“Rischio
Vesuvio: difendersi dalla lava.” di MalKo
Il Vesuvio rispetto ad altri vulcani non è
particolarmente alto ed esteso, ed ha la caratteristica di avere una corona
circolare di base notevolmente conurbata con un edificato serrato che conta
oggi circa seicentomila abitanti. Grazie alla loro meravigliosa posizione
geografica, questi territori sono stati oggetto di un sacco edilizio che si è accentuato negli anni ’60 con il boom
economico. Nelle cittadine vesuviane prospicienti la città di Napoli, la densità
abitativa in alcune zone è lievitata a dismisura con punte superiori alle 12.000
unità per chilometro quadrato. Valori abnormi per una comunità adagiata su un vulcano esplosivo,
al punto che la rivista Nature in un
editoriale curato dalla giornalista Katherine Barnes, assegnò al Vesuvio il
titolo di bomba a orologeria d’Europa...
Pure ipotizzando fenomenologie vulcaniche
meno pericolose delle nubi ardenti e
della caduta di prodotti piroclastici,
in queste condizioni di fitta tessitura urbana, anche delle semplici e lente colate laviche, per le distanze che
separano la bocca eruttiva del Vesuvio dalle case, rappresentano un fenomeno travolgente
per i manufatti ubicati sui versanti dove potrebbero incanalarsi e scorrere le
lave.
L’alta esposizione residenziale quindi, non
trova giustificazioni se non in quelle del profitto nella forma più acuta ed egoistica
…
La lava per le case rappresenta un fenomeno
distruttivo non arginabile, e da cui non ci si può difendere a lungo, in quanto
gli interventi dell’uomo sulla massa incandescente in cammino, possono solo ritardarne
l’avanzata nell’attesa, che poi è speranza, che il rubinetto magmatico venga chiuso dalla natura al raggiungimento
degli equilibri endogeni.
Operazioni di contenimento della lava furono
attuate sul maestoso vulcano Etna nel 1992 per proteggere l’abitato di Zafferana Etnea. In quell’occasione furono costruite varie
barriere tra cui un terrapieno lungo 250 metri e alto 21 metri, che per circa un
mese riuscì a tenere a freno la lava che si slargava e si sovrapponeva a strati
ma senza procedere oltre. Risulta difficile infatti, deviare la massa
incandescente soprattutto quando è viscosa, se non attraverso
dei veri salti gravitativi di solito realizzati con l’utilizzo della dinamite e
appositi scavi preparatori. Pratiche che necessitano di mezzi meccanici che
devono raggiungere quota attraverso dislivelli anche pronunciati, su terreni
particolarmente accidentati, aguzzi e friabili.
Il secondo intervento che si attuò sempre sull’Etna
per proteggere le case dal magma incandescente, fu quello di interrompere
l’alimentazione del flusso lavico a quota 2000 metri . Infatti, la
continuità emissiva generò una inarrestabile forza motrice che, per il
raffreddamento degli strati esterni, consentì alla lava d’ingrottarsi negli autogenerati
tunnel lavici, al punto da costituire una vera vena fluida incandescente; l’effetto
thermos infatti, dato dalla scorza lavica solidificata, garantisce a lungo il mantenimento della temperatura di fusione. Potremmo
definire i tunnel di lava come una naturale protuberanza della bocca eruttiva, che
può raggiungere e scaricare a distanze chilometriche il suo fardello infuocato.
Ovviamente e per l’attrazione gravitazionale, queste diramazioni si estendono
sempre verso il basso rispetto alla sorgente emissiva.
In cima all’Etna furono utilizzati
elicotteri Chinook dell’esercito e i
Sea Stallion americani, per lanciare
a volte in condizioni di severa turbolenza, blocchi di cemento capaci di rompere
e ostruire i tunnel di lava. L’operazione fu chiamata “trombosi”: un termine piuttosto
allusivo per chiarire la strategia operativa volta a spaccare la vena fluida, consentendo così alla
lava di dilagare in più rivoli perdendo direzione ed energia di scorrimento.
L’apertura di una bocca effimera a quota 1600 metri fu comunque provvidenziale
in quanto ridusse i flussi che si desideravano interrompere alleggerendone la portata,
in una situazione che trasse poi beneficio dall’utilizzo degli esplosivi, con cui
si riuscì in parte a deviare la lava nella zona alta della Valle del Bove. La natura
alla fine assegnò una pace vulcanica al possente vulcano, offrendo la
possibilità agli operatori di tirare un profondo sospiro...
La lava ha una sua mobilità rapportata alla
viscosità dipendente a sua volta dal contenuto di silicio. Questo elemento
abbondante in natura, imprime una caratterizzazione alle lave che vengono così classificate come granitiche o acide, andesitiche e basiche. Queste ultime
generalmente sono le meno viscose e, quindi, hanno una maggiore velocità di
avanzamento. Una lava basica (poco silicio) a circa 1200 °C scorrerà
rapidamente. Queste temperature però, si riscontrano solo sul bordo della bocca
eruttiva. Ovviamente maggiore è la distanza percorsa dalle “lingue” di fuoco, e tanto minore sarà la temperatura del magma che
risulterà alla fine poco fluido. Un magma freddo (800°), è un magma oramai
solidificato con una velocità d’avanzamento pari a zero.
Etna 1983 - La lava circonda e "cuoce" una casa - Foto D. Andronico |
Per poter effettuare interventi capaci di
mitigare la travolgente avanzata della lava, sono necessari tre elementi
fondamentali: tempo a disposizione, spazi su cui operare e mezzi meccanici
nella disponibilità delle forze d’intervento.
L’Etna proprio in ragione delle sue
frequenti eruzioni è stata una buona palestra per vulcanologi e tecnici. Già
nel 1983 si tentò di indirizzare un flusso lavico in un terreno fiancheggiante
il canale di lava, sfruttando il dislivello esistente. Uno dei problemi che si
cercò di risolvere fu quello di far resistere alle alte temperature gli esplosivi
ficcati nei fori dei suoli sottolavici. Nel caso etneo l’operazione fu alquanto
difficile e le esplosioni alla fine consentirono l’apertura di una breccia nel canale di
lava, col magma che trasbordò dalla falla nell’area voluta ma per breve tempo,
perché ben presto si riformò la crosta lavica che cicatrizzò l’alveo di fuoco ripristinandone la portata. Già
in questa occasione fu utilizzata l’acqua, ma senza una concreta utilità.
In Islanda, nel 1973, quella dell’acqua fu proprio
la tecnica usata per tentare di bloccare un flusso lavico originatosi da una
inaspettata eruzione fessurale sull’isola Heimaey.
La lava minacciava di creare problemi anche al porto peschereccio della
cittadina di Vestmannaeyjar,
bloccandone l’agibilità. In quasi cinque mesi furono versati sul magma circa 8
milioni di metri cubi di acqua di mare. L’operazione in questo caso fu sufficientemente
efficace e il porto fu salvo. L’acqua si dimostrò la strategia vincente
innanzitutto perché prelevata dalla prospiciente e inesauribile riserva marina,
ma anche le condizioni morfologiche e chimiche del magma favorirono un siffatto
intervento.
Secondo
alcuni calcoli scientifici, un metro cubo d’acqua riesce a raffreddare circa 0,7 metri cubi di
lava. L’efficacia della procedura di raffreddamento è molto condizionata dalla
penetrazione dell’acqua nel magma che avviene attraverso fessure e giunti
formatisi nella massa in movimento.
In
basso abbiamo riportato la cartina schematica del Vesuvio con le varie colate
di lava che nel corso dei secoli hanno invaso soprattutto la zona litorale. Il
baluardo del Monte Somma in alcuni casi ha funzionato da barriera, ma di contro
ha costantemente indirizzato lava nei comuni ubicati appena ai margini
dell’orlo calderico, e soprattutto nell’abitato di San Sebastiano al Vesuvio,
in ragione delle pendenze e di un alveo naturale quale prolungamento dell’Atrio
del Cavallo.
Ovviamente con il discorso lave non si può
non tenere in debito conto la possibilità che il magma rovente possa fuoriuscire
anche da fratture che possono aprirsi in posizioni diverse dalla bocca
principale. Sul Vesuvio se ne riconoscono alcune riconducibili a
eruzioni passate, come quella di Fossa della Monaca e della località Viuli.
Zone quest’ultime oggi profondamente modificate da una spiccata edilizia
residenziale, portata avanti secondo le famose logiche che danno importanza a
quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce…
Bisogna anche intuire che la conurbazione
operata secondo uno sviluppo circolare, non consente operazione di
deviazione dei flussi lavici, perché da un punto di vista giuridico non è
possibile convogliare il magma su un abitato piuttosto che su un altro. In
questi casi la natura deve fare il suo corso …
Etna 2001 - Stazione di arrivo della funivia detta Piccolo Rifugio (2500 mt.) invasa dalla lava - Foto D. Andronico |
Infatti, nel 1669, quando dall’Etna una colata
di lava incominciò a minacciare Catania, un uomo, tale Pappalardo e altri
cinquanta compaesani, coprendosi con pelli bagnate per proteggersi dal calore
del magma, si diedero da fare con interventi prettamente manuali riuscendo a rallentare e deviare il
flusso incandescente che purtroppo puntò il paese di Paternò. Successe
ovviamente un putiferio, consistente innanzitutto in una vigorosa cacciata da
quei luoghi del manipolo catanese… Anche nel 1929 una colata lavica partita dal
Vesuvio forse poteva essere deviata in un vallone meno antropizzato (a quel
tempo). L’esercito si oppose a siffatte manovre per evitare disordini e la lava
in più punti distrusse un certo numero di abitazioni.
Vesuvio -Boscotrecase .1755 - Proprietà S. Vitulano Lava penetra un vecchio casale - |
Ritornando ai giorni nostri, se non ci sarà
una inversione di tendenza, il vesuviano è destinato a subire prima o poi l’ira
del vulcano. I secoli, che secondo gli scienziati statisticamente ancora ci
proteggono dalle eruzioni fortemente esplosive, sono appena sufficienti a
varare politiche serie di riordino del territorio nella auspicata direzione della
prevenzione delle catastrofi e della conservazione dei beni. Ma non c’è tempo
da perdere…
(Questo
articolo è stato realizzato anche grazie alla cortese collaborazione del Dott. Daniele Andronico, dell’INGV di
Catania, a cui va tutta la nostra gratitudine, e siamo sicuri anche quella dei
lettori che ci seguono da tempo e con interesse).
Nel 1872 un'improvvisa fuoriuscita di lava dal fianco nord occidentale del Vesuvio causò la morte di alcuni studenti recatisi sulle pendici del vulcano attratti dall'evento. Luigi Palmieri per evitare ulteriori incidenti, decise di rimanere nella sede dell'Osservatorio provando anche l'esperienza di essere completamente circondato dalla lava.
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