sviluppa su una vasta caldera, il flegreo pur con tutti i requisiti legislativi di pericolosità, non è ancora titolare di un preciso divieto di urbanizzazione alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio.

Nella riunione di audizione della IV commissione consiliare permanente del 26 settembre 2018 ad oggetto:<<Proposta di Legge: Norme Urbanistiche per i Comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell'area flegrea>>, nel merito si sono succeduti al microfono l’assessore all’urbanistica del comune di Pozzuoli, il dirigente del servizio pianificazione urbanistica generale del comune di Napoli, il sindaco di Pozzuoli e la rappresentate del Movimento 5 Stelle. Da quello che si è capito, Napoli e Pozzuoli reggono un po’ la cordata sulle decisioni da prendere anche per gli altri comuni della zona rossa flegrea.

Nel dibattito sono emersi pochi distinguo ma l’equipaggio remava nella stessa direzione. Emettere un divieto di cementificazione sic et sempliciter non è stato ritenuto opportuno da alcun rappresentante. Il sindaco di Pozzuoli ci è sembrato abbastanza chiaro nell’esposizione del suo pensiero riconducibile alla volontà di bloccare ogni formula abitativa che incentivi le residenze nel centro storico puteolano, perché, dice, più vulnerabile e meno facile da evacuare. Fuori dal centro storico però, è di tutt'altro avviso…

Questo potrebbe significare che il sindaco di Pozzuoli eluda qualsiasi accostamento tra bradisismo e rischio eruttivo. Il primo cittadino ha forse un’errata visione degli agglomerati residenziali di Monterusciello e del rione Toiano appena a nord del monte Nuovo (sede dell'ultima eruzione) e a nord est del lago craterico d'Averno considerato la porta dell'inferno.... Queste due cittadine ubicate ben all’interno della città, sono state un errore tecnico politico scientifico e amministrativo, a suo tempo supportato da una scienza molto disorientata perché la realizzazione di nuovi alloggi ha portato a delocalizzare maldestramente la popolazione dalla pronunciata gobba del Rione Terra, da zona rossa a zona rossa… Il sindaco quindi sembra legato alla visione degli anni 80’; ragiona come si ragionava allora, senza intuire che all’epoca nonostante il bradisismo e i terremoti raggiunsero un picco di allarme tale da togliere veramente il sonno, non fu dichiarata l’evacuazione totale di Pozzuoli (neanche parliamo del flegreo), perché il bradisismo fu ritenuto un fenomeno sismico molto localizzato che minava la stabilità dei palazzi, ma non fu associato a un possibile elemento prodromico di un’eruzione.

Monterusciello - Pozzuoli

 Lo straordinario azzardo a cui venne sottoposta la popolazione flegrea negli anni delle crisi bradisismiche, non dovrebbe mai più ripetersi. In quei tempi non lontanissimi, la stazione sismica più vicina a Pozzuoli era quella ubicata alla facoltà di geologia al rettifilo… I Campi Flegrei nel sentire comune quindi, non esistevano affatto come vulcano e come distretto da monitorare attentamente. 

Il rappresentante del comune di Napoli, pure ci sembrava d’accordo sulle necessità di non incrementare troppo la popolazione nella zona rossa flegrea, ma ha insistito affinchè si proceda in modo da insediare un convitto di studenti nell’ex collegio Ciano (Bagnoli), luogo da 211.000 metri quadrati con 50 edifici, lamentandosi che la legge non opera a proposito delle zone rosse un distinguo tra residenze ordinarie e quelle speciali e collettive che a suo parere sono un’altra cosa.
Collegio Ciano Bagnoli - immagine tratta da fanpage.it

In realtà l’attento relatore avrebbe dovuto ricordare il dramma della casa dello studente dell’Aquila, che pur essendo una residenza studentesca speciale e collettiva, crollò sotto i colpi del sisma del 6 aprile 2009 sui poveri allievi che dovettero contare con strazio 8 vittime.

Il terremoto come si sa, non opera distinzioni di sorta sulla natura delle residenze, ma neanche le eruzioni vulcaniche, anche se le probabilità di cavarsela nel secondo caso sono sicuramente maggiori… D’altra parte occorre dire che pure gli alberghi ubicati nel flegreo potrebbero presentare lo stesso problema di fondo del convitto, e lo stesso dicasi per i centri di accoglienza migranti, quali attività assimilabili al concetto di dimora provvisoria.

L’altro elemento appena imbarazzante, riguarda la famosa zona di Bagnoli-Coroglio, oggetto di un programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana e quindi di una cabina di regia reclamata da tutti per una vasta area definita di rilevanza nazionale dal decreto sblocca Italia.

Per capire cosa sia Bagnoli è interessante soffermarsi sull’isolotto di Nisida che segna visivamente il confine a sud dei Campi Flegrei. Nisida non è altro che una delle tante bocche eruttive di cui è disseminato il flegreo la cui attività è ascrivibile a circa 6000 anni fa. Su quest’isola/penisola, ci sono vestigia romane inabissatesi per effetto del bradisismo, quale fenomeno che interessa anche la parte marittima della collina di Posillipo, con reperti alla Gaiola sprofondati sott'acqua, e gibbosità sottomarine a 2,5 Km. fuori dal porto di Napoli. Qui trapelano dalla gobba di 19 metri elementi gassosi che provengono dal mantello.
(Golfo di Napoli) - Rilievo digitale del fondo marino - Foto Dott. G. Ventura

Altre bocche eruttive riguardano le località di Coroglio, Chiaia, Monte Echia e il cratere di Santa Teresa a Bagnoli: tutti poco visibili perchè profondamente antropizzati. Questo significa che i Campi Flegrei sono un unicum che in termini di pericolosità non ha un centro e una periferia, a maggior ragione se si considera che un evento eruttivo esplosivo rilascerebbe colate piroclastiche che si espanderebbero per non pochi chilometri. Quindi, il pericolo vulcanico non è rappresentato da dove ci si posiziona nella caldera, ma dall’intera caldera dove ogni sito può essere percorso o raggiunto dai micidiali flussi piroclastici.

Ebbene su questo storico  ex polo industriale di Bagoli e zone limitrofe, incombono forti interessi magari anche leciti legati al business delle residenze e degli investimenti.  Una pianificazione del 2005 stimava in 515.000 metri cubi la misura cementizia da destinare alla realizzazione di abitazioni. Oggi con un ridimensionamento del numero di residenze da costruire, ha portato la stima a circa 200.000 metri cubi di cemento: Parliamo di oltre 1.000.000 di sacchi di cemento.

Da notare che Bagnoli fu la sede scelta per l’esperimento del Campi Flegrei Deep Drilling Project, cioè una trivellazione che doveva raggiungere a circa 4000 metri di profondità la testa del rigonfiamento bradisismico, localizzato poco fuori il porto di Pozzuoli per sondarne il contenuto. Da Bagnoli si sarebbe proceduto in verticale e poi con una inclinazione dello scalpello rotante in direzione di Pozzuoli. Il progetto di fatto è stato sospeso così come sono state bocciate dal Ministero dell’Ambiente, le perforazioni a uso geotermico nella zona di Scarfoglio (Pozzuoli) per evidente pericolosità dell'area vulcanica.

La caldera flegrea è monogenica, quindi ogni bocca eruttiva ha prodotto una sola eruzione. Non conoscendo dove si aprirà il cratere allora, non è possibile circoscrivere con precisione una zona ad alta pericolosità vulcanica come invece è stato fatto per il poligenico Vesuvio. 

Gli altri comuni come Marano, Quarto e Giugliano, non hanno particolari valenze archeologiche e paesaggistiche e storiche o consistenti vincoli, e quindi dal punto di vista delle richieste da avanzare alla commissione regionale incaricata di valutare l'edilizia in zona rossa, pare che siano prevalentemente interessati più che altro ai condoni edilizi e in ogni caso si riservano di valutare i documenti prodotti dai comuni capofila e da quelli del Monte di Procida e Bacoli, con quest'ultimo  che forse dovrebbe rivedere le strategie di allontanamento già nell'esercitazione EXE 2019.

Cosa fare dell’edilizia residenziale e anche dei manufatti  abusivi ad uso abitativo realizzati nelle zone rosse ad alta pericolosità vulcanica, è scritto nelle caratteristiche di pericolosità delle aree in esame, ma anche nella deontologia della scienza e della politica che tra i compiti dovrebbe annoverare la pianificazione del futuro futuribile. Ai Campi Flegrei è probabile che la prossima indeterminabile eruzione assuma una taglia esplosiva con la produzione di colate piroclastiche. Questo fenomeno devastante ha già colpito il vesuviano più volte con l’ultima manifestazione ascrivibile all'anno 1631. 

Nel 79 d.C. in seno all'eruzione pliniana di Pompei, si formarono diverse colate piroclastiche che si abbatterono pure su Ercolano causando la morte di alcune centinaia di ercolanesi che, con temperature dei flussi superiori a 350° C., subirono una morte istantanea per effetto della repentina evaporazione dei liquidi biologici compresi quelli della calotta cranica.

L’elemento che differenzia la storia del flegreo con quella del vesuviano, anche dal punto di vista del sentire comune, è che nel puteolano mancano i segni di morte dovuti al passaggio delle nubi ardenti. Calchi e scheletri sotto al Vesuvio sono un monito evidente di vite interrotte repentinamente. Nel flegreo non ci sono queste testimonianze, e quindi il segno tangibile del pericolo è stato blando e da qui la sottostima durata molti anni. Col bradisismo e quindi sul finire degli anni 80', e poi con la dichiarazione dello stato di attenzione vulcanica nel 2012, il rischio vulcanico per quest'area è diventato elemento di conoscenza e di riflessione per la popolazione. 

Ritornando all'oro grigio, il cemento, la soluzione potrebbe essere salomonica: via libera alla riqualificazione sismica e quindi all’abitabilità del collegio Ciano quale residenza già esistente da destinare agli studenti. Ovviamente la clausola che deve accompagnare questa scelta, dovrebbe essere la riqualificazione sismica dei fabbricati e all’occorrenza l’evacuazione preventiva degli allievi già nella fase di preallarme senza oneri contributivi del tipo autonoma sistemazione perché si ipotizza una casa alle spalle.

Sulla spianata di Bagnoli invece, luogo dove vigono piani di riqualificazione urbana e insediamenti residenziali, non c’è niente e niente dovrebbe starci se non strutture di interesse collettivo diverso dalle residenze. Da anni suggeriamo per questo la realizzazione di un’area atterraggio elicotteri, con annessa struttura polifunzionale di protezione civile, utile come punto di riunione attrezzato. Anche la realizzazione di un molo d’attracco in emergenza potrebbe rientrare nel polo e tra le strutture da adibire all’evacuazione via mare, anche in un ottica di recettività dall'isola d'Ischia che non è da meno in termini di pericolosità vulcanica e sismica.
Bagnoli - Campi Flegrei

I contenuti della legge regionale numero 21 del 2003 << Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana>> potrebbero essere sicuramente d’ispirazione a una legge che  alla  stregua  debba  vietare nuovi  insediamenti residenziali nella zona rossa dei Campi Flegrei, classificata dallo Stato come area ad alta pericolosità vulcanica. All'appello manca Ischia che, per gli aspetti sismici e vulcanici, dovrebbe essere considerata interamente in zona rossa senza distinzione di sorta e destinataria di una legge ad hoc...

Per quanto riguarda gli abusi edilizi, il problema è reso drammatico per l’alto numero di costruzioni fuorilegge che costellano il vesuviano ma anche il flegreo e in ultima analisi la Campania. Non c’è la possibilità di abbattere tutte le costruzioni contemporaneamente, così come non c’è la possibilità di collocare tutti gli sfrattati in sedi alternative adeguate. Neanche le procure colsero gli aspetti della faccenda, dando un senso e un'attenzione al piano di abbattimenti differenziati, basati solo sulle finalità del manufatto e sulla mano che l'ha costruito, dando quindi un senso alla morale ma non al pericolo, tra l’altro sfruttando l’inerzia e il malfunzionamento degli apparati dello Stato.

In Campania bisogna procedere, almeno per le zone rosse vulcaniche, all’abbattimento di tutti i fabbricati allo stato grezzo oggetto quindi di speculazione e non di abuso di necessità, senza alcuna distinzione di sorta circa la finalità e la mano o l’organizzazione di chi li ha costruiti.

I fabbricati abusivi ancorchè abitati che, per fattura o ubicazione, risultano particolarmente pericolosi, o perché realizzati all’interno di perimetri di riserva forestale o di parco naturale, dovrebbero essere anch'essi abbattuti perché in sintesi inficiano capisaldi del diritto: la legalità, la sicurezza e la protezione ambientale quale patrimonio di tutti.

I fabbricati abitati che non rappresentano per fattura o ubicazione un pericolo o un danno all’ambiente, ai beni cuturali e al paesaggio, dovrebbero essere considerati sanabili ma non vendibili, in modo che l'abuso non può più considerarsi un investimento economico,  e quindi non può essere ceduto ad altri perché oltre che a trasmettere l'immobile si trasmetterebbe per ubicazione l'esposizione a un rischio di notevole portata. Del resto lo Stato non può sancire l’alta pericolosità vulcanica e sanare gli abusi: la via Salomonica serve a uscire dall'empasse senza scatenare una rivolta sociale... Obbligare le bitumiere ad avere a bordo una blue box garantirebbe un controllo del territorio ieri e oggi profondamente disatteso...  

L'argomento in ogni caso è complesso perchè è speculare anche al consenso elettorale. Seguire con attenzione la questione di Bagnoli è importante: se si costrusicono nuove residenze sulla spianata il rischio vulcanico  vuol dire che non esiste o è considerato residuale. E allora si riformuli anche la legge 21/03 attiva nel vesuviano, perchè a dirla francamente nulla è deterministico nel campo vulcanico, ma i Campi Flegrei che hanno 5 punti statistici in più per eruzioni di grande energia, forse hanno una situazione territoriale più complessa del Vesuvio.