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mercoledì 25 dicembre 2013

Il rischio Vesuvio è un problema da palazzo di giustizia?

Il palazzo di Giustizia di Torre Annunziata col Vesuvio alle spalle

 “Rischio Vesuvio: la soluzione è in un piano giudiziario?”  di MalKo

Il Vesuvio cattura sempre un certo interesse per le possenti energie che racchiude nel grembo litosferico sormontato da una platea di settecentomila persone. I vesuviani in parte sono consapevoli del rischio a cui sono sottoposti  vivendo in zona rossa, ma nella maggioranza dei casi le idee sul vulcano localmente sono molo confuse e tendenti giocoforza a sottostimare quello che realmente potrebbe  accadere se il Vesuvio dovesse porre fine alla sua annosa quiescenza.
Il vulcano oggi sonnecchia… in qualsiasi momento però, anche ora mentre si legge, la terra potrebbe iniziare a tremare sotto i piedi e allora l’angoscia assurgerebbe a sentimento diffuso. La fame di notizie sull’interpretazione da dare al fenomeno sussultorio attanaglierebbe tutti. Corrucciati, si guarderà verso la montagna che non è montagna, sperando che il tremore crostale appena avvertito sia semplicemente un colpo isolato, un assestamento gravitativo, un evento tettonico appenninico, incrociando le dita acchè non sia invece l’inizio della furibonda ascesa della lava in superficie che fratturerebbe e s’insinuerebbe con tempi incerti nelle rocce che la costipano da decenni, per aprirsi roboante un varco in superficie, spazzando via tutto il gravame litoideo sugli inveterati uomini che ne affollano le pendici.
Tutti avrebbero dovuto interiorizzare che il problema Vesuvio è rappresentato dal fatto tutt’altro trascurabile che non è possibile prevedere quando avverrà un’eruzione e di che tipo questa sarà. L’incognita geologica avrebbe dovuto rendere insostenibile la conurbazione che è stata invece perpetrata intorno al vulcano che svetta isolato e accerchiato dai palazzi. Un dato noto, anche se i tentativi di porre di nuovo mano al cemento sono numerosi e solo un personale inconveniente giudiziario ha fermato di recente il sindaco di Sant’Anastasia, capofila di altri comuni pronti alla sommossa in nome di un territorio da sanare con condoni e da mettere in sicurezza non già con la politica degli spazi, ma con nuovo cemento ristoratore che fortifica e munifica pure l’economia zonale. A voler essere veramente sintetici, diremmo che tale cordata voleva o vuole dare spazio alla politica della cicala senza temere alcun inverno vulcanico…
L’edificazione nel vesuviano è stata perpetrata senza scrupoli da amministratori che hanno cavalcato, generalizzando, una scienza a volte disarticolata e servizievole che ben poco ha fatto per frapporsi alla spinta speculativa del cemento. I moniti circa la necessità di prestare maggiore attenzione al rischio Vesuvio arrivano da isolati cattedratici nostrani e soprattutto dall’estero come di recente è avvenuto attraverso le parole del Prof. Nakada Setsuya  dell’Università di Tokyo. 
In nome della pseudo necessità di non allarmare il popolo napoletano, sono state invece rilasciate nel tempo e da più parti troppe dichiarazioni confortanti, come quella sui tempi di previsione di un’eruzione del Vesuvio, “diagnosticabili” addirittura mesi prima dell’evento. Bisognerebbe dare un peso alle parole, che nel nostro caso hanno trasformato un rischio da inaccettabile ad accettabile.
Nelle bozze di piano d’emergenza che si sono susseguite nel corso dell’ultimo ventennio, da una previsione di previsione eruzione ottimisticamente misurata a mesi, si è passati a settimane e poi alle attuali settantadue ore di preavviso che deve essere anche il tempo a disposizione per allontanarsi lestamente dal vesuviano. Dal mondo istituzionale si auspica addirittura che si trovino sistemi e risorse per evacuare in un tempo massimo di ventiquattro ore.
Il rischio di una previsione fallace, infatti, purtroppo esiste e sussiste perché l’indice di attendibilità previsionale di un’eruzione può essere tentata nel momento in cui si presentano i prodromi pre eruttivi, e potrebbe rivelarsi un inaccettabile azzardo in un senso o nell’altro, se la previsione andrebbe a snodarsi su tempi troppo lunghi (settimane).
Che la struttura scientifica dell’Osservatorio Vesuviano possa essere sottoposta a stress decisionale è normale e lo ipotizzammo il 9 ottobre 1999 in seguito ad un evento sismico di 3.6 Richter centrato sul bordo meridionale del Vesuvio. Serpeggiò il panico tra gli abitanti con amministratori comunali esagitati che pretendevano con affanno notizie precise dalla struttura di sorveglianza e dalla Prefettura di Napoli. Nessuno aveva certezze, e proprio l’assenza d’informazioni cristallizzò l’angoscioso momento che si sciolse solo dopo che ritornò una perdurante pace sismica.
Il terremoto del 1999 fu il più forte avvertito in area vesuviana dal 1944 e anche il più istruttivo per chi studia le problematiche legate al piano d’evacuazione e la reazione delle istituzioni tecniche e amministrative nei momenti di crisi. In quei frangenti ricordiamo bene, molte famiglie preferirono intanto cambiare subito aria…
Oggi, un’eventuale anomalia dei valori chimici e fisici del Vesuvio (parametri controllati) sarebbe segnalata con la linea telefonica rossa dall’Osservatorio Vesuviano al Dipartimento della Protezione Civile che convocherebbe la commissione grandi rischi per adottare presumibilmente su indicazioni politiche le decisioni necessarie per affrontare l’emergenza nazionale. Una catena comando non sappiamo quanto veloce, ma sappiamo che lo deve essere se si opta per un margine di ventiquattro ore a disposizione per allontanare inizialmente settecentomila persone dalla zona rossa…
Se i politici e gli amministratori e le istituzioni scientifiche, e non solo quelle, riflettessero sui fatti, concorderebbero nelle conclusioni che la fortuna dei vesuviani è stata fino ad oggi la clemenza geologica e non la lungimiranza di chi per ruolo amministrativo e dovere istituzionale avrebbe dovuto mettere in sicurezza un territorio che potrebbe essere invaso da flussi piroclastici con temperature da forno e velocità da fuoriserie.
I giornali stranieri parlando del Vesuvio lo classificano come una bomba a orologeria. Purtroppo è così, anche se non udiamo il ticchettìo e non vediamo le lancette. Il Vesuvio come tutti i vulcani esplosivi ha un indice di pericolosità zero in fase di quiescenza e quasi cento nel momento dell’eruzione con un picco di pericolosità massima che si raggiunge in concomitanza del collasso della colonna eruttiva.
Le autorità scientifiche chiamate in causa dal dipartimento della protezione civile, hanno ritenuto plausibile e statisticamente possibile il risveglio del vulcano con una tipologia eruttiva massima attesa del tipo sub pliniana, cioè simile a quella che devastò la plaga vesuviana nel 1631. Partendo da quest’assunto, la commissione grandi rischi di recente ha deciso di adottare la demarcazione offerta dalla linea nera Gurioli, per definire i limiti di maggior pericolo (R1) su cui gli amministratori locali e regionali devono focalizzare la loro attenzione preventiva di tutela piuttosto che quella cementizia.
Occorre poi rilevare che, se invece di un’eruzione sub pliniana, il Vesuvio ridestandosi dovesse offrire il meglio di se con una fenomenologia pliniana, il risultato sarebbe una tragedia di proporzioni belliche, favorita in questo caso e strano a dirsi, proprio dall’attuale perimetrazione del pericolo che, di fatto, ne esclude altre.  
Purtroppo non è possibile al momento e ragionevolmente preparare un piano di evacuazione anti pliniana che comprenderebbe l’area metropolitana di Napoli, perno di tutto il problema. Rimanere nel solco di una stima eruttiva sub pliniana allora, bisogna dirlo chiaramente, è stata una scelta non garantista in assoluto, ma certamente obbligata e mediata come tutte le perimetrazioni a rischio che hanno a che fare con problemi naturali in gran parte e come in questo caso ancora imprevedibili.
Alcuni cittadini del vesuviano e il politico radicale Marco Pannella hanno di recente presentato un ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, contro lo Stato italiano che non ha messo in atto strumenti adeguati di tutela dei cittadini esposti al rischio vulcanico in zona vesuviana.
In realtà la consapevolezza delle inadempienze istituzionali riguardanti i piani di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio dovrebbe essere un argomento già noto almeno alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata che nel 2011 ha ricevuto nel merito un esposto in cui si richiamavano a proposito del rischio Vesuvio, alcuni concetti di un qualche interesse come il principio di precauzione oggi particolarmente evocato e diffuso.
Intanto la trasmissione televisiva crash del 5 dicembre 2013, ha mandato in onda su RAI 3 approfondimenti sul rischio Vesuvio. E’ stata sicuramente un programma che ha fornito chiari indizi sulle problematiche che riguardano i piani di evacuazione. Per far emergere le incongruenze però, bisognava spostarsi non già nella sede del mediatico dipartimento della protezione civile o nello studio dell’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, bensì nei municipi della zona rossa Vesuvio per farsi dire dai sindaci in quali cassetti sono riposti i piani d’evacuazione comunale di cui accenna l’assessore Cosenza nell’intervista televisiva.