Translate

venerdì 15 giugno 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la caldera dei dubbi... di MalKo

Il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

I Campi Flegrei e il Vesuvio rappresentano nel panorama nazionale e probabilmente internazionale, il problema di protezione civile più grande in assoluto. Nel primo caso il motivo è da ricercarsi nella posizione geografica della caldera flegrea, che nel corso dei secoli si è ritrovata ad essere nell’attualità una depressione fertile e in alcuni punti mofetica, appartenente ai territori occidentali dell’area metropolitana di Napoli, con i popolosi quartieri di Bagnoli, Fuorigrotta, Soccavo, Posillipo e Pianura. Lo stesso dicasi per altri comuni contigui come Pozzuoli, Bacoli e Quarto, tutti rientranti nella zona rossa flegrea, che classifica i territori ad alta pericolosità vulcanica.  

La zona rossa dei Campi Flegrei (550.000 abitanti).
Il bradisismo è uno dei fenomeni che segna quest’area, lasciando intuire tutta la vivacità del sottosuolo puteolano, tra l’altro con movimenti zonali di rigonfiamento dei suoli e viceversa. Un fenomeno che sembra accompagnarsi a una genesi riconducibile in ogni caso al calore terrestre.
Alcune teorie ci portano ad inquadrare il bradisismo come fenomeno meccanico dovuto al magma che si è intrufolato nel sottosuolo, fino a 3 – 4 chilometri dalla superficie, o anche al riscaldamento di acque di falda e juvenili pregne di gas magmatici. Un aumento di temperatura dovuto forse a questa intrusiva fonte di calore, che genera vapore surriscaldato capace di imprimere pressioni di prim’ordine agli strati che sono in alto. D’altra parte, entrambe le ipotesi sono conciliabili tra loro, e l’una non esclude l’altra: anzi, l’una esalta l’altra.
Pure le quantità industriali di anidride carbonica che si liberano nell’atmosfera a ridosso della Solfatara di Pozzuoli, sembrano ricondurci a una componente magmatica non meglio localizzata ad alcuni chilometri nel sottosuolo, oppure a una importante fratturazione degli strati rocciosi che facilitano gli interscambi acquiferi e gassosi pure dalle sorgenti magmatiche più profonde.

La figura sottostante ci aiuta a comprendere le due teorie associate al fenomeno del bradisismo. Nel primo caso il magma s’insinua dicevamo in ascesa negli strati rocciosi e tufacei che incontra, deformandoli e riscaldando l’acqua di cui sono pregni apportandone altra juvenile che circola per pressione, temperatura e densità e dislivelli. Nel secondo caso, grazie alla fratturazione degli strati litoidei, le acque circolano nelle profondità flegree surriscaldandosi a una fonte calorica magmatica piuttosto statica. In entrambi i casi quindi, la componente termica magmatica è garantita, a prescindere se sia più o meno superficiale. 

Le teorie comprendono la probabilità che il bradisismo sia dovuto al magma che s'insinua, frattura e rilascia fluidi acquosi e gassosi. La seconda ipotesi prevede una circolazione delle acque all’interno di un quadro fessurativo molto esteso nel sottosuolo, che favorisce l’interscambio di calore, vapore e gas.  
Un’altra teoria interessante che riguarda questo distretto, è quella che ci riporta a uno strato laminare di roccia elastica ubicato a un paio di chilometri nel sottosuolo: una sorta di scudo che parrebbe aver contenuto fino a questo momento le ingenti spinte che derivano da un magma o dai fluidi che spingono dal di sotto, e che vengono indirizzati marginalmente all’ostacolo. Potrebbe essere magma espanso orizzontalmente? Questa lamina elastica si deformerebbe per effetto delle spinte, inducendo il sollevamento dei suoli; d’altra parte questo plafond è anche responsabile di una difficile prospezione del sottosuolo attraverso il metodo sismico indotto da cariche in superficie.
Che ci sia una situazione enigmatica per quanto apprensiva su quello che “bolle” nel sottosuolo flegreo è di tutta evidenza. Tra l’altro, mentre le autorità fino a poco tempo fa ostentavano sicurezza e buon controllo della situazione anche da un punto di vista della previsione eruttiva, oggi lo sono molto meno e si legge a chiari lettere nei comunicati, che i quattro livelli di allerta vulcanica non hanno regole aritmetiche nel loro incedere al rialzo, e si può quindi passare da una fase di attenzione a quella di allarme in tempi veramente minimi. Così come gli organi governativi dipartimentali hanno specificato che il livello di allerta base (verde), non corrisponde a un rischio eruttivo zero.
Il Dr. Luca De Siena

Il Dottor Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore ed esperto di prospezioni sismiche, ha prodotto un importante studio pubblicato su Scientific Report ad oggetto proprio il sottosuolo dei Campi Flegrei, dando spazio all’analisi dei sismogrammi che si ottennero e a cura degli americani, negli anni peggiori del bradisismo (’83 – ’84), caratterizzati da migliaia di eventi sismici e sollevamento accentuato. 

Dottor De Siena, come mai gli americani sulla scena del bradisismo flegreo degli anni ’80?

Gli americani avevano a disposizione la migliore tecnologia per il rilevamento di onde sismiche. Ricordiamoci che la scienza del monitoraggio in molti paesi, compresa l’Italia, nei primi anni ’80 era in una fase nascente. L’iniziativa di creare un progetto di monitoraggio sismico avanzato di complemento e completamento delle stazioni già esistenti, aveva una forte motivazione anche sulla base dell’attività Flegrea degli anni 1982-1984. Il prof. Roberto Scarpa (Università di Salerno), fu uno dei promotori e organizzatori Italiani della rete. Richard Aster è stato invece il referente Americano.

Come ha fatto a procurarsi i sismogrammi relativi alla crisi bradisismica dell’84?

I rilevamenti furono fatti nel primo semestre del 1984. I sismogrammi sono a disposizione di tutti i ricercatori che intendano usarli. Sebbene non depositati in un database, durante il mio dottorato è stato facile reperirli in quanto erano nelle disponibilità dell’Osservatorio Vesuviano. Questi dati americani sono stati cruciali, ancorchè preservati in originale, e fino ad oggi tutte le mappe sismologiche dell’unrest dell’epoca (tomografie), sono state elaborate sulla scorta di queste informazioni.

Ovviamente i sismogrammi inquadrano la situazione di 40 anni fa. Le condizioni rimangono inalterate rispetto agli eventi bradisismici degli anni ’80?

Le condizioni sono certamente diverse rispetto agli eventi bradisismici dei primi anni ’80, almeno da un punto di vista sismologico. Invece di migliaia di scosse con picchi di centinaia in un giorno, e profondi fino a 4.5 km, la sismicità di oggi è superficiale ed a bassa intensità, ed impatta prevalentemente nella zona centrale della caldera (Pozzuoli, Solfatara, Pisciarelli).

La sacca magmatica, ci sembra di capire, potrebbe anche essere un insieme di magma e fluidi e gas: a che profondità è stata localizzata e con quale estensione?

Questo è un argomento dibattutissimo, in quanto anche le migliori tecnologie odierne non sono in grado di darci sicurezza su profondità e presenza di magma. Alcuni studi sostengono che il sollevamento Flegreo non sia dovuto a magma, piuttosto a gas prodotti dalle rocce profonde del sottosuolo. Altri sostengono che il magma sia arrivato al disotto dei 4 km, ed abbia rilasciato fluidi caldi che hanno permeato il sistema superficiale. Altri ancora sostengono la presenza di magma a ~2.5 km di profondità. Inoltre, alcuni studi proverebbero che, sebbene il magma fosse presente nella crisi 1982 - 1984, non sarebbe invece riscontrato nell’ attuale fase bradisismica.
I miei studi hanno sempre evidenziato una presenza magmatica, già supposta in precedenza da altri autori, per il 1984. Quello che in questi lavori sembra emergere con chiarezza, è che qualcosa (una intrusione o iniezione di fluidi) sotto Pozzuoli ha fratturato il sistema vulcanico nei primi 3 km. Questa zona si è aperta nell’84 ed ha progressivamente cambiato (per esempio scaldato) il sistema idrotermale superficiale. Un nostro studio appena pubblicato, dimostra che questa zona è ancora “aperta”, ma per lo più è asismica. Da questa sorta di “bocca”, che potrebbe essere un bacino di fluidi con o senza magma, si assiste alla migrazione dei predetti fluidi e gas verso est, per lo più nella zona di Pisciarelli (Solfatara).

Si riesce a definire il camino di risalita del magma in superficie?

In questo momento non ci sono prove che il magma stia risalendo in superficie. Penso ci sia un accordo vasto sul fatto che in superficie, almeno per ora, arrivino fluidi e gas. Ovviamente la situazione potrebbe cambiare, ma l’attenzione delle autorità nazionali ed internazionali sul problema mi sembra molto cresciuta, magari permettendo una risposta preventiva migliore, qualora eventuali segnali dovessero indicare l’arrivo di magma potenzialmente eruttivo.

Nell’attualità, in che zona flegrea si stanno concentrando i preoccupanti segnali geofisici e geochimici che denotano una condizione di unrest, di irrequietezza vulcanica?

Non sono aggiornato sugli ultimi sviluppi della geochimica ma penso che il sistema Pisciarelli-Solfatara, da questo punto di vista rimanga il più interessante.

Possibili eruzioni freatiche rappresentano il pericolo statisticamente maggiore?

Sebbene non abbia abbastanza dati e sia più che altro un esperto di imaging sismico, una eruzione magmatica ad oggi mi sorprenderebbe molto.  D’altronde storicamente gli episodi di esplosioni freatiche nell’area sono noti per essere di piccola entità e comunque di scarsa frequenza. In ogni caso non possono essere escluse.

Questa sorta di lama o di scudo composto da materiale compatto ma elastico ubicato a meno di 2000 metri sottoterra, cosa comporta nelle dinamiche del sottosuolo flegreo?

Nuovi studi di rock-physics ci dicono che questo scudo (caprock) potrebbe spiegare le importanti deformazioni (1.8 metri) senza eruzione registrate all’inizio degli anni ‘70 e nel 1983-84. È uno scudo duttile, che si deforma ma è difficile da spezzare. Questa interfaccia sismica a quelle profondità lavora anche al contrario, rivelandosi un problema per ottenere immagini adeguate dei Flegrei, in quanto per esempio riflette gran parte dell’energia sismica generata da sorgenti artificiali utilizzate per le prospezioni in profondità.  Sicuramente l’interfaccia è visibile negli studi tomografici.

Nell’analisi dei sismogrammi è stata accertata una camera magmatica a circa 8 chilometri dalla superficie?

Un lavoro fondamentale del RISSC lab, Dipartimento di Fisica, Federico II (Zollo et al. 2008) identifica una interfaccia sismica a quelle profondità con la sismica a riflessione. Il risultato si correla perfettamente con altri studi di modellistica, geochimica e petrologia. Questo è un risultato ottenuto da dati dell’esperimento SERAPIS realizzato a mare (2001). Fare di più a quelle profondità è molto difficile.

In termini di sicurezza, ci sono differenze per i residenti rispetto alla loro posizione all’interno della caldera?

Direi di sì. Gli studi più importati sia di modellistica sia di statistica multivariata indicano nella zona tra Bagnoli e la Solfatara quella con la massima probabilità di apertura bocche. Detto questo, il sottosuolo è complesso; se ad esempio fluidi e/o magma trovassero fratture adeguate, potrebbero spostarsi lateralmente. Questo è successo nel secondo semestre del 1984, con sismicità spostatasi verso Monte Nuovo ed a mare.

Cosa proporrebbe per migliorare la conoscenza del sottosuolo e quindi una migliore valutazione sugli indici di pericolosità vulcanica, tanto dei Campi Flegrei quanto per il Vesuvio e Ischia?

Certamente più fondi alla ricerca ed alle istituzioni che si occupano di monitoraggio. Mentre in Italia l’allerta terremoti è alta a causa degli eventi anche recenti con il loro carico funesto e distruttivo, sono passati 70 anni dall’ultimo fumo uscito dalla bocca del Vesuvio. Non abbiamo neanche sperimentato un’eruzione dei Campi Flegrei; paradossalmente ci si occupa di quello che la cronaca ci rimanda visivamente, e nel caso dei vulcani napoletani, ovviamente, la quiete colpisce meno e non cattura attenzioni particolari. Investire nella ricerca e nel monitoraggio ci consentirebbe di cogliere molte informazioni, anche da un piccolo evento freatico, su quelli che sono i processi profondi a tutto vantaggio della sicurezza areale.

Il Deep Drilling Project Campi Flegrei (Bagnoli), è un progetto perforativo molto discusso che non si sa se avrà una continuazione. La trivella avrebbe dovuto raggiungere i 3800 metri di profondità per indagare la caldera sotto Pozzuoli, lì a mare, per carpire informazioni di taglio scientifico ma anche di potenzialità geotermiche…. Una sua idea nel merito Dottor De Siena?

Il Deep Drilling é un sistema d’indagine diretto, direi un grande successo islandese, che sta portando solo adesso, e dopo un’esperienza durata 10 anni, i suoi frutti migliori in termini di sviluppo tecnologico e ricerca avanzata. Le mie attività lavorative prevedono consulenze per ditte che hanno nei loro obiettivi la ricerca di idrocarburi e fonti geotermiche ad alto rendimento. A tal fine si utilizzano tecnologie raffinatissime e tecniche di rilevamento da decine di milioni di euro. Nonostante le enormi risorse impiegate, piú di una volta su cinque si perfora nel posto sbagliato. Gli stessi islandesi commisero un clamoroso errore di perforazione, con la trivella che doveva spingersi fino a 4 chilometri di profondità per carpire fluidi super critici, e invece a 2 chilometri incappò nel magma perdendo così la turbina da taglio.

Ovviamente, portare il modello islandese a Napoli, nei Campi Flegrei, é stato difficilissimo. Le polemiche sono state inevitabili e collegate ad alcuni concetti così riassumibili: sapete davvero dove perforare? Siete sicuri non ci sia magma nei primi 2 km? Con che tecniche perforate? Le incertezze relative alla prospezione sismica del sottosuolo flegreo, a causa delle sue caratteristiche particolari che non restituiscono profili altamente attendibili utilizzando sismicità artificiale di superficie, è un dato fondamentale che bisognava e bisogna tenere in debito conto. E ancora: innalzare torri di trivellazioni e impiantare un cantiere in un territorio metropolitano densamente abitato, comporta fattori di rischio aggiuntivi rispetto al contesto islandese, e di ciò bisognava tenerne conto. Inoltre, in Italia manca l’esperienza pregressa per un tale tipo di sondaggio, che non è esente da inconvenienti di percorso. Accontentiamoci intanto e allora delle notizie, dei dati che fin qui sono emersi dai carotaggi del pozzo pilota di Bagnoli, con i suoi 500 metri di profondità.

Concludiamo l’Intervista ringraziando il Dott. Luca De Siena, ricercatore e docente dell’Università Aberdeen di Scozia, per gli importanti chiarimenti che ci ha fornito sugli aspetti del sottosuolo flegreo. Contiamo quanto prima di conoscere l’ulteriore lavoro che si appresta a pubblicare.


Nei primi chilometri del sottosuolo flegreo avvengono quindi interscambi non meglio quantificabili e qualificabili: o il magma con qualche intrusione è entrato nelle acque del sottosuolo flegreo, o viceversa le acque di questa plaga circolando hanno trovato il magma. L’elemento conclusivo è che in entrambi i casi abbiamo a che fare con processi che si attagliano a un territorio ad alto rischio vulcanico.  Ci si può solo interrogare se permanere in questo settore a rischio, o viceversa andarsene per non dover affrontare chissà quando un’emergenza vulcanica.  

L’unico strumento che si offre come mediazione tra il permanere e l’andarsene, è un valido piano di evacuazione da mettere in atto all’occorrenza e ben prima dell’eruzione. Come accennava il Dott. De Siena, in Italia i terremoti sono anche mediaticamente l’evento con cui ci si confronta maggiormente. Il terremoto è repentino e comporta due necessità: sotterrare i morti e ricostruire nel segno dell’antisismico. E poi, mentre per la prevenzione del rischio sismico possiamo agire anche in forma singola e diretta, magari decidendo di riqualificare staticamente la struttura dove abitiamo, l’eruzione vulcanica non prevede formule di protezione unifamiliare, se non quella preventiva di cambiare luogo di residenza. Diversamente allora, l’azione delle popolazioni flegree e vesuviane, deve essere necessariamente collettiva, incidendo sulle priorità della politica e pretendendo la predisposizione di ogni misura utile per mitigare il rischio vulcanico, esaltando il ruolo del piano di emergenza e di evacuazione quale annesso essenziale, con tutte le strutture che ne faciliterebbero l’applicazione. In area vulcanica lo sviluppo possibile e sostenibile deve misurarsi alle esigenze evacuative e non viceversa… 

Un particolare ringraziamento al Dott. Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore e docente presso l'Università Aberdeen di Scozia, per l'interessante intervista che ci ha concesso.




giovedì 24 maggio 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: un vulcano nuovo? ...di MalKo






Rione terra - Pozzuoli (Campi Flegrei)


I Campi Flegrei rappresentano un rebus geologico molto preoccupante per la plaga napoletana, al punto da destare l’interesse scientifico della comunità nazionale e internazionale, con quest’ultima che non riesce a comprendere come possa essersi concretizzata una cotale commistione tra uomo e super vulcano: nel catino calderico infatti, sono immerse circa 550.000 persone… Intanto i segnali geofisici e geochimici che provengono dall’insondabile sottosuolo, non danno spazio alle certezze previsionali ma ai supposti, che difficilmente possono offrire garanzie di totale salvaguardia.


L’allarme nel flegreo in realtà ha avuto inizio negli anni 70’ col bradisismo, fenomeno di abbassamento e sollevamento del terreno, accompagnato da sismicità persistente, che ovviamente incise sulla statica dei palazzi e specialmente di quelli più vecchi.  Gli elementi di preoccupazione quindi, si focalizzarono sulla stabilità degli edifici e sulle scosse sismiche, piuttosto che sul potenziale rischio eruttivo che pure c’era. 

Il 2 marzo 1970 ci fu l’evacuazione della popolazione dal Rione Terra di Pozzuoli, che venne poi allocata in quello che oggi è il Rione Toiano, cioè appena a ridosso del Lago D’Averno.  Monterusciello con i suoi 16.000 vani è un’ulteriore quartiere nato anch’esso dalle problematiche bradisismiche questa volta degli anni ’80, con punte di totale allarmismo raggiunte il primo aprile del 1984. Ciò comportò ancora una volta lo spopolamento del centro storico puteolano; Toiano e Monteruscello quindi, sono due insediamenti residenziali nati dai problemi bradisismici e sismici che comportarono una ricollocazione di un gran numero di cittadini da una zona molto sismica a una zona molto vulcanica…


Rione Toiano - Pozzuoli 
Tra le polemiche striscianti post emergenza, ci fu pure chi profferì che il bradisismo aveva fatto da spalla a una colossale speculazione edilizia, in un contesto di disorientamento della classe scientifica colta di sorpresa e senza strumentazioni di monitoraggio installate nell’area. Il sismografo più vicino al super vulcano flegreo infatti, pare che fosse quello installato all’interno della facoltà di geologia a largo San Marcellino nel centro storico di Napoli…

Quartiere Monterusciello - Pozzuoli (Campi Flegrei)
La défaillance scientifica e strumentale in quei frangenti di totale azzardo, ebbe pure una parentesi polemica per l’arrivo del vulcanologo Haroun Tazieff, decisamente snobbato, mentre uno scienziato giapponese fu invitato per una consulenza, non si sa quanto utile, perché in assenza di dati e di una pregressa storia di monitoraggio della caldera, si dissertava su di un illustre quanto sconosciuto sottosuolo. John Guest, vulcanologo inglese invece, pare sia stato lo scienziato che più di ogni altro temeva un evento eruttivo: un allarmista sfegatato, secondo le cronache di quei momenti.


La scelta di reinsediare i 30.000 sfollati dal centro storico e dal rione Terra (Pozzuoli), nella zona periferica di Monte Rusciello, fu frutto della logica che sul piccolo rilievo (110 mt.) il rischio sismico era minore rispetto alla zona portuale puteolana  Questa scelta ovviamente lascia pochi dubbi sul fatto che l’eruzione vulcanica non era contemplata tra le ipotesi di maggiore pericolosità; oppure che una tale evenienza veniva circoscritta ad un evento molto misurato, alla stregua dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Questo fu l’evento più piccolo in assoluto avutosi nel flegreo, sopraggiunto dopo circa 3000 anni di pace vulcanica, ancorchè introdotto da un rigonfiamento dei suoli. 

In altre parole e sempre generalizzando, i Campi Flegrei politicamente, tecnicamente e scientificamente, furono “scoperti” come distretto vulcanico appena negli anni ’70 – ‘80. In pochi decenni si è passati dalla sottostima iniziale del pericolo eruttivo, alla consapevolezza che i Campi Flegrei col “fratello” Vesuvio, sono il problema più grande di protezione civile che abbiamo in Italia e in Europa.

Col tempo abbiamo appreso pure che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica grande camera magmatica, su cui galleggia la città di Napoli con buona parte della sua estensione metropolitana.  Il trasporto ferroviario, la metro, tra l’altro passa nelle gallerie realizzate interamente nel corpo tufaceo che borda la caldera flegrea, e poi sul basalto vulcanico del Vesuvio: un collegamento tout court tra la zona rossa flegrea e la zona rossa Vesuvio con poche analogie nel mondo.

La caldera dei Campi Flegrei oggi è in una condizione di attenzione vulcanica, e in caso di allarme le popolazioni non sarebbero ridistribuite all’interno dello stesso territorio comunale, tanto di Pozzuoli che di Quarto o Bagnoli o Fuorigrotta, bensì in altre regioni italiane. Del resto pure l’Osservatorio Vesuviano cerca una sede fuori dalla zona rossa flegrea, perché in caso di allarme il personale tecnico e scientifico sarebbe costretto ad abbandonare la struttura, in un momento particolarmente importante per l’interpretazione dei dati di monitoraggio del vulcano.

Oggi abbiamo una tabella che enuncia i 4 livelli di allerta vulcanica, che introducono a loro volta un corrispettivo operativo. Se questa tabella fosse stata vigente negli anni ’80 c’è da chiedersi quale livello di allerta sarebbe stato dichiarato, e quale fase operativa sarebbe stata promossa.  Il primo aprile 1984, con picchi nel sollevamento e sciami sismici incalzanti, con le logiche dell’attualità sarebbe stato impossibile non dichiarare almeno lo stato di pre allarme vulcanico. In realtà lo si fece con un manifesto sindacale che consigliava alla popolazione di lasciare il centro storico, quello coi fabbricati meno resistenti al martellio sismico. In molti accettarono l’invito…



Oggi siamo in attesa di una legge dello Stato che oltre a classificare l’area flegrea ad alta pericolosità vulcanica, favorisca un disposto regionale che vieti qualsiasi costruzione finalizzata ad incrementare il numero di abitanti nella caldera, alla stregua di quanto è stato già fatto sui pendii del Vesuvio. Trentaquattro anni fa, tecnici scienziati e politici furono catapultati in un incubo: qualche errore fu commesso e non risaltarono meriti particolari nella gestione dell’emergenza. La doppia esperienza del bradisismo puteolano non è servita a catturare fino in fondo l’attenzione delle istituzioni politiche che passano… Manca ancora un sistema di evacuazione, una informazione veritiera e non soporifera, così come si sente l’assenza di pratiche integrate di prevenzione delle catastrofi.


L’assenza di una classificazione ad alta pericolosità vulcanica così come la mancanza di una legge che ponesse fine all’insediamento residenziale nella caldera flegrea, ha fatto sì che dal 1971 al 2011 la popolazione di Pozzuoli aumentasse di circa 23.000 abitanti, grazie anche ai nuovi insediamenti prima accennati.



Intanto l’incubo bradi/eruttivo è ritornato. Le temperature aumentano e i suoli seppur minimamente montano, e dal vulcano Solfatara sbuffa via anidride carbonica in quantità industriale. L’autorità scientifica macina monografie e intanto teme che possa arrivare il momento assolutamente cruciale di dover esprimere un parere sulla pericolosità vulcanica in un contesto operativo caratterizzato da piani di evacuazione in itinere. Con questa crisi attuale modicamente bradisismica e vulcanica da quantificare, non ci possiamo permettere titubanze, disorganizzazioni, conflitti di competenza e soprattutto non possiamo neanche accettare l’allineamento acritico delle istituzioni.

Concludiamo con una piccola nota che pretende riflessioni: 240 cattedratici in rappresentanza di otto Facoltà universitarie napoletane, guidati dal rettore di architettura, negli anni ’80 presero in mano e studiarono la faccenda del reinsediamento degli sfollati, poi risolto con la realizzazione degli alloggi a Monterusciello (Pozzuoli), in piena zona rossa vulcanica flegrea. A leggere le cronache di allora, la cosa più sensata la dissero quelli del WWF (World Wide Fund for Nature), contrari al progetto Monte Rusciello perché troppo vicino ai pericoli del bradisismo. L’emerita associazione insisteva per la realizzazione degli alloggi a Villa Literno. Occorre dire che tecnicamente sarebbe stata una scelta di prevenzione ineccepibile, perché lontana dai flussi piroclastici, dalla pioggia di cenere e lapilli, in un contesto territoriale già servito da una metropolitana di superficie…


domenica 22 aprile 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: il dovere di interrogarsi... di MalKo


Lago d'Averno - Campi Flegrei


Alcuni lettori manifestano la loro paura nel vivere all’interno della caldera flegrea, il distretto vulcanico che caratterizza l’area occidentale della metropoli napoletana. Una paura dettata dall’acuirsi di segnali poco rassicuranti provenienti dal profondo… 
In questa zona le recenti teorie ipotizzano che sussiste uno stress nella crosta calderica, dovuto prevalentemente all’azione del calore diffuso dalla circolazione di fluidi caldissimi e da quella meccanica dettata dai processi di innalzamento e abbassamento dei suoli. A immettere calore e acque juvenili nel sottosuolo flegreo, sarebbero state intrusioni magmatiche spintesi fino ad alcuni chilometri dalla superficie…


Qualora le dinamiche nel sottosuolo dovessero eccedere la resistenza statica della coltre litoidea, non è possibile definire in anticipo quale punto o punti della caldera flegrea, dall’Averno ai contrafforti di Posillipo, potrebbero cedere e dar vita a bocche eruttive. Tutta la zona rossa flegrea da questo punto di vista è a rischio, anche se il comune di Pozzuoli per estensione e centralità e numero di abitanti e fragilità del centro storico agli eventi sismici, presenta forse qualche indice di vulnerabilità più ampio. Tant’è che ancora oggi la cittadina puteolana è associata per antonomasia ai movimenti bradisismici, platealmente evidenti sulle colonne del macellum, un sito archeologico che finisce sott’acqua o al di sopra a seconda delle ascese o discese dei suoli rispetto al livello medio del mare.

il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

Che prima o poi ci sarà un’eruzione nei Campi Flegrei purtroppo è indiscutibile, ma occorre precisare che nessuno è in grado di prevedere quando questa manifestazione dirompente ci sarà: potrebbero passare giorni, anni o secoli… Occorre poi aggiungere nel quadro delle incertezze, che la previsione dell’evento vulcanico non è una scienza deterministica, soprattutto perché bisogna mettere insieme una serie di dati offerti dal monitoraggio continuo, congiuntamente a osservazioni sul campo ma anche satellitari, che gli scienziati dovranno interpretare e confrontare con le esperienze più varie e senza grandi database a disposizione. I Campi Flegrei non eruttano dal 1538, e ogni eruzione non è mai un clone di quella precedente…  A dirla tutta quindi, non ci sono degli automatismi legati a valori di soglia strumentale, da carpire e validare per pigiare senza indugi il pulsante arancione o quello rosso di allarme.

Quindi non c’è certezza matematica sui tempi di preavviso eruttivo. Purtuttavia la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che difficilmente un tale evento ultra dinamico, foriero di dirompenze, possa manifestarsi all’improvviso. Qualcuno intuisce però, che forse il coperchio magmatico flegreo stressato dal calore e dai movimenti verticali alternati, è un po’ meno resistente staticamente, più vulnerabile e forse con una maggiore cedevolezza anche alle eruzioni freatiche (vapore) che potrebbero scatenare il panico. Che qualche cittadino manifesti paura, riteniamo che sia una risposta comprensibile e tutta umana a questa sequela di incertezze.

Non ci sono molte alternative per sottrarsi al risiko eruttivo finché si dimora in un distretto vulcanico esplosivo attivo, e questo a prescindere dal nome del comune o della municipalità: quello che vale è l’ubicazione interna alla caldera flegrea, dove la resilienza comporta, e gioco forza, a vivere bene o male su una depressione che grava sul calore magmatico.

L’alternativa alla delocalizzazione preventiva, cioè all’andarsene per motivi di sicurezza personale già da adesso, consiste unicamente nell’accettare il brivido di essere utenti di un piano di evacuazione che dovrebbe avere la potenzialità strategica di spostare 550.000 abitanti dalla zona rossa flegrea verso mete più sicure nel giro di 72 ore. Uno spostamento massivo che si renderebbe necessario alla diramazione dell’allarme, per anteporre un congruo numero di chilometri tra la vita umana e il fuoco astenosferico, che potrebbe intrufolarsi fino alla superficie per poi dilatarsi sotto forma di colate piroclastiche e caduta di  cenere e lapilli.

Campi Flegrei: zona rossa e gialla.

Un problema serio quello della previsione dell’evento eruttivo, in quanto c’è la necessità tutta operativa di evitare un falso allarme ma più ancora un mancato allarme. Quindi non si può né anticipare e né ritardare lo start evacuativo: bisognerà muoversi al momento giusto… Questo significa che l’ente di sorveglianza, l’Osservatorio Vesuviano, deve operare in chiave sì scientifica ma con un management di taglio operativo, spiccatamente operativo, cioè senza défaillance o incertezze come è successo con la localizzazione del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017. Quattro giorni sono un tempo insopportabile per avere la giusta localizzazione dell’epicentro di un sisma… Che questa sezione periferica dell’INGV cerchi casa per sloggiare dalla zona rossa flegrea e un prima segnale di management operativo ma non basta. Si auspica che la prossima sede abbia una ubicazione maggiormente consona alle funzioni dell’ente e soprattutto alla carta di pericolosità regionale che è necessario valutare in anticipo. 

Nell’area flegrea attualmente vige la fase di attenzione. Un’attenzione che riguarda il mondo scientifico ma anche i cittadini che dovrebbero organizzarsi in senso familiare qualora gli eventi dovessero rendere necessario il passaggio alla fase di preallarme. Una fase operativa dove i cittadini sono i protagonisti ma non lo sanno…

I livelli di allerta vulcanica

Durante il preallarme infatti, la zona rossa verrebbe progressivamente presidiata dai soccorritori. Si provvederebbe poi alla evacuazione degli ospedali, delle case di cura, delle case circondariali e delle opere d’arti che verrebbero trasportate in luogo sicuro. In questa fase le famiglie che dispongono di una casa altrove e fuori dal perimetro a rischio, possono allontanarsi volontariamente, dopo aver comunicato alle autorità comunali il luogo di destinazione. In questo caso dovrebbero poter usufruire di un contributo di autonoma sistemazione. Chi va via però, non può ritornare nella zona rossa flegrea finché il livello di allerta non ritorni su attenzione. Questo vuol dire che potrebbero passare giorni, mesi se non anni: elemento non di poco conto da tenere in debita considerazione se ci si appoggia a parenti o amici.

Le uscite dalla zona rossa verrebbero regolamentate dai cancelli, che sono una sorta di posti di blocco. Lo stesso dicasi per gli ingressi, che sarebbero consentiti agli evacuati del preallarme solo in casi di effettiva necessità, avallati presumibilmente e in anticipo dagli uffici prefettizi in seno alla direzione di comando.

Chi all'occorrenza gradirà allontanarsi dalla zona rossa già nella fase arancione di preallarme, nel comune di domiciliazione dovrebbe poter ricevere tutta l’assistenza necessaria per gli adempimenti scolastici e anche sanitari e amministrativi e anagrafici e bancari o postali in ragione delle incertezze temporali legate proprio alla fase di preallarme. Per questo motivo si parla di opzione riservata soprattutto a chi ha la seconda casa… Tutto risolto? No! C’è un altro problema: cinque mesi fa il sindaco di Pozzuoli, Figliolia, organizzò una riunione con il capo dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli. Tutti si aspettavano le solite rassicurazioni e le prese di distanza dagli allarmisti. Ebbene, Borrelli prese le distanze questa volta dai rassicuratori di professione… In merito all’incontro informativo sullo stato di attività dei Campi Flegrei, avvenuto martedì scorso, 15 novembre, a Pozzuoli presso la sede del Centro Operativo di protezione civile del Comune, è necessario sottolineare che i messaggi chiave emersi dalla riunione sono lontani dalla semplificazione “non ci sono rischi, rassicurata la popolazione”, così come riportato da alcuni organi di stampa. Perché questa precisazione? Lo si capisce al termine del comunicato: A questo proposito è utile sottolineare che, per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste.

Che significano queste parole? Intanto che la previsione dell’evento vulcanico nel flegreo come nel vesuviano e come a Ischia non ha certezze deterministiche nonostante che si dica che queste zone siano le più monitorate del mondo. Una teoria che è innanzitutto una verità, ed è anche la tesi sostenuta dal Prof. Mastrolorenzo (INGV-OV), che da anni sposa la linea di informare correttamente i cittadini pure se sussiste il blando rischio di allarmare. E poi con quest’affermazione cambiano i termini di responsabilità circa la tutela dei cittadini, responsabilità che passano dal mondo scientifico a quello amministrativo, e soprattutto in capo ai Sindaci che sono autorità locali di protezione civile.

Il Sindaco Figliolia ma anche De Magistris, dovrebbero confrontarsi con i cittadini nell’ambito di tavole rotonde sulla bontà dei piani di evacuazione, senza bisogno di interventi da parte di terzi, che servono poco fino a quando non ci saranno novità di ordine scientifico sulla previsione degli eventi vulcanici o sulle variazioni delle zone rosse.
In assenza di previsione infatti, la sicurezza a fronte delle catastrofi ricade in capo alle competenze dei primi cittadini, perché il pericolo eruttivo è ben localizzato e conosciuto negli effetti, come le zone rosse dove potrebbero abbattersi le fenomenologie vulcaniche più devastanti. La ricetta è andarsene via all’occorrenza gambe in spalla: siamo pronti con i piani di emergenza e di evacuazione? No! Con i gemellaggi? Neanche...
Zona rossa Campi Flegrei: carta dei gemellaggi



giovedì 22 febbraio 2018

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: il rischio vulcanico... di MalKo





Il rischio vulcanico è la possibilità potenziale in un arco di tempo probabilistico ma non deterministico, che possa manifestarsi un’eruzione capace di dare origine a fenomeni magari molto energetici e violenti e incontenibili che possano in una certa misura investire e danneggiare i valori esposti all’eruzione. Questi ultimi sono innanzitutto rappresentati dalla vita umana e poi da tutti i beni materiali che si trovano nel raggio d’azione del vulcano. Tale tipologia di rischio non esclude possibili ripercussioni anche sull’ambiente e sul clima.

Il rischio vulcanico dipende dall’ubicazione geografica del vulcano e dal tipo di eruzione da attendersi e che generalmente è possibile stimare analizzando la storia geologica dell’apparato in questione. Alcuni vulcani si caratterizzano per un'attività prevalentemente effusiva. Altri ancora potrebbero rompere la quiescenza con uno stile esplosivo, così come in altri casi l'attività vulcanica potrebbe avere un indirizzo intermedio tra l'effusivo e l'esplosivo (misto). I più pericolosi probabilmente sono quelli che nella loro storia eruttiva hanno prodotto imprevedibilmente tutti i tipi di eruzione, rimanendo così intatta la necessità della doppia previsione, cioè quando accadrà l’evento e con quale energia.

Le fenomenologie vulcaniche generalmente hanno una virulenza legata all’intensità eruttiva (VEI), con fenomeni energetici che si manifesterebbero con una diversa velocità di propagazione, e che andrebbero ad investire un territorio tecnicamente indicato come zona rossa.

Una lava ad esempio, pur essendo sostanzialmente inarrestabile, è poco pericolosa per la vita umana perché ha un incedere molto lento. I roventi flussi piroclastici invece, hanno una tale velocità di propagazione da essere annoverati tra i fenomeni vulcanici quelli più pericolosi in assoluto.

Nel concetto di rischio vulcanico ci sembra che ad occupare un posto di assoluta rilevanza sia la città di Napoli. Infatti, non ce ne sono moltissime di metropoli nel mondo, dove prendendo la classica ferrovia metropolitana si può passare da un distretto vulcanico all’altro, ovvero da una zona rossa come quella del super vulcano dei Campi Flegrei a un’altra famosissima zona rossa, non meno importante e pericolosa come quella che caratterizza il comprensorio dominato dal mitico Vesuvio. Da vulcano a super vulcano insomma, e viceversa…

La metro di Napoli per assicurare questo collegamento dal flegreo al vesuviano, attraversa in trentacinque minuti una tratta che si snoda in superficie e nel sottosuolo, in un territorio nelle cui profondità chilometriche si estende una unica ed enorme camera magmatica

Il metrò passa in gallerie o trincee che costeggiano estesi banchi di tufo giallo che rappresentano l’ossatura del sottosuolo napoletano prevalentemente di origine vulcanica. Un prodotto lapideo il tufo, generato circa 15.000 anni fa dall’attività esplosiva dei Campi Flegrei, che emisero colate piroclastiche trasformatesi in depositi sciolti poi diagenizzati, che hanno favorito col tempo la litificazione dei materiali. Questi prodotti litoidi sono stati carpiti a piene mani in tutte le epoche storiche per fini edilizi, così come i banchi di tufo sono stati spesso sottoposti a perforazioni ed estrazioni per realizzare cisterne e acquedotti.

Napoli: sottosuolo. Cavità tufacea adibita a cisterna. Si noti l'intonaco di base impermeabilizzante
Nel tufo giallo sferraglia quindi la metropolitana di Napoli, fino a raggiungere il grigio scuro dei lapilli e del basalto vesuviano: un percorso tutto vulcanico al modico prezzo di 1,30 euro… Il metrò comprende nella sua corsa anche una fermata a ridosso di via Diocleziano dove ha sede l’Osservatorio Vesuviano. Per ubicazione quindi, In caso di allarme vulcanico anche i vulcanologi e i tecnici dell’INGV dovranno lasciare la zona rossa flegrea per riparare altrove.
Boscotrecase - Blu Marlin - una colata basaltica  penetrò in questo casolare poi restaurato
Non si capisce la filosofia se non la strategia utilizzata per posizionare la struttura scientifica di sorveglianza (Osservatorio Vesuviano), in piena zona rossa flegrea. Intanto e alla stregua, ad est di Napoli nel vesuviano, si è realizzato l’Ospedale del Mare. Trattasi del più importante nosocomio del sud Italia che dovrà essere anch’esso evacuato qualora dovessero presentarsi le condizioni di preallarme vulcanico. In tal caso costituendo zavorra operativa piuttosto che risorsa strategica in frangenti emergenziali.

Non si capisce neanche a quale genere di prevenzione appartenga la preveggenza politica e scientifica appena descritta, che già negli anni ’80 e in seguito ai fenomeni bradisismici, favorì lo spostamento di parte della popolazione da Pozzuoli a… Monteruscello, cioè dalla zona centrale dell’abitato a quella periferica: in altre parole da zona rossa a zona rossa.

I Campi Flegrei dal 2012, stanno attraversando un periodo di irrequietezza che ha fatto innalzare il livello di allerta vulcanica da base ad attenzione. D’altra parte trattandosi di una zona dove permane una quiescenza quantificabile in circa mezzo millennio, non si può escludere una certa ricarica del sistema magmatico utile per qualsiasi colpo eruttivo. La blanda eruzione del Monte Nuovo nel 1538, avvenne dopo una quiescenza di 3000 anni. Un evento che forse difficilmente avrà riportato le condizioni di volumi e pressioni nella camera magmatica ai valori preesistenti tre millenni prima. La logica porterebbe quindi a ritenere l’evento del 1538 come un episodio di cedevolezza puntiforme rispetto a un bacino magmatico forse molto più esteso e sanguigno.

Nel flegreo intanto si registra una moderata fenomenologia di innalzamento dei suoli (bradisismo), dovuta forse agli effetti del calore sugli acquiferi dettati da intrusioni magmatiche insinuatesi fino a tre chilometri dalla superficie. In un trattato degli anni '60, alcuni scienziati già sancirono che nei Campi Flegrei c'era stata una corposa intrusione dalla notevole incidenza verticale...

A ridosso del vulcano Solfatara in località Pisciarelli, sono intanto aumentate pure le emanazioni gassose di anidride carbonica che hanno raggiunto la cifra record di 3000 tonnellate al giorno. Anche la temperatura delle fumarole ha toccato picchi massimi di tutto rilievo. E poi una certa attività sismica a tutt’oggi persiste anche a livello di sciami, con  la popolazione che non sempre avverte i moderati sussulti. 

Una caldera quella flegrea, così estesa da determinare una serie di problemi in ordine sia alla previsione utile del fenomeno eruttivo, sia alla bocca eruttiva che potrebbe non essere l’unica ad attivarsi nel recinto calderico.

Recentemente il mondo scientifico è diventato prudente a proposito della certezza del preavviso eruttivo, tant’è che l’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano il Dott. Giuseppe De Natale, ha sottolineato che gestire un’emergenza nel flegreo è problematico, perché gli aspetti geologici da valutare sono tanti e particolarmente complessi al punto da poter richiedere tempi di responso sul pericolo, superiori alle necessità operative di tutela delle popolazioni. Nulla da obiettare...

Dall'altro lato invece, il Vesuvio pare sonnecchi con una certa tranquillità: l’allarme più rilevante si ebbe il 9 ottobre del 1999, per una scossa di terremoto con una magnitudo 3,6 (Md), localizzata nell’area craterica del Vesuvio a 3,8 chilometri di profondità.

L’evento fu chiaramente avvertito dalla popolazione vesuviana che rimase sgomenta, non solo per la diretta percezione dei sussulti, ma soprattutto perché l’energia proveniva dal ventre del temuto monte. L'11 ottobre alle 4.35 ci fu una replica sismica da M 2.9 della scala Richter...

In seguito a questa spallata sismica, non furono poche le persone che si allontanarono prudenzialmente dall’area vesuviana. In quel periodo ricordiamo che ci fu una diatriba scientifica fra l’ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano Giuseppe Luongo e la direttrice Lucia Civetta. Il primo ribadiva la necessità di dichiarare lo stato di attenzione vulcanica. La seconda tirava ad aspettare per decidere... Si finì a querele presso la procura della repubblica di Torre Annunziata. Trattandosi dell’evento sismico più potente dal 1944, qualche precauzione era forse più che giustificabile. La faccenda alla fine ebbe un risvolto salomonico: de facto si passò allo stato di attenzione vulcanica, ma senza dichiararla…

I recenti comunicati rilasciati dal dipartimento della protezione civile hanno fatto sapere molto garbatamente che per ogni vulcano il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste. 

Certamente in una condizione sociale dove persistono problematiche di ogni tipo, il rischio vulcanico a torto o a ragione in assenza di segnali percepibili di allarme non rientra nelle immediate attenzioni della popolazione esposta: figuriamoci nelle altre frange ubicate altrove. Ce ne rendiamo perfettamente conto...

Mentre possiamo trovare soluzioni alle nostre necessità giornaliere, il rischio vulcanico intanto non declasserà mai, se non in tempi geologici ma non per scomparire ma per ripresentarsi altrove. Come sapete, nonostante per il futuro si faranno passi in avanti nelle tecniche di previsione dell’evento eruttivo, bisogna cogliere il dato che la natura non ha pietà per alcuno, perchè non deve averne, e i suoi meccanismi energetici sono una incessante macchina da riciclo per garantire ovunque e comunque la vita sul Pianeta. C'è da chiedersi: per l'uomo o senza l'uomo?

L’inestricabile connubio tra uomo e vulcano nel napoletano, ha assunto valori di ineluttabilità e senza farci tante illusioni, piani di prevenzione non ce ne sono, ma in ogni caso difficilmente si riuscirebbero ad attuare, perché la percezione ingannevole non lascia intravedere e soppesare la reale pericolosità di vivere a ridosso di vulcani esplosivi.

L’unico strumento che oggi abbiamo per difenderci dalle eruzioni, è un ragionato piano di evacuazione. Un piano che serve ad azzerare il valore esposto prima che il fuoco magmatico irrompa in superficie. Forse con qualche legge che inibisca l’incremento abitativo in zona rossa insieme al varo e alla costruzione di qualche carreggiata dedicata all’evacuazione, si potrebbe tentare di migliorare all'occorrenza la gestione della fuga dal vulcano. Purtroppo cattura più attenzione il dibattito sul condono edilizio.

Uno dei principali temi su cui dover riflettere, è che l’intera organizzazione dell’evacuazione si basa su un semplice quanto enigmatico presupposto tutto sbilanciato sulla previsione della previsione dell’evento eruttivo…cioè della serie prevediamo di prevedere l'eruzione un certo tempo prima. Statisticamente non è confortante...

La situazione più drammatica che potrebbe prefigurarsi un domani? Il varo dello stato di attenzione anche per il Vesuvio: per Napoli sarebbe un thriller alla Hitchcock.