Il Vesuvio visto dal mare |
L’organizzazione dei piani d’emergenza e di
evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, prevede che in caso di allarme
vulcanico i comuni del vesuviano che rientrano nella zona rossa (R1+R2), devono
evacuare portandosi nelle regioni italiane e/o province autonome con cui c’è
un’intesa di fondo sui gemellaggi.
Per rendere operativi gli accordi con tutte le
regioni, il 09. 01. 2019 il governatore De Luca e il capo del dipartimento
della protezione civile Borrelli, avevano chiesto alle amministrazioni comunali
interessate, di sottoscrivere i protocolli d’intesa con le regioni deputate
all’accoglienza, entro il termine perentorio del 28 febbraio 2019, secondo lo
schema qui riportato.
Tavola dei gemellaggi |
La VII
commissione consiliare della regione Campania però, il 29.01.2019 ha approvato
un documento a firma dei consiglieri Oliviero, Amato, Beneduce, Muscarà, e
Viglione, ad oggetto “il piano di
evacuazione per il rischio vulcanico in Campania e gemellaggi”. Questo
documento, in concreto, chiede che la Regione Campania nel dotarsi di un piano
di allontanamento della popolazione residente nelle zone rosse a fronte del
rischio vulcanico, punti a rivitalizzare e valorizzare le aree interne della
Regione Campania.
La VII commissione consiliare, si legge
nel documento, impegna la giunta regionale a:
Sollecitare la convocazione di un tavolo
tecnico di confronto presso il Dipartimento di Protezione Civile della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’aggiornamento del Piano di
Evacuazione dell’ Area Vesuviana, secondo il principio per cui i gemellaggi
avvengono all’interno del territorio regionale, al fine di ridurre i centri
decisionali per la gestione del rischio, limitare i fenomeni di spopolamento di
diverse aree del territorio regionale e favorire, attraverso le intese con i
territori interessati, processi sinergici di crescita economica, culturale e
sociale, che mitighino, nel contempo, il rischio vulcanico.
A Sollecitare l’applicazione del medesimo
principio anche nelle attività di pianificazione di emergenza per il rischio
vulcanico in area flegrea.
Ad attuare, parallelamente, un meccanismo
d’infrastrutturazione sociale, che informi e formi la popolazione delle zone
vesuviana e flegrea dei comuni di accoglienza.
A promuovere l’organizzazione, in via
sperimentale, sotto la supervisione ed il coordinamento della Protezione
Civile, di una esercitazione che interessi almeno 40.000 cittadini vesuviani, che
dovranno raggiungere i comuni di accoglienza, individuati tra quelli delle aree
interne soggette a spopolamento e con surplus abitativi.
A fornire, sulla base degli indirizzi e dei criteri generali formulati dal Dipartimento della Protezione Civile, linee guida alle Province di Caserta, Salerno, Benevento ed Avellino, per predisporre aree di accoglienza di breve, medio e lungo periodo.
A fornire, sulla base degli indirizzi e dei criteri generali formulati dal Dipartimento della Protezione Civile, linee guida alle Province di Caserta, Salerno, Benevento ed Avellino, per predisporre aree di accoglienza di breve, medio e lungo periodo.
A sollecitare tutti i comuni ancora inadempienti alla redazione dei “Piani
Comunali di Protezione Civile o di Emergenza.
La VII,
si legge, <<per addivenire a queste
conclusioni, ha svolto un ciclo di audizioni con le associazioni del
territorio, per valutare lo stato di attuazione delle attività di previsione
e prevenzione avviate in collaborazione con il Dipartimento della
Protezione Civile Nazionale relative al rischio vulcanico in Regione Campania
per l’area vesuviana e flegrea, nell’ambito delle quali sono emerse alcune
valutazioni sulla necessità che i piani di evacuazione prevedano una più
stretta sinergia con i territori limitrofi in ambito regionale e con le aree
interne>>.
Incominciamo col dire che la previsione
dell’evento vulcanico è legata a elementi probabilistici, una sorta di exit
poll che finiscono di essere tali solo nel momento in cui una colonna eruttiva
avverte che si è raggiunto il 100% del campione previsionale che da statistico
diventa reale. Gli strumenti anche di tecnologia spaziale infatti, possono solo
anticipare la fase di attenzione, ma non forniscono elementi utili per la
risoluzione del problema della previsione deterministica dell’eruzione, non
solo nel lungo termine ma anche nel breve periodo.
La difficoltà di una valutazione sul decorso
temporale dei fenomeni precursori dell’eruzione è argomento vecchio ma
irrisolto. In altre parole, il problema principale che si tenta di risolvere, è
quello di riuscire a fornire una previsione di eruzione in tempo utile per
avviare la procedura di evacuazione della popolazione a rischio, senza dover
fare i conti con i falsi allarmi, o peggio ancora con i ritardati o i mancati
allarmi.
Il secondo problema riguarda la determinazione
dello stile eruttivo dell’eruzione futura. Purtroppo non è possibile stabilire in
anticipo l’intensità eruttiva, se non attraverso calcoli statistici, che a loro
volta hanno consentito di determinare i confini della zona rossa (statistica),
che altro non è che il territorio su cui si possono abbattere le famigerate colate
piroclastiche, e nella zona Rossa 2 grandi quantità di cenere e lapilli.
Se si sovradimensionasse troppo la zona rossa,
si avrebbe l’aumento dei tempi di evacuazione col rischio di incappare
nell’eruzione. Se invece si sottostimasse la zona rossa, si accelererebbero le
procedure evacuative, ma di contro si rischierebbe di lasciare sul posto una
certa quantità di abitanti totalmente alla mercé dell’eruzione. Questo
significa a proposito della prevenzione della catastrofe vulcanica, che
aiuterebbe moltissimo una formula preventiva comprendente un’estensione della
zona rossa contemporaneamente a un decremento del numero di abitanti.
Le principali tipologie eruttive del Vesuvio espresse in VEI (Volcanic Explosivity Index). |
L’eruzione che il mondo scientifico ha inteso
adottare come scenario di riferimento per delimitare la zona rossa Vesuvio, è
quella VEI4. Come s’intuisce anche dalla tabella soprastante, trattasi di un’eruzione
mediamente intensa e non quella massima conosciuta (Pliniana). Questo significa
che anche col successo previsionale ed evacuativo, l’insorgere seppure poco
probabile di un’eruzione di taglia maggiore di quella prevista dal piano, comporterebbe
una catastrofe senza precedenti.
Da questa determinazione energetica (VEI4) è
scaturita la zona rossa totale i cui limiti cartografici sono meglio evincibili
nell’immagine sottostante.
La zona rossa Vesuvio circondata dalla zona gialla e in alto da quella blu. |
I
livelli di allerta, quelli che determinerebbero il preallarme, cioè la fase di evacuazione spontanea e poi l’allarme con conseguente abbandono
totale della zona rossa, in realtà non hanno un incremento temporale
uniformemente progressivo; questo vuol dire che potremmo passare direttamente
dalla fase di attenzione a quella di allarme senza il livello intermedio su cui
contano tantissimo le autorità di protezione civile per ridurre il numero dei vesuviani
prima dell’allarme vero e proprio.
Questi preamboli servono a far capire che non ci possono essere tentennamenti aggravati da indecisioni sulla destinazione degli sfollati, qualora si dovesse dichiarare operativa la fase di evacuazione del vesuviano.
La zona rossa nella sua interezza conta circa
700.000 abitanti. La cifra corrisponde alla popolazione di una città come
Palermo, o se volete alla somma degli abitanti della provincia di Avellino e Benevento…
La VII
commissione consiliare regionale Campania, quella che tratta ambiente e
protezione civile, suggerisce che in caso di allarme vulcanico i vesuviani potrebbero
essere allocati nella parte interna della regione, in quella dove è
particolarmente sentito il problema dell’abbandono dei paesi, dello spopolamento, garantendo così
un sinergismo tra procedura evacuativa, territori limitrofi e aree interne che
andrebbero ripopolate.
In linea di principio il concetto ha una sua logica, ma intanto oltre che a scontrarsi con i numeri bisognerebbe
chiedersi i motivi dello spopolamento delle aree interne. Innanzitutto le cause
potrebbero ascriversi al pericolo sismico e al dissesto geologico e agli
alluvionamenti che hanno comportato in qualche caso l’abbandono di intere
cittadine. Secondo alcuni dati la Campania è la terza regione italiana
incalzata dal dissesto idrogeologico soprattutto con la provincia di Salerno.
Ai problemi di origine naturale e poi a quelli
storici come l’abbandono dei monti e quelli infrastrutturali che sono proprie
di zone montuose e collinari dell’entroterra, qualsiasi progetto di
reinsediamento abitativo potrà essere appetibile solo quando verranno
incrementate le vie di comunicazioni e quei servizi non solo di primaria
importanza che rendono accettabile un perdurevole stanziamento fuori mano.
Il beneventano e l’avellinese sono le due
province dove il numero di abitanti è diminuito. Caserta e Salerno godono invece
di un discreto indice demografico perché ad occidente confinano col mare quale
zona molto ambita e votata anche per il futuro a un maggiore affollamento.
In linea di massima il progetto di poter
usufruire di alloggi lì dove le case sono state lasciate per emigrazione di
varia natura, anche economica, dovrebbe avere come presupposto di fattibilità la gratuità dell’appartamento
o del casolare, perché se non è di proprietà l’abitazione, difficilmente il
titolare dell’alloggio potrà avere convenienza a ristrutturarlo privatamente. D’altra
parte neanche si può caricare sulle tasche pubbliche una tale iniziativa, perché
occorrerà recuperare e mantenere l’efficienza statica e ove occorra antisismica
e infrastrutturale e tecnologica delle magioni reintrodotte nel circuito
abitativo: in comodato d'uso o proprietà?
Qualsiasi tipo di edificato recuperato all’abitabilità
in pianta stabile, necessita poi della buona manutenzione delle strade,
assolutamente fondamentali per raggiungere l’entroterra, compreso tutti i
servizi di urbanizzazione. Un entroterra che nelle mire dei destinatari del
progetto di reinsediamento post evacuazione, potrebbe poi tradursi in una spiccata
volontà di insediarsi prevalente nelle due province maggiormente ambite,
che sono il salernitano e il casertano. I cilentani con il loro parco, se dovesse passare il
progetto della VII, dovrebbero iniziare a preoccuparsi perché il concetto di
entroterra associato a quello di territori limitrofi, è molto politicamente
interpretabile…
In tutti i casi la VII ha commesso forse un grave errore mischiando le problematiche dell’abbandono
dell’entroterra con il piano di evacuazione della zona rossa Vesuvio, perché i
numeri in gioco e i tempi di realizzo di una progettualità reinsediativa pianificata, sono troppo ampi e misurabili a colpi di decenni; quindi occorrono pianificazioni e incentivi e fondi,
magari anche europei, traducibili in durate non conciliabili con le
esigenze di una pianificazione di emergenza per un rischio che non ha
intervalli temporali certi. Diciamo chiaramente che una cosa è il ripopolamento strutturale delle
zone interne, e un’altra cosa è il piano di evacuazione che serviva già ieri, e che
dobbiamo ringraziare solo la pace geologica se non abbiamo dovuto fare i conti
con questa grave mancanza istituzionale volta alla tutela delle popolazioni esposte.
Anche il concetto di aree di accoglienza a breve,
medio e lungo termine che si legge nelle indicazioni della settima commissione,
non ha un grandissimo senso, perché la differenziazione sui tempi di permanenza
in una tendopoli o similare, derivano dalle strutture e infrastrutture a
servizio del campo, così come le caratteristiche del circondario e le inclemenze meteorologiche e la stagione e la morfologia dei luoghi. Una tendopoli però, per sua natura in ogni
caso è da ritenersi temporanea, nel senso breve del termine. Una roulottopoli per un cotale numero di utenti richiederebbe grandi spazi di parcheggio già in tempi di pace. Insediamenti preventivi che utilizzino
prefabbricati rispetto a un’emergenza che potrebbe presentarsi anche a distanza
di secoli, non è proponibile perché i prefabbricati richiedono continua manutenzione. I tempi dell’emergenza vulcanica e del ripristino delle zone colpite poi, ricordiamolo bene, possono misurarsi ad anni…
Utilizzare le case in muratura abbandonate come seconde case
significa accollarsi una spesa non indifferente che graverà su chi le
acquisisce a prescindere se trattasi di una amministrazione pubblica o privati
cittadini. Certo, il patrimonio edilizio recuperato potrebbe allettare gli interessati magari come
case vacanze, ma non c’è una grande richiesta in tal senso per le zone interne, bellissime,
ma relegate agli amatori della campagna e delle colline e dei monti e della
pace in genere.
Le due province che soffrono di spopolamento
sono quella avellinese e beneventana. A conti fatti escludendo Napoli, le altre
quattro province hanno un numero di comuni pari a 458. Questo significa ipoteticamente che per ogni comune dovrebbero
destinarsi, calcolando solo il 50% degli sfollati del Vesuvio, 764 abitanti per ogni singola municipalità.
dati tratti dal sito tuttitalia.it |
A voler garantire assistenza abitativa alla
metà della popolazione di Portici ad esempio, quindi 27.288 abitanti, con il
tasso di 764 unità per comune, i porticesi dovrebbero stringere protocolli d’intesa
con circa 36 municipalità. Nell’avellinese su 118 comuni 111 hanno cadauno meno
di 10.000 abitanti e Avellino (54.353 ab.) ha quasi l’identico numero di residenti
di Portici. Nel beneventano su 78 comuni 73 hanno popolazioni inferiori alle 10.000
unità per paese. La città di Benevento (59.945 ab.) ha una popolazione di poco
superiore a quella di Portici (54.577 ab.).
Gli elementi sopra riportati dimostrano che
qualsiasi aggregazione massiva in ambiti territoriali campani delle popolazioni
sfollate, stravolgerebbe gli equilibri sociali ed economici e anche
territoriali dell'esistente.
L’errore che si sta commettendo, è
quello di aver offerto un ulteriore alibi ai comuni vesuviani per non adempiere
alla sottoscrizione dei gemellaggi con le altre regioni italiane. La proposta
della VII in tutti i casi è un po' un guazzabuglio, perché mette insieme la volontà di pianificare gli interventi sul territorio per ovviare allo spopolamento interno, con esigenze di protezione civile che, in nome della prevenzione delle catastrofi, potrebbe contare su soldi e mano libera dagli appigli burocratici, che non porterebbero però a un grande successo antropico strutturato. Per ottenere questo risultato auspicabile, ci vuole l'esca del lavoro nell'entroterra...
La prevenzione della catastrofe vulcanica prevede l'immediata messa in sicurezza dei vesuviani prima che avvenga l'eruzione, collocando velocemente la popolazione fuori dalla zona rossa. Successivamente o contemporaneamente, si procederà per una destinazione alloggiativa provvisoria o sufficientemente stabile, ma in nessun caso bisognerà ritardare le dinamiche di salvataggio iniziale.
Non diamo spazio a idee di neocolonialismo regionale, ancorché se non ci sono garanzie di equità tra i cittadini. Facciamo prima i conti e le valutazioni sulle opportunità offerte dall'entroterra, magari anche fuori dal concetto emergenziale come meriterebbe, e solo in un secondo momento a proposito dell'evacuazione in regione, se tornano i numeri e gli spazi e le volontà e le soluzioni grideremo Eureka!
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