Le
operazioni di trivellazione che stavano interessando qualche giorno fa la
cittadina di Pozzuoli in località Scarfoglio, pur nel dichiarato impegno degli
autori di limitarsi a perforare solo per alcune centinaia di metri, non hanno
evitato un certo allarmismo tra la popolazione, atteso che la zona è vulcanica
e come tutto il comprensorio è in una condizione di livello di allerta tarato
sullo stato di attenzione.
Gli scopi di
questa attività di scavo meccanico, pare siano legati a sperimentazioni
sull’utilizzo della risorsa geotermica in una misura residenziale, che in quel
determinato punto si avvale di temperature dei fluidi già produttivi a bassa profondità.
La società che gestisce l’operazione usufruisce della consulenza dell’INGV e
delle maggiori università campane, che sono interessate a nuove tecnologie e
sistemi non convenzionali per sfruttare la risorsa geotermica onde produrre
elettricità e calore. Presumibilmente, secondo le convinzioni dei progettisti,
lo scavo poco profondo ancorché supportato scientificamente da molte rinomate
strutture statali come l’Osservatorio Vesuviano, necessitava della sola
autorizzazione della Regione Campania, ente erogante incentivi, senza bisogno
di procedere a valutazioni più ampie circa l’impatto ambientale e le
perturbazioni eventualmente che si sarebbero cagionate agli equilibri
complessivi e puntiformi in quel sito. In una zona calderica ancorché soggetta
a bradisismo e allerta gialla, non coinvolgere l’autorità comunale è stato un
errore, e bene ha fatto il sindaco di Pozzuoli a bloccare i lavori, a
prescindere dalla bontà del progetto che andava in ogni caso pubblicizzato e
approvato.
Ben pochi
sanno che un grande progetto di trivellazione prevedeva nel 2011 di carpire la
risorsa geotermica ad alta entalpia, direttamente dai fianchi del vulcano
sommerso Marsili. Se l’iniziativa supportata da un cast scientifico di tutto
rispetto (INGV) fosse andata avanti, l’Italia avrebbe forse potuto vantare la
più grande centrale geotermica offshore del mondo, in mare aperto ma a ciclo
aperto, e lontana decine di miglia dai centri abitati. Un progetto francamente
affascinante, ma che partiva col piede sbagliato, in quanto i proponenti
ritenevano che i circa 80 chilometri che separavano il vulcano dal centro
abitato più vicino, fosse una distanza garantista per l’incolumità delle genti,
e quindi da non necessitare di una procedura di valutazione d’impatto
ambientale (VIA) a cura della commissione del Ministero dell’Ambiente.
Il vulcano Marsili |
La società
proponente ebbe a scrivere che il rischio geologico vulcanologico connesso
alla perforazione, dai dati acquisiti non sembra presentare livelli di rischio
importanti. La commissione ritenne che la parola sembra non poteva
essere accettata nella definizione di un rischio. Il problema serio infatti,
era rappresentato dai materiali poco coesi in deposito sui versanti acclivati
del Sea Mount tirrenico che potevano franare. Le operazioni di trivellazioni
che avrebbero potuto cagionare sollecitazioni ma anche esplosioni di vapore,
potevano causare disequilibri e vibrazioni forse sufficienti per innescare un
massiccio movimento franoso dai pendii. In tal caso si sarebbe generato uno
tsunami molto pericoloso per le isole Eolie e la terraferma peninsulare
interessando più regioni. Il progetto Marsili in assenza di certezze fu
dichiarato assoggettabile alla procedura ministeriale di valutazione d’impatto
ambientale (VIA): da allora non è stato più ripresentato. L’elemento importante
di questo iter, è racchiuso nella necessità di valutare a cura delle società
votate all’energetico, ogni conseguenza diretta o indiretta che possa
discendere dalla manomissione del territorio, anche in tempi diversi e a
notevole distanza dal centro produttivo.
Il progetto “Campi Flegrei Deep
Drilling Project”, prevedeva che lo scalpello rotante doveva raggiungere da
Bagnoli e verso il porto di Pozzuoli, i 4 Km. di profondità, per fungere da
“periscopio” nel sottosuolo calderico più ingobbito della zona. Il sindaco di
Napoli Iervolino si oppose bloccando i lavori. Sarebbe il caso che lo Stato
pretendesse e applicasse anche agli organismi scientifici (INGV) che intendono
trivellare, la necessità di assoggettarsi a una completa valutazione d’impatto
ambientale (VIA), in modo che la salute e la sicurezza pubblica dei cittadini siano
in tutti i casi assicurati da soggetti terzi. Occorre aggiungere che non è la
finalità del progetto o la natura pubblica o privata del richiedente a rendere
immuni pericoli e processi di alterazione del territorio, bensì la rinuncia a
procedere, quando sussistono elementi d’incertezza che dovrebbero suggerire ampi
margini di precauzione.
Nella
valutazione d’impatto ambientale del progetto geotermico di Serrara Fontana
(Ischia), nonostante le assicurazioni basate sul supporto scientifico
dell’INGV, rimaneva concretamente e di fatto la scarsa conoscenza del
sottosuolo ischitano. Un vero azzardo allora presentare un piano di scavo
capace di apportare modifiche o inquinamento alle collaudate acque idrotermali
di superficie, che da secoli garantiscono una rinomata attività termale
fondamentale per l’economia dell’isola. Pure la notevole moltitudine di massi
che costellano il Monte Epomeo potevano trasformarsi in pericolo a seguito
delle attività di trivellazione e reiniezione dei liquidi emunti dal profondo. Nel
caso di Ischia quindi, l’impossibilità di classificare adeguatamente il rischio
sismico indotto e le sollecitazioni al sistema vulcanico in un quadro di
notevoli criticità idrogeologiche anche subacquee, alla stregua del Marsili, hanno
convinto la commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente ad esprimersi negativamente
per l’industria del geotermico sull’isola.
Un business interessante fu individuato
da una società operante nel geotermico, in località Scarfoglio a Pozzuoli, dove
in loco le temperature dei fluidi idrotermali che schizzano anche dal
sottosuolo sono industrialmente molto interessanti. Il problema è che tale
centrale pilota si pensava di realizzarla a ridosso della Solfatara, in un
settore dove le quantità di emanazioni gassose che si riversano in atmosfera
sono veramente tante, in un contesto di allerta gialla e un bradisismo areale che
sta mettendo a secco alcune zone del porto puteolano. Pure nel caso di
Scarfoglio, le perplessità sul rischio sismico naturale e indotto e le
possibili sollecitazioni al sottosuolo vulcanico saturo di gas, hanno fatto
propendere la commissione tecnica ministeriale, a chiedere analisi e
documentazione supplementari alquanto complesse, che non sono arrivate,
comportando di conseguenza l’archiviazione del progetto.
Nella Tuscia e lungo i territori del
lago di Bolsena e dei monti Vulsinii invece, un’autorizzazione a procedere col
geotermico è già arrivata a Castel Giorgio. Un gruppo di sindaci sta cercando
di far revocare tale autorizzazioni facendo ricorso al TAR: il pronunciamento
potrà risultare deludente, perché non essendo una struttura tecnica, l’analisi
dei giudici amministrativi verterà praticamente sui documenti esistenti.
D’altro canto pare che alcuni primi cittadini si siano rivolti pure al
Dipartimento della Protezione Civile, secondo logiche di prevenzione delle
catastrofi, perché l’attività perforativa e di reiniezione dei fluidi
idrotermali, proprio non li rassicura. D’altro canto neanche la scienza ha ancora
elementi per dare certezze conclusive sulla possibilità di danno derivanti
dalle attività invasive proprie del geotermico. La Protezione Civile in seguito
a questa richiesta, dovrà presumibilmente assumere il parere della commissione
grandi rischi congiunta per il rischio sismico e vulcanico, che probabilmente
dovrà fare un grosso lavoro pure di distinguo sulle zone dov’è possibile lo sfruttamento
geotermico.
La produzione di energia elettrica
sfruttando i fluidi idrotermali profondi ovviamente, è il fine delle
progettualità pilota in itinere, che intendono operare col metodo binario.
Rispetto alle più vecchie centrali che rilasciano vapori nell’atmosfera ma non
solo, i sistemi di nuova concezione risultano meno inquinanti per la parte
atmosferica, ma più problematici per la parte sotterranea. Detti impianti
emungono fluidi termali fino alla superficie, carpendone il calore che viene
ceduto a un altro liquido organico (scambiatore di calore) che opera
direttamente nel sistema di produzione dell’elettricità.
I liquidi idrotermali raffreddatisi nei
processi di scambio, vengono reiniettati nel sottosuolo a distanza dal punto di
captazione, per consentire attraverso un percorso pseudo orizzontale negli
interstizi del sottosuolo, il reriscaldamento del geo fluido che ripeterà
daccapo il ciclo iniziale: il sistema rinnovabile andrebbe avanti finché sono
assicurati acqua e calore. Il tutto avverrebbe secondo logiche da circuito chiuso,
alla stregua di un impianto di raffreddamento utilizzato negli autoveicoli.
Purtuttavia occorre precisare che il sottosuolo non è un radiatore, e quindi
non è confinato dalla lamiera metallica in nessuna direzione.
Il problema
di fondo del geotermico binario, pare sia dettato dal fatto che le operazioni
di trivellazione e quindi di emungimento e poi di reiniezione dei fluidi,
possono generare una sismicità indotta e anche subsidenza e sovrappressioni nei pozzi. Occorre poi dire che in ogni caso le perforazioni chilometriche
trapasserebbero gli strati contenenti i giacimenti idrici potabili, che semmai
e malauguratamente dovessero inquinarsi per effetto di quegli elementi tossici che
la natura ha ritenuto necessario stipare nel profondo sottosuolo, causerebbero un grande danno per la salute pubblica e per le attività irrigue.
Ritornando alla questione iniziale della trivellazione a Scarfoglio,
ricordiamo per offrire analogie, che nella località salernitana di Oliveto Citra, da una buca ubicata
in mezzo alla campagna, fuoriusciva e fuoriesce a permanenza un flusso di gas
freddo visibilmente deleterio per la vegetazione limitrofa, ma anche per gli
animali di bassa taglia che stramazzano se si avvicinano troppo al pertugio, e
certamente anche per gli esseri umani se si chinano sui bordi del fosso. La
nostra investigazione campale con kit chimici, consolidò l’ipotesi iniziale che
da quel buco fuoriusciva anidride carbonica (CO2) e idrogeno solforato (H2S) e
tracce di altri elementi tossici. L’anidride carbonica è un gas asfissiante più
pesante dell’aria, che diventa particolarmente pericoloso soprattutto in
assenza di vento e con temperature fredde che ne aumentano la densità,
dando al prodotto gassoso un comportamento simile alle sostanze
liquide, stagnando così sul terreno avvallato o riversandosi in buche e anfratti. L’idrogeno
solforato invece, è un elemento tossico più leggero dell'anidride carbonica ma un po' più pesante dell'aria, che produce effetti
irritanti alla gola inducendo tosse, e agli occhi la lacrimazione, già a
concentrazioni minime di 50/100 parti per milione. In quantità dieci volte superiore è letale.
Oliveto Citra - Emissioni mefitiche (Il drappo è spinto in alto dal flusso gassoso). |
Nel caso di
Oliveto Citra, ritenemmo necessario relazionare al sindaco il potenziale
pericolo della sorgente mefitica, e questi provvide a recintarla con transenne e
cartelli che avvisavano del rischio rappresentato dalle emissioni gassose. Alcuni coloni ci dissero pure che a
più riprese tentarono il riempimento a terriccio dell'anfratto, ma senza nessun
esito risolutivo. Alla stregua, anche nel caso di questa trivellazione
estemporanea a Scarfoglio, il sindaco dovrebbe intervenire, cosa che sicuramente
avrà già fatto, facendo analizzare i gas, valutandone poi le concentrazioni
anche a quote prossime al piano di campagna per poi decidere in qualità di
autorità locale di protezione civile il da farsi. Con risultati alla mano potrà
assumere decisioni protettive, imponendo ai misurati trivellatori l’obbligo di eliminare
il pericolo qualora lo si accertasse, anche perché i gas insiti nei vapori che
fuoriescono dal foro, possono variare la loro concentrazione nel tempo o in
seno a sommovimenti sismici e rimescolamento dei fluidi idrotermali, e non sono
per loro natura contenibili dalla recinzione del cantiere…
Dal punto di vista della sicurezza, il geotermico,
fino a quando non si accerterà l’assenza di correlazione con la sismicità, dovrebbe essere non demonizzato o bandito ma posto in
stand by, in attesa che la scienza chiarisca i rischi e la tecnologia individui
strumenti per procedere con sempre maggiore sicurezza e controllo in un
ambiente che non ha un orizzonte visibile. Tra l’altro parliamo del geotermico
quale risorsa rinnovabile, e quindi non c’è l’urgenza dettata dalla possibilità
che il “business” scappi di mano, a meno che il business non lo si inquadri nell'incentivo statale: questo sì che può variare con un nuovo quadro politico. Ci
sono giacimenti di petrolio che vengono congelati in
attesa di un mercato più redditizio o sistemi di captazione più economici:
niente di strano quindi a ritardare certi sfruttamenti, soprattutto in assenza
di condizioni da fame energetica che potrebbero condizionare fortemente le
scelte politiche.
D’altra
parte il progetto TAP (Trans Adriatic Pipeline) consolida l’utilizzo del metano
in Italia, magari rendendolo meno costoso e più usufruibile e sicuro, così da
convertire a gas pure le centrali elettriche di Brindisi e Civitavecchia i cui
impianti funzionano ancora a carbone, e almeno fino al 2025. Il fotovoltaico
non sostituisce ancora la lattina di benzina, mentre l’eolico deturpa il
paesaggio e annienta l’avifauna e soprattutto i rapaci notturni.
L’idroelettrico è fenomenale ma limitato a poche stazioni sul territorio
nazionale. L’energia dalle onde è ancora sperimentale e il nucleare è troppo pericoloso. I biocarburanti pare che
tolgano troppo spazio all’agricoltura per fini alimentari… Esiste poi un'altra energia che è quella degli incentivi statali, capace di mettere insieme e movimentare progetti e promesse per trarre elettricità finanche
dalle cozze…
Il
sottosuolo è un ambiente sconosciuto, e in alcune località del mondo le
perforazioni in qualche caso hanno causato danni catastrofici, come quelle che nel
2010 caratterizzarono l’inquinamento nel Golfo del Messico. Fuoriuscirono dal
fondo marino 8000 barili al giorno, perché la valvola di sicurezza non riuscì a
entrare in funzione: occorsero cinque mesi per tappare la falla in testa di
pozzo e le richieste di risarcimento furono 390.000.
Anche in
Italia si annoverano incidenti, come quello che si verificò nel 1994 nel
novarese, a causa di un’eruzione di petrolio dal pozzo di Tricate con violenta
fuoriuscita di gas e greggio per due giorni. L’inconveniente fu arginato da una
fortuita frana che si verificò all’interno del pozzo. Il 13 ottobre del 1991
invece, durante la fase di perforazione del pozzo Agip nel tenimento di
Policoro in Basilicata, si ebbe un’eruzione di fango dalle aste senza che si
potesse intervenire in qualche modo, poi seguita da emissioni gassose che
presero fuoco con un boato che asperse petrolio tutt’intorno: la cronaca
racconta del ribollire di pozzi d’acqua nelle vicinanze evidentemente perché i
gas in pressione avevano raggiunto attraverso fratturazioni e interstizi delle
rocce, i siti d’accumulo del prezioso e vitale liquido. A Giava una banale
trivellazione (2006) fu all’origine di inarrestabili eruzioni di fango che
fanno temere oggi fenomeni di subsidenza particolarmente accentuati dell’ordine
delle decine di metri. Problemi sismici indotti si sono avuti pure alle Canarie
e in Svizzera e in California e in Emilia Romagna e in altri siti che contano
gli effetti diretti e indiretti provocati dalle trivellazioni e dalla pratica
di reiniezione dei liquidi in profondità.
Per
concludere, i Campi Flegrei sono un territorio calderico caratterizzato da un
sottosuolo in perenne metamorfosi, con un calore che si diffonde in superficie
insieme a una gran quantità di acqua che circola dissipando quei gas che sono
propri dei distretti vulcanici. Il passato della zona tra l’altro lo conferma,
tant’è che il Lago d’Averno ha questo nome che sottintende senza uccelli. I
volatili evidentemente morivano quando passavano sulla superficie del lago per
imbeccare insetti, in una condizione di forti emanazioni mefitiche che creavano
strati assolutamente irrespirabili. D’altra parte anche il tragico incidente
che capitò alla Solfatara nel 2017, causò, purtroppo, la morte accidentale di tre turisti, scivolati in un buco saturo di anidride carbonica: una vera trappola mortale.
Dal giornale online La Repubblica . Solfatara di Pozzuoli: la micidiale buca. |
Nei Campi
Flegrei c’è “irrequietezza” nel sottosuolo, e questo consiglia di muoversi con prudenza, evitando di interessare con
trivellazioni una zona dove persiste la possibilità di eruzioni
freatiche e quella di emissioni di anidride carbonica in un settore territoriale che già
ne produce naturalmente una quantità industriale.
Per le
attività geotermiche, i comuni che cercano di battersi per evitare insediamenti
intesi a sfruttare le acque calde idrotermali, come quelli della Tuscia e dei
territori dei Monti Vulsini che ricadono a ridosso del lago di Bolsena, sarebbe
opportuno che le loro osservazioni vadano in una direzione diversa, e formulate anche al Ministero dell’Ambiente, per conoscere se il rischio sismico ed eruttivo freatico e inquinante che accompagna i progetti geotermici, devono essere inseriti nell'analisi dei rischi che incombono sui territori comunali. Chiedere ad esempio che vengano fornite pure le istruzioni per
intervenire in caso di inquinamento delle falde di acqua potabile, è un modo per evidenziare i rischi connessi a una insostituibile risorsa per la vita ordinaria e per le attività produttive agricole.
D’altra
parte ed è intuitivo che la risorsa idrica potabile ha una indiscutibile
priorità conservativa, e non può essere minacciata nella sua salubrità da una
pratica perforativa ed estrattiva dei fluidi idrotermali per produrre
elettricità e calore in presenza di alternative accettabili come il metano, fonte
purtroppo o per fortuna non rinnovabile, ma certamente nell’attualità meno
inquinante dei confratelli liquidi e solidi.
Il Prof.
Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’INGV, Osservatorio Vesuviano,
conosce benissimo sia le problematiche delle trivellazioni in area vulcanica
che quelle che si prefigurano nei territori toscani e del Lazio per lo
sfruttamento del geotermico.
Prof.
Mastrolorenzo, questa recentissima trivellazione a Scarfoglio e più in generale
quelle che si volevano realizzare nei Campi Flegrei, presentano delle criticità
insuperabili?
Certamente lo
zona della Solfatara nel suo bordo orientale è quella a massima fragilità e
criticità, perché è ubicata al centro della zona rossa dove ci sono le più
forti manifestazioni termiche e sismiche con epicentri sufficientemente
localizzati e associati al fenomeno bradisismico. Un fenomeno quest’ultimo in
atto e che ha avuto diverse fasi a partire dagli anni ‘70. Nella zona ad est della
Solfatara, vengono rilasciate naturalmente dal sottosuolo, alcune migliaia di
tonnellate di anidride carbonica al giorno, insieme a una enorme quantità di
vapore acqueo. Negli ultimi anni si è assistito tra l’altro in questa zona, a
un notevole aumento della temperatura delle fumarole, e l’insieme dei fenomeni
ha portato ad elevare da diversi anni il livello di allerta vulcanica che è
passato nel 2012 da base ad attenzione. Prospezioni geofisiche hanno rivelato
che l’area è interessata da forti discontinuità superficiali e profonde che
interessano le varie falde idrotermali a diverse profondità che nella zona si sovrappongono
fino alla superficie. Questa è anche l’area che in diversi modelli sviluppati
dai vari gruppi di ricerca risulta a maggiore probabilità di aperture di bocche
eruttive in caso di ripresa dell’attività vulcanica. Una ulteriore criticità è
data dalla morfologia del territorio: infatti, l‘estesa piana di Agnano si estende
proprio al di sotto del bordo orientale della Solfatara prolungandosi fino all’area
densamente popolata di Bagnoli e Fuorigrotta. Questo implica che in caso di
fenomenologie esplosive o di drastiche modificazioni del campo fumarolico con
dati quantitativi al rialzo, la conca di Agnano potrebbe essere interessata da
concentrazioni anomale di anidride carbonica e altre sostanze nocive,
soprattutto nelle condizioni di prevalente circolazione dei venti verso i
quadranti orientali. Le modificazioni dei parametri geofisici e geochimici
hanno fatto ritenere a molti ricercatori che sia in atto una possibile
evoluzione verso uno stato critico e potenzialmente eruttivo. Per tutte queste
motivazioni ebbi a denunciare in passato contrarietà alla realizzazione di una
centrale geotermica a Scarfoglio. Qualsiasi attività di trivellazione anche
superficiale nell’area indicata soprattutto se caratterizzata dalle pratiche di
estrazione e reiniezione dei liquidi idrotermali, può innescare terremoti oltre
che favorire la dispersione in atmosfera di gas e altre sostanze nocive, senza
escludere il rischio di eruzioni freatiche che causerebbero danni a centinaia
di metri di distanza dai siti di perforazioni. Le trivellazioni sono processi
intrinsecamente irreversibili e dagli effetti imprevedibili che possono
alterare l’equilibrio del sistema crostale zonale, con innesco di processi non
lineari e di natura caotica tali da trasformare piccole perturbazioni in
drastiche modificazioni del sistema in profondità. Essendo l’area sede di siti
cruciali nel sistema di monitoraggio, le modificazioni artificiali potrebbero
comportare significative alterazioni dei parametri monitorati, non discriminabili
rispetto all’azione antropica dell’uomo.
Nella
cosiddetta Tuscia e nel territorio dei Monti Vulsini che si affacciano sul lago
Bolsena, vogliono realizzare alcune centrali geotermiche per la produzione di
elettricità, attraverso sistemi binari che necessitano di pozzi profondi per
l’emungimento e la reiniezione di fluidi idrotermali. Lei è contrario a questa
pratica almeno in questi luoghi?
L’esteso
territorio che comprende il distretto vulcanico Vulsino e il lago di Bolsena, e
caratterizzato da un rischio sismico medio alto con magnitudo max attesa prossima
al 6° grado della scala Richter. Geologicamente parlando, i vulcani non più
attivi del distretto Vulsino e più a nord dell’Amiata, si sviluppano all’interno
di una estesa struttura tettonica, in un bacino tettonico definito il graben di
Siena-Radicofani. Questo come altri bacini tettonici che sono intercalati ai
rilievi della catena appenninica, sono dovuti a processi distensivi attivi
controllati da faglie dirette che bordano la catena appenninica. L’attivazione di
queste faglie storicamente ha generato forti terremoti che, data la bassa
profondità ipocentrale, in genere compresa entro i 10 chilometri, hanno creato non pochi danni ai centri storici.
Oltre a queste importanti strutture tettoniche, più in superficie, nei primi
chilometri, sono presenti poi, strutture vulcano tettoniche associate all’evoluzione
di apparati vulcanici tra i quali i più rilevanti sono la vasta caldera che ingloba
il lago di Bolsena, e il complesso vulcanico del monte Amiata.
Il Lago di Bolsena - Foto Mastrolorenzo |
Come ho
rilevato nelle mie osservazioni alla Regione Toscana relativamente a un
progetto geotermico da 10 MW in Val di Paglia, le centrali geotermiche in
questo contesto geologico sono assolutamente da evitare, perché i processi di
trivellazione estrazione e reiniezione di fluidi geotermici, a tassi dell’ordine
di centinaia di tonnellate l’ora, possono indurre terremoti anche di magnitudo
superiore al 4° grado Richter in prossimità dei pozzi, e addirittura innescare
terremoti della max magnitudo attesa nelle faglie attive a maggiore profondità.
Tali effetti dell’attività geotermica, sono stati ampiamente documentati a livello
mondiale, e anche in Italia la commissione Ichese, costituita a seguito della sequenza
sismica in Emilia nel 2012, non escluse la possibilità che i terremoti di
elevata magnitudo fossero stati innescati da attività antropiche. L’elevata discontinuità
difficilmente indagabile nei dettagli, del sottosuolo e in particolare delle
estese falde idrotermali, può comportare induzione e innesco di terremoti, così
come non si può escludere il mescolamento delle falde a diversa quota, con
conseguente risalita in superficie di fluidi geotermici carichi di sostanze
nocive come l’arsenico e l’anidride carbonica. Il rischio più temuto e che tali
sostanze possano disperdersi all’interno delle falde idropotabili superficiali
e nello stesso lago di Bolsena con gravi conseguenze per le popolazione e l’ambiente.
A tali criticità va aggiunto il rischio esplosione sempre presente in
perforazioni che attraversano orizzonti ad alta pressione e temperatura, quali eventi
che già si sono manifestati in passato per effetto di trivellazioni nel settore
nord del Bolsena. Altre problematiche denunciate riguardano i danni alla
cultura artistica, storica e paesaggistica, in un’area che conta tremila anni
di storia.
Ringraziamo
il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, noto vulcanologo e ricercatore, per
averci consentito di conoscere il suo parere personale ancorchè scientifico su aspetti attuali e molto rilevanti
che interessano i territori del nostro impareggiabile Paese. Il suo istituto di appartenenza (INGV) ha ricevuto in ogni caso relazioni su questo argomento, essendo tra l'altro centro di competenza della Protezione Civile nazionale.
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