La valeriana rossa traguarda l'orlo calderico del Mt. Somma dal Vesuvio. Al centro la valle dell'inferno |
“Il fantomatico piano di evacuazione della zona rossa Vesuvio” di MalKo
Il vulcanologo giapponese Prof. Nakada Setsuya dell’Università
di Tokyo, ospite ad Ascea nel Cilento, ha dichiarato: " Il Vesuvio prima o poi erutterà perché è un
vulcano attivo, anche se non si può prevedere quando. Gli italiani devono
discuterne e preparare un piano per gestire la situazione…”.
Il piano d’emergenza Vesuvio come spesso abbiamo avuto modo di sottolineare nei nostri articoli,
dovrebbe contenere anche il piano di evacuazione
della zona rossa. Nel nostro caso i due piani dovrebbero addirittura fondersi
in un tutt’uno perché non ci sono più pericoli da vagliare, ma solo uno
(eruzione) che è stato ampiamente analizzato a cura della comunità scientifica
che ha individuato nella tipologia sub pliniana, secondo un calcolo storico
statistico, l’evento massimo atteso, cioè nel medio termine l’eruzione di
riferimento su cui deve essere tarato il piano d’emergenza.
Un’eruzione sub pliniana non è mitigabile o arginabile e
contempla varie fenomenologie distruttive come quella micidiale dei flussi piroclastici.
In questo caso non c’è ombrello che tenga e l’unica strategia di difesa è
quella di non farsi trovare nei territori esposti in caso di eruzione. All’occorrenza,
l’evacuazione preventiva della popolazione e degli stessi soccorritori dal
settore a rischio è una necessità indifferibile.
I prodromi eruttivi, riferisce il Prof. Nakada, possono
manifestarsi e precedere l’eruzione con larghissimo anticipo ma è anche vero il
contrario. Il Vesuvio, come i terremoti, in termini di previsione ancora oggi rappresenta un’insondabile incognita
geologica.
Il piano d’emergenza Vesuvio nella parte iniziale contiene il capitolo concernente gli scenari eruttivi e i livelli di allerta vulcanica. Negli
scenari sono stati individuati e tracciati e delimitati i territori su cui
possono abbattersi gli effetti deleteri dell’eruzione assunta a campione, secondo
un livello di pericolosità crescente a partire dal centro eruttivo. Questo ha
portato alla definizione di una zona nera (R1) circoscritta dalla Linea Gurioli; una zona rossa 2, una gialla e poi la blu suscettibile tra l’altro a
dilaganti fenomeni alluvionali.
Il Dipartimento della Protezione Civile ha la responsabilità
della pianificazione nazionale d’emergenza Vesuvio, dovendo garantire per questo documento particolarmente
importante e di valenza nazionale, un’opera coordinatrice dei comuni vesuviani,
ma anche delle regioni e delle province e delle istituzioni competenti che
fanno parte appunto del servizio nazionale.
Nella pianificazione d’emergenza i tecnici dipartimentali hanno
definito sulla scorta degli argomenti precedenti (scenari e allerta) le fasi operative, cioè le azioni da
compiere all’incalzare dei livelli di allerta
vulcanica, secondo un trend al rialzo comprendente una fase di attenzione e poi
di preallarme e allarme. L’allarme dovrà essere
diramato a cura del Dipartimento della Protezione Civile, secondo le
disposizioni governative che dovranno assumersi una buona dose di
responsabilità. Una responsabilità che la parte politica dovrà o dovrebbe condividere
con la stessa popolazione che ha il diritto di conoscere esattamente il livello
di rischio a cui è sottoposta.
Prima di arrivare al massimo livello di allerta, le fasi
intermedie già prevedono e forse in modo addirittura soverchiante rispetto alle
reali necessità, la composizione e l’insediamento di troppi centri di
coordinamento dell’evacuazione e dei soccorsi, compreso la direzione di comando
e controllo con la nomina di un commissario governativo ad hoc (DICOMAC).
E’
surreale che a fronte di cotanta organizzazione di emergenza manchi la cosa più
importante: il piano di evacuazione.
Alla stregua,quella cartina a tema che siamo abituati a vedere affissa dietro
le porte degli alberghi, delle cabine delle navi, nei corridoi di scuole,
ospedali, teatri, cinema, fabbriche, ecc.
Una mappa schematica, che nel nostro caso dovrebbe
essere redatta da ogni singolo comune della zona rossa e consegnata agli
abitanti. Un vademecum contenente istruzioni e il tracciato rotabile o
alternativo (nave?) per raggiungere e allacciarsi ai tronchi principali di
mobilità che dovrebbero essere già stati individuati dal dipartimento della
protezione civile.
In caso di allarme, oggi si muoverebbero contemporaneamente migliaia
e migliaia di autovetture in quello che potrebbe essere definito un esodo
modernamente biblico. I motori delle auto stracariche ruggirebbero per
impegnare, a cura del capo famiglia, ogni direzioni ritenuta utile in quel
momento per uscire dal budello vesuviano. Una corsa che si rivelerà di pura
contrapposizione destinata a fallire sul nascere. Sarà un coro di clacson, di
gesti, di grida e pianto e scene di panico che accompagneranno alfine una
popolazione appiedata.
Ovviamente non è facile mettere mano a un documento che ha nelle
premesse il primato di essere il più complesso piano d’evacuazione del Pianeta…
In base all’esperienza che abbiamo maturato nell’ambito delle emergenze, abbiamo
prospettato anche nelle sedi opportune il nostro punto di vista su come
dovrebbe essere concepito questo fantomatico piano di evacuazione. Un piano
che, per avere margini di successo, dovrà essere snello, rapido e autoportante.
Bisogna rifuggire già nella pianificazione dagli appesantimenti dettati dalla
burocrazia e dalle catene di comando con gradi che si vantano e ruoli che si
sovrappongono e si pretendono come spesso succede anche nei frangenti più
drammatici.
Un margine di
successo potrebbe offrirlo e senza alternative valide, solo la rete
autostradale e non la viabilità ordinaria assolutamente inadeguata. Le autostrade a nord e a sud del Vesuvio, dovranno
essere aree di prima accoglienza e di attesa per i moduli abitativi provvisori
chiamati “autovetture”. Di là da Napoli inibendo l’accesso in entrata ai
caselli ubicati sull’A1 Napoli Roma, il tracciato autostradale diverrebbe un’enorme
area di ammassamento per i veicoli da incolonnare provenienti dal vesuviano. La
stessa cosa andrebbe fatta a sud sull’A3 Salerno Reggio Calabria. In questo
modo si avrebbero a disposizione due eccezionali aree di accoglienza veicoli a
nord e a sud.
L’autostrada
Napoli Salerno per le finalità del piano sarebbe troncata in due all’altezza di
Torre del Greco. Ovviamente il normale traffico extra provinciale ed
extra regionale transiterebbe su direttrici a est dello Stivale.
Il tracciato
autostradale vogliamo appena ricordare che non interseca la viabilità ordinaria:
è recintato, non ha incroci, è a circuito obbligato,consente salti di
carreggiata, è video sorvegliato ed è normalmente manutenuto. E’ anche meno vulnerabile
sismicamente parlando così come in seno ad una corretta pianificazione può essere
costellato da servizi di rifornimento, presidi medici, d’assistenza e d’igiene,
magari utilizzando corsie del senso opposto, aree di sosta o di servizio o
spazi prestabiliti nella pianificazione.
L’uscita dalle
due autostrade fuori dal perimetro a rischio sarebbe possibile per le famiglie
che possiedono la seconda casa in un luogo in linea con la direzione di marcia
e con il casello che s’intende impegnare.
La Caserta
Salerno (A30) sarebbe utilizzata come anello di congiungimento per convogliare verso
le macro aree di raccolta autostradali le auto dei paesi ubicati a est del
Vesuvio o invertire il senso di marcia cardinale per raggiungere la seconda
abitazione. L’autostrada ha poi il vantaggio di avere un reticolato
chilometrico precisissimo con apposita cartellonistica stradale di progressiva metrica
e ponti numerati. Una sorta di griglia stradale che non lascerebbe dubbi o
incomprensioni sul dove intervenire, anche utilizzando l’apporto operativo del
personale autostradale e dell’Anas particolarmente competente in tema di
viabilità, compreso le ditte di soccorso autorizzato provviste di carro
attrezzi e radio.
A una certa
distanza da Napoli o da Salerno, il traffico poi, sarebbe preincanalato nelle
corsie secondo la regione di destinazione attraverso i cartelloni a messaggio
variabile che possono anche visualizzare informazioni suppletive agli automobilisti in transito.
Il Prof. Nakada
probabilmente senza uscire dalla cortesia orientale, ha cercato di dire la sua
in un modo pacato con una cristallina semplicità. Il Vesuvio è un vulcano
attivo, quindi dovrà eruttare, non si sa quando e in che modo. Prepararsi
è un ragionevole atto di civiltà che va nella direzione del principio di
precauzione e del diritto alla sicurezza.
Mettere a punto un piano d’evacuazione che tuteli il tutelabile
in attesa di migliorie che possono provenire sola da una riconversione del
territorio nel senso della sicurezza, è un obbligo morale,istituzionale ma forse anche giuridico per le inadempienze e
per la cattiva informazione che fino a oggi è stata fatta e si continua a dare
sullo stato del rischio e sugli strumenti di tutela come il piano di
evacuazione inesistente eppure pubblicizzato…
Si eviti allora di rilasciare dichiarazioni che vanno nella
direzione di assumersi l’onere non contrattuale di rassicurare a tutti i costi,
ritenendo unilateralmente giusto che la popolazione non vada allarmata…La sentenza dell’Aquila avrebbe dovuto insegnarci molto, anche a proposito delle rassicurazioni
che, se poggiano sul niente, possono portare solo danno.
I vulcani, se sono attivi, prima o poi si risvegliano. E' successo, ad esempio, nel 2010 al Sinabung in Indonesia, dopo una quiescenza che durava dal XVII secolo. In questi giorni si sta facendo ulteriormente sentire.
RispondiElimina«Mount Sinabung last erupted in 2010 after a long centuries of calm. It’s last reported eruption was in 1600» (http://www.thejakartaglobe.com/news/evacuated-mount-sinabung-villagers-ask-for-aid/).